IL GRANDE DISASTRO ECOLOGICO DELLA PETROLIERA MT HAVEN (GENOVA, 1991) A cura di Ildegonda Oddi A. A. 2009/2010 Indice • La storia • L’incidente. • Petrolio: danni e pericoli • Conclusioni • Sitografia La storia La petroliera Amoco Mildford Haven (in seguito ribattezzata Haven), da 232.166 tonnellate di portata lorda e lunghezza fuori tutto di 344 m, fu costruita presso i cantieri Asterillos Espanoles di Cadiz (Spagna) e consegnata nel 1973 alla Amoco Transport Company di Chicago, quarta di una serie di quattro navi gemelle (la "Amoco Cadiz" che affondò il 16 Marzo 1978 davanti alle coste bretoni versando in mare circa 230 mila tonnellate di greggio, la “Maria Alejandra”, esplosa l'11 marzo del 1980 davanti alle coste della Mauritania, la "Mycene", esplosa il 3 aprile del 1980 davanti alle coste del Senegal). La petroliera era del tipo VLCC (Very Large Crude Carrier), ossia nave cisterna di grandissime dimensioni. La nave era munita di tre cisterne centrali e dieci cisterne laterali per il carico (cisterne 1C, 3C e 4C centrali; cisterne 1P, 2P, 3P, 4P e 5P di sinistra; cisterne 1S, 2S, 3S, 4S e 5S di dritta). Tra le cisterne centrali del carico era inserita la cisterna 2C per la zavorra. La nave rimase di proprietà della Amoco Transport Company fino al 1985, poi fu venduta alla Haven Maritime Corporation di Monrovia e immatricolata sotto bandiera cipriota con il nuovo nome di Haven. Nel 1990 la proprietà passò alla Venha Maritime Company, ancora di Monrovia, mantenendo la bandiera cipriota ed il nome Haven. Sotto la nuova proprietà la nave fu riarmata ed impiegata sulla rotta del GolfoPersico. Nel 1986 l’unità fu vittima di un incaglio sulle coste indonesiane, senza gravi conseguenze. Il 31 marzo 1988 la Haven, partita da Ras Tanura (Arabia Saudita) con un carico di greggio e diretta a Teluk Semanka (Indonesia), fu 1 colpita al largo di Dubai (Emirati Arabi Uniti) da un missile Exocet sparato da una motovedetta iraniana, riportando gravissimi danni. A seguito dell’attacco si sviluppò un vasto incendio a poppa, la nave andò alla deriva e si incagliò a Mina Saqr. Salvato l’equipaggio rifugiatosi a prua, la nave fu disincagliata e quindi rimorchiata a Singapore per l’esecuzione dei lavori di riparazione. Dopo il completamento dei lavori e l’esecuzione delle prove, la nave partì diretta a Kharg Island, nel Golfo Persico, per un nuovo carico. Ripartita a Fig.1. Nave Amoco Milford Haven pieno carico il 10 gennaio 1991, fece rotta verso l’Europa, via Capo di Buona Speranza. Dopo aver effettuato una sosta a Las Palmas ed una sosta più lunga a Cadice, la nave giunse a Genova l’8 marzo, ancorandosi in rada sino al 7 aprile. Dal 7 al 9 aprile la Haven si ormeggiò alla piattaforma a mare del Porto Petroli per una discarica parziale di greggio, per tornare quindi in rada. La mattina del 11 aprile avvenne la prima esplosione. Nelle sue cisterne, al momento dell’incidente, c'erano 144.244 tonnellate di petrolio greggio Heavy Iranian Oil (quanto basterebbe per produrre 40 milioni di litri di benzina) e 1.223 tonnellate di combustibile per la propulsione della nave (fuel oil e diesel). L’incidente La mattina dell’11 aprile 1991 la Haven si trovava all’ancora nella rada di Genova, in attesa di ordini dopo il parziale sbarco del suo carico di greggio iraniano. In vista di future operazioni commerciali era stato predisposto di travasare il greggio rimasto dalle cisterne laterali alle cisterne centrali. Il primo travaso fu effettuato il 10 aprile, senza inconvenienti di rilievo; al secondo travaso fu dato corso il mattino dell’11 aprile intorno alle 11:20. Intorno alle 12:30 (l’ora esatta non è nota) si verificarono scuotimenti, vibrazioni e rumori metallici; nella zona prodiera, in corrispondenza della cisterne 1 e 2, si verificò un’esplosione con immediato sviluppo di fumo e 2 fiamme. Al momento dell’incidente erano presenti a bordo circa 144.000 tonnellate di greggio Iranian heavy, oltre al combustibile per il motore propulsore e le motorizzazioni ausiliarie (nafta e gasolio diesel per un totale di circa 9.200 tonnellate) e all’olio lubrificante (più di 230 tonnellate); risulta che la Haven abbia fatto bunker nel corso della sosta a Genova. A seguito della richiesta di soccorso della nave, numerosi mezzi nautici si portarono vicino alla nave e trassero in salvo l’equipaggio ed i tecnici presenti a bordo, mentre il comandante Petros Grigorakakis e altre quattro persone (tre membri dell’equipaggio e uno dei tecnici), perirono nell’incendio successivo alla prima esplosione. Poiché il vento faceva dirigere verso poppa le fiamme dell’incendio di prora, è verosimile ritenere che l’irraggiamento delle fiamme abbia provocato, fin dai primi minuti dopo l’esplosione, un progressivo riscaldamento delle cisterne integre ed un aumento della pressione nelle stesse che ha successivamente determinato lo sfondamento dei portelli e delle relative strutture. Alle ore 13.00 circa si verificò una nuova esplosione, a seguito della quale la nave subì una notevole flessione in corrispondenza della cisterna 1. Si pensa che questa esplosione abbia provocato la rottura della catena di ancoraggio: da quel momento la Haven andò alla deriva, spinta verso ponente dalle correnti. A causa delle forti esplosioni la nave subì gravi danni strutturali ed iniziò ad affondare assai lentamente, assumendo un assetto inclinato con la prua sommersa. Lo sfondamento dei portelli delle cisterne ebbe come conseguenza l’incendio del carico che, in presenza della coperta ancora integra, incominciò a bruciare a “candela” attraverso i portelli. Nel pomeriggio dell’11 aprile l’incendio si estese anche alla sovrastruttura poppiera, poi alle acque immediatamente circostanti su cui si era sparso il greggio in seguito alle esplosioni che in totale furono otto. Il 12 aprile la nave in fiamme venne agganciata da un rimorchiatore e trainata verso costa, al largo di Arenzano. Durante le operazioni di traino, il relitto si spezzò in corrispondenza della flessione verificatasi con la seconda esplosione; il troncone di prua, lungo circa 95 m, affondò senza apparenti spandimenti di greggio su un fondale di circa 480 m. La parte poppiera della nave affondò alla ore 10:05 del 14 aprile 1991 al largo di Arenzano su fondali di circa 80 m. 3 L’incendio durò in totale circa 70 ore, fino al completo affondamento della nave e provocò un grave inquinamento delle acque marine, dei fondali e della costa ligure da Genova a Savona. Petrolio: danni e pericoli Il petrolio (dal greco πέτρα–roccia e έλαιο–olio), anche detto oro nero, è un liquido infiammabile, si trova in alcuni giacimenti entro gli strati superiori della crosta terrestre. È composto da una miscela di vari idrocarburi (in prevalenza alcani, ma con variazioni nell'aspetto, nella composizione e nelle proprietà fisico-chimiche). Viene estratto dal sottosuolo dove si è accumulato nel corso del tempo geologico (svariati milioni di anni) nelle trappole petrolifere individuate durante la fase di esplorazione geofisica, principalmente tramite la prospezione sismica. La formazione del petrolio è ancora un processo non del tutto conosciuto. Si ritiene che la sostanza organica inglobata nei sedimenti in opportune condizioni di pressione e temperatura possa distillare le diverse tipologie di idrocarburi (gas, olio, cere, bitumi). Questo processo avviene nelle cosiddette rocce madri. Tra i danni ed i pericoli legati all’estrazione petrolifera ricordiamo: Fanghi e fluidi tossici. Per raggiungere il giacimento petrolifero la trivella utilizza sostanze chimiche dette “fanghi e fluidi perforanti” necessari per eliminare gli strati rocciosi, controllare la pressione, lubrificare e raffreddare. La composizione chimica di questi fanghi è segreta, l’unica cosa certa è che possono essere utilizzate più di 100 sostanze tossiche. Sono difficili e costosi da smaltire ed hanno la capacità di contaminare acque e terreni. I fanghi (contenenti anche sostanze cancerogene) devono essere smaltiti con delle procedure speciali. Generalmente il controllo per le trivellazioni sulla terraferma costringe allo smaltimento. In mare, invece, la prassi ordinaria è rigettarli nelle acque. Acque di scarto. Il petrolio nel fondale marino ovviamente non è puro. Esistono delle acque dette appunto di scarto che contengono idrocarburi ed altre sostanze dannose che sono “scartate” e rigettate in mare. Gli scarti delle industrie petrolifere possono viaggiare attraverso le correnti per decine di chilometri. Pesci al mercurio. Uno dei “miti” che l’industria petrolifera ama sbandierare è l’“aumento della pesca”, ovvero la creazione di “bioaccumuli interessanti”. I pesci è vero che gradiscono le piattaforme, che fungono da punto di aggregazione, ma il dato interessante è quello relativo alla 4 contaminazione del pescato. Secondo uno studio del governo federale USA, denominato GEOMEX, nel Golfo del Messico, la concentrazione del mercurio nei pressi delle piattaforme era 25 volte superiore rispetto alla media. Il mercurio è una sostanza altamente tossica che causa danni al cervello dei bambini e dei feti, al sistema circolatorio ed immunitario. Una piattaforma in mare nell’arco della sua vita rilascia mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti. Petrolio “amaro”. Secondo gli studi effettuati il petrolio presente nei nostri fondali oltre ad essere esiguo è anche “amaro” (ovvero ricco di impurità e “gas sulfurei”), ed è “pesante” (ovvero presenta molecole allungate rispetto a quelle necessarie “per farci la benzina”). Di difficile estrazione. L’oro nero si presenterà dunque come una fanghiglia corrosiva, melmosa, densa e maleodorante, che necessiterà di una lunga lavorazione per l’utilizzo di destinazione. Il petrolio amaro è anche difficile da trasportare, perciò la sua lavorazione avverrà sicuramente in mare. L’estrazione porterà con sé dunque oleodotti, petroliere e desolforatori. Desolforatore. Il desolforatore attua un processo chimico attraverso il quale elimina lo zolfo dalla fanghiglia. Una parte di questo zolfo finirà nell’atmosfera grazie all’inceneritore a fiamma perenne. Il gas emesso si chiama idrogeno solforato e funziona come il cianuro: si attacca alla cellule ed impedisce all’ossigeno di circolare. L’uomo può assorbirlo con la respirazione, la digestione e tramite il contatto con la pelle. Alte concentrazioni possono essere letali. L’esposizione costante e duratura provoca quindi una serie di patologie legate alla respirazione, alla vista, danni permanenti e, non ultimo, il cancro. L’idrogeno solforato è infatti un agente genotossico, ovvero attacca le cellule del DNA, modificandole. Le cellule modificate causano il cancro. Controlli. L’ulteriore aspetto da considerare è la mancanza di controlli sull’estrazione e la lavorazione petrolifera, che lascia largo spazio all’ ”autonomia”ed alla speculazione in campo. Disastri petroliferi. La fuoriuscita del petrolio dalle petroliere, in inglese oil spill ed in ambito specialistico italiano frequentemente traslato in spillamento, compromette gravemente l'ambiente marino. Il petrolio ha un peso specifico minore dell'acqua, per cui inizialmente forma una pellicola impermeabile all'ossigeno sopra il pelo libero dell'acqua, causando oltre agli evidenti danni per fenomeni fisici e tossici diretti alla macrofauna, un'anaerobiosi che uccide il plancton. La successiva 5 precipitazione sul fondale replica l'effetto sugli organismi acquatici che vivono in stretto contatto con il fondo. La bonifica dell'ambiente danneggiato richiede mesi o anni. Il rilascio del petrolio è in genere causato dall'attività umana, tuttavia può in certi casi essere causato da eventi naturali, quali ad esempio fratture del fondo marino. Non è facile stabilire la quantità di idrocarburi che si perde ogni anno in mare, tuttavia le stime di tali perdite sembra che si aggirino su una media di 4 milioni di tonnellate l'anno per tutto il pianeta e di 600.000 tonnellate per il solo Mediterraneo. Nel caso della Haven non sono state accertate le conseguenze sanitarie, ma sappiamo benissimo che l'esposizione allo smog e l’inquinamento atmosferico, prodotti dalla combustione dei derivati del petrolio, sono chiamati in causa nella patogenesi di cancro mortale del polmone nell’uomo. Inoltre il petrolio ha effetti dannosi sugli animali che si immergono in queste perdite delle navi petrolifere. Negli uccelli esso penetra nel piumaggio (fig. 3), riducendo la capacità di isolante termico (rendendo gli animali vulnerabili alle escursioni termiche ambientali) e rendendo le piume inadatte al nuoto e al volo, per cui gli uccelli non hanno la possibilità di procacciarsi il cibo e di fuggire dai predatori. L'istinto degli uccelli li porta a pulirsi il piumaggio con l'uso del becco, ma in questa maniera ingeriscono il petrolio, con effetti nocivi per i reni, il fegato e l'apparato digerente; questi ultimi effetti all'organismo, assieme all'incapacità di procurarsi il cibo, porta alla disidratazione e a squilibri nel metabolismo. A questi disturbi possono aggiungersi alterazioni ormonali (ad esempio rivolte all'azione dell'ormone luteinizzante). Allo stesso modo degli uccelli, i mammiferi marini che sono esposti al petrolio presentano sintomi simili a quelli che si hanno negli uccelli: in particolare la pelliccia delle lontre di mare e delle foche perde il potere di isolante termico, causando ipotermia. Le zone costiere (fig.2) inoltre generalmente sono densamente popolate infatti qui si svolgono numerose attività ricreative: vi sono strutture sviluppate per la pesca,canottaggio, immersioni subacquee, nuoto, ed altre attrazioni turistiche. L’olio di rifiuti che invade e inquina questi settori ha ripercussioni negative per l’economia locale. Il petrolio non inquina soltanto il mare ma anche l’ambiente come i motori delle auto, che bruciando benzina, emettono dai tubi di scappamento il monossido di carbonio e le polveri sospese; ma anche il fumo e i gas che escono dalle raffinerie inquinano l’aria con grave danno per l’ambiente e per la nostra salute. Per questi motivi il petrolio è un agente inquinante per l’ambiente. Una delle soluzioni più utilizzate per rimediare 6 all’inquinamento accidentale da petrolio consiste nel ricorrere a barriere galleggianti o a speciali imbarcazioni che raccolgono il petrolio effettuando una sorta di raschiatura sulla superficie del mare; le macchie di petrolio vengono ancora spruzzate con agenti emulsionanti solo nel caso in cui minaccino di raggiungere la costa. Il petrolio che si riversa sulle spiagge non subisce trattamenti: in genere si preferisce che a degradarlo provvedano i normali meccanismi di decomposizione. Nel caso in cui ad essere colpite siano località balneari si preferisce rimuovere gli strati superficiali di sabbia, piuttosto che a ricorrere a solventi ed emulsionanti i quali farebbero penetrare il petrolio più in profondità. I solventi vengono ancora utilizzati solo per ripulire impianti e attrezzature. Le pellicole oleose sono state in qualche caso irrorate con batteri capaci di degradare il petrolio. I risultati sono stati incoraggianti, anche se, per attivare i batteri e stimolarne la crescita, è necessario aggiungere alle colture nutrienti potenzialmente nocivi agli ecosistemi litoranei e per la qualità delle acque. . Fig. 2. Il disastro lungo la costa Fig. 3. Uccelli marini dopo il disastro Conclusioni Sono trascorsi diciannove anni dall’affondamento della superpetroliera Haven, il più grave inquinamento da idrocarburi mai avvenuto nel Mediterraneo. Le conseguenze di tale tragedia, se pur limitate grazie a una tempestiva ed efficiente gestione dell’emergenza, non si sono ancora del tutto esaurite. Ancora oggi, infatti, piccole quantità di idrocarburi fuoriescono saltuariamente dal relitto principale, e sono tuttora presenti, in una vasta area di fondale dai confini indefiniti, numerose deposizioni di catrame. 7 Si è reso così necessario un intervento di bonifica sul relitto principale della Haven, finanziato con i fondi del risarcimento trasferiti dal Ministero dell’Ambiente alla Regione Liguria, allo scopo di eliminare il rischio di fuoriuscita di idrocarburi e oli (combustibili e lubrificanti), causato dalla corrosione dei materiali e dal cedimento delle strutture del relitto stesso. In tale contesto Arpal è stata incaricata di effettuare il controllo e il monitoraggio ambientale durante i lavori a mare. L’intervento di bonifica sul relitto principale della Haven rappresenta un'importantissima esperienza pilota a livello mediterraneo e internazionale, in quanto si pone come modello per la messa in sicurezza di altri relitti. È la prima volta in assoluto che viene progettata la bonifica di un relitto nelle acque del Mediterraneo. Sitografia www.monopolitube.it/index.php?...petrolio-danni-e-pericoli... it.wikipedia.org/wiki/Amoco_Milford_Haven – http://www.itnrizzo.it/Didattica/Amoco%20Milford%20Haven.pdf www.scmncamogli.org/oldsite/haven2/nhaven2_nar.htm www.itis.sangiovannivaldarno.scuolaeservizi.it/.../petrolio_inquinamento.pdf http://en.wikipedia.org/wiki/MT_Haven 8