Le due donne di Alvise Cornaro Nora Sforza (FFyL-UBA) Lungo la sua estesa vita, il nobile mecenate Alvise Cornaro (Venezia, 1484 – Padova, 1566) scrisse una serie di trattati in volgare (e non più in latino) il cui obiettivo era cercar di spiegare la ricetta secondo la quale era possibile raggiungere la longevità in ottime condizioni psico-fisiche. In un’epoca di aspre discussioni riguardanti lo studio delle caratteristiche fisiologiche degli individui e dei modi possibili di conservare la salute per raggiungere la vecchiaia in piena salute, il Cornaro ci presenta lo svolto più discreto di un Rinascimento abituato, invece, all’edonismo nonché all’esaltazione dei sensi. Il presente lavoro intende dimostrare il modo in cui il Cornaro, membro “contestatario” della nobiltà veneziana, presenta nei suoi scritti quest’altro modo di condurre una vita che neghi gli eccessi ed esalti quella sobrietà che in qualche maniera preannuncia certe trasformazioni che la società veneziana porterà avanti soprattutto sin dal secolo XVII, quando deciderà di abbandonare la lagura per penetrare nel bucolico mondo dell’entroterra. Abstract El noble mecenas Alvise Cornaro (Venecia, 1484 – Padua, 1566) escribió a lo largo de su extensa vida una serie de tratados en italiano (y no ya en latín) dedicados a explicar la receta según la cual era posible llegar a la longevidad en óptimas condiciones psico-físicas. En una época de ásperas discusiones que giraban en torno al estudio de las características fisiológicas de los individuos y de los modos posibles de conservar la salud para alcanzar la vejez en plena forma, Cornaro nos presenta la arista más discreta de un Renacimiento acostumbrado, en cambio, al hedonismo y a la exhaltación de los sentidos. El presente trabajo pretende demostrar de qué manera Cornaro, miembro “contestatario” de la nobleza veneciana, presenta en sus escritos esta otra manera de conducir una vida que niegue los excesos y exalte una sobriedad que de alguna manera preanuncia ciertas transformaciones que la sociedad veneciana llevará adelante principalmente a partir del siglo XVII, cuando decidirá de abandonar la laguna para penetrar en el bucólico mundo del entroterra. Summary Alvise Cornaro (Venice, 1454- Padua, 1566) was a noble maecenas who wrote throughtout his long life a serie of treatises (not in Latin but in Italian) in order to explain the best recipe for reaching optimum longevity both in psychological and physical conditions. At a time of heated arguments as regards the study of human physiology and which were the best possible ways to lead a healthy life in order to reach old age in shape, Cornaro shows us the most prudent side of Renaissance, a period that was marked by hedonism, an age when everyone gave way to passion. 1 This work tries to prove the way Cornaro, who was a rebellious member of Venetian nobility, shows as he sees it this method to lead a life renouncing to all kind of excess in order to praise restraint and soberness. A way of living that in a way predicts the change that Venetian society was about to embrace on the XVII century by leaving the pond behind to enter in the bucolic world of the “entroterra”. 2 A mamma, Mariquita, Mammina e “Meka”, in memoriam. “Donna non vidi mai, simile a questa.” Ruggiero Leoncavallo, Domenico Oliva, Marco Praga, Giuseppe Giacosa, Luigi Illica, Giulio Ricordi e Giacomo Puccini, Manon Lescaut (1893) Da persona a personaggio “L’ordine insegna le discipline più facilmente. L’ordine rende l’esercito vittorioso, e finalmente l’ordine mantiene le Città, le Famiglie e i Regni stessi.” Alvise Cornaro, Trattato della Vita Sobria (1558) “Pure quando la libertà della cultura del Rinascimento era in pieno auge, altri sviluppi testimoniavano un forte interesse per l’ordine che si manifestava in diversi luoghi e a diversi livelli di esperienza.”1 Con queste parole, lo storico statunitense William J. Bouwsma (1923-2004) spiegava la sua particolare visione del tardorinascimento, momento in cui, secondo lui, si organizzarono le basi di una vera e propria “cultura dell’ordine”. Bouwsma affermava che in quel periodo si andò costruendo quello che egli stesso definiva come un “io” riordinato, il quale doveva realizzare degli sforzi davvero titanici per poter controllare le svariate passioni e del corpo e dello spirito che allora -come ora- trascinavano l’individuo verso gli “abissi dei sensi”. Certamente, molti sarebbero gli esempi in proposito 1 Bouwsma, William J., El otoño del Renacimiento. 1550 – 1640. Barcelona, Crítica, 2000, p. 195. 3 che potremmo ricordare in questa sede2; tuttavia, centreremo il nostro intervento in un personaggio -eventualmente “periferico” nel ricchissimo contesto della cultura rinascimentale italiana, ma allo stesso tempo “centrale” nello sviluppo della vita culturale veneta del secolo XVI- come lo è stato Alvise Cornaro (¿1482? ¿1484?3-1566), veneziano di nascita, ma padovano per propria elezione.4 Orbene, perché mai scegliere come oggetto di analisi letteraria un uomo di simili caratteristiche? Perché focalizzare la nostra indagine negli scritti di un personaggio che è ben lungi dal rappresentare un modello letterario vero e proprio? La risposta, pur destando ancora in noi certe perplessità, si cimenterebbe, innanzitutto, nel fatto di pensarlo come colui che, grazie alla sua committenza5 contribuì allo svilppo del lavoro drammaturgico ed attorale del geniale Angelo Beolco, il Ruzante (Pernumia, nei pressi di Padova, 1502? 2 Cfr., per esempio, il “Saggio IV”: “Come l'anima riversa le sue passioni su oggetti falsi quando i veri le vengono a mancare ” del Libro I dei Saggi di Michel de Montaigne (1588). 3 Le variazioni intorno alla sua data di nascita sorgono, in realtà, dagli stessi testi del Cornaro. In essi, egli modificherà più volte la sua età, sempre desideroso di far conoscere ai suoi amici e conoscenti la sua ricetta della prolongatio vitae. 4 Sebbene appartenesse ad un’antichissima famiglia del patriziato veneto, egli non riuscì mai ad essere riconosciuto veramente nobile, dato che le severe autorità veneziane, consideravano che in realtà Alvise apparteneva ad un ramo cadetto della suddetta famiglia, e che, quindi, non poteva usufruire delle prerrogative proprie della nobiltà. La “saga” della nobile, ma non tanto ricca famiglia Cornaro ci risulta alquanto interessante, non soltanto perché nella lunga storia del dogarato veneziano essa diede ben quattro dogi alla Repubblica (Marco, 1305-1368; Giovanni I, 1625-1629; Francesco, 1656 e Giovanni II, 1709-1722), ma anche per la presenza che essa sarebbe riuscita ad avere nel mondo dell’arte. Pensiamo ad esempio ai suoi rapporti con Pietro Bembo (Venezia, 1470-Roma, 1547), autore de Gli Asolani (1505), opera dedicata a Lucrezia Borgia, nella quale il Bembo immagina un dialogo nella villa di Caterina Cornaro (Venezia, 1454ivi, 1510). Questa, bisnipote del doge Marco Cornaro e già vedova di Iacopo II Lusignan, re di Cipro, dovette cedere il suo regno alla Repubblica Veneta, ragion per cui si ritirò nella sua splendida dimora di Asolo, dove seppe rinnovare gli antichi fasti della sua perduta corte nel cui giardino il Bembo avrebbe fatto rappresentare la suddetta opera. Prima di morire, Caterina diede in eredità la villa a suo fratello Giorgio e, dopo la morte di costui, ai suoi figli Marco -futuro cardinale fatto tale dal papa Alessandro VI Borgia, e a chi Ruzante avrebbe dedicato la sua Prima Oratione- e Francesco. Nel 1513, Giulio II farà Marco vescovo di Verona e, nel 1517, Leone X Medici gli assegnerà il vescovato di Padova, del cui patrimonio sarà amministratore proprio Alvise Cornaro. 5 Nella sua lettera allo Speroni del 2 aprile 1542, il Cornaro farà, ancora una volta, un suo interessante “autoelogio”, questa volta mostrando la sua veste di mecenate: “... et ho, facendo la roba, fati richi molti miei fatori, e molti miei servitori, e sempre ho con lo mio iovato alli leterati, alli musici, alli architeti, alli pitori, alli scultori, e simili.” In Alvise, Cornaro, Scritti sulla vita sobria. Elogio e lettere. Prima edizione critica a cura di Marisa Milani. Venezia, Corbo e Fiore Editori, 1983, p. 142. 4 Padova, 1542),6 e poi, nel ricordare l’utilizzo che il Cornaro seppe fare del genere epistolare, come mezzo per diffondere, fra volute incoerenze cronologiche,7 seduzioni narrative e imposizioni normative, le sue idee intorno alla da lui definita “vita sobria”. In effetti Alvise, profondo conoscitore sin dalla fanciullezza degli studia humanitatis, fu inoltre un grande studioso di igiene, agricoltura, idraulica ed architettura civile e teatrale. Questi poliedrici saperi, del resto tipici della propria natura dell’uomo rinascimentale e di un “intellettuale miscelaneo” -se ci si consente quest’anacronismo-,8 acquisiti lungo tutta la sua lunga esistenza, lo porteranno a cercar di costruire dentro di se ed intorno a sé- un mondo assolutamente ordinato, regolamentato, disciplinato, seguendo in questo senso gli ideali normativi della cultura controriformistica, mentre, suo malgrado “gli uomini per il più sono molto sensuali e incontinenti, e vorrebbono saziare tutti i loro appetiti e far sempre infiniti disordini.”9 6 Durante la sua vita universitaria, e cioè prima ancora dell’epoca della sua amicizia con Ruzante, Alvise aveva formato parte della “compagnia teatrale”, dei Zaridinieri, una delle compagnie della calza, più importanti dell’area veneta, composta da attori dilettanti, generalmente appartenenti tuttavia ai settori del patriziato. 7 “La coerenza cronologica, tante volte considerata condizione sine qua non dell’odierna autobiografia, appare appena appena nella scrittura moderna in prima persona.” Cfr. Amelang, James, S., El vuelo de Ícaro. La autobiografía popular en la Europa Moderna. Madrid, Siglo XXI, 2003, p. 112. 8 “Il moderno termine ‘intellettuale’, che indica non una qualità, ma una categoria di persone, entra in uso molto tardi, nella Francia di fine Ottocento con il Manifeste des intellectuels (dove un gruppo di scrittori si proclamava solidale a Zola a proposito dell’affaire Dreyfus). Cfr. Fumagalli Beonio Brocchieri, Mariateresa, “L’intellettuale”. In Fumagalli Beonio Brocchieri e Garin, Eugenio, L’intellettuale tra Medioevo e Rinascimento. Bari, Laterza, 1994. 9 Cornaro, Alvise, Trattato de la Vita Sobria (1558). In Di Benedetto, Arnaldo (a cura di), La Vita Sobria. Milano, TEA, 1993, p. 43. 5 Verso la compostezza della vita “E par quasi, che la morte sbigottita dal terrore di quella acuta spada de la sobrietà, che vi vede in mano, tanto più da voi s’allontani, quanto più agi ‘altri s’avvicina.” Lettera dedicatoria del Citolini ad Alvise Cornaro premessa al Diamerone di Valerio Marcellino (10 luglio 1564).10 In un’epoca di aspre discussioni filosofiche intorno alle vere caratteristiche fisiologiche degli individui e al modo in cui bisognava provvedere al mantenimento della salute e del corpo e dello spirito, Alvise presenta nel suo esteso epistolario (nonché nei suoi trattati, e perfino nelle diverse versioni del suo stesso testamento), il volto più discreto e composto di un Rinascimento abituato allora ai grandi banchetti ed alla libera esaltazione dei sensi. Certo è che la gastronomia legata all’idea della festa in senso ampio occupava una della pagine più solari con cui gli uomini del Rinascimento si dedicarono a spiegare la loro cosmovisione. In effetti, in un universo culturale retto da un’impronta fortemente edonistica, la ricercata ed abbellita descrizione di banchetti, ricette, preparazione di feste ed altri elementi in stretto rapporto ai piaceri della tavola era, in effetti, quantitativamente e qualitativamente importante. Basti pensare ad alcuni dei testi redatti in questo periodo -ben valgano qui a modo di esempio gli appunti probabilmente scritti da Leonardo da Vinci, oppure il famoso trattato del ferrarese Cristoforo da Messisbugo, già scalco presso la corte Estense, Banchetti, composizioni di vivande e apparecchio generale, pubblicato nel 1549-, i 10 Il Flaminio. Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi. N° 9 – 1996. Pubblicata dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane. 6 quali tuttora mantengono la loro attualità, consultati come sono da cuochi, medici, farmacisti, studiosi di cerimoniale ed altri adetti ai lavori. Tuttavia, quel contesto fortemente sensuale del Rinascimento, aprirà la strada -in modo particolare a partire dall’enorme strage materiale, emotiva e simbolica prodotta del Sacco di Roma, nel 1527-, ad una fase di maggiore introspezione e di perdita di buona parte di quella solarità che aveva maggiormente caratterizzato il Quattrocento ed il primo Cinquecento. A partire da allora, e grazie anche alla volontà regolatrice della politica controriformistica, gli uomini cercheranno di autoimporsi una certa disciplina o, all’incontrario, tenteranno di esaltare ancora di più il loro edonismo. Fra i primi, indubbiamente i testi cornariani rappresentano degli esempi di grande valore, non soltanto perché in essi egli seppe esaltare le svariate bontà della vita di campagna -costruendo cosí una sorta di rapporto letterario speculare con le commedie dialettali del suo nunzio, familiare e amico Angelo Beolco-, ma perché, per mezzo dei suoi scritti egli riuscì anche a creare nuove forme di sapere: infatti, i suoi trattati, redatti non più in latino ma in italiano, contribuirono ad aprire la strada alla nuova prosa scientifica in volgare, la quale, qualche decennio più tardi, sarebbe stata magistralmente e definitivamente istituita, costruita e affermata da Galileo Galilei.11 In effetti, se Alvise fu un noto latifondista che dedicò buona parte della sua lunga esistenza a costruire e mantenere le reti sociali necessarie a ridare alla 11 Ricordiamo che, per il critico romano Alberto Asor Rosa, Galileo Galilei – tra l’altro intimamente legato all’ambiente universitario padovano- con il suo Il saggiatore, scritto fra il 1620 ed il 1623 come risposta ad un’opera del gesuita Orazio Grassi, Libra astronomica ac philosofica, pubblicato dal suo autore sotto lo pseudonimo di Lotario Farsi, “conferma l’abbandono [...] della lingua tradizionale dell’esposizione scientifica e l’uso elevato e sistematico dell’italiano, o per meglio dire, del toscano. Questi assume un maggiore valore culturale se si pensa che le opere italiane di Galilei furono spesso tradotte all’estero in latino, ciò che gli consentì più facilmente una circolazione soprannazionale.” In Asor Rosa, Alberto, Historia de la literatura italiana. Vol. 2. Siglos XV, XVI y XVII (2000). Buenos Aires, Asociación Dante Alighieri de Buenos Aires, 2007, p. 367. 7 sua famiglia il perduto patrimonio e la antica nobiltà, non son meno certi i suoi interessi legati alla diffusione dei più svariati argomenti: dall’idraulica all’architettura -civile e persino teatrale12-; dalla “medicina dilettante” -per dirla con le sue stesse parole- ai consigli per raggiungere la longevità in modo salutare. Tuttavia, Cornaro sarà finalmente ricordato soprattutto per i suoi testi dediti a spiegare e a difendere la sua “ricetta”, secondo la quale era possibile raggiungere la longevità in ottime condizioni fisico-psichiche, vivendo una “vita sobria”. Malgrado questo, è pur vero che, almeno fino al XIX secolo, la sua fama si cimentò piuttosto sui suoi scritti di architettura ed idraulica13, mentre che, la riscoperta critica del Beolco, contribuì ad accrescere lo studio della sua opera, finché, una rinnovata visione dei suoi testi permise che, molti studiosi della vecchiaia (fra cui medici, farmacisti e scientisti sociali), si riunissero, a partire dal 1995, nella città di Padova, per fondare il Centro Studi “Alvise Cornaro”, il quale ogni anno premia, all’interno di un convegno di studi di gerontologia, la cosiddetta “vecchiaia di successo”.14 Addio alla Crapula; benvenuta Continenza “O misera e infelice Italia, non t’avedi che la crapula t’ammazza ogni anno tante persone che tante non ne potrebbono morire al tempo di gravissime pestilenze né di ferro o di fuoco in molti fatti d’arme?” Alvise Cornaro, Trattato de la Vita Sobria (1558) 12 In questo senso, si veda il suo progetto teatrale per il bacino di San Marco, scritto da Cornaro intorno al 1560. 13 Si ricordino, fra altri, il suo Trattato di architettura (1537 – 40?) ed il suo Trattato di acque (1566). 14 In questo senso, ricordiamo fra i premiati la senatrice Susanna Agnelli, il mezzosoprano Giulietta Simionato ed il regista cinematografico Mario Monicelli (1995), la dottoressa Rita Levi Montalcini, già Premio Nobel di Medicina (1998); il direttore d’orchestra Peter Maag (2000); la cantante Nila Pizzi (2002); l’attrice Gina Lollobrigida (2003); il medico Luc Montaigner, notevole ricercatore nel campo dell’AIDS (2005) e, infine, la direttrice cinematografica Lina Wertmüller (2006). 8 Dopo una gioventù non proprio ordinata (almeno da quanto si desume dai suoi stessi scritti), profondamente legata ai suoi anni di studente di giurisprudenza nell’ateneo padovano, e, come abbiamo già accennato, ai suoi rapporti con il dilettantismo teatrale delle compagnie delle calze, Alvise incomincerà, intorno al 1522, la sua conversione alla “vita sobria”, anche se passeranno ancora molti anni prima che egli si decidesse a darla a conoscere, prima fra i suoi amici e conoscenti e poi, pubblicamente, grazie alle edizioni imprese del suo Trattato de la vita sobria. In esso, egli spiegava le caratteristiche di ciò che andava definendo come il “suo metodo”, capace di allungare salutevolmente la vita degli uomini. Cosí, dopo aver espresso queste sue idee anche in svariate lettere, il Trattato… sarà stampato per i tipi di Gratioso Percacino, a Padova, nel 1558, mentre altri tre scritti sullo stesso argomento verranno pubblicati negli anni 1561, 1563 e 156515, essendo l’edizione integrale dell’opera quella del 1591, la quale, tuttavia, escludeva la cosiddetta Aggionta al Trattato de la Vita Sobria. Tutti questi testi avranno un notevole successo, tanto che, nei secoli XVII e XVIII saranno tradotti al francese, al tedesco, all’inglese, al russo, e perfino al latino, lingua quest’ultima che lottava ancora, come abbiamo visto e malgrado lo sviluppo e l’affermazione delle lingue volgari, per mantenere la supremazia nella redazione di testi di stampo scientifico e saggistico.16 A partire da allora, sia il suo Trattato..., dedicato dal Cornaro al predicatore francescano Cornelio Musso (Piacenza, 1511-Roma, 1574), non a caso attivo partecipante 15 L’edizione del 1565, pubblicata a Padova da Gratioso Perchacino s’intitolava Amorevole essortatione... nella quale con vere ragioni persuadendo ognuno a seguire la vita ordinata e sobria affine di pervenire alla lunga etate nella quale l’huomo può godere tutte le gratie et beni che Iddio per sua bontà a’ mortali si degnò concedere. 16 Vidi Bouwsma, William J., El otoño del Renacimiento 1550 – 1640. Barcelona, Crítica, 2000, pp. 27-28. 9 alle sedute del Concilio di Trento17, che le lettere che Alvise scriverà a vari fra i suoi amici e membri della sua famiglia, gireranno intorno a quest’argomento, ormai divenuto una vera e propria ossessione. In essi il Cornaro facendo uso di una lingua alquanto lineare, ma in un punto estremamente ripetitiva, ci si presenterà come un vero e proprio crociato. Pur essendo talvolta conscio dell’inutilità dei suoi sforzi, tuttavia insisterà più volte nel suo proposito didascalico e, utilizzando ogni tanto i consueti toni petrarcheschi, tanto amati dal gusto del suo tempo, e riportando degli esempi provenienti dall’Antichità,18 inciterà gli uomini a cambiare le loro sbagliate consuetudini alimentari, al tempo che cercherà di dare una spiegazione generale ai mali che afliggevano l’Italia dell’epoca. Cosí, per esempio, nella lettera che, datata 2 aprile 1542, egli invierà al celeberrimo letterato padovano Sperone Speroni degli Alvarotti (1500-1588), alla tristezza provocata dalla recente morte del loro comune amico Ruzante, unirà il suo desiderio di insegnare il modo di ordinare quelle sregolatezze provocate dalle passioni “Io cercho per trovare modo che gli miei amici credano che gli desordeni del corpo che fan gli huomeni, fan morire essi huomeni ioveni. Io gelo dico e essi non me lo credono e pur se non per desordeni se ne moreno e tengono me in questa infelicità, ne la quale son hora e più che mai fusse per la morte del nostro carissimo messer Ruzzante (sic).”19 17 La dedica di Alvise a Musso non è per niente innocente, in particolare se ricordiamo la forte opposizione del primo riguardo il protestantesimo in generale e Martino Lutero in particolare, cosa molto presente nei suoi testamenti (soprattutto quello del 1555, momento di grande fervore controriformistico). 18 “Oltre a ciò i sopradetti sensuali dicono che la vita ordinata è vita che non si può fare. A questo si risponde: Galeno, che fu sí gran medico, la fece e la elesse per la miglior medicina; la fece Platone, Marco Tullio, Isocrate e tanti altri grandi uomini delli tempi passati, i quali per non tediare alcuno non nominerò.” Cornaro, Alvise, Trattato de la vita sobria..., op. cit., p. 44. 19 Cornaro, Alvise, “Lettera a Sperone Speroni del 2 aprile 1542.” Pubblicata da Carpeggiani, Paolo in Cornaro, Alvise, Scritti sull’architettura. Padova, Centro Grafico Editoriale, 1980, pp. 66 – 67. 10 Sarà proprio il ricordo del commediografo deceduto, la “scusa” utilizzata da Alvise per esporre all’altro amico, le caratteristiche del suo “programma” ed i benefici dell’ordine sulla salute delle persone “[la suddetta morte] harebe amazato ancora me per lo estremo dolore se essa potesse amazare un huomo ordinato, prima che pervengi alla etade di novanta anni. Ma non ha potuto perché lo ordine ha fato me immortalle20 e ha fato che di etade de cinquanta oto anni io sia se non di trentacinque e ogni dì fa esso ordine che uno infermo con solo ordine si risana.”21 Questo schema di pensiero, questa volontà di far circolare dei precetti scritti con parole praticamente “calcate” fra uno scritto e l’altro, si ripeterà quasi ad infinitum nelle altre epistole cornariane, redatte a posteriori di questa, ed indirizzate a diversi membri della più importante cerchia di intellettuali veneti della sua epoca, molti dei quali frequentavano regolarmente l’Odeo, “fabrica honestamente bella, ma perfettamente commoda”. Questo vero e proprio locus amoenus, fatto costruire intorno al 1524 dallo stesso Cornaro d’intesa con il suo amico e familiare, l’architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, c. 1468Padova, 1535) nei pressi della sua dimora padovana fu sede di riunioni in cui si discutevano non soltanto questioni teoriche intorno ai più svariati argomenti, ma persino si mettevano in scena rappresentazioni teatrali e musicali, il più delle volte allestite dallo stesso Ruzante e la sua brigata di “buoni compagni.” Indubbiamente, la formazione umanistica di Alvise, ed il suo amore per i classici, lo portarono a concepire questo spazio -il quale oggi potremmo 20 Nell’epistola sicuramente inviata da Alvise al Cardinale Ranuccio Farnese nell’inverno del 1555, Cornaro chiarirà quest’idea la quale, in principio, provoca nel lettore una forte perplessità. In effetti, lì, il nostro autore dirà che “è necessario che lo huomo mori per ordine di Dio” idea che ripeterà più tardi, nella sus “Lettera per essere scrita a diversi duchi et mandata con il tratato della vita sobria”, probabilmente datata nel 1559. Ambedue i testi completi si trovano in Lippi, Emilio, Cornariana. Studi su Alvise Cornaro. Padova, Antenore, 1988, pp. 184 e sgg. 21 Cornaro, Alvise, Lettera a Sperone..., op. cit., p. 67. 11 ben chiamare “multifunzionale”- come una vera imitazione delle antiche ville romane, nel quale l’architettura consente di “prolungare la vita degli uomini”. “L’architettura è dunque complemento essenziale di quella ‘santa continenza’, di quella ‘sacrosanta vita sobria’ ordinata, che assicurano una lunga vita e ‘sollazzi’, non solo dello spirito, anche in tarda età.”22 Tuttavia, e malgrado questi poliedrici interessi cornariani, una delle questioni magari più curiose degli suoi scritti è proprio che, forse per rafforzare le sue idee intorno alla longevità, in nessun caso è possibile esser certi della sua vera età, la quale verrà da lui sempre cambiata, a seconda del destinatario dei suoi testi. Ciononostante, possiamo farci un’idea della circolazione capillare delle sue idee, ogni volta che ricordiamo i nomi dei suddetti destinatari, tutti appartenenti, come abbiamo detto, alla cerchia di “intellettuali” di più spicco legata allo Studio padovano. Cosí, per esempio, nella lettera a Domenico Morosini, datata il 4 maggio 1454, Alvise tornerà ancora una volta a ripetere ciò che aveva già detto allo Speroni nel ’42, centrandosi ancora di più sulla sua storia personale, presa come modello da imitare, e su una feroce critica ai medici del suo tempo, e, in modo particolare, a quelli provenienti dall’ateneo padovano “Vi notifico, signore, che in questa mia bella età de 75 anni io son sanissimo e asai prosperoso, seben la natura mi generò di debole complessione e con uno stomacheto frigidissimo e humidissimo, et perché io non dovesse vivere se non alla età deli 35 infin li 40 anni, come fu iudicato da molti medici, i quali, vedendomi infermo e pieno di diverse infirmità incurabili, cosí iudicorono causate dalla mala complesione mia e dal tristissimo stomaco, ma sopra tuto dalli infiniti 22 Bruschi, Arnaldo, “L’Odeo ‘fabrica honestamente bella, ma perfettamente commoda’, nella ‘casa’ di Alvise Cornaro.” In AA.VV., Angelo Beolco detto Ruzante. Atti del IV Convegno Internazionale…, op. cit., p. 306. Cornaro compose la prima redazione del suo Trattato d’Architettura nel 1554; la seconda e ultima è posteriore al 1556. 12 desordeni fati da me. Pur, io son vivo e sanno in questa de 75, e molto più sano che non era in quella delli 25 anni, et questo ha operato per la vita ordinata e sobria che non per morire così iovene deliberai tenere, intendendo dalli medici che altra medicina non mi poteva giovare; la quale vita non solamente me ha tenuto sano il corpo e ben purgato da tristi umori,23 ma ancora me ha giovato al cervello e tenuto in cervello, liberandolo da fumi del stomaco che lo soleno tenire fora di cervello.”24 Orbene, qual è l’”ordine” al quale fa costantemente riferimento il nostro autore? La varietà dei suoi destinatari non lascia tuttavia spazio per pensare a diverse “ricette”: le sue “donne” saranno le incaricate di portare avanti le trasformazioni da lui ambite “si può possedere uno paradiso terrestre dopo la età delli ottanta anni, [...]; ma non si può possedere se non con il mezzo della santa Continenza e della virtuosa Vita Sobria, amate molto dal grande Idio, perché sono nemiche dil senso e amiche della ragione.”25 Cosí, Alvise proporrà sempre questa sorte di triade della salute: mangiar poco, bere poco e mantenere scarsi rapporti sessuali. Come si può osservare, al Cornaro interessa soprattutto il poter trasmettere le sue idee, come parte di un programma che potremmo considerare 23 Come si può osservare, Alvise, centra parte della sua spiegazione fisiologica nella cosiddetta “teoria degli umori” o “umorale”. Questa, i cui fondamenti risalgono a Empedocle (Agrigento, c. 495/490-435/430 a.C.) ed Ippocrate (Coo, c. 460-Larissa, prima del 377 a. C.), spiega che il corpo è formato da quattro umori (liquidi) in equilibrio fra di essi: il sangue, la flemma, la bile gialla e la bile nera, chiamata anche malinconia. Ogni umore è dotato dalle sue proprie caratteristiche e qualità, e si corrispondono alle stazioni della terra, all’età dell’uomo, allo spazio, ai segni dello zodiaco. La proporzione in cui gli umori sono combinati diferisce da un uomo all’altro, e costituisce la sua propria complexio o temperamentum. La prevalenza di uno di questi umori sugli altri determina certi caratteri o “temperamenti”: quello bilioso , quello flemmatico, quello sanguineo e, infine, quello malinconico. In rapporto ai problemi provocati da una dieta inefficace, è interessante ricordare in questa sede la classifica della follia, fatta da Teofrasto Bombasto von Hohenheim (Paracelso) (1495-1541), chi definiva i pazzi “vesani” come coloro la cui malattia derivava da un’alimentazione sbagliata e dalla scelta di bevande pure esse sbagliate. Riguardo alla questione della proporzione e caratteristiche degli umori nel corpo umano, vide Lewis, Clive Staples, La imagen del mundo. Introducción a la literatura medieval y renacentista (1964). Madrid, Península, 1997, pp. 133 – 136. 24 Cornaro, Alvise, “Lettera a Domenico Morosini del 4 maggio 1554.” In Lippi, Emilio, Cornariana... Op. Cit., p. 180. 25 “Lettera scritta dal Magnifico M[esser] Alvise Cornaro al Reverendiss[imo] Barbaro, Patriarca eletto di Aquileia.” In Cornaro, Alvise, La vita sobria. A cura di Arnaldo Di Benedetto. Milano, TEA, 1993, p. 82. 13 “etico-alimentare”, basato principalmente sulla sua propria esperienza, in cui le teorie scientifiche accettate “ufficialmente” dalle comunità accademiche, valgono poco o niente. Si osservi, inoltre, l’uso dell’”io” narrante,26 utilizzato dal nostro autore in tutti i suoi scritti, come mezzo per convincere tutti i destinatari dei suoi scritti -quelli veri, ai quali egli indirizzava la sua corrispondenza, e quelli possibili, i quali magari sarebbero venuti a sapere dei suoi propositi in un secondo tempo- riguardo i suoi obiettivi. Cosí, parafrasando ciò che Michel de Montaigne avrebbe detto soltanto alcuni pochi decenni più tardi all’inizio dei suoi Saggi, anche Cornaro è, proprio lui l’argomento stesso dei suoi scritti27 “È da sapere, reverendissimo signore, che più cala la forza e il calore al suo stomaco e più si infrigidisse, ma pur per lo caldo della estate e per la forza del sole è più sustentato il calore a tal stomaco, siché po degerire lo suo ordinario cibo; ma perché lo fredo del verno fa contrario effeto, tal stomaco non po degerire quella stesa quantità, et la parte indigesta si converte in tristi humori e tiene tal vechio indisposto, e alla fine lo amala [...] me consigliai con li medici, i quali concluseno che tanta parte de cibo che semase, che tanta prosperità e forza semerei al corpo mio, perché la indespositione mia procedea dal multiplicare delli anni e non dal tropo cibo; [...]. E per non parere più medico di loro e per compiacere alli miei e alli amici, lo cresei, unde fra pochi dì io me amalai, e di infirmità sì grande come era stato grande il desordine, [...]. Pur, medicandomi da me, a modo mio, naturalmente, e non al suo, me risanai; e ritornando la està, cresei il cibo allo ordinario, et lo verno seguente volsi ancora a semarlo e da loro fui sconsigliato, unde me amalai ancora, [...]. E per non amalarmi questo terzo [invierno], lo ho semato, [...].”]28 Alvise farà sempre manifesta la sua mordace ed ironica critica contro la scientificità e contro il principio di autorità utilizzato dai medici per imporre i loro metodi terapeutici 26 Riguardo la questione dell’autobiografia e dell’estesa tipologia di testi scritti in prima persona durante l’Età Moderna, vidi Amelang, James. S., El vuelo de Ícaro. La autobiografia popular en la Europa Moderna. Madrid, Siglo XXI Editores, 2003 27 “Cosí, io stesso sono l’argomento del mio libro.” Montaigne, Michel de, “Lettera dell’Autore al Lettore del 12 giugno 1589.” In Saggi completi I. Buenos Aires, Orbis, 1984, 1984, p. 3. 28 Cornaro, Alvise, “Lettera ad ecclesiastico.” En Lippi, Emilio, Cornariana... Op. Cit., p. 185. 14 “essi non san consigliare in vita ordinata e sobria et è ben raggionevole che non sapiano, perché la sua sientia è fondata tuta sopra la desordinata e crapula, che la ordinata non ha bisogno né de medici né di medicine, ma solamente de ordeni naturali.”29 e insisterà nel suo elogio alla vecchiaia e alla possibilità certa degli uomini di morire senza male, grazie ad un ordine che è pure, in ultima analisi, frutto della ragione, tale e quale lo scrisse allora ad un eclessiastico, la cui identità resta per noi -almeno finora- ignota “... et alora l’huomo muore per resolutione, senza male. E questo avenirà a me, ma prima che questo a me avenga, è necessario che io di anno in anno, a poco a poco, vadi perdendo deli miei sentimenti, sicome l’humori perderano della sua virtù. E perduti queli, per non poter caminare, mi metterò alo leto e finirò in quelo, senza noglia né despiacere, sendo fine hordinario e naturale, e non sforciato e violente come è quello dela morte non naturale ananti tempo; et sicome quello è dispiacevole, teribile e orendo, cossì questo mio sarà piacevole e quieto e desiderabile, [...]. E ragionevolissima cossa, e naturale e necessaria, è il morire, perché, quando la madre natura me produse, io, per nasere, promesi de morire, e mancando con dolermi del pato, mancherei dela promessa, et cossí ala ragione.”30 Come si può osservare nei brani trascritti supra, il nostro autore presenta la possibilità di raggiungere una cura naturale dei mali del corpo, dovuti questi agli eccessi nell’alimentazione, mentre, allo stesso tempo, egli nega che, per acquisire e conservare una tale salute, occorra l’intervento di un medico. Per lui, allora, “la santa continenza” e “la divina ragione” sono i due elementi che devono aiutare gli uomini ad avvicinarsi all’ordine ed alla sobrietà. In questo senso, un’altra sua lettera, questa volta indirizzata a Daniele Barbaro (Venezia, 1514-ivi, 1570), storico ufficiale della Serenissima, trattatista, mecenate 29 30 Ibídem, p. 185. Cornaro, Alvise, “Lettera ad ecclesiastico.” En Lippi, Emilio, Cornariana... Op. Cit., pp. 208 – 209. 15 e patriarca electo31 di Aquileia, ci avvicina ad una definizione globale del pensiero di Alvise “... si può possedere uno paradiso terrestre dopo la età delli ottanta anni, il quale possedo io; ma non si può possedere se non con il messo della santa Continenza e della virtuosa Vita Sobria, amate molto dal grande Idio, perché son nemiche dil senso e amiche della ragione. [...] Ma l’uomo non volo lasciare il senso né il gusto né l’appetito, là onde more avanti tempo.”32 IV. “Mi único propósito en la publicación de todos mis libros ha sido siempre hacer algo útil con mi trabajo. Y caso de no conseguirlo, por lo menos no dañar a nadie. Tenemos ejemplos de grandes hombres que abusaron de su saber para servir a sus pasiones.” Erasmo di Rotterdam, Risposta a Martín Dorp (1515) Abbiamo già visto alcune fra le tante e tanto estese lettere che il Cornaro scrisse a partire dal 1542. Ma, quale fu la vera ricezione delle sue idee di ordine e sobrietà fra i destinatari delle sue epistole? Fino a che punto possiamo credere o meno ad Alvise ogni volta che si lagna della mancanza di attenzione dei suoi amici, ostinati a mantenersi nella vita disordinata e nella crapula? In questo senso, impossibile non ricordare la risposta ad una lettera perduta di Alvise, scritta con squisito e fine umore e sottilissima ironia da Sperone Speroni, venti anni dopo di quella in cui Cornaro aveva espresso il suo dolore di fronte alla, allora, recente morte di Ruzante. In effetti, il celebre autore del Dialogo delle lingue, redasse a Roma il 22 febbraio 1562 -no a caso in epoca di Carnevale, e quando lo Speroni aveva ormai superato i sessant’anni di età e si vantava di aver vissuto di maniera 31 Vale a dire successore dell’allora patriarca di Aquileia. Cornaro, Alvise, “Lettera scritta dal Magnifico M[esser] Alvise Cornaro al Reverendiss[imo] Barbaro, Patriarca eletto di Aquileia.” In La vita sobria, op. cit., pp. 82 - 89. 32 16 assolutamente contraria a quella promossa dall’amico-, una specie di epistola “contro” la sobrietà, in chiara risposta alle insistenti ragioni di Alvise “La vita sobria non si può dir sana, perché la sanità è uno accidente [...]. Dunque se nella vita sobria non può essere infermità, non può essere sanità.”33 In questa amichevole contesa, non mancheranno gli esempi tratti dalla mitologia, i quali sono cui capovolti dall’incisiva vena speroniana “dovete sapere che quando Giove, Nettuno e Plutone si partirno il mondo a Giove toccò il cielo, et per conseguente la vita humana perciò che l’anima nostra vien dal cielo, et a Nettuno toccò il mare, et a Pluton l’inferno; di queste parte se dolsero Nettuno e Plutone. Nettuno perché il mar non si navigava onde veniva a essere dio di pesci, et non d’altro. Plutone perché si viveva all’hora nove cento, et mille anni onder era gran solitudine nell’inferno. Giove si contentò che li homini impazzissero et cominciassero a morir non pur in terra ma in mare, et questa fu la satisfatione di Nettuno; volse anco che la nostra vita si abreviasse, et non potendo ciò fare durando la vita sobria deliberò di fulminare non Esculapio, ma sotto il nome di Esculapio la vita sobria, et cosí la estinse; onde subito l’inferno divene più populato della terra et furno poco spatio più li morti che li vivi. Dunque se V. M. resuscitasse la vita sobria tornerebbono al mondo le brighe che già vi furno con pericolo di desolation del mondo, et di ridurlo un’altra volta in quel chaos dal quale Dio ne guardi; et mi ricordo haver letto che li homeni, parlo de’ savii, si dolsero a Giove di questo danno fatto alla humana generatione dell’haversi cosí abreviata la vita con uccider la sobrietà, et volevano pur tornar a viver almen loro, se non il vulgo, quelle tante centinaia d’anni che si viveva al tempo di Matusalem, et Giove disse loro che la sententia fatta non si poteva mutare...”34 È interessante osservare come, anche se Speroni indubbiamente dubita dei consigli di Alvise e critica umoristicamente l’ossessione di costui, in ultima analisi, pure lui centra il suo discorso, nella questione di un ordine che ben potremo chiamare “rovesciato” 33 Speroni degli Alvarotti, Sperone, “Lettera a Alvise Cornaro del 22 febbraio 1562.” In Lippi, Emilio, Cornariana..., op. cit., pp. 34 e sgg. 34 “Littera de M. Speron Speroni al S.r Alvise Corner”. In Cornaro, Alvise, Scritti sulla vita sobria. Elogio e lettere..., op. cit., p. 205. 17 “Che se la vita sobria comanda che si mangi tanto e non più né manco, e di tai cose ed a tal ora, e non più tardi o più per tempo, non bisogna dunque mai digiunare, né mai far cosa che possa interrompere questo ordine: né studiare, né camminare, né combattere per la patria; perché, ciò facendo, s’interrompe l’ordine de’ cibi e qualità di essi, e il tempo del mangiare.”35 Tuttavia, e magari a mo’ di scusa per quello che aveva affermato nella lettera del ‘62, Speroni scriverà un’altra epistola al Nostro -della quale però non si conserva la data-, presentando, anche questa volta con grande sottigliezza, le ben meritate lodi alla vita sobria “Dissi male in una lettera della sobrietà [...]. Io era cieco nell’intelletto, non conoscendo quanto io peccassi in scriver lettera cosí cattiva: ed ora, non senza grazia di Dio, credo esser mosso a disdirmi [...] non solamente veggio il mio errore, ma veggio chiaro tutte le laudi di questa rara virtù: e se cosí bene le saprò scrivere, come io le miro e distinguo tra me, spero di operare in lei non men di gloria scrivendo, che voi facciate esercitandola”36 per lasciare definitivamente in chiaro, il trionfo dell’ideale personale ed universale di Alvise, almeno nella lettera... “Il non sobrio noce a sé ed a’ suoi più cari ed a’ popoli ed a’ regni [...]. La sobrietà [...] ci farà sani, divoti, utili a casa nostra e a tutti i prossimi della città, diligenti ne’ nostri ufficci.”37 V. A modo di conclusione In un momento in cui si cercava incesantemente l’ordine dell’universo e quello del microcosmo umano, come forme di creare nuove norme disciplinari dopo lo scoppio della Riforma religiosa, è interessante osservare la modernità dell’argomento trattato da Cornaro 35 Ibidem, p. 36. Speroni degli Alvarotti, Sperone, “Lettera a Alvise Cornaro” (senza data). In Lippi, Emilio, Cornariana..., op. cit., p. 37. 37 Ibidem, p. 44. 36 18 e del genere epistolare da lui utilizzato con l’oggetto di diffondere capillarmente le informazioni che desiderava presentare ai suoi interlocutori diretti e indiretti. Malgrado la sua -a delle volte- pedante insistenza e ad una certa dose di egocentrismo, il fatto è che, Alvise, per mezzo di un linguaggio chiaro e preciso, caratteristico di molti dei testi che alcuni decenni più tardi avrebbero inaugurato la moderna prosa scientifica italiana, riuscì a (ri)sistemare un programma di medicina naturale, anticipandosi cosí a tanti trattati di medicina della prima Modernità, al tempo che si sforzava ostinatamente di avviare le passioni -proprie e altrui-, tale come cercava di farlo, in un contesto più generale, il programma culturale del tardorinascimento. Bibliografia Fonti Cornaro, Alvise, Agregado al Tratado de la vida sobria. In Burucúa, José Emilio e Ciordia, Martín José (a cura di), El Renacimiento italiano. Una nueva incursión en sus fuentes e ideas. Traduzione e commenti di Nora Hebe Sforza. Buenos Aires, Asociación Dante Alighieri, 2003. -------------------, Scritti sulla vita sobria. 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