MIGUEL SUAREZ, L’UOMO PIU’ FELICE DEL MONDO Non aveva conosciuto sua madre, perché ella perdeva la propria vita per dare la vita a lui, Miguel, missionario in Giappone, nelle Filippine e in Asia e in molti altri luoghi del mondo intero, anche attraverso i presbiteri formati nel Seminario “Redemptoris Mater” di Takamatsu (Giappone), del quale Dio lo aveva chiamato ad essere rettore. Ma, oggi lo sappiamo con certezza, proprio il suo essere stato su questa terra orfano della madre nella carne lo ha profeticamente consegnato, sin dalla nascita, nelle mani della sua madre spirituale, la Chiesa. Nelle sue viscere di misericordia, infatti, Miguel ha conosciuto il volto di Dio, della cui tenerezza e dolcezza materna, unite alla virile fedeltà paterna, è stato instancabile e gioioso testimone. E proprio la Chiesa, concretamente la sua comunità costituita di volti e storie di persone conosciute e amate sino in fondo, e con le quali ha condiviso il suo cammino di fede durante il pellegrinaggio terreno, e i fratelli con i quali ha condiviso la missione, e i tantissimi fratelli nel mondo, anche nella gerarchia, ha accompagnato oggi Miguel all’incontro tanto desiderato con Cristo. Sulla soglia della vita terrena aveva perduto sua madre terrena, sulla soglia della vita celeste lo ha preso per mano Maria sua Madre celeste, Madre e immagine della Chiesa, nella quale ha gustato sino in fondo la dolcezza, la bellezza, la grandezza e la gioia dell’amore di Dio giunto a lui attraverso la Chiesa. In questi due momenti è racchiusa la vita di Miguel, ed è per tutti noi una buona notizia, un Vangelo vivente capace di destarci dall’oscurità del peccato, dal sonno pericoloso dei rimpianti, dall’opacità ingannevole della frustrazione che genera la tristezza di vivere di cui troppo spesso facciamo esperienza. Due momenti che sono immagine e profezia del cammino a cui siamo chiamati, doloroso come un parto nel suo inizio terreno, infinitamente ed eternamente felice nel suo esito celeste. L’amore geloso di Dio per ciascuno ha di certo preparato anche per noi un taglio che, attraverso le vicende della storia personale, ci separa dalla carne nella quale siamo stati concepiti, dal cordone ombelicale che ci ha gestati nel peccato. E’ il battesimo, ricevuto inconsapevolmente da infanti come un seme di vita eterna, ma che, come Miguel, abbiamo la possibilità di vedere crescere, maturare e compiersi nella novità di vita alla quale la Chiesa ci conduce attraverso l’Iniziazione Cristiana. Tutti portiamo un dolore acuto in fondo al cuore, la Croce con la quale fummo segnati prima di essere battezzati. Per Miguel fu la scomparsa della madre di cui non ha mai conosciuto il volto, per ciascuno di noi sono altre ferite, accanto alle quali si è appostato il demonio per insinuarci la menzogna primordiale alla quale abbiamo creduto sedotti dalla logica stringente del sofisma diabolico: come può amarti un Dio che ti toglie tua madre al tuo nascere? Come può amarti un Dio che ha permesso questo e quello nella tua vita? Nasciamo tutti così, segnati dalle stigmate della Croce, profezia di salvezza offerta alla nostra libertà. Ma, come Adamo ed Eva, lucidamente e consapevolmente, l’abbiamo pervertita al punto di vivere la libertà come occasione di ribellione al Dio che il demonio ci ha presentato, quel mostro rivestito dalla menzogna delle ingiuste sofferenze che ci avrebbe inferto. E ci siamo ritrovati orfani, come Miguel al suo nascere, come ogni uomo nel quale si incarna il figlio prodigo della parabola, spinto dal demonio ad autorealizzarsi separandosi dal Padre, per fuggire e annegare nei falsi piaceri e idoli del mondo l’insoddisfazione crescente ad ogni desiderio inappagato. Ma questo ha significato morte, perché alla superbia madre di ogni peccato segue immancabilmente la solitudine del fallimento. Sulla soglia del fallimento era giunto anche Miguel, vocazione gesuita e missionaria, quando, giovane prete ordinato in Giappone, si trovava in Spagna per ottenere un dottorato in Teologia; dopo aver cercato inutilmente la Chiesa nella comunità di amore che aveva intuito nello studio, al limite di una crisi vocazionale, lo ha raggiunto l’amore geloso di Dio attraverso la predicazione di Kiko e Carmen ascoltata nella parrocchia madrilena della “Virgen de la Paloma”. L’annuncio del Kerygma di quei due giovani innamorati di Cristo gli ripeteva dentro che era tutto vero, che esiste Dio, ed è amore di Padre e di Madre, quella madre che non aveva conosciuto e che gli appariva viva e reale, bellissima e dolcissima, piena di tenerezza e misericordia accanto a verità e giustizia, nella comunità dove con i fratelli muoveva i primi passi nella comunione che tanto aveva sperato di vedere realizzata. E si sa, l’incontro con un grande amore capace di cambiare cuore e vita non può restare nascosto, esplode; come per chi fu guarito da Gesù, e poi per Matteo e gli apostoli, per Paolo e San Francesco Saverio, anche per Miguel l’annuncio del Vangelo e l’esperienza della comunità cristiana corpo vivo di Cristo vittorioso sulla morte fu un’esplosione che lo catapultò di nuovo in Giappone per farvi risuonare lo stesso annuncio e aprire la stessa esperienza salvatrice delle comunità neocatecumenali. Fu così che iniziò il Cammino in Giappone, dalla ferita con cui il Signore segnò la nascita di Miguel, per lenirla e guarirla poi con il balsamo del Vangelo e l’amore della Madre Chiesa. Il fuoco innescato dall’incontro con Cristo ha fatto il resto, plasmando, conducendo e portando a compimento una vita spesa per il Vangelo, e quindi per ogni uomo apparso sul suo cammino, sino all’ultimo respiro reso nel sorriso e nella pace della fede incorruttibile nella risurrezione, l’annuncio più bello e più vero, perché incarnato nella testimonianza di una malattia e una morte vissute santamente. Che Grazia aver avuto, durante il tempo del seminario un rettore, e poi un padre che, tra innumerevoli parole e gesti, lascia in eredità, proprio alla fine della sua vita terrena, l’unico bene che in essa davvero valga e serva, la testimonianza a cui appoggiarsi per credere, vivere e annunciare Cristo risorto perché fede, speranza e carità non sono solo parole edificanti, ideali utopici, ma doni di Dio che si possono accogliere e sperimentare nella Chiesa. Doni perché gratuiti, fonti perenni della felicità a cui ogni uomo aspira e per la quale si affatica, lotta, vive. Miguel li ha ricevuti gratuitamente e gratuitamente li ha dati, a tutti noi. Abbiamo ancora nel cuore, e conserveremo per tutta la vita, la sua voce dolce e per questo colma della semplice e lucida autorità del testimone, consegnarci omelie mai scontate, allegre e spesso condite con il sano umorismo cristiano che guarda alla vita con il giusto distacco avendola ben ancorata in Cielo. Un po’ come il Padre Brown di Chesterton - come non assomigliargli, essendo stato un gesuita formato alla scuola genuina della prima ora, quella di Ignazio di Loyola e di San Francesco Saverio - un po’ come San Francesco di Sales, il vescovo santo famoso per la sua ferma dolcezza, con il suo temperamento “caliente” e tosto tipico di un andaluso di Granada, levigato però nella calma da lunghi anni di trincea missionaria, in ogni circostanza della sua lunga vita Miguel ha lasciato trasparire dal suo sguardo e dalle sue parole l’ “allegria di essere cristiano”, come ha voluto titolare il libro nel quale ha raccontato la sua esperienza. Perché il cristianesimo o è gioia o non è. Può diventare forse una caricatura clericale e moralista, o un vuoto lassismo buonista, qualcosa cioè che non muove di un centimetro la vita e che non c’entra nulla con Gesù Cristo. E invece Miguel è stato un dono di gioia per tutti noi, specialmente nei momenti difficili dei seminaristi e dei preti, come dei mariti e delle mogli, dei padri e delle madri, degli anziani, dei giovani e anche dei bambini che Dio ha provvidenzialmente affidato alle sue cure. La sua gioia semplice, unita a parole e gesti severi perché attinti alla fonte del Vangelo e del Magistero, ha saputo relativizzare le crisi nelle quali spesso ci infiliamo ammalandoci di ostinata autoreferenzialità; quante volte con una battuta, un aneddoto, o una catechesi dotta, anche quella, ci ha tirato fuori dalle sabbie mobili delle nevrosi rimettendo al centro della nostra vita Cristo che il demonio, con astuzia, aveva nascosto per far posto al nostro ego malato. Quante volte ci ha corretti e consolati, aiutati a rialzarci e sospinti a camminare con salutari calci spirituali nel fondoschiena rammollito nell’egoismo. Quante volte l’annuncio del Vangelo incarnato semplicemente e senza nascondere nulla nella sua esperienza quotidiana ha ridimensionato problemi apparentemente inestricabili, indicando nell’umile e fiducioso abbandono a Maria e a Cristo la via di uscita per incamminarsi senza timore nella vita nuova della volontà di Dio. Senza di lui, apostolo saggio della pazienza ancorata alla fede, dubito che la maggior parte dei seminaristi sarebbero diventati preti; che molte famiglie in missione avrebbero resistito ai marosi delle tempeste spesso violentissime abbattutesi su di esse; che tanti fratelli sperduti nei dubbi e nelle angosce avrebbero incontrato il Signore e la sua misericordia rigeneratrice. Dubito anche che - senza la sua saggezza capace, nonostante un disordine e una sbadataggine proverbiali, di coniugare nel più elementare pragmatismo le tante intuizioni spirituali - i fratelli con i quali ha evangelizzato e quelli con i quali condiviso la formazione dei futuri presbiteri, avrebbero potuto tenere sempre diritta la barra del timone del governo. Pazienza sorella dell’obbedienza che Miguel, seguendo le orme del suo “Re”, per la cui “bandiera” da fedele soldato della Compagnia di Gesù è stato eletto a combattere la buona battaglia della fede, ha imparato dalle cose che ha sofferto. Tante, tantissime, tra le quali alcune si conosceranno solo in Cielo, avendo aperto qui sulla terra solo un pochino la tenda del suo intimo, dove gelosamente ha custodito e meditato con Cristo i suoi dolori più grandi. Essi furono la chiusura del Seminario “Redemptoris Mater” di Takamatsu e il conseguente esilio del trasferimento a Roma, seminario di cui ha visto la gestazione, la nascita e i primi quaranta presbiteri ordinati, e le difficoltà incontrate dal Cammino Neocatecumenale, in diverse circostanze incompreso e per questo ostacolato. Le sofferenze di un apostolo bruciato dallo zelo per il Vangelo, che come San Paolo e tanti Santi, come anche San Francesco Saverio in queste stesse terre, ha sperimentato e patito. Le sofferenze per vedere sottratta a tante persone incatenate al peccato e alla morte per non conoscere Cristo, la possibilità di ascoltare l’unico annuncio capace di salvare la vita e incontrare così la Chiesa, la madre che aveva salvato lui. Sofferenze trasfigurate però in Miguel nel Mistero Pasquale di Cristo, di cui, per una Grazia che sigilla nei dettagli la santità autentica, è divenuto partecipe compiutamente nell’omonimo tempo liturgico nel quale la Chiesa lo celebra. “E’ asceso il Buon Pastore alla destra del Padre”, recita l’Inno delle lodi della Festa dell’Ascensione, e proprio oggi che la Chiesa la celebra solennemente, la Provvidenza ha voluto che si celebrassero i funerali di Miguel. “Pastore nel Pastore”, dopo aver “combattuto la buona battaglia e aver conservato la fede” come ha detto Il Vescovo Mons. Hirayama nell’omelia, è entrato con Cristo nel Cielo a ricevere la parte preparata al servo fedele. Come hanno scritto Kiko, Mario e Ascensiòn ai fratelli del Giappone in occasione del transito di Miguel, Carmen ha spesso sottolineato la bellezza e il mistero grande dell’Ascensione, che tutti vivremo nel momento della nostra morte, quando ci stupiremo dell’immensità dell’amore di Dio: “allegria, dunque, perché anche in noi si realizzerà lo stesso mistero” che si è compiuto in lui. Miguel infatti, ha speso la propria vita perché tanti potessero vivere la sua stessa esperienza nel Cammino Neocatecumenale, dove si celebra ciò che si vive e si vive ciò che si celebra. Nelle piccole comunità volute dalla Vergine Maria, Madre di Gesù, della Chiesa e di Miguel, la Parola di Dio è celebrata in una liturgia dove essa illumina la vita e, come accadde alla Vergine Maria a Nazaret il giorno dell’Annunciazione, nel momento stesso in cui è annunciata, se accolta, inizia a compiersi. La Nazaret di Miguel e di tantissimi altri nel mondo è l’Iniziazione Cristiana vissuta nel Cammino Neocatecumenale nella quale i fratelli, a poco a poco, senza fretta, immersi nella pazienza misericordiosa e feconda del seno della Chiesa, vedono compiersi la Parola ad essi annunciata e, attraverso i sacramenti, realizzarsi in loro il Mistero di Pasqua di Cristo. Nascono così i frutti di una fede che giunge alla statura adulta, l’amore e l’unità nei fratelli della comunità, segno autentico e credibile offerto ad ogni uomo. Miguel ha speso la sua vita sino all’ultimo respiro perché questa Iniziazione Cristiana con i suoi frutti potesse irradiarsi in Giappone e giungesse a chi in esso vive, la maggior parte come orfani perché non conoscono né il Padre né il Figlio Gesù che solo può rivelarlo. Miguel ha vissuto consegnato alla Buona Notizia del Vangelo e al Mistero Pasquale; del tutto naturale che, come accadde a Santa Teresa di Lisieux da lui molto amata, quando sul cuscino scoprì i segni inequivocabili della tubercolosi che le annunciavano la morte vicina e seppe vedere, rallegrandosene, in quel sangue la presenza dello Sposo che la chiamava a sé, anche Miguel, all’apprendere la notizia di avere un cancro terminale, potesse discernere la visita del Signore che lo invitava al banchetto celeste. Ed è stata subito gioia, contagiosa. Era quaresima, e quella notizia giungeva proprio mentre la Chiesa si prepara alla Pasqua: come dunque non prepararsi al giorno tanto desiderato? E sì, perché la Chiesa insegna che si muore come si vive, per questo si può essere felici di morire, e lo può essere davvero solo chi felice lo è stato tutta la vita. Smentendo così il serpente antico, il menzognero che vorrebbe far passare l’idea di un cristianesimo triste, macerato, grigio e piovoso come ad esempio il romanzo, il film e la fiction “Il Nome della Rosa” descrivono il medioevo, epoca nella quale la fede si è fatta storia visibile e bella come nella Chiesa di ogni generazione, come oggi nelle comunità neocatecumenali, anche in Giappone. Il cristianesimo che Miguel ci ha testimoniato è la gioia piena di Cristo, l’unica e autentica gioia che nessuno può togliere dal cuore dell’uomo, perché è il frutto della vittoria del Signore sul peccato e sulla morte. Avendola sperimentata tutta la vita, avendola annunciata instancabilmente ad ogni uomo, Miguel ne ha saputo riconoscere e gustare la fragranza tra le tinte fosche che l’annuncio di un cancro terminale normalmente reca con sé. Dove il mondo orfano non vede che morte, il Figlio di Dio e della Chiesa Miguel ha visto la Vita che non muore. La sua eredità si può trovare e accogliere qui, sul crinale decisivo dell’esistenza, per tutti. La morte chiude inesorabilmente la vita in una tomba o è l’inizio di una vita nuova? Solo chi nella Chiesa sperimenta le primizie di quest’ultima può cominciare a gustare sin dalla vita terrena qualcosa della gioia della vita celeste, credere alla vita eterna e rispondere così al quesito fondamentale che pone la vita. E vivere di conseguenza come San Paolo, nella consapevolezza piena di attesa che morire è certamente migliore, perché significa andare con Cristo. Come ha vissuto Miguel, che con questa gioia ha abbracciato e contagiato persino il medico che lo aveva in cura, testimone credibile dell’autenticità della sua fede. E’ lui che lo ha descritto come “l’uomo più felice della terra”, proprio perché lo aveva conosciuto così, prete con una gioia travolgente, sia prima della malattia finale che durante, sino alla morte. Felice anche perché il medico non ha lo ha mai visto solo, lui prete e celibe, ma circondato e amato da una famiglia speciale e numerosissima, i suoi fratelli in Cristo, allegri anche loro mentre lo accompagnavano alle nozze con il Signore. Quanti di loro sono venuti in pellegrinaggio alla sua casa, al suo capezzale, in segno di gratitudine e amore, tornando a casa felici, con una pace e un’allegria nel cuore che nulla ha a che vedere con la tristezza tipica delle situazioni nelle quali si respira aria di morte. Anche questo ha visto stupito il dottor Koga, il medico di Miguel. E non poteva capacitarsi di come, pur nella serietà dei momenti, persino nel trapasso e immediatamente dopo, accanto a Miguel si respirasse invece felicità. Non è questo il compimento della missione del Signore in questa generazione, in Giappone, in una citta chiamata Fukuoka, nella casa di un prete di Cristo, luogo dove si è riunito con la sua comunità cristiana sino all’ultimo respiro? Non è così che si compie la sua promessa di essere con noi sino alla fine del mondo, vivo nella sua Chiesa che abbraccia e stringe nell’allegria della Pasqua ogni uomo, sino ai confini della terra? E’ questa eccome la missione della Chiesa, “ad gentes”, che significa consegnata alle genti che non conoscono Cristo; consegnata con Lui per donare Lui a tutti. Per questo a Miguel, “samurai cristiano” secondo un’altra definizione di lui data dal medico in virtù della fedeltà a Cristo che lo caratterizzava, il dottor Koga confidava le pene e gli errori, mentre da lui ha ascoltava mille volte l’annuncio che Cristo è risorto, e che solo in Lui si può vivere felici. Da oggi, pur nel dolore e nel vuoto della mancanza, questo medico ha detto di voler vivere spendendosi per i malati, spinto dalla gioia di Miguel, la traiettoria umana con la quale la fantasia di Dio ha voluto sedurre questo giapponese non cristiano, per condurlo a vivere in Lui, pur non diventandolo. “Eri un testone, questo sì, ma eri felice, e amavi le persone, volevi stare con loro, e mi hai insegnato ad andare a loro, senza riserve. E io voglio vivere amandole gratuitamente come te attraverso il mio lavoro”, ha scritto più o meno il dottor Koga. Eccola l’eredità di Miguel viva e incorruttibile in un pagano. Misteri divini dell’amore del Padre, che Miguel, dal Cielo, ci invita oggi ad accogliere anche senza comprendere. Per questo, e per mille altri motivi che si nascondono in ogni istante della sua vita, sono certo che, se potesse parlare, con il consueto umorismo nel quale incartava come un regalo le verità più profonde, Miguel ci dice oggi “buona felicità a tutti”; mi sembra di vederlo guardarci da lassù, e sorridendoci con quel sorriso inconfondibile, lo sento dirci chiaramente, senza paura di spaventarci, “buona morte a tutti”, per strapparci di dosso con la sua allegria la paura di morire per consegnarci la certezza della resurrezione. Ma tutto questo lo ha scritto Miguel stesso nella sua “Esclamazione nell’ora della mia morte”: “Padre Nostro che stai alla finestra del cielo aspettandomi come aspettasti il figlio prodigo. Io so che nel momento che mi vedrai arrivare ti commuoverai di allegria, e gettandoti al mio collo mi bacerai, mi vestirai con il miglior vestito, mi metterei l’anello al dito, mi calzerai sandali nuovi, preparerai per me un grande banchetto, al quale verranno tutti gli angeli santi. Con un Padre come te “dà gusto” (è piacevole) morire. In più, con uno sposo come Gesù che è morto per me sulla croce, che è risorto, che è andato a prepararmi un posto perché io stia con lui eternamente. Ancora di più, con un Paraclito come lo Spirito Santo che mi difenderà dal nemico nel momento della morte! No, non c’è niente da temere. Infine, con una madre come Maria che mi ama molto più che la mia madre naturale, che anela di vedermi da quando sono nato e lei se n’è andata, è meraviglioso morire. È vero che io sono un egoista integrale, che pecco tanto, e che merito l’inferno. Però tutti voi, o siete la misericordia stessa, o siete pieni della misericordia che tracima dal cuore di Dio. Per questo confido tranquillo e allegro di incontrarmi con Lui e abbracciare voi per i secoli dei secoli”. A.I.