IL FORO AMMINISTRATIVO 1978 Anno LIV - Fase. 1-2 (E.,raaeo) .,t..' - /' GIAMPIERO DI PLINIO LIBERTÀ NEGATIVA, POTERE SUI MEZZI E INTERVENTO DELLA REPUBBLICA NEL SISTEMA COSTITUZIONALE DELLA DIVULGAZIONE DEL PENSIERO .:1-~- MILANO - DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE f ~,: . - LIBERTÀ NEGATIVA, POTERE SUI MEZZI E INTERVENTO DELLA REPUBBLICA NEL SISTEMA COSTITUZIONALE DELLA DIVULGAZIONE DEL PENSIERO SOMMARIO: l. Premesse introduttive. - 2. Evoluzione dei diritti di libertà. - 3. Le due sfere della libertà di manifestazione del pensiero. - 4. Libertà economiche, diritto di divulgazione e mezzi di manifestazione del pensiero. - 5. Problematica dell'azionabilità diretta della sfera esteriore della libertà di manifestazione del ·pensiero. - 6. Legge e giustizia costituzionale nella programmazione della divulgazione del pensiero. - 7. Problematiche del settore radiotelevisivo. - 8. Tendenze monopolistiche delle emittenti private e problemi costituzionali della loro nazionalizzazione. - 9. « Pubblico » e « privato » nel settore radiotelevisivo: funzionalizzazione delle emittenti locali e ruolo della regione. l. Premesse introduttive. - La sent. n. 202 del 28 luglio 1976, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della riserva statuale dell'attività di diffusione radiotelevisiva su scala locale, legittimando l'ingresso del capitalismo privato nel settore, ha sollevato reazioni e commenti sul piano politico e giuridico (1). (l) Su un piano non strettamente giuridico, reazioni, talora fortemente critiche,-sono state espresse da: G. BRANCA, Rai-tv:· monopolio instabile, in Il Messaggero 8 settembre 1976; BARILE, Perchè di fondo il monopolio, in La Stampa 22 ottobre 1976; VALENZA, Libertà e potere nello scontro sull'informazione, in Rinascita 1976 n. 39; RoMANÒ, Monopolio tv e vita dei partiti, ivi 1976 n. 46; VENTURA, Nella foresta delle antenne, in L'Unità 5 ottobre 1976; Io., Chi difonde le tv pseudo-estere, ivi 7 ottobre 1976. Le opinioni favorevoli alla sentenza, stranamente, non sono generalmente state espresse dopo, ma prima della pubblicazione della stessa, spesso in modo radicale e violento. In realtà, le polemiche contro il monopolio risalgono a parecchi anni addietro. La Corte costituzionale fu sempre il punto di emersione giuridico-istituzionale di queste reali tensioni politiche ed economiche. Una documentata ricostruzione può leggersi in ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, Milano 1977, in p art. 32 ss., 101 ss.; cfr. anche CHELI, Verso un nuovo assetto generale del nostro sistema di informazione, in Problemi dell'informazione 1976, n. 4, 531 ss. Una « cronologia ragionata » degli avvenimenti rilevanti nel settore si trova in SILIATO, L'antenna dei padroni, Milano 1977, 26 ss. (ivi bibl.). La teoria della «libertà di antenna » esprime una lotta tra frazioni della borghesia (SILIATO, L'antenna dei padroni, ci t., 14 ss.). Non a caso la sinistra si è sempre attestata su caute posizioni di difesa del monopolio, spingendo. nel contempo per un allargamento della partecipazione, e tendendo a smascherare le reali intenzioni della campagna per la libertà d'antenna. Cfr. ad es. LOMBARDI, Monopolio dell'antenna, autonomia del messaggio, in/l Ponte 1972, n. 1-2; CIPRIANI, Il polverone sulla Rai-tv, in Rinascita 1972, n. 4; NATOLI, Una tv all'americana nei piani dei monopoli, in L'Unità 23 gennaio 1972; Io., La truffa della tv privata, ivi 30 gennaio 1972: Io.,Accordo privato dei monopoli per combattere /a.tv pubblica, ivi 27 febbraio 1972. I giuristi più sensibili avevano intravisto da tempo i pericoli dei giochi di potere in questo campo, e avevano iniziato ad avanzare, seguendo la linea tracciata dalla sentenza 13 luglio 1960 n. 59 della Corte costituzionale (in Giur. cast. 1960, 759; per la bibl. sulla sentenza cfr. ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, cit., 43 , nota 65), l'ipotesi di un monopolio pubblico corretto dall'introduzione del droit à l'antenne (che non si traduce «libertà di antenna »ma« diritto di accesso » al mezzo radiotelevisivo ), come condizione di democraticità e costituzionalità del servizio pubblico. Cfr. CRISAFULLI, Problematica della libertà di informazione, in Il Politico 1964, 285 ss., in p art. 297; AMATO e BARaERA, « Tribuna politica» e<< Tribuna elettorale» davanti ci giudici, in Giur. merito 1969, III, 189 ss.; BARILE, Riflessioni di un giurista su« Tribuna politica», in Il diritto delle radiodiffusioni e telecomunicazioni 1970, 143 ss.; CARETTI-ZACCARIA, Diritto di accesso e legittimità costituzionale del monopolio radiotelevisivo alla luce del discorso sulla riforma Rai-tv, in Foro it. 1970, I, 2615 ss.; PIERANOREI, Radiotelevisione e Costituzione, in Scritti ]emolo, Il, 585 ss. Nel 1965 la Corte costituzionale affrontava nuovamente il problema del monopolio, sotto il profilo della legittimità della concessione a privati (la RAI) di attività riservate ex art. 43 cost. allo Stato (sent. 61uglio 1965 n. 58, in Giur. cost. 1965, 724 ss., con nota critica di CHIOLA, La concessione di imprese« riservate» dall'art. 43 cost., ivi 726 ss.). · Alla fine del 1971 (poco prima della scadenza della convenzione tra Governo e RAI) si apre formalmente la NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 321 È necessario sottolineare le profonde contraddizioni di ogni radicalizzazione in un campo talmente delicato, che si interseca con il sistema economico e i diritti fondamentali, coinvolge i rapporti tra i supremi organi costituzionali e l'integrità stessa delle istituzioni. D'altra pàrte le impennate velleitarie ed emotive sono inadeguate nei confronti della complessità del fenomeno sociale in cui la sentenza della Corte costituzionale è inter-venuta, i suoi collegamenti con un reale bisogno delle classi subalteme di un'informazione democratica e di una gestione plurttlistica delle comunicazioni di massa. Unà tesi, sottolineando, più o meno trionfalmente, la (presunta) equiparazione tra libertà di manifestazione del pensiero e libertà (economica) dei privati di installare e gestire impianti di diffusione, ed esaltando il momento della (ri)appropriazione privata del mezzo radiotelevisivo, esprime una filosofia individualistica e « libertaria », che si rivela, di fatto, fondata, gestita, controllata dalle forze più o meno occulte della borghesia mul- « campagna » per la libertà di antenna, con una serie di ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale delle norme del codice postale che riservavano allo Stato l'attività nel campo delle telecomunicazioni (le ordinanze sono citate in Giur. cost. 1974, 1775). La decisione della Corte si farà attendere tre anni (sentenze 10 luglio 1974 n. 225 e 226, in Giur. cost. 1974, 1775 ss.). A partire dal1972 si« scatenano »i teorici borghesi della libertà di antenna: SCALFARI, E ora, libertà d'antenna, ìnL'Epresso 23 gennaio 1972; lo., Libera antenna in libero Stato, ivi 13 febbraio 1972; SANTINI,Abolire la Rai-tv, in L'Europeo 9 marzo 1972; non mancavano « coperture a sinistra » da parte di una confusa cultura della « controinformazione •: cfr. L'antenna di Stato (corsivo), in// Manifesto 21 gennaio 1972; L P., Un uso di massa della radio e della televisione, ivi 28 gennaio 1972; e, soprattutto, BALDELLI, Informazione e controinformazione, Milano 1972; FAENZA, Senza chiedere permesso, Milano 1973. Voci critiche nei confronti del monopolio e della sua gestione (arrogante) venivano peraltro anche da settori « diffidenti » verso la !ematica della liberalizza:d<me, di cui vedevano i pericolosi legami con le multinazionali dell'informazione: CESAREO, Anatomia del potere televisivo, Milano 1970; Tv e libertà in Italia: una riforma urgente, Atti Conv. Club Turati (Milano 1969), Milano 1970; s.a. (ma J. JACOBELLI), Per la riforma della Rai, in Cultura e politica 1970, n. 17-18. I giuristi non furono latitanti nel dibattito: cfr. Libertà di espressione e organizzazione radiotelevisiva, Atti Conv. ISLE, Milano 1971 (in part. gli interventi di CHELI, BARILE, FOIS, MOTZO, CARETTI-ZACCARIA); CmOLA, L'informazione nella Costituzione, Padova 1973, 70 ss.; LOIODICE, Contributo allo studio della libertà di informazione, Napoli 1971. Non· è inutile ricordare che le prime elaborazioni teoriche, pur se ancorate allo specifico del loro mestiere, vennero proprio dai giuristi: Esrosuo, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano 1958, 23 ss., in part. 30; Fms, Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radiotelevisivo, in Giur. cost. 1960, 1127 ss. Le nascenti regioni, dal canto loro, trovarono spazio per reclamare la loro partecipazione determinante in vista della futura riforma: cfr. Le Regioni di fronte alla riforma Rai-tv (rassegna di progetti di riforma elaborati dalle regioni, a c. di P. Barile}, in Le Regioni 1973, 1136 ss.; LmomcE, Regioni e radiotelevisione, in Studi Chiarelli, 1131 ss.; Regioni e riforma Rai-tv (ed. a c. della regione Lombardia), Milano 1974; Per una riforma democratica della radiotelevisione, Atti èonv. regione Emilia-Romagna (aprile 1973 ), Bologna·1973; cfr. anche TosATO, Radiodiffusione e Regioni, in// diritto delle radiodiffusioni e telecomunicazioni 1975, l ss.; Russo, Il diritto all'informazione nell'ordinamento regionale, in Poi. dir. 1977, in part. 145 ss. Le se n t. n. 225 e 226 del 1974 Corte cost. (citate) aprirono uno spiraglio per la nuova ondata di attacchi al servizio pubblico nazionale e alla RAI e imposero l'intervento (caotico e contraddittorio) del Governo (d.l. 22 gennaio 1975 n. 3 e d.l. 18 marzo 1975 n. 51) e del Parlamento (1. 14 aprile 1975 n. 103). Sulle sentenze e le vicende legislative cfr. ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, cit., 73 ss., 76 ss. (ivi bibliogr.). Sugli attacchi alla legge di riforma (e le difese della stessa) cfr. RoNCHEY, Quella cosa chiamata riforma, in Corr. della sera 9 dicembre 197 5; CoMPASSO, Lottizzazione selvaggia, in /l Giornale nuovo 11 novembre 197 5; ZACCARIA, Il «boom» delle radio private etc., ivi 21 dicembre 1975; SANDULLI (A. M.), L'incredibile lottizzazione della Rai-tv: come volevasi dimostrare, in/l Tempo 2 giugno 1975; Room, Riforma Rai-tv, una buona legge che attende i fatti, in L'Unità 15 aprile 1975; s.a.,Rai-tv: la D.C. blocca la riforma dell'ente, in L'Avanti 22 novembre 1975; PAISSAN, Un P.S.I. con l'antenna al collo, in Il Manifesto 4 dicembre 197 5; GALLUZZI, La brutta pagina della· Rai-tv, in L'Unità 4 dicembre 1975. Il periodo successivo è quello della« proliferazione » di un certo numero di emittenti illegali e dell'intervento di una composita giurisprudenza di merito, che in alcuni casi emise sentenze di condanna (es. Pret. Pescara 20 novembre 1975), in altri sentenze assolutorie (Pret. Avezzano, 31 ottobre 1975; Pret .. Cosenza 16 febbraio 1976; Pret. Busto Arsizio 23 febbraio 1976; Pret. Fano 3 marzo 1976; tutte pubblicate in Il diritto delle radiodiffusioni e telecomunicazioni 1976,40 ss.), ma nella maggior parte dei casi sollevò, con una variegata e talvolta sconvolgente 21. Foro amm.inistrativo - l'arte I (1978). 322 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 tinazionale (2). L'aspe~to più: appariscente dell'attuale sistema delle televisioni locali è la pretesa di essere « alternativo » e fondato sul pluralismo dei messaggi (riduttivamente inteso come « pluralità » delle fonti), i quali vanno dalla diffusione esplicita del qualunquismo, della sfiducia nelle istituzioni e del discredito sulle stesse, alla mole enorme di pubblicità, la quale soltanto. consente un introito sicuro alle emittenti « libere » (3). Il tutto, travestito da « controinformazione rivoluzionaria » o semplicemente ammantato dal doppiopetto dello pseudo-perbenismo, è generalmente diretto alla esasperazione delle tensioni sociali, specie nel mondo giovanile, e alla introduzione di logiche divisioniste e antidemocratiche, proprio quando il terreno dell'unità e della democrazia è la scelta strategica della lotta politica ed economica del movimento popolare (4). gamma di argomentazioni, la questione di costituzionalità del monopolio radiotelevisivo (Trib. Reggio Emilia 18 novembre 1975; Pret. Ragusa 10 luglio 1975 e molte altre, tutte pubblicate in Il diritto delle radiodiffusioni e telecomunicazioni 197 6, 56 ss. Un esame critico di tali ordinanze di rinvio è contenuto in SANTORO, Impianti locali e monopolio radiotelevisivo, in Il diritto delle radiodiffusioni etc. 197 6, 21 ss.; cfr. anche BASSANINI, Riserva allo Stato del servizio radiotelevisivo e impianti «locali», ivi, 9 ss.). L'atmosfera di « nuova frontiera » che si andava sempre più surriscaldando culminò, malgrado il contrario e motivato auspicio di AMATO (Monopolio e pluralismo: un dilemma çhe doveva proporsi, in Il diritto delle radiodiffusioni etc. 1976, 6 ss.) nella sent. 28 luglio 1976 n. 202, che legalizzava le emittenti locali, che da« p irate » divennero «libere». Sulla se nt. n. 202 cfr. ZACCARIA, Radio televisione e Costituzione, ci t., l 01 ss.; CmOLA, Il pluralismo spontaneo per la radiotelevisione locale, in Giur. cost. 1976, 1418 ss.; D'ONOFRIO, Groviglio nell'etere: la Corte« apre» ai privati locali, ivi, 1424 ss.; Fms, La natura dell'attività radiotelevisiva alla luce della giurisprudenza costituzionale, iv i 1977, 429 ss.; GABRIELE, Riserva allo Stato a livello nazionale e privatizzazione condizionata a livello locale in materia di diffusione radio fonica e televisiva via etere: una coesistenza (costituzionalmente) compatibile?, ivi, 1489 ss.; CAPOTOSTI, Monopolio radio televisivo ed emittenti private locali, in Giur. it. 1977, I, l, 11 ss.; CARETTI, Monopolio pubblico e radio-tv« libere »dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 202 del1976, in Il diritto delle radiodiffusioni e telecomunicazioni 1976, 248 ss.; D'ONOFRIO, La« sentenza-legge »sulle emittenti locali: il difficile equilibrio tra libertà e potere, iv i, 262 ss.; ZAcCARIA, La Corte cambia strada: il monopolio radiotelevisjvo è legittimo solo a metà, ivi, 288 ss. In sede politica le reazioni sono state in un p timo momento fortemente critiche (cfr. le citazioni all'inizio di questa nota), ma subito dopo l'attenzione si è spostata sul« dopo-sentenza ».I più tenaci sostenitori della liberalizzazione si sono improvvisamente «calmati »,e hanno incominciato a parlare di compartecipazione, di tv« all'inglese »,di abbinamenti giornali-emittenti locali (cfr. ad es.: Antenne libere o televisioni corsare?, in La Repubblica 25 settembre 1976 ;. Le televisioni libere, in L'Espresso 197 6, n. 2 9; nonchè gli articoli di CARACCIOLO, in L'Espresso 1976 n. 41, e GIOVANNINI, in La Stampa 22 settembre 1976; in senso critico cfr. CESAREO, Col pretesto della tv all'inglese, in L'Unità 30 ottobre 197 6 ). Contemporaneamente, negli ambienti di sinistra, si è aperto un dibattito sui mass-media, provocato da FoRCELLA con interventi su La Repubblica del 7 e 22 settembrel976 e dalla risposta di CESAREO, Quale televisione, in L'Unità 15 settembre 1976. Il culmine del processo di trasformazione dell'assetto del settore sta per essere raggiunto con l'elaborazione finale delle trasmissioni via satellite. Le prospettive tecnologiche e le implicazioni umane del fenomeno non sono prive di un alone di inquietudine, per i risvolti tecnocratici e la possibilità del profilarsi di una strana dittatura, « iperpluralista », del sistema dell'informazione. Sul punto cfr. in vario senso: DE FALCO, Antenna 4i un metro e « vedremo » gli USA, in Il Giorno 30 dicembre 1976; CIPRIANI, « Grande villaggio» o grande gulag?, in Rinascita 1977, n. 43; SILlAro, L'antenna dei padroni, cit., in part. 194 ss. (ivi bibl. ). (2) « La storia ci ha dimostrato troppe volte che quello del Far West, in cui tutti sono liberi ed eguali nell() spartirsi le immeòse praterie, è solo il primo tempo di una vicenda i cui protagonisti verranno più tardi cambiando » (AMATO, Monopolio e pluralismo etc., cit., 3). In argomento cfr. S!LIATO, L'antenna dei padroni, ci t., 13 ss., 128 ss. In termini più generali cfr. MAITELART, Multinazionali e comunicazioni di massa, Roma 1977. (3) Si tratta di un dato ormai generalmente riconosciuto. Cfr. ad es. AMATO, op.loc. cit.; <'-ARETI1, Monopolio pubblico e radio-tv libere etc., cit., 257; CARCANO, Il peso e il ruolo della pubblicità, in Problemi dell'informazione 1976, 107 ss. Sul nodo delle concentrazioni multinazionali cfr.: SrnATO, L'antenna dei padroni, cit., 152 ss.; MATTEL.UT, Multinazionali e comunicazioni di massa, cit., 405 ss.; COMITO, Multinazionali ed esportazioni del capitale, Roma 1976, 380 ss. Sull'origine della pubblicità come funzione della sfera pubblica del capitalismo sviluppato e sulle manipolazioni dell'opinione pubblica cfr. HABERMAS,Storia e critica dell'opinione pubblica, Bari 1974,in part. 226 ss., 251 ss. (4) Sul ruolo che le radio « ultralibere »hanno avuto nei sanguinosi fatti del marzo 1977 di Roma e Bologna cfr. Eco, Con qualche radio in più, in Corriere della sera 31 marzo 1977; FORCELLA, Le radio della guerriglia, in La Repubblica 26 marzo 1977; FRANCEScm, Soffiare sul fuoco, in La discussione 21 marzo 1977; BARBATO, Cosa .:r.,. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 323 In termini giuridici, il pericolo reale, il fenomeno negativo -non risiede nella diffusione di questo tipo di idee: sarebbe incostituzionale impedire la divulgazione di qualsiasi concezione della vita, anche se basata sul qualunquismo o al limite sulla teorizzazione del ricorso alla violenza ·come metodo di lotta politica (5). Il nodo del problema, che si pone in termini concreti principalmente per le diffusioni televisive, sta nella qùestione della democrazia sostanziale nell'uso dei mezzi tecnici ed economici di divulgazione. In breve, e schematizzando, se non pùò negarsi il diritto del capitalismo di divulgare le proprie idee, anche se finalizzate alla difesa dei propri interessi di classe, lo stesso, eguale diritto concreto deve essere attribuito alle formazioni sociali espresse dalle classi subalteme, in particolare le varie categorie del lavoro subordinato (6). In questa luce, il pericolo è quello che. il vessillo pluralistico delle emittenti libere si trasformi in monopolio privato dell'informazione televisiva, attraverso il suo assorbimento nella sfera di potere di una sola categoria sociale, espressa dalla rete di interessi dei gruppi monopolistici del capitalismo (7). La situazione attuale, legittimata dalla citata sentenza della Corte costituzionale, si avvia rapidamente verso forme degenerative rispetto al modello costituzionale, verso sistemi di pseudo-pluralismo in cui la partecipazione, l'informazione alternativa, non sono che maschere, coperture «a sinistra »;di un disegno di integrazione multinazionale dell'informazione, di controllo monopolistico globale dei sistemi di comunicazione di massa. Questi processi, creando un insormontabile ostacolo alla partecipazione dei lavoratori alla gestione del mezzo radiotelevisivo, aprono la strada alla diffusione di un costume individualistico, tipico della società americana, ma estraneo e contrario ai principi rispondoadEco, in La Stampa 26 marzo 1977; Io., Va in onda la rivoluzione, in La Repubblica 30 marzo 1977; lo., Le radio della guerriglia, in La Stampa 31 marzo 1977; BIAGI, Le« molato v »non sono uno stato d'animo, in Corriere della sera 31 marzo 1977. (5) BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, Milano 1975, 11: «Non è vero che, intesa la libertà come funzionale, essa per natura non possa rivolgersi contro la pace o i principi dell'ordinamento: le sole limitazioni che essa incontrerà saranno quelle relative ad azioni concrete di sovversione dell'ordinamento ... ».In questo senso cfr. le considerazioni di BARBATO e BIAGI, negli articoli citati nella nota precedente. ( 6) Cosi espressa, la tesi suona come una istanza politica, utopica e ingenua, derivante da un generico ideale di giustizia, che MANNHEIM potrebbe collocare nell'ambito del « Chiliasmo orgiastico degli Anabattisti » o nella « quarta forma della mentalità utopica: l'utopia socialista e comunista » (K. MANNHEIM, Ideologia e utopia, Bologna 1974, 230 ss.). Ma« le cose in realtà si muovono e cambiano anche perchè esistono i miti, le idee nuove, e la fantasia gioca un ruolo effettivo nei processi di trasformazione » (B. CAVALLO, Lezioni di diritto pubblico dell'economia, 2, La disciplina costituzionale dei rapporti economici, Pescara 1977, 14). Nei paragrafi successivi vorrei dare un contributo alla dimostrazione che il « mito » della democrazia sostanziale nella disponibilità dei mezzi necessari per divulgare il pensiero, è la forma più avanzata possibile della« libertà dei moderni »,in cui la democrazia si collega con l'emancipazione (CERI!.ONI, La libertà dei moderni, Bari 1968, 202), superando illiberalismo senza· annientailo (SAIITORI, Democrazia e definizioni, Bologna 1969, 247 ss.; CAVALLO, Lezioni di diritto pubblico dell'econOmia, l, Parte generale, Pescara 1977, 22); la realizzazione del mito ha bisogno di un re ferente politico (l'unità delle grandi aggregazioni dei lavoratori nel rifiuto dell'alternativa« capitalismo con la democrazia o socialismo senza democrazia » (CERI!.ONI, Esiste una scienza giuridica marxista?, in Il marxismo e lo Stato, Quad. di« Mondoperaio »n. 8, 46 ss.; INGRAO, Democrazia borghese o stalinismo? No, democrazia di massa, i vi, 153 ss.) e di un re ferente giuridico (il testo costituzionale, interpretato alla luce dei« principi basilari di uno Stato che vuole essere sociale secondo le direttive contenute nel comma 2, art. 3, cost. »: CAVALLO, Lezioni di diritto pubblico dell'economia, 2, La disciplina costituzionale etc., ci t., 9; PALADIN, Eguaglianza (dir. cast.), in Enc. dir., vol. XIV, 545 ss.; MAzziOTTI M., Il diritto a/lavoro, Milano 1056, 87 ss.; SPAGNUOLO VIOORITA V., L'iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli 1959, 81 ss.; BAsso, Giustizia e potere, in Qualegiustizia 1971, 654 ss.; LAVAGNA, Costituzione e socialismo, Bologna 1977, 54; RoMAGNOLI, Commento all'art. 3 secondo comma, in Commentario cast. a c. di Branca, Principi fondamentali (art. 1-2), Bologna-Roma 1975, 178 ss.). (7) AMATO, Monopolio e pluralismo, cit., l, 3; BASSANINI, Riserva allo Stato etc., cit., 18. Non si deve peraltro dimenticate che il servizio pubblico radiotelevisivo stava faticosamente cercando di usCire dalle maglie di un'altro, non meno pericoloso, anche se più manifesto, monopolio, quello della borghesia di Stato, della « razza padrona », che in seguito ai noti processi di crisi strutturale e politica, si è venuta costituendo come frazione àutonoma e ribelle rispetto al potere economico privato. Cfr. SILIATO, L'antenna dei padroni, ci t., 14 ss.; MuTTI-SEGATTI, La borghesia di Stato, Milano 1977, 119 ss., 153 ss. 324 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 di socialità e solidarietà che sono i cardini del modello sociale « prefigurato » dalla costituzione italiana. I recenti attacchi, spesso avanzati in forme larvate, al servizio pubblico radiotelevisivo su scala nazionale (8), il ruolo delle televisioni « pseudo-estere », la crisi della stampa e i ricambi ai vertici di grandi testate, il ristagno della legge di riforma del settore radiotelevisivo, le resistenze al decentramento e altri nodi evidenziano come la sentenza della Corte costituzionale che ha liberalizzato le emittenti locali non sja che un frammento di un mosaico ben più ampio, i cui artefici sono le oligarchie monopolistiche internazionali, che, all'ombra di maschere variamente colorate, nascondono un disegno di organizzazione multinazionale del consenso e preparano, nel contempo, la realizzazione di un enorme « business » nei settori dell'informazione (9). All'estremo opposto rispetto alla teoria della libertà d'antenna si situano coloro che postulano un « ritorno » al regime di monopolio totale attraverso un intervento pubblico meccanico e indiscriminato: vi è qui il fondato pericolo di una involuzione, cioè del ripristino del sistema di centralizzazione dell'informazione nelle mani della « razza padrona», della (vecchia o nuova) borghesia di stato. La restaurazione dell'ancien régime radiotelevisivo, « il monopolio che si limitasse a- ribadire se stesso » soltanto attraverso l'eliminazione delle emittenti private « non sarebbe sentito come il difensore del pluralismo di fronte all'arroganza del potere privato, ma farebbe la parte del sopraffattore di regime » (10). L'inopportunità di un ritorno al passato è dimostnlta dal carattere che ha assunto la nascita (e la proliferazione) delle emittenti libere (specie le radio) in Italia. Pure se innescato e alimentato dai precisi interessi di ristrutturazione capitalista cui s'è fatto cenno, il fenomeno è stato così rapido e violento in quanto esiste una reale domanda di partecipazione, un reale bisogno di comunicare e diffondere le idee delle masse giovanili e delle altre fasce subalterne della società, le quali non si sono mai riconosciute nella « televi(8) Una posizione particolare è quella di Fms, La natura dell'attività radiotelevisiva etc., cit., 444 ss. L'autore si pone il problema di come interpretare l'affermazione della Corte costituzionale (nella citata sent. n. 202 dell976), secondo la quale « la radiodiffusione sonora e televisiva su scala nazionale rappresenta un servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale ». Secondo Fois il monopolio si giustifica non percbè abbia ad oggetto un servizio pubblico, ma in quanto l'attività riservata allo Stato sia esercitata come servizio pubblico, cioè « sia esercitata (o fatta esercitare) sotto il potere di direzione e controllo pubblico» (op.cit., 446). Ma, aggiunge l'autore, vi è anche un'altra possibile spiegazione (aggiuntiva e non alternativa alla precedente), cui si giunge distinguendo la gestione tecnica degli impianti dall'attività di diffusione dei programmi. Solo la prima sarebbe attratta dalla sfera logica dell'affermazione della Corte costituzionale, e per essa varrebbe un nesso di inscindibilità tra la configurazione come servizio pubblico e la riserva statual.e (op. cit., 44 7)._Per la seconda attività questo nesso non esisterebbe. In sostanza, secondo Fms, nell'ambito della riserva del settore radiotelevisivo nazionale, l'attività di gestione tecnica dovrebbe essere configurata come servizio pubblico (cioè esercitata sotto la pubblica direzione) mentre l'attività di programmazione potrebbe (o dovrebbe) essere lasciata interamente (o parzialmente) ai privati. Qui FoiS riprende una sua vecchia distinzione (Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radiotelevisivo, cit., 1157 ss.). Sul discorso, indubbiamente stimolante, torneremo, anche se in termini più generali (in fra, prg. 4 ). In questa sede sembra peraltro opportuno chiedersi dove (voglia o) possa arrivare il discorsg di Fms. Chi sono i «privati» di cui l'autore parla? Stiamo attenti, perchè se questi sono, in fondo, gli stessi che muovono realmente le fila delle grosse concentrazioni multinazionali dell'informazione (cfr. paragrafo successivo) la tesi di Fois, apparentemente progressiva, è un prodromo del definitivo attacco al servizio pubblico radiotelevisivo. Un'altra domanda: perchè Fms (ma anche molti altri commentatori della sent. n. 202 del 1976) si pone il problema di« come interpretare »la motivazione della sentenza della Corte costituzionale, come se si trattasse (ci riferiamo alla parte motiva) di una legge in senso tecnico? (in argomento cfr. in fra par. 6). (9) Cfr. SILIATO, L'antenna dei padroni, cit., in part. 19_8 ss. Al centro del sistema mondiale dell'informazione .vi sono i grandi gruppi finanziari U.S,A. (Rockefeller, Morgan) che attraverso lefoundations, controllano i« gruppi di comunicazione alternativa», attraverso le « trilateral », partecipano al controllo di Riz;~:oli (con il gruppo Rotschild) e Caracciolo-Mondadori (con il gruppo Agnelli); infine, attraverso le corporations (ATI, IBM, ITI, RCA, ABS etc.) controllano le comunicazioni globali via satellite. Su tutto SIUATO, op. cit., 159 ss. (10) AMATO, Monopolio e pluralismo, cit., l. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 325 sione di Stato», che, dall'U.R.I. alla R.AJ., è pur sempre stata «l'antenna dei padroni» (11). Al di là dell'evidente interesse politico della J}lateria, il presente studio trae origine soprattutto dal fatto che ogni ideologia del sistema dell'informazione si avvale del medesimo concetto giuridico, la libertà di manifestazione del pensiero, diversamente interpretandola per adeguarla alle esigenze e ai risultati che vuole conseguire.. Chi scrive ha pertanto sentito uno stim(')lo a contribuire alla ricerca di una definizione, « esatta » dal punto di vista costituzionale, della libertà di manifestazione del pensiero, per comprenderne le intersezioni con l'economia, i rapporti con le istituzioni e lo Stato, le implicazioni in ordine alla soluzione del « nodo » dell'informazione radiotelevisiva. 2. Evoluzione dei diritti di libertà.- La forma giuridica del concetto di libertà.non può essere certamente considerata separatamente dalle forme politiche del regime statuale, nè dalle stl'Utture economiche e sociali (12). Peraltro, se il primo dei due collegamenti sembra generalmente condiviso, il secondo è stato considerato scarsamente rilevante dalle dottrine giuridiche, le quali, anche quando sono disposte ad accettare l'idea di un nesso dialettico tra diritto ed economia, non vogliono, o non possono, trame le dovute conseguenze sul piano giuridico, forse a causa (l l) Cfr.la risposta di P. GRASSI a un articolo di GREGORETTI (quest'ultimo su Panorama 22 marzo 1977). La partecipazione, le trasmissioni in diretta, secondo il Presidente della RAI, non debbono significare cbe « la televisione consista nell'essere soltanto un tramite, un canale, una passerella critica. La televisione deve continuare a produrre in modo ragionatamente autonomo ... attraverso le strutture che si è data o si sta per dare (P. GRASSI, Non voglio una Tv strabica, in La Repubblica 27 marzo f977). Una interpretazione « faziosa »potrebbe scorgere in queste frasi, specie nei corsivi (miei) echi ovattati di (non lontani) ricordi tecnocratici, posizioni di difesa di un ruolo egemone dell'apparato, in grado di assorbire la logica della lottizzazione, ma non quella della democrazia reale. Ma sarebbe, ripeto, una interpretazione faziosa. (12) L'assunto sembra discendere direttamente dalla storicità del concetto di libertà. La parola, o la tradùzione che l'interprete (storico o giurista) fa della parola, può essere sempre la stessa, ma i contenuti che gli uomini di ciascun periodo storico le attribuiscono, non possono che essere determinati dall'interpretazione umana di quel periodo, dalla divisione del lavoro sociale. Ad es. nella polis non si pone il problema della giuridicità della libertà, tratto essenziale della libertà moderna (CERRONI, La libertà dei moderni, cit., 9). Nellapolis la libertà è un fatto, perchè la simbiosi,tra i cittadini è talmente stretta che l'azione di ognuno corrisponde direttamente ai bisogni del corpo sociale. L'individuo, nel mondo antico, appartiene alla sua comunità come una formica al suo formicaio, come l'ape all'alveare (CERRONI, op. cit., 75). Nel mondo moderno la rivoluzione industriale e commerciale getta le basi di una economia in espansione, per una nuova divisione del lavoro rispetto al feudalesimo. Non è che nel mondo feudale mancasse la libertà: essa era « concreta » e differente per ogni ceto, era privilegio, cui corrispondeva il dominio esclusivo del potere privato; la libertà politica derivava la sua giuridicità dal contratto e non dalla legge (DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, Bari 1925, l ss.). Il sistema era coerente con le ridotte e autarchiche forme produttive del periodo. Lo sviluppo del capitalismo impose l'astrazione della libertà, cioè l'abolizione dei privilegi dei due« Stati »superiori, la dissoluzione « dei variopinti lacci feudali che stringevano l'uomo ai suoi .naturali superiori » (MARx-ENGELS, Il Manifesto del partito comunista, Milano 1896, 16). La borghesia (il terzo stato), pur coperta da privilegi feudali di vario tipo, è la forza che propugna l'abolizione di ogni privilegio (giuridico).« L'involucro che la proteggeva le riesce d'inrpaccio » (DE RUGGIERO, op. ·cit., 7). Nasce cosi dalle esigenze dell'economia, la libertà giuridica, come negazione di ogni vincolo alla libertà dell'industria, del commercio, del contratto. Nasce come libertà« da »qualcosa (il vincolo feudale) per affermare la libertà« di • agire nell'economia (SARTORI, Democrazia e definizioni, cit., 183), per affermare il proprio diritto di classe nel nuovo Stato di diritto (in argom. cfr. CAVALLO, Lezioni di diritto pubblico dell'economia, l, Parte generale, cit., 5 s.; ampiamente GALGANO, Storia del diritto commerciale, Bologna 1976, 29 ss.; 55 ss.; 69 ss.; 95 ss.). Il diverso atteggiarsi del concetto di libertà, nel periodo del capitalismo, in relazione ai differenti stadi di sviluppo della società moderna è colto e ampiamente analizzato da BALDASSARRE, Le ideologie costituzionali dei diritti di libertà, in Dem. dir. 1976, 265 ss. Sul divenire dei diritti fondamentali nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale cfr. inoltre le penetranti osservazioni di HABERMAS, Storia e critica dell'opinione pubblica, cit., 264 ss.; cfr. anche CALAMANDREI, L'avvenire dei diritti di libertà, Introduzione a RuFFINI, Diritti di libertà, Firenze 1975; CAVALLO, Lezioni, 2, La disciplina costituzionale, cit., 7 ss. 326 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 del retaggio di una « scienza giuridica » consolidatasi sulla separazione liberistica tra società civile e società politica ( 13). La nascita delle teorie dei « diritti pubblici subbiettivi » e la configurazione « negativa » dei diritti di libertà si spiegano con quella separazione, cui corrisponde la dicotomia libertà civili-libertà politiche (14). Le diverse valutazioni della teoria della libertà negativa sono sempre rimaste nell'ambito della scissione tra « politico » e « civile » (15); di recente, la critica giuridica dei diritti di libertà è divenuta ~egazione della loro esistenza (16). Attraverso una teorizzazione apparentemente innovativa (che in realtà è un ritorno alla protostoria dei diritti in questione) (17) la libertà è stata spogliata del rango di istituto giuridico e configurata come «valore », direttamente derivante da uno specifico assetto istituzionale del potere (18). Secondo questa dottrina, mentre le libertà positive sarebbero «generalmente aspirazioni ad un diverso assetto del potere », la libertà negativa si risolverebbe nella « alienità dal potere », intesa come valore politico che « a seconda delle strutture in cui si articola il potere pubblico e dell'allocazione di questo tra le diverse classi sociali ... può privilegiare questo o quell'interesse, ovvero questa o quella sfera di valori specifici» (19). Questa pur suggestiva costruzione, che indubbiamente coglie alcuni aspetti della crisi delle libertà negative, non può sottrarsi alla critica di « non aver sviluppato una ricerca sulle " istituzioni delle libertà " che possa permettere di evitare alle libertà stesse sia l'ambiente asfittico dei diritti soggettivi sia l'ambiente rarefatto delle condizioni complessive del sistema politico » (20). Conseguentemente si auspica il « superamento della concezione meramente negativa delle libertà a favore della loro integrazione in un complesso di " guarentigie " istituzionali ... fra le quali ovviamente non possono non trovare posto diritti "da" libertà, nonchè immunità e poteri di vario genere» (21). Tuttavia, il senso di queste frasi è appunto quello di un « auspicio »: puntualmente si aggiunge che « al giurista democratico che voglia rimanere nello specifico del suo mestiere, non è data altra possibilità che non sia quella di approfondire le contraddizioni tra ( 13) Cfr. le penetranti osservazioni di BARCELWNA (in BARCELLONA, HART, Miickenberger, L 'educazione del giurista, Bari 1973, 9 ss.) che conclude: « Kant, Smith e Savigny sono ancora i tutori della facoltà di giurisprudenza » (op. cit., 52). (14) L'opera fondamentale è quella di JELUNEK, Sistema dei diritti soggettivi pubblici, Milano 1912. All'interno del sistema di questo autore lo status libertatis viene teorizzato come attribuzione al singolo di un potere .negativo di respingere .ogni turbativa esterna alla sua sfera individuale. Questa definizione è in genere corrente nell'odierna manualistica di diritto pubblico (da ultimo, SPAGNA Musso, Diritto costituzionale, Padova 197 6, 177). (15) Uno dei primi critici di Jellinekfu, com'è noto, SANTI ROMANO (La teoria dei diritti pubblicisubbiettivi, in Trattato di dir. ammin. a c. di V. E. Orlando, l, Milano 1900). La critica, peraltro, non tendeva a intaccare la concezione .negativa della libertà. Infatti, a distanza di quasi mezzo· secondo, l'illustre costituzionalista italiano scriverà che i diritti di libertà. hanno per oggetto immediato non« l'azione (o l'omissione) permessa, per es. il compimento di un atto di culto, la stampa di un libro etc., ma soltantpl'omissione da parte dello Stato, o di un altro ente pubblico, delle azioni che impediscano o turbino le prime: il loro contenuto è quindi negativo » (RoMANo, Principi di diritto costituzionale generale, Milano 1947, 113). ,.... Per l'esame di altre posizioni cfr. BARBERA, Commento all'art. 2, in Comment. costa c. di Branca, Principi [<>ndamentali (art. 1-12), Bologna-Roma 1975; 65 ss. (16) AMATO, Libertà (dir. cost.), in Enc. dir., vol. XXIV, 273 ss. (17) Ancor prima della sistemazione teorica di.Jellinek un giurista italiano scriveva: « La verità è che una noziòne giuridica autonomia di libertà non esiste. Essa è una espressione con cui cumulativamente si indicano rapporti giuridici eterogenei, e per ciò stesso non riconducibili ad unità ... ». Cfr. V .. E. ORLANDO, Princìpi di diritto . costituzionale (1888), Firenze 1898, 225. (18) AMATO, Libertà, cit., in part. 777. (19) AMAro, op. loc. cit. (20) BARBERA, Commento, cit., 71 ss. (21) BARBERA, op. cit., 72. Era in fondo, la stessa preoccupazione' di V. E. ORlANDO: «sarebbe quindi preferibile rinunziare senz'altro alla pretesa di darne una definizione che non serve a nulla, e cercare piuttosto di stabilire quali sono questi rapporti cui l'uso comune fa corrispondere l'espressione di libertà » (Principi, cit., 225). ,. J<' . ~· NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 327 i valori dellè libertà borghesi e il dominio del capitale, fra " l'emancipazione illuminista e la conservazione antilluminista " » (22). La teorizzazione di un uso politico delle libertà borghesi, fulcro evidente della concezione appena considérata, sembFa scaturire da una considerazione approssimata e riduttiva delle potenzialità giuridiche espresse nella costituzione: il problema andrebbe semmài rovesciato attraverso la teorizzazione· di un uso giuridico (costituzionale) della politica delle libertà (23 ). Le questioni essenziali mi sembrano: quali sono i valori delle libertà' borghesi? è possibile « approfondire (oggi) le contraddizioni» della società capitalistica servendosi solo della difesa della « emancipazione illuminista »? è possibile uscire dalle maglie della concezione illuminista (senza pemltro abbandonarla) per tentare una teorizzazione in sede giuridica di concezioni delle libertà più avanzate, concrete, dotate intrinsecamente di un grado di razionalità e di un potere di emancipazione superiore (e ulteriore) rispetto alle libertà illuministiche della borghesia? A queste domande non è possibile dare una risposta storicamente e giuridicamente coerente muovendo dal solito conflitto, dalla abusata dicotomia autorità-libertà, pubblico-privato, individuo-potere (24). L'essenza stessa della dicotomia è in netta contraddizione con la storia: ogni affermazione di libertà contro l'autorità, del privato contro il pubblico, ha finito poi per rivelare la sua strumentalità alla creazione di un secondo potere su altri privati: l'espansione di una libertà è coincisa con l'espansione di una nuova autorità, sfuggente, irrilevante rispetto alla giuridicizzazione delle vecchie libertà. A ben vedere, comunque venga risolto, il conflitto individuo-autorità è fondato su una sola forma culturale: quella della classe sociale dominante, o che tende al dominio incontrastato sulle altre classi sociali. Le teorie che assorbono il « privato » nel « pubblico », il diritto del soggetto nel diritto oggettivo, sono quelle che oggi più manifestamente rivelano il segno conservatore e anticostituzionale, non solo perchè portano il marchio storico del loro connubio con forme totalitarie passate e presenti di organizzazione del potere pubblico, ma soprattutto in quanto la costituzione, all'art. 2, dichiara inviolabili e preesistenti all'organizzazione dello Stato i diritti fondamentali (25). Non presenta difficoltà teoriche o pratiche il disvelare la funzionalità allo « Stato borghese repressivo » delle teorie opposte: il terrorismo privato è frutto e alimento del terrorismo « ufficiale »; la « teoria dei bisogni » non è che la proiezione del processo di mercificazione dell'individuo; la tematica della liberazione « totale » non è che Io specchio dell'anarchia della produzione capitalistica, 'la conseguenza di una filosofia individualistica che, quando è in buona fede, crede di risolvere il problema dell'integrazione multinazionale del capitale propon·endo sostanzialmente modelli di vita protocapitalistici (26). (22) BARBERA, op.cit., 121. (23) In senso analogo cfr. BALDASSARRE, Le ideologie costituzionali, cit., 293 ss. (24) La tematica stessa dell'opposizione è il« segno inconfutabile che non si è usciti dalla logica liberai-borghese» (BALDASSARRE, op.cit., 292). (25) Rientrano in questo filone filosofi come H egei e Gentile, sociologiei cotne Com te, giuristi come Kelsen, Ross, Stiicka, tutti citati in CorrA, L'attuale ambiguità dei diritti fondamentali, in Riv. dir. civ. 1977, I, 277 ss. In questo terreno peraltro occorre procedere cauti: non si può dire che necessariamente gli studiosi elencati fossero nemici dell'uomo-soggetto; sono le loro teorie che, nella misura iri1cui interpretano il «reale • in chiave dì totale supremazia dello Stato sul singolo, rendono possibile e giuridicamente lecito l'annullamento del soggetto, dichiarando che la massima libertà non può che essere quella prevista nella legge. Di qui la strumentalizzazione autoritaria di queste teorie, non tanto come strumento materiale di potere, quanto in funzione apologetièa• del sistema repressivo. (26) Teorizzazioni di questo tipo sono attribuibili da Breton a Foucault a Deleuze e Guattari e;in genere, ai 328 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 Si può certo accogliere il pensiero di chi afferma « l'identità del destino » delle due teorie, scoprendone la nota fondamentale in comune nel «dominio», e la medesima struttura: la :dicotomia « signore -schiavo» (27). Questa convergenza viene spiegata riconoscendo che « le due tendenze hanno spezzato il vincolo dialettico che unisce sociale e individuale e, ciascuna essendosi presa la sua parte, l'hanno assolutizzata »; hanno usato « un'unica c~tegoria interpretativa e operativa, ... la categoria del diritto del soggetto »; hanno presuj>posto entrambe « una volontà di potenza, sociale o individuale, che giunge a pienezza quando si afferma come diritto illimitato e sovrano » (28). La critica è certo corretta, e dimostra (senza estrinsecarla) la genesi univoca delle due tendenze: la logica economica di una produzione socializzata cui corrisponde l'appropriazione l individualistica del prodotto sociale, e che può essere tutelata solo con l'uso della forza e l della divisione, giustificato vuoi con l'ideologia del primato del potere pubblico, vuoi cOn le mitologie liberatorie dell'io assoluto. Il confronto con la prassi mostra come lo scontro tra le due ideologie non sia che una battaglia! « verbale » tra estremi di un unico segmento. Si può seegliere anche di situarsi nel punto intermedio del segmento: nè solo diritti nè solo doveri, ma diritti e doveri « simmetrici » dell'individuo e della società: « senza simmetria bilaterale di diritti e obblighi, il diritto del soggetto non è pensabile » (29). È l'estrema raz;ionalizzazione, ma resta sempre sull'asse del segmento. La soluzione intermedia non si muove di un millimetro dalla logica del «dominio»: a un dominio unilaterale sostituisce il dominio reciproco dell'individuo e dello Stato, a una contraddizione ne aggiunge un'altra maggiore, tanto che deve necessariamente « rientrare » nella logica statualistica te affermare che « è dunque esatta la tesi secondo cui non vi è diritto (fondamentale) senza la determinazione della legge» (30). Abbiamo ora materiale sufficiente per abbozzare una risposta alla prima delle domande che ci eravamo posti: il valore delle libertà borghesi, della liberazione dal potere, continua a rimanere sempre « negativo », è comunque uno « spazio vuoto », la cui determinazione! può spettare interamente alla legge, o interamente al soggetto, o in modo equilibrato all'una e all'altro, ma non può uscire dall'equivoco dell'astrattezza, della mera verbalità, perchè manca alla libertà negativa la capacità di riunificare « sociale e individuale », società politica e società civile; in sostanza essa non può, per la sua intima strutturà, allargare la partecipazione al godimento di se stessa alle classi sociali subalterne. Non a caso il comma 2 dell'art. 3 cost. presuppone che la libertà di una parte dei cittadini sia limitata, di fatto, da ostacoli economici e sociali; fin tanto che permarranno quei limiti la libertà negativa sarà sempre libertà borghese, cioè «dei borghesi». Queste considerazioni rispondono anche alla seconda domanda: non è possibile acuire le contraddizioni della società capitalistica e cambiarla nel senso voluto dalla costituzione solo difendendo l'emancipazione illuminista, la libertà negativa. Immaginiamo di voler espandere al massimo la sfera negativa della libertà. Sopprimiamo la legge, il diritto oggettivo, lo Stato stesso e la sua forza, sostituiamo « allo scambio e al contratto ... c.d. « nuovi filosofi », il cui vero « padre spirituale » è Nietzsche. Per i riferimenti cfr. CorrA, op. cii., 233 ss. Di fronte alla rivendicazione di« soggettività totale »dei nuovi filosofi si trova ridimensionato persino l'alone • Iiberazionistico • marcusiano, tanto che vien voglia di «scoprire» le tematiche dell'« austerità» addirittura in qualche passo dello stesso Marcuse: « Il bisogno di " svagarsi " con i divertimenti forniti dalla cultura industrializzata è repressivo esso stesso, e la sua repressione è un passo verso la libertà » (MARcusE, Eros e civUtà, Torino 1974, 238). (27) CorrA, L'attuale.ambiguità, cit., 236 s. (28) CorrA, op. cit., 237. (2 9) CorrA, op. loc. ult. cit. (30) CorrA, op. cit., 242. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 329 il dono e il furto» (31), diventiamo «legislatori di .noi stessi» (32). Ci troveremo nella situazione della parabola dell;uomo che, avendo. sempre avuto nello stomaco un serpente dispotico che sostituiva la sua volontà a quella del suo ospite, il giorno in cui riuscì ad espellere la serpe, dopo la gioia della «liberazione», si accorse di non sapere cosa fare, avendo perso l'abitudine ad agire autonomamente: « in luogo della libertà aveva trovato il vuoto » (33). Non basta dunque sopprimere la serpe; occorre costruire nuovi modelli di libertà positiva, che, muovendo dal disegno costituzionale, possano tradursi in sistemi giuridici, sottraendo alla sfera dell'irrilevante giuridico (34) le limitazioni sostanziali alla espansione delle libertà borghesi a tutta la società civile. Si tratta, in sostanza, di rispondere alla terza delle domande che ci eravamo posti. Il supporto giuridico della teorizzazione di modelli di libertà più avanzati è dato dalla connessione tra l'art. 2 cost. (e la serie di norme costituzionali che ne sono esplicazione) e l'art. 3, comma 2, cost. Quest'ultima norma, lo abbiamo già rilevato, ammette l'esistenza di limiti economico-sociali alla libertà, che impediscono « il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese». Corollario immediato di queste enunciazioni è che la semplice attribuzione di un diritto di libertà negativa non implica nessun potere di fatto, anzi si risolve nel riconoscimento (extragiuridico) di un potere di fatto a soggetti determinati, per i quali non agiscono limiti economici e sociali all'esercizio concreto della libertà. In sostanza, quei « soggetti determinati » (giuridicamente individuati nella categorie sociale residuale rispetto ai « lavoratori ») godono di due· sfere di libertà: una « interiore», negativa (alienità dal potere), l'altra, «esteriore», positiva, comprendente la disponibilità di «mezzi», di oggetti che fanno parte «dell'arredamento del mondo» (35), strumentali ai fini dell'esercizio effettivo della libertà. Il collegamento tra il comma 2, art. 3, cost., e ogni singola norma costituzionale che istituisce una libertà, mentre non tocca la sfera interiore della libertà in questione, impone alla « repubblica » di allargare a tutti i cittadini il potere sui mezzi, creando così un diritto concreto alla sfera esteriore di ogni singola libertà. Ogni norma costituzionale relativa alle libertà contiene dunque due diritti, un diritto all'alienità dal potere (pubblico o privato) e un diritto all'uso del mezzo di concretizzazione dei comportamenti attraverso i quali il valore astratto della libertà si materializza (36). Entrambi i diritti sono « inviolabili » (in quanto derivanti da norme-basi della costituzione) e «astratti» nel senso che la loro conformazione è determinata storicamente dall'ordinamento giuridico nel suo complesso. (31) DELEUZE e GuATIARI, Capitalisme et schizophrénie. L'anti-Oedipe, Paris 1972. (32) NIETZSCHE, La gaia scienza, Milano 1965, 196. (33) DAVYDOV, l/lavoro e la libertà, Torino 1966, 15. (34) Giuridicamente irrilevanti sono « quei rapporti sociali rispetto ai quali Io· Stato rinunzia ad ogni intervento, rimanendo ad esso indifferente che i medesimi si costituiscano o non si costituiscano, sorgano con un certo contenuto o con un altro diverso » (MoRTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova 1969, 35; in argom. cfr. ROMANO, Princìpi di diritto costituzionale generale, cit., 119). (35) L'efficace espressione, di cui mi sia consentito l'uso, è di D'ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, in Studi Ascarelli, I, Milano 1969, 302. (36) Questa distinzione non corrisponde alla tradizionale distinzione tra libertà positive e libertà negative (per tutti MORTAn,lstituzioni di diritto pubblico, II, Padova 1976, 1036; cfr. anche NEUMANN, Lo Stato democratico e lo Stato autoritario, Bologna 1973, 33 ss.), nella misura in cui essa tende a isolare le prime dalla categoria delle « libertà costituzionali ».Per ogni libertà costituzionale noi ammettiamo l'esistenza di due diritti, uno positivo, della sfera esteriore, l'altro negativo, della sfera interiore; questa concezione muove dal presupposto (giuridicizzato nell'art. 3 comma 2 cost.) che per lo Stato sociale la libertà negativa è insufficiente ad assicurare l'eguaglianza reale tra i cittadini (CAVALLO, Lezioni, 2, La disciplina costituzionale, cit., 10 s.). 330 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 La differenziazione è possibile unicamente in relazione alla Idro struttura: mentre il diritto alla sfera interiore della libertà ha un oggetto autodeterminato dal titolare, nell'àmbito dello « spazio vuoto » delimita~o dalla costituzione, l'oggetto del secondo è eterodeterminato dall'ordinamento. Nè potrebbe essere çliversamente: se la sfera interiore. di ogni libertà consiste di diritti a uno «spazio vuoto », non vi è nessuna possibilità dell'ordinamento di intervenire dentro questa sfera. In questo caso titolarità ed esercizio del diritto sono entrambi necessariamente individuali e, a ben vedere, coincidenti. Ognuno, nell'esercizio della sfera interiore della sua libertà è « legislatore di se stesso », e solo esercitando (o, che è lo stesso, non esercitando) la libertà se la attribuisce, cosi come solo attribuendosela (o non attribuendosela) la esercita. Nella sfera esteriore titolarità ed esercizio sono ben distinguibili, in quanto essa si sostanzia in diritti di uso di mezzi determinati, « esterni» rispettO all'individuo, la cui consistenza economica e tecnica dipende dal momento storico. È pertanto possibile immaginare, a fronte di una titolarità individuale della sfera esteriore di una libertà, un esercizio collettivo, determinato dall'ordinamento a seconda dello ì stadio storico contingente. Non convincono le concezioni che postulano differenze tra sfera interiore e sfera esteriore (o, secondo altra terminologia, tra libertà negativa e libertà positiva) basate sulle natura del potere di azione, secondo le quali le libertà n~gative consistono in pretese il cui risvolto è un obbligo (o dovere) di astensione dal turbative, mentre le lil?ertà positive implicano la pretesa politica di un intervento atthto dei pubblici poteri, la cui inazione sarebbe sanzionabile mediante strumenti solo politici e non giuridici. Questa distinzione riflette una determinata interpretazione della normativa ordinaria esistente e non ha fondamento costituzionale. Nella misura in cui si va realizzando il disegno costituzionaleiìa sfera interiore può immaginarsi tutelata con l'attribuzione di pretese positive di dbterminati comporta- menti dei pubblici poteri e dei terzi (si pensi alla c.d. libertà di informazione) (3 7), mentre la sfera esteriore dovrà necessariamente essere tutelata anche con l'imposizione di doveri di astensione da turbative, a carico di terzi, in ordine all'esercizio del potere di uso del mezzo. l In termini più generali, è la stessa distinzione tra norme costituzionali « programmatiche » e « precettive » (38) (su cui si basa la distinzione crit~cata) che, particolarmente in tema di libertà, è contraddittoria. Sembra più corretto rik:orrere al concetto di «norme di scopo» (39), e verificare come entrambe le sfere dell±libertà sono protette da norme di tal genere. In altri termini, posta l'esistenza costit zionale di due diritti (della sfera interiore e della sfera esteriore) la loro piena attua ione si realizza mediante la dialettica complessiva dell'ordinamento giuridico. Il problema della libertà negativa, identicamente a quello della libertà positiva, non è ancora risolto a livello di normazione ordinaria, nè a qualsiasi livello istituzionale;.l'assunto risulta evidente non solo dalla frequenza con cui la dottrina e la giurisprudenza. costituzionale si pongono problemi di costituzionalità di leggi, di individuazione di limiti etc., ma anche dalla (37) Che può essere intesa sia come libertà di informare (scissa in una sfera interiore, relativa ai contenuti, e in una sfera esteriore, relativa all'uso dei mezzi di divulgazione), sia come diritto ad essere infonilati; che ha come risvolto l'obbligo di chi informa di conformarsi al principio della « obbiettività » (CHIOLA, L'informazione nella Costituzione, cit., 73 ss.). (38) Cfr. ad es. EsPOsrro, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., 27, il quale sostiene che le norme ' contenute negli art. 3 e 21 cost sono « estremamente elastiche· e programmatiche ». (39) LAVAGNA, Costituzione e socialismo, cit., 53. L'autore sostiene che i mezzi diretti a sollecitare l'attuazione del fondamentale principio dell'art. 3, comma 2, cost., sono rimessi per la maggior parte alla libera iniziativa e al peso effettivo delle classi lavoratrici (op. cit., 54 s.). NOTE, 'RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 331 carenza di un intervento positivo dei pubblici poteri che risolva quelli che un illustre giurista chiamava « i problemi pratici delle libertà » (formali) (40). La disciplina costituzionale delle due sfere di ogni singola libertà è, in quanto espressa da norme di scopo, direttamente precettiva non solo nei confronti del legislal tore, nè solo attraverso l'ausilio di norme « strumentali », ma anche nei confronti dd complesso di istituzioni che sono riassunte nel termine «repubblica» (arg. ex arh'2, 3, comma 2, cost.) (41). Una considerazione ulteriore del problema porta a concludere che le· norme di scopo e le corrispondenti configurazioni cosÌituziona'li delle sfere di libertà non sono omogenee. Un primo ordine di eterogeneità è dato dalla natura intrinseca di ciascuna libertà: in sostanza, la separazione tra sfera interiore e sfera esteriore, tra astratta libertà e potere concreto sui mezzi, risulta razionalmente ammissibile solo per quelle libertà il cui esercizio sostanziale richiede l'uso di beni materiali. Ad esempio, nel caso della libertà personale non esiste una sfera esteriore, in quanto ad essa è possibile pensare solo come «assenza di costrizioni» (42) (fisiche o psichiche) e non come «uso di mezzi». La libertà personale è il paradigma della individualità del soggetto, ma non per questo la sua tutela deve essere solo « negativa »: a ben vedere per 1a·. sua piena esplicazione si rende necessario un positivo intervento pubblico per cambiare i « meccanismi repressivi » sociali e privati, per eliminare le fonti di produzione della «paura », per evitare che la società produca individui « diversi » da cui dovrà inevitabilmente difendersi restringendone, annullandone la libertà personale (43). Analoghe considerazioni valgono per le sfere interiori di tutte le altre libertà: non basta la tutela negativa, l'astensione dalle turbative, ma è sempre necessario un intervento riformatore sull'assetto sociale complessivo. Si pensi alla «libertà di coscienza », intesa come facoltà sequendi religionem quam cuisque vult (44): indipendentemente dalla sua sfera esteriore, cioè dai mezzi necessari per estrinsecarla, è veramente libera la scelta del credo religioso con la semplice predisposizione. da parte dello Stato di uno spazio vuoto? non vi sono ànche in questo caso problemi pratici, ostacoli da rimuovere? Un secondo ordine di eterogeneità riguarda pertanto i rapporti tra le varie sfere interiori delle libertà, che, se possono essere unificate sotto la categoria di « diritto soggettivo all'alienità dal potere » e all'autodeterminazione del contenuto, hanno ciascuna una relazione differente con l'assetto istituzionale, cioè differenti problemi pratici da risolvere. Il terzo elemento di eterogeneità concerne la sfera esteriore: non è pensabile di ridurre ad unità il complesso sistema di rapporti concreti tra uomini e cose che costituiscono il substrato dei diritti concreti di disporre dei mezzi economici e tecnici per l'esercizio delle libertà. (40) JEMOLO, I problemi pratici delle libertà, Milano 1972. ( 41) Per «.Repubblica » deve intendersi il complesso delle forze cui la costituzione riconosce poteri suscettibili di concòriere alla realizzazione della finalità prescritta dal comma 2 dell'art. 3, cost. (MoRTATI, Istituzioni, Il, 1976, 1034). (42) Sulla libertà personale cfr. PACE, Libertà personale (dir. cast.), in Enc. dir., vol. XXIV, 287 ss. (ivi bibliogr. ). Rileva·chè le libertà costituzionali non sono omogenee Fms, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Milano·1957, 13 ss., il quale finalizza la distinzione a una diversificazione dei limiti ammissibili. In argomento, ·con specifico riferimento alla libertà personale, Fms, Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radiotelevisivo,.cit., 1131 ss. (43) In arg. cfr. RADZINOWICZ, Ideologia e criminalità, Milano 1968. (44) D'AvACK, Libertà di coscienza, di·culto e di propaganda, in Enc. dir., vol. XXIV, 592 ss. Cfr. anche le belle pagine di RUFFINI, La libertà religiosa, l, Torino 1901, 12 ss. 332 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 L'art. 3 comma 2 cost. parla di « ostaCÒli » concreti all'esercizio della libertà di una parte dei cittadini; la norma presuppone evidentemente una pluralità di ostacoli, ad ognuno dei quali corrisponde un aggregato economico-tecnico di beni, l'accesso al quale è impedito dalle diseguaglianze sostanziali. Pertanto, la costituzione non può che presupporre, concepire tanti istituti giuridici quanti sono i mezzi, realmente esistenti in ciascun momento storico, attraverso i quali si realizza la sfera esteriore di ogn,i singola libertà. Si· noti che, per ogni mezzo, la carenza di un istituto giuridico determinato non implica la carenza del diritto all'uso, che preesiste alla sua conformazione in quanto è creato dalla costituzione. Gli istituti delle libertà, che possono assumere la veste giuridica più disparata, hanno solo il compito di «conformare» quel diritto, adeguando la sua necessarietà alla situazione storica, al grado di sviluppo della tecnica e dell'economia, all'atteggiarsi dei rapporti sociali e politici. Il diritto concreto di libertà esiste in costituzione ed è « eterno », mentre gli istituti conformativi del diritto stesso sono storicamente determinati. Molto vicina alla concezione dei diritti della sfera esteriore delle libertà è quella dei « diritti sociali ». Il raffronto tra i due· istituti è in grado. di far emergere una connotazione peculiare dei diritti concreti di libertà. È stato esattamente rilevato che il carattere determinante dei diritti sociali è la loro relatività, intesa nel senso che la loro titolarità appartiene ai soli lavoratori subordinati (45). Le libertà concrete, invece, costituiscono situazioni soggettive appartenenti alla generalità .dei cittadini, come si desume inequivocabilmente dal rapporto tra l'art. 2 (e le sue specificazioni) e il comma 2 dell'art. 3 cost.: la rimozione di ostacoli economici e sociali, equivalente alla predisposizione dei mezzi di esercizio della libertà, è infatti finalizzata al conseguimento dell'eguaglianza di tutti i cittadini, al libero sviluppo della persona umana, e all'effettiva partecipazione dei lavoratori alla direzione della società. Se i mezzi predisposti attraverso gli istituti, delle libertà concrete fossero riservati ai soli « lavoratori » (subordinati) vi sarebbe una totale inadempienza rispetto a tale triplice finalizzazione (46). La creazione della sfera esteriore della libertà, in quanto prefigura un modello costituzionale « sovversivo » rispetto alla struttura capitalistica, ma democratico, non significa sostituzione di una classe ad un'altra nell'appropriazione dei mezzi materiali, bensì partecipazione, estensione a tutte le classi del diritto di uso dei beni concreti, senza i quali l'attribuzione della sfera interiore della libertà è solo un valore astratto e utopistico. La conseguenza più diretta della creazione costituzionale di diritti della sfera esteriore delÌe libertà è il recupero, dall'area dell'irrilevanza giuridica al campo della giuridicità, del complesso di aggregazioni di beni che, per ogni determinato momento storico, rappresentano i mezzi materiali di estrinsecazione della libertà. Poichè i rapporti giuridici tra gli uomini e le cose sono la proprietà e l'impresa, la sfera esteriore delle libertà (inviolabili) entra in contraddizione con le libertà economiche; in altri termini, (45) · MICCO, Lavoro e utilità sociale nella Costitu:;;ione, Torino 1966, 86 ss.; LAVAGNA, Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzionale italiana, in Studi economico-giuridici, a c. della faeoltà di giurisprudenza dell'università di Cagliari, vol. XXXVI, 24 ss. (46) Pertanto, non sembra possa accogliersi la quadripartizione dei diritti fondamentali operata da BALDASSARRE, Ideologie costituzionali, cit., 300, che rieomprende tra i diritti sociali situazioni soggettive « non relative », quali il diritto all'istrnzione, all'assistenza, cioè in genere i servizi sociali. Questi ultimi sono infatti da considerare aperti alla generalità dei cittadini e non ai soli lavoratori subordinati. Al limite si tratta di una questione di nomenclatura; l'importante è intendere che la eostituzione riserva una serie di situazioni di vantaggio solo ai lavoratori subordinati in quanto tali (cfr. art. 35 ss.), mentre attribuisce i diritti della sfera esteriore delle libertà a tutti i cittadini. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 333 l'uso socialmente finalizzato dei mezzi incontra un ostacolo economico-sociale nell'appropriazione e gestione privata degli stessi. · In realtà, quando il rapporto tra la scarsità e il costo di un mezzo di esercizio di libertà è alto, quando il mezzo è « accessibile a tutti » non vi è contraddizione, in quanto la sfera esteriore di libertà può realizzarsi attraverso l'appropriazione e la gestione individuale, che, a ben vedere, è l'unico meccanismo costituzionalmente ammissibile nel caso considerato. Infatti, se esistono mezzi sufficienti ed accessibili a chiunque (si pensi alla libertà di corrispondenza) ogni intervento pubblico tendente a limitare la appropriabilità individuale pel mezzo è inutile, oltre che potenzialmente repressivo della sfera interiore della stessa libertà. Negli altri casi, quando il sistema economico capitalistico incontrollato creerebbe diseguaglianze sostanziali tra le classi in ordine al potere concreto sui mezzi di esercizio delle libertà, la costituzione impone l'intervento pubblico e la « conformazione » delle libertà economiche mediante gli strumenti della funzione sociale della proprietà, della funzionalizzazione dell'impresa, della collettivizzazione. In termini generali la necessità dell'uso sociale dei mezzi di estrinsecazione delle libertà legittima la dissociazione tra libertà economica, intesa come mero potere di organizzazione tecnica, e godimento dei mezzi. La proprietà e l'impresa relative a tali mezzi non sono dunque negate, ma non.possono implicare anche il potere di escludere altri soggetti dalla partecipazione all'uso degli stessi ai fini dell'estrinsecazione della sfera esteriore della libertà (47). In questo senso, è costituzionalmente ammissibile, anche se storicamente determinata, la creazione di istituti giuridici attuativi della sfera esteriore delle libertà e, di conseguenza, conformativi del potere individuale di uso dei mezzi materiali di fatto derivante dalle libertà economiche. Ad esempio, il regime vincolistico delle locazioni e l'equo canone (e, per altri versi la politica della casa in genere) non sono che aspetti storici (forse criticabili) dell'attuazione del diritto concreto di libertà di domicilio creato dalla costituzione, e, nel contempo, modelli conformativi della proprietà dell'abitazione. Altro esempio: si pensi alla concretizzazione delle libertà costituzionali nei luoghi di lavoro, contenute nello Statuto dei lavoratori (1. 20 maggio 1970, n. 300). L'elemento unificante della disciplina di tali libertà (di opinione ex art. l, di assemblea ex ( 47) Cfr., particolarmente in relazione alla proprietà, CAVALLO, Lezioni, 2, La disciplina costituzionale, ci t., 26 ss.: «in definitiva l'inciso dell'art. 42 comma 2 ... può essere agevolmente interpretato nel senso che a tutti sia assicurato non tanto il diritto di proprietà, quanto il godimento sociale dei beni essenziali, anche se questo risultato sia oggettivamente contrastante con il godimento individuale del proprietario» "(31). In riferimento all'impresa il problema si presenta non tanto in termini di« funzionamento »quanto a livello di conformabilità legislativa del diritto di impresa. La riaffermazione della vecchia tesi che distingue la libertà di scelta dell'impresa dal modo di svolgimento dell'attività, ammettendo che quest'ultimo « possa essere disciplinato con norme cogenti» (ESPOSITO, La Costituzione italiana (Saggi), Padova 1954, 184) avrebbe certo valore definitivo ai fini della soluzione positiva del problema proposto. A ben vedere, la tesi di Esposito risolverebbe anche il problema se può ritenersi non tutelato dalla costituzione il potere dell'imprenditore di ammettere o meno i soggetti della sfera esteriore della libertà di espressione all'uso dei mezzi necessari per la sua estrinsecazione. In seguito, noi sosterremo che la costituzione non solo non tutela, ma esclude questo potere, e rende possibile l'azionabilità diretta della sfera esteriore della libertà di espressione (cfr. in part. infra, paragrafi 4 e 5). È evidente, pertanto, la caratteristica di società di transizione del modello contenuto nelle enunciazioni del testo. Le classi subalteme possono rivendicare il diritto di essere sostanzialmente parificate alle classi dominanti nell'uso dei beni materiali che estrinsecano le libertà, ma non il diritto di sostituirsi ad esse, escludendole totalmente dal potere sui mezzi. In questo senso sarebbe inesatto dire che la costituzione impone il socialismo (ma quale socialismo?), mentre si può senza dubbio affermare che essa ammette la possibilità di introdurre un sistema socialista (ma quale sistema socialista?). In argom. cfr. LAVAGNA, Costituzione e socialismo, cit., passim. Più corretta sembra l'affermazione che, comunque, la costituzione impone il modello di Stato sociale pluralista (CAVALLO, Lezioni, l e 2, cit.). 334 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 art. 20, di affissione ex art. 25, di riunione ex art. 27) consiste nel riferimento a entrambe le sfere delle libertà, in quanto si prevede ad es. la libertà dei contenuti dell'espressione di pensiero (sfera interiore), collegandola a situazioni soggettive azionabili inerenti all'uso di beni materiali (sfera esteriore) normalmente soggetti al potere di gestione dell'imprenditore (locali, spazi murali etc.), il quale diviene soggetto passivo di pretese positive dei lavoratori, aventi natura di situazioni giuridiche. soggettive azionabili (48). 3. Le due sfere della libertà di manifestazione del pensiero. - La doppia tutela costituzionale risulta particolarmente evidente nella norma relativa alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 ), la quale crea un diritto all'autodeterminazione dei contenuti ( « manifestare liberamente il proprio pensiero »), un diritto concreto alla sfera esteriore («con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione») (49), e attribuisce a « tutti » entrambi i diritti, tra i quali « esiste un nesso di indispensabile strumentalità » (50). (48) Cfr. GruGNI, Diritto sindacale, Bari 1975, 97 ss. Per altri interventi tendenti ad istituzionalizzare spinte democratiche e partecipative in ordine alla stampa, al diritto di riunione, etc. cfr. BARBERA, Commento all'art. 2, cit., 72 ss., 74; in ordine all'utilizzazione delle « 150 ore » per il diritto allo studio dei lavoratori cfr. RoMAGNOLI, Commento all'art. 3, comma 2, in Comm. cost. a c. di Branca, Principi fondamentali, cit., 183, in ordine al diritto allo studio in genere cfr. POTOTSCHING, Istruzione (diritto alla), in Enc. dir., vol. XXIII, 96 ss. ( 49) L'art. 28 st. albertino ( « La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi »)non contiene alcun riferimento ai mezzi, coerentemente con la configurazione « negativa » della libertà espressa dalla norma. Il riferimento ai mezzi di espressione fatto dall'art. 21 cost. si spiega solo se si ammette che la norma ha sottratto alla sfera dell'irrilevante giuridico la sostanziale diseguaglianza dei cittadini in ordine al potere sui beni materiali (in senso analogo BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., 39), riaffermando il principio contenuto nel comma 2 art. 3 (in arg. cfr. MORTATI, Commento all'art. l, in Comm. cost. a c. di Branca, Principi fondamentali, cit .. 13. e RoMAGNOLI, op.cit.. ivi, 193 ss.; contra Esposrro, La Costituzione italiana, cit., 63). L'interpretazione dell'art. 21 cost. nel senso che esso garantisca sia la libertà dei contenuti del pensiero sia la libertà di uso dei mezzi attraverso i quali il pensiero può diffondersi risale a Fms, La censura nel diritto interno, in Enc. dir., vol. VI, 3 (dell'estr.), che la ribadisce in Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radiotelevisivo, cit., 1129, e in Propaganda elettorale e mezzi di diffusione del pensiero, in Giur. cost. 1964, 957. Per una valutazione critica della teoria di Fms cfr. la nota seguente. Il discorso che svolgeremo in questo paragrafo non ha collegamenti con la tematica della c.d. opinione pubblica, teorizzata quale strumento di partecipazione e di « influenza decisiva nel sistema di governo » (VIRGA, Diritto costituzionale, Milano 1971, 633 s.; MoRTAn,lstituzioni, Il, 1976, cit., 1067, 1069, e gli aa. ivi citati), nè con l'affine concetto di« diritto all'informazione», inteso come diritto« di essere informati», o« di informarsi» (cfr. CmoLA, L'informazione nella Costituzione, cit., passim; Russo, Il diritto all'informazione nell'ordinamento regionale, in Pol. dir. 1977, 115 ss.). Questi concetti riguardano la t ematica della « formazione del pensiero », e sono, in un certo senso, frutto della espansione, della« massificazione • della sfera pubblica borghese, in funzione manipolativa (HABERMAS,Storia e critica dell'opinione pubblica, cit., in part. 233 ss.), ma anche, considerata l'evoluzione dello Stato sociale, della necessità di una informazione « obiettiva » (CHloLA, op. ult. cit., 72 s.) e democratica (LoiODICE, Contributo allo studio della ·libertà di informazione, ci t.; Russo, op. ult. cit., 119 s.; CRISAFULLI, Problematica della libertà di informazione, cit., 285). Quello che a me interessa contribuire a dimostrare è che, al di là della visione delle masse dei cittadini come « destinatari », anche attivi (Russo, op.loc. cit.) dell'informazione, la costituzione prevede un diritto di informare non connesso con il potere economico sui mezzi di divulgazione, o con il possesso di particolari stati professionali (giornalisti), ma attribuito direttamente ai cittadini, e alle formazioni sociali che li rappresentano nello Stato-comunità, sotto forma di diritto di uso dei mezzi la cui disponibilità di fatto è limitata da « ostacoli economici e sociali ». L'esigenza che sta alla base di questa prospettiva costituzionale è limpidamente espressa da una tra le più rilevanti formazioni socìali: « nasce l'esigenza, da parte del movimento sindacale, non tanto di controllare l'informazione, quanto di fornire esso stesso, e non solo alle masse organizzate, l'esattainformazione, per evitare. che se ne continui a fare uso da parte del potere dominante e dei gruppi specializzati del settore, cosi come è stato fatto fino ad oggi » (cfr. Informazione, cultura e linguaggio in un nuovo modello di vita, in Rass. sindacale- Conquiste dellav. - Lav. italiano, numero speciale unitario CGIL, CISL, UIL, maggio 1976, n. 351-352, 14). (50) Corte cost. 16 giugno 1964, inGiur. cost. 1964, 605, e precedentemente Corte cost. 14 giugno 1956, n. l, in Giur. cost. 1956, l ss. In dottrina cfr. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., 7; CHELI, Manifestazione, divulgazione ed esercizio· di attività economiche connesse alla divulgazione del pensiero, in Giur. cost. 1961, 684 ss. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 335 Come si è rilevato in termini generali, i diritti in questione differiscono solo per la loro struttura: la sfera interiore della li\)ertà di espressione ha come oggetto il « messaggio», e come modalità di esercizio l'autodeterminazione dei contenuti; la sfera esteriore ha per oggetto il« mezzo», e come modalità di esercizio l'eterodeterminazione, derivante dalla conformazione «storica», da parte dell'ordinamento giuridico, dell'uso del mezzo. Il mezzo è indubbiamente strumentale al messaggio: la configurazione giuridica del mezzo in tanto è presa in considerazione dall'art. 21 cost., in quanto garantisca l'allargamento, l'espansione delle possibilità sociologiche di diffondere il messaggio. L'autodeterminazione dei contenuti del messaggio ha il senso di massima espansione della libertà di manifestazione del pensiero all'.intemo dei limiti costituzionali che garantiscono altre libertà o valori supremi dell'ordinamento (51). Distinzioni all'interno della sfera interiore della libertà di espressione sono possibili in relazione ai vari tipi di messaggio, quando questi sono configurati da altre norme costituzionali, che individuano una serie di statuti specifici del diritto formale di manifestazione del pensiero (52): la «stampa» (art. 21, commi 2-5); la propaganda religiosa (art. 19, 20, 7, 8); la diffusione del pensiero scientifico e artistico (art. 33); la propaganda politica (art. 49, XII disp. trans.); la diffusione di messaggi nell'ambito di iniziative economiche private (art. 41 ss.); etc. In particolare, quando il messaggio assume il carattere di iniziativa economica privata, è suscettibile di entrare in conflitto con valori superiori (utilità sociale, inviolabilità fisica e morale della persona umana: art. 41, comma 2). L'esempio più palmare è quello del messaggio pubblicitario: « l'invito » all'acquisto di un prodotto, spesso sot~ Il problema del rapporto tra manifestazione e divulgazione rischia di diventare mistificatorio, se, una volta ammessa la duplice tutela dell'art. 21 (sia della libertà di espressione sia della libertà di uso dei mezzi; la tesi è espressa nitidamente da Fms, Libertà di diffusione del pensiero etc., cit., 1129 e nelle altre opere citate nella nota precedente), ci si limita a« calare »tale norma in un determinato assetto socio-economico, e affidare al meccanismo del sistema la selezione dei soggetti che, di fatto, riescono a rendersi concreta la libertà di uso dei mezzi. La tesi di Fois, apparentemente progressiva, è in realtà conservatrice, perchè non considera le disparità sostanziali in ordine all'uso concreto dei mezzi in un sistema capitalistico, nè il potenziale di trasformazione di questo sistema contenuto nell'art. 21, letto alla luce dell'art. 3. La tesi di Fois, recentemente ripresa dallo stesso autore (cfr. supra nota 8), tende a escludere ogni intervento pubblico sul potere economico privato sui mezzi di divulgazione, servendosi di un'interpretazione « razionalizzatrice » dell'art. 21. In realtà ciò che viene in tal modo razionalizzato è il privilegio di pochi, di quei pochi che di fatto potrebbero permettersi la « scelta del se, come, e quando utilizzare i mezzi di diffusione» (FOis, Propaganda elettorale e mezzi di diffusione del pensiero, cit., 959). (51) Alla sfera interiore della libertà di diffusione si fa riferimento quando si discute sulla natura « individualistica »o« funzionale » della libertà di manifestazione del pensiero (sui termini del contrasto cfr. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., 9 ss.). Se qualcuno avesse obiezioni da muovere alla tesi della massima espansione della sfera interiore della libertà d'espressione si potrebbe replicare che « se l'idea novella contiene la V'{rità, le persecuzioni non impediranno il trionfo di essa; se un errore, l'aperta discussione non farà che metterlo più rapidamente in vista » (V. E. ORLANDO, Principi di diritto costituzionale, cit., 242). In argom. cfr. supra, note 4 e 5. (52) In senso apparentemente analogo Fms, Princìpicostituzionali e libera manifestazione del pensiero, cit., 14 ss. 45 ss., 77 ss.; 83 ss.; 97 ss., criticato da BARILE, Libertà di manifestazione de/pensiero, cit., 12 ss. La distinzione proposta nel testo non sembra in realtà analoga a quella di Fois (che ha suscitato preoccupazioni in BARILE, op. ult. cit., 16 s.), in quanto ha riguardo solo alla disciplina costituzionale e alle eventuali limitazioni in essa contenute per ogni forma o materia di espressione. Il riconoscimento dell'esistenza di specifici statuti costituzionali per ogni singola manifestazione del pensiero non implica la enucleazione di forme privilegiate nella sfera interiore, n è l'assoggettabilità della materia residua (sempre in ordine alla sfera interiore) a limiti posti con legge ordinaria (cosi invece Fms, op. loc. cit. ). Il dato da cui muove il discorso del.testo è l'applicazione congiunta a ogni forma di manifestazione del pensiero di più norme costituzionali, compreso l'art. 21. La tutela sarà « minore » o « maggiore » solo per quelle materie o forme di espressione per le quali una norma costituzionale prevede una tutela minore o maggiore (ad es. il limite del buon costume non sussiste nella divulgazione artistica o, scientifica, mentre agisce nel caso di manifestazioni del pensiero di carattere religioso: BARILE, op. u/t. cit., in part. 93 ss. ), ma in nessun caso una tutela minore potrà farsi derivare da presupposti logici, o« interni »o da leggi ordinarie, che non abbiano un fondamento esplicito nella costituzione. 336 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 tilmente legato a messaggi scientifici, morali, politici, etici, artistici etc., può contrastare, da un lato, con il principio di eguaglianza, nella misura in cui l'impresa di grandi dimensioni monopolizza i canali pubblicitari più importanti emarginando le piccole imprese, le cooperative etc.; d'altra parte la pubblicità è senz'altro in grado di violare i valori espressi dal comma 2 dell'art. 41, attraverso l'uso di tecniche di persuasione occulta, di informazioni parziali o false sulla nocività dei prodotti, etc. (53). Quando la diffusione del pensiero riveste il carattere della imprenditorialità, la normativa applicabile risulta dalla somma del comma l dell'art. 21 e dello statuto costituzionale dell'impresa. Da ciò deriva che è sottoponibile a collettivizzazione o a programmazione solo la diffusione imprenditoriale del messaggio; è pertanto inesatto affermare che la « radiodiffusione sonora e televisiva su scala nazionale rappresenta un servizio pubblico essenziale » ed è per questo attività nazionalizza bile (54), a meno che non si voglia fare riferimento specifico al messaggio imprenditoriale o alla impresa di gestione del mezzo radiotelevisivo. L'intersezione tra la sfera interiore della libertà di manifestazione del pensiero e gli statuti specifici dei singoli messaggi, sopra ricordati, implica una naturale propensione della costituzione verso una « scalarità » dei valori contenuti nei vari messaggi; questo principio ha effetti di estrema rilevanza in ordine all'interpretazione delle norme costituzionali relative alla conformazione dei diritti concreti di uso dei vari mezzi di divulgazione delle idee (55). Il principio, infatti, legittima la determinazione ineguale della fruizione di ogni mezzo di comunicazione da parte dei gruppi sociali, a seconda del valore costituzionale del messaggio che essi intendono diffondere. La diffusione di notizie pubblicitarie ha un valore sicuramente inferiore della divulgazione di idee religiose, o scientifiche, o politiche (56). (53) Per la configurabilità della pubblicità come manifestazioni del pensiero Fms, Censura e pubblicità economica, in Giur. cast. 1965, 839 ss.; QuADRI, Libertà di stampa e approvazioni preventive, in Rass. dir. pubbl, 1965, Il, 814 ss.; Fusi, La comunicazione pubblicitaria nei suoi aspetti giuridici, Milano 1970, 22 ss., 30 ss.; contra, Corte cost. 12 luglio 1965 n. 68, in Giur. cast. 1965, 838 ss.; GHIDINI, Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano 1968, 228 ss. In base al discorso svolto nel testo, le limitazioni contenute in leggi speciali sono legittime, non perchè giustificate da norme estranee allo statuto della diffusione pubblicitaria (ad es. art. 32 cost.: cfr. BARILE, Libertà di manifestazione de/pensiero, ci t., 31 ), ma perchè quest'ultimo rende possibile limitazioni di tal genere (argom. ex art. 21-41 cost.); in particolare le limitazioni aventi forma di « divieti » saranno legittimate dal comma 2 art. 41 (ed, eventualmente, da altre norme costituzionali), mentre quelle che consistono nella predisposizione di regimi autorizzatori (pur contrastando in astratto con l'art. 21 da solo considerato) sono giustificate dal comma 3 art. 41 cost (Fusi, op.cit., 32 s.). Sulla possibilità di funzionalizzazione sociale delle pubblicità cfr .Il rinnovamento delle relazioni economiche: la pubblicità come strumento di sviluppo sociale, Atti Conv.ISLE 6 maggio 1976, in Rass. parlam. 1976, 267 ss. (54) Corte cost. 28luglio 1976 n. 202, cit. · (55) La « scalarità » non implica che alle singole sfere interiori di diffusione del pensiero possano essere imposti limiti di contenuto non giustificati da norme costituzionali specifiche. Quanto detto equivale forse a reintrodurre la distinzione tra manifestaZioni in materie privilegiate e in materie non privilegiate (cfr. supra nota 52) non allo scopo di legittimare norme !imitatrici dei « contenuti » dell'espressione, cioè. di « legittimare contra constitutionem, una quantità di limitazioni poste dal legislatore ordinario, anteriormente a)la costituzione » (BARIL!l, Libertà di mQflifrstazione del pensiero, cit., 15 s.; è questa la critica, cui aderiamo, alla teoria che« spezza in due.» la libertà di manifestazione del pensiero), bensl per rendere coerente il problema della graduazione nell'uso sociale dei 111ezzi scarsi di diffusione del pensiero. In termini diversi, la scalarità legittima la ineguale distribuzione del diritto di accesso tra le varie formazioni sociali (ad es. ZACCARIA, Radiotelevisione e Cf!stituzione, cit., 366, ammette che sono possibili discriminazioni nei tempi nell'accesso, e le giustifica ricorrendo al principio di eguaglianza formale, secondo cui si possono stabilire trattamenti diversi per situazioni diverse. L'autore, peraltro, dimentica di aggiungere che la « diversità » deve essere direttamente derivabile c;lalla differente collocazione costituzionale delle situazioni, e la sua valutazione non può essere rimessa all'arbitrio del legislatore ordinario). (56) ll principio è ampiamente riconosciuto dalla giurispruderu;a della Corte costituzionale e dalla legge ordinaria, nella misura in cui la prima, esclusa addirittura la pubblicità dalla tutela dell'art. 21 (sent. n. 68 del1965, NOTE, RASSEGNE .E DOGUMENTAZIONE 337 D'altra parte, la determinazione della fruizione del mezzo è.· influenzata anche dalla rilevanza costituzionale dei gruppi interessati alla· divulgazione; così alla richiesta di uso dei mezzi da parte di assemblee elettive o organizzazioni ~indacali o culturali la costituzione attribuisce un favor rispetto a richieste provenienti da gruppi sociali minori, o da singoli individui (57). La quantificazione concreta dei tempi e dei modi di fruizione di. ogni singolo mezzo non .è certo stabilita in costituzione; peraltro, il criterio ordinante non può che essere quello. storicistico del rinvio a fonti normative inferiori, le quali devono considerare per ogni periodo storico lo sviluppo delle tecniche, la s.carsità e la -consistenza economica e strutturale dei vari mezzi di ·divulgazione. Un sistema di graduazione dei valori non avrebbe senso solo nell'(utopistica) ipotesi di una estensione illimitata, spaziale e temporale, delle possibilità di utilizzazione di ogni mezzo di comunicazione. Un altro criterio vincolante per le normative inferiori è quello della razionalità del trattamento all'interno di ogni singola categoria di messaggio o di ·formazioni sociali, secondo criteri di non onerosità o comunque di separazione del diritto di fruizione dal potere economico del soggetto che intende diffondere il suo pensiero. Ad esempio, nel caso della pubblicità, la necessaria posizione egualitaria di tutte le manifestazioni « economiche » del pensiero, implica una corrispondente programmazione egualitaria dell'accesso al mezzo, in maniera che la piccola impresa, la cooperativa e la società per azioni «gigante » abbiano un diritto « eguale » (sotto l'aspetto temporale, quantitativo, qualitativo) di fruizione del mezzo stesso (58). La disciplina costituzionale del messaggio è dunque legata intimamente alla disciplina del mezzo. Richiamando quanto si disse in termini generali sul rapporto tra le due sfere delle libertà, risulta evidente che le categorie « private » di appropriazione dei mezzi non sono tutelate dall'art. 21 cost., il quale, interpretato alla luce dell'art. 3, comma 2, attribuisce a tutti il diritto di uso dei mezzi, escludendone ogni potere individuale il cui esercizio possa essere di ostacolo alla generalizzazione della fruizione dei mezzi stessi. Sono, peraltro, necessarie alcune precisazioni. L'art. 21 permette una distinzione fra i mezzi a seconda che, in un determinato periodo storico, siano accessibili a tutti secondo forme di appropriazione privata, oppure il. rapporto tra la loro scarsità e il loro costo li renda disponibili privatamente solo a una parte degli individui (59). cit.), si preoccupa che siano imposti limiti temporali per le trasmissioni pubblicitarie televisive (cfr. ad es. sent. n. 225 del1974 e n. 202 del1976, éit.) e la seconda, oltre a porre tutta una serie di limitazioni contenutistiche al messaggio pubblicitario (cfr. supra nota 53), vede in chiave limitativa la quantificazione della pubblicità televisiva (art. 4, 2i, 30 l. 4 aprile 1975 n. 103, cit.). In dottrina cfr. BESSONE, 0RIANA, ALPA, PRANDI, Materiali per uno studio della disciplina giuridica della pubblicità commerciale, in Giur. merito 1974, IV, 98 ss.; ROPPO, Dal« codice di lealtà pubblicitaria» al controllo « amministrativo » dell' adversiting, Ipotesi per un progetto di disciplina giuridica della pubblicità commerciale, in Giur. it. 1974, IV, 235 ss.; ALPA, BESSONE, CARNEVALE, GHIDINI, in La tute/a degli interessi diffusi ne/ diritto comparato, Milano 1976, 197 ss. Cfr. inoltre gli autori citati nella nota 53. (57) In senso analogo, ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, cit., 367, 373 ss. (ivi citazioni). (58) La problematica è apertissima in sede politica, in particolare in relazione ai tempi di trasmissione usufruibili dai singoli partiti politici nel corso delle « tribune » televisive. Per ZAccARIA (Radiotelevisione e Costituzione, cit., 366) « è pensabile che, ad esempio, i partiti possano aver riconosciuto un tempo di accesso superiore a quello dei sindacati o delle confessioni religiose e queste possano avere a disposizione un tempo superiore a quello di determinate associazioni culturali, .ma all'interno di una medesima categoria, le gradazioni dovrebbero essere fatte o con riferimento a parametri estremamente precisi » (propor;donalità in base alla consistenza: ma l'autore non dice chi o cosa dovrà stabilire i parametri) « oppure non essere assolutamente fatte ». Il problema dovrebbe a mio avviso muovere da due dati: in primo luogo in tanto una diversificazione è possibile (sia within che .between i gruppi) in quanto è costituzionalmente prevista; in secondo luogo la « misura» della discriminazione (che non potrebbe essere omessa se la costituzione la prevede) non può che essere rimessa alla valutazione del legislatore ordinario. (59) FOis, Princìpi costituzionali e libera manifestazione de/pensiero, cit., 244 s. (lettera b). 22. Foro amministrativo - Parte I (1978). 338 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 Un mezzo assai semplice è la parola in una comùnicazione bilaterale a distanza ravvicinata; a ben vedere, la parola non è un mezzo direttamente derivabile dall'attrezzatura biologica dell'uomo, ma è la combinazione tra questa e un veicolo determinato, l'aria agitata dalle vibrazioni degli organi vocali. In questo caso non possono emergere problemi di diseguaglianza sostanziale nell'uso del mezzo, perchè esso è infinitamente utilizzabile da tutti gli uomini. La stessa parola, quando si inserisce in un sistema « plurilaterale » di comunicazione (si pensi a un convegno, un'assemblea) assume connotazioni più complesse, assorbendo nella sua sfera di estrinsecazione altri beni (locali, microfoni etc.). Lo stesso vale nel caso di comunicazioni bilaterali a distanza (telefono, telegrafo, etc.). Se poi, all'interno della diffusione plurilaterale del pensiero, si distinguono i mezzi in relazione alla loro utilizzabilità o meno per la comunicazione con una generalità indeterminata di cittadini, il «pubblico», (radio-tv, stampa, cinema etc.) è evidente la rilevanza dei problemi di scarsità e di costo del mezzo (60). L'art. 21 non può essere razionalmente interpretato nel senso di imporre una uniformità nella conformazione giuridica del diritto concreto di libertà indipendentemente dalla natura storica, tecnica ed economica di ogni singolo mezzo. Se la ragione dominante della creazione costituzionale della sfera esteriore della libertà sta nella sperequazione socioeconomica tra i cittadini, la sua attuazione non può che variare, essere graduale a seconda della raggiungibilità economico-sociale di ogni mezzo da parte delle classi subalterne. In sostanza, l'attuazione della sfera esteriore della libert~ di manifestazione del pensiero non può che risultare dalla creazione di tanti istituti di libertà (cioè di tante conformazioni giuridiche particolari) quanti sono i mezzi, adeguando la disciplina di ogni mezzo al dettato generale della costituzione. Mentre la costituzione fissa nell'eternità giuridica le due sfere della libertà, gli istituti concreti di libertà di manifestazione del pensiero sono storici, cioè non immutabili (e dunque elastici) perchè i mezzi di diffusione che costituiscono il loro oggetto sono storicamente e tecnologicamente determinati dal grado di sviluppo della struttura economica ( 61 ). Il soggetto costituzionalmente individuato cui spetta la funzione di introdurre gli istituti di libertà di divulgazione del pensiero è la « Repubblica » intesa nell'ampia accezione di « complesso delle forze cui la costituzione riconosce poteri suscettibili di concorrere alla realizzazione della finalità prescritta » dall'art. 3, comma 2, cost. (62). 4. Libertà economiche, diritto di Livulgazione e mezzi di manifestazione del penuna sfera esteriore della libertà di diffusione siero. - La creazione costituzionale del pensiero non implica necessariamente l'esclusione delle libertà economiche sui mezzi di divulgazione, ma solo la separazione tra gestione tecnica-economica e uso dei I ( 60) Questi « problemi • non sono che espressione fattuale della fattispecie giuridica degli « ostacoli economici e sociali" alla eguale libertà di fatto dei cittadini (art. 3, cpv., cost.). L'efficacia« interpretativa »dell'art. 3,cpv. (PALADJN, Eguaglianza, inEnc. dir., vol. XIV, 546) applicata nei confronti dell'art. 21, fa 11caturire da tale norma diritti soggettivi di tutti all'uso dei mezzi, indipendentemente dai rapporti econo~ci preesistenti sugH stessi. ( 61) Coglieva la natura storicistica dell'interventò sociale a livello di mezzi di divulgazione chi affermava che allo stato attuale della tè.:niea può accadere· che vi siano dei « mezzi per i quali siano inevitabili scelte dei pensieri da manifestare o da diffondere, poicbè molti sarebbero coloro che vorrebbero giovarsi del mezzo e pochi possono essere gli eletti» (Esrosrro, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., 30). L'avvertimento, dopo venti anni, resta ancora valido: Aggiungeva l'autore che« il problema non può risolversi in base ad alllfatte argoment!!Zioni, ma solo in modo contingente e spesso individuato dalla natùta stessa del mezzo: E le soluzioni èrtate potrèbbero dirsi solo inopportune, ma: non mai viziate da illegittimità costituzionale» (op.cit., 30-31). Occorre peraltro -aggiungete che mentre da: un lato le « scelte » sono vincòlate da espliciti riferimenti · costituzionali, dall'altro le « astratte argomentazioni » sono pur necessarie, se tendono alla individuazione delle concrete garanzie costituzionali della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero. (62) Mo:RTATI, Istituzioni, II, 1976, cit., 1034. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 339 mezzi, e la sottrazione del secondo, cioè del diritto alla divulgazione, alla sfera del potere privato. La costituzione (art. 3, comma 2, e 21, comma l) destina llitettamente ad uso sociale (conformazione ·della sfera esteriore della libertà di .manifestazione del pensiero) le potenzialità divulgative dei mezzi di comunicazione (di massa) ma non vieta l'esercizio economico~tecnico dei mezzi stessi da parte di imprese, attraverso l'applicazione delle regole contenute negli art. 41 ss. La realizzazione dell'eguaglianza sostanziale nella diffusione del pensiero può attuarsi attraverso l'appropriazione privata di un mezzo di diffusione e del potere di usarlo privatamente solo quando esistono tanti mezzi di quel genere quanti sono i titolari della sfera esteriore della libertà di manifestazione. del pensiero. In ogni altro caso in cui vi sia un rapport-o di scarsità tra mezzo e titolari del diritto di fruirne, la -fruizione del mezzo (l'attività di divulgazione) è necessariamente staccata dal potere economico privato sul mezzo stesso (63). Solo muovendo da questa scissione si riesce a motivare l'opinione secondo cui l'art. 21 cost. non tutela affatto l'impresa di gestione dei mezzi di divulgazione, intesa come « attività economica di organizzazione dei mezzi materiali diretti alla divulgazione del pensiero» (64). Le stesse considerazioni valgono a confutare la teoria che distingue tra le imprese che hanno come oggetto l'organizzazione dell'attività di utilizzazione del mezzo di diffusione da quelle relative all'impianto ed esercizio tecnico del mezzo di diffusione materialmente considerato, e aggiunge che per le prime vale « la garanzia costituzionale della libertà di utilizzazione dei mezzi di diffusione » (65). La distinzione riposa su presupposti ambigui e contrastanti con la logica costituzionale. In primo luogo l'orga,nizzazione della divulgazione non è impresa, ma conformazione storicamente determinata dalle forze della « Repubblica » del diritto costituzionale alla sfera esteriore dellalibertà di manifestazione del pensiero (66). In secondo luogo, occorre distinguere tra organizzazione della propria divulgazione ed organizzazione di ogni divulgazione (anche altrui) del pensiero attraverso un determinato mezzo, per cogliere l'ambiguità profonda dell'opinione suesposta. Infatti, l'attribuzione di tutela costituzionale ex art. 21 al secondo tipo di organizzazione della -divulgazione, equivale a riproporre la teorica dell'appropriazione privata dell'uso dei (63) In sostanza, mentre l'art. 21 tutela la sfera esteriore come diritto di oso e non diritto di proprietà o di impresa sui mezzi scarsi (cfr. supra nota 50), l'art. 41 tutela l'attività di gestione tecnica e non l'attività di divulgazione (cfr. in fra, in questo paragrafo). Attività di divulgazione e diritto di uso sono espressioni coincidenti (equivalgono alla sfera esteriore della libertà di espressione) e in nessun caso (salvo quello dell'illimitatezza e della totale disponibilità del mezzo) possono corrispondere all'appropriazione privata del potere di organizzare la divulgazione attraverso i mezzi (scarsi) di comunicazione. (64) CHBU, Manifestazione, divulgazione etc., cit., 685; CRISAFULU, Problematica della libertà di informazione, cit., 296. L'attività di gestione tecnica del mezzo trova, come si è già rilevato, garanzia nel solo art. 41 cost.: BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, ci t., 44 ss.; Fors, Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radio televisivo, cit., 1144; EsPosiTO, La libertà di manifestazione etc., cit., 23 ss.; CHBU, op. ·toc. cit. (65) Fms, Libertà di diffusione etc., cit., 1160 ss.; ID., Propaganda elettorale etc., cit., 957 ss. L'autore estende, con riferimento al settore radiotelevisivo, ma argomentando con considerazioni di ordine generale, la gannzia dell'art. 21 cost. alle «imprese di programmazione » (distinte da quelle di gestione tecnica) dell'uso del mezzo. In senso critico PIBRANDRBI, Radio, televisione e Costituzione, in Scritti di diritto costituzionale, Il, Torino, 1964, 554, 559. Cfr. anche supra note 8 e 50. (66) In uno scritto più recente di F01s (La natura dell'attività radiotelevisiva, ci t., 44 7) ìl termine « impresa » scompare e viene sostituito con la parola « attività di diffusione del pensiero (preparazione " trasmissione " di programmi di vario contenuto) » (op. loc. ult. cit. ). Il mutamento di terminologia non implica evidentemente il venir meno della critica svolta nel testo. Se (cfr. supra paragrafo 2) il diritto della sfera esteriore della libertà è eterodeterminato, secondo il grado di sviluppo della tecnica e dell'economia, dalla « Repubblica », ne deriva che l'organizzazione della divulgazione non può essere (costituzionalmente tutelato come) oggetto di potere privato. 340 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 mezzi: il privato che organizza l'altrui manifestazione del pensiero ha di fatto un potere di scelta dei soggetti da ammettere alla divulgazione, nonchè di direzione e controllo sui contenuti della divulgazione, inconciliabile sia col diritto alla sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero, sia con il potere di autodeterminazione dell'oggetto, cioè dei contenuti, della diffusione, derivante dal diritto alla sfera interiore, che si sostanziano entrambi nel diritto alla autogestione della divulgazione (organizzazione della divulgazione propria) nell'ambito della conformazione (o eterodeterminazione) pubblica delle modalità storiche e giuridiche di partecipazione di tutti al potere di divulgare le idee (67). In sostanza l'art. 21 si limita ad attribuire a tutti il potere di usare i mezzi per divulgare la propria idea e pertanto· esclude che vi possa essere un diritto di pochi di organizzare le divulgazioni. D'altra parte, come vedremo meglio in seguito, l'art. 41 dichiara libera l'iniziativa economica privata, e dunque riconosce un diritto di impresa anche nel settore dei mezzi di divulgazione, ma non contiene il diritto di organizzare la divulgazione attraverso i beni che costituiscono l'azienda. Una diversa interpretazione, tendente a costituzionalizzare il binomio diritto di impresa-organizzazione della divulgazione, contrasterebbe con il disegno costituziona.Ie che respinge ogni controllo privato sui diritti di uso dei mezzi di estrinsecazione delle libertà (68). (67) In riferimento alla stampa, è stato autorevolmente sottolineato come l'effettività del diritto di uso dei mezzi per divulgare autonomamente il pensiero, « realizzerebbe l'optimum in materia » (MORTATI, Istituzioni, II, 1976, cit., 1078). (68) Non contrasta con quanto si è affermato la disciplina costituzionale della stampa (art. 21 commi 2, 3, 4; 5). In primo luogo si può osservare che tale disciplina assume un aspetto espansivo, di« favor »,quando si occupa della manifestazione del pensiero tramite la stampa (art. 21, commi 2, 3, 4) e diventa drasticamente restrittiva nella parte in cui prende in considerazione l'impresa di gestione tecnico-economica dei mezzi (art. 21, comma 5). Inoltre. si è rilevato acutamente come la disciplina della divulgazione mediante la stampa non è che la riaffermazione del generale principio dì cui al comma l art. 21, e si giustifica con la considerazione che la stampa, al momento della elaborazione della costituzione, rappresentava « il mezzo di diffusione più potente ed incisivo » (LuCATELLO, Sul V comma dell'art. 21 della Costituzione, in Arch. giur. 1977, 9; MoRTATI, Istituzioni, II, 1976, cit., 1071). Determinante sembra comunque l'osservazione che i commi 2, 3, 4, 5 art. 21 permettono la distinzione tra impresa dì gestione tecnica e attività dì divulgazione, e l'esclusione della prima dall'ambito della tutela delle stesse norme (in termini generali cfr. CHEU, Manifestazione, divulgazione ed esercizio di attività economiche etc., cit., 685). A ben vedere, quando il comma 2 dell'art. 21 sancisce che« la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure »va evidente riferimento ai contenuti del messaggio stampato, e non all'impresa di gestione tecnica, mentre quando nel comma 5 dello stesso articolo si consente. alla legge di imporre la pubblicizzazione dei mezzi di finanziamento della stampa periodica, la norma si rivolge all'impresa, cioè al momento tecnico economico di approntamento del mezzo; a riprova di quest'ultima affermazione si consideri che « tale facoltà non è conferita al legislatore dalle norme in qJiestione, rientrando essa nella sfera generale di competenza attribuitagli dalla costitu" zione • (LucATELLO, op. cit., 7). Ma, quali specifiche norme della costituzione attribuiscono al legislatore questa generale facoltà? L'unica risposta plausibile è: l'art. 41. Confermano altreslla tesi suesposta le opinioni che ritengono ammissibili la nazionalizzazione, ex art. 43 cost.; delle imprese editoriali (MORTATI, Istituzioni, II, 1976, cit., l 078; Esrosrro, La libertà di manifestazione del pensiero etc., cit., 27 nota 59). Ammessa dunque anche nel caso della stampa l'esclusione dell'impresa di gestione tecnico-economica del mezzo dalla tutela dell'art. 21, le considerazioni del testo valgono evidentemente anche in ordine alla divulgazione del pensiero a mezzo stampa (inteso non in senso ~enerale, comprensivo del giornale murale, volantinaggio in genere di ogni mezzo di facile acquisibilità tecnica ed economica, ma .nell'accezione di strumentazione il cui assetto tecnico-economico da un lato è caratterizzato dalla concentrazione del potere di gestione in mano a gruppi ristretti e dall'altro assume la caratteristica di mezzo di comunicazione di massa; in argom. cfr. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., 61 s.). -Quanto detto non implica che debba necessariamente essere attuato lo strumento della nazionalizzazione, ma solo che, anche perla stampa, il potere di organizzare la divulgazione non è costituzionalmente attribnito (né dall'art. 21 né dall'art. 41) al titolare dell'impresa editoriale (al« proprietario»). Sni problemi attuali del settore .cfr. BARILE, op. loc. ult. cit. (i11i citazioni); MAcCHITELU, Verso la riforma della stampa periodica, in 11 dir. delle radiodiff. e telecom. 1977, 17 ss.; CHBU, Potere;politico, giornalisti· e crisi della stampa,il'i 197 5, 393 ss. ;.PACE, Comunità giornalistica e impresa editoriale ,ivi 197 5, 417 ss. (iVi citaz. ). In particolare NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 341 La costituzione « conforma » le libertà economiche inerenti ai mezzi di esercizio della libertà di espressione, staccando dal loro contenuto la facoltà di divulgare (o di organizzare la divulgazione di) idee, e attribuendo tale facoltà ai titolari della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero. Ne deriva, in primo luogo, la costituzionalità di ogni intervento della « Repubblica » sull'organizzazione della divulgazione in riferimento a qualsiasi mezzo, purchè questo non sia già accessibile a tutti. Più precisamente, il parametro per valutare la costituzionalità di tali interventi non può farsi derivare dalle norme poste a tutela delle libertà economiche. Peraltro, l'intervento della « Repubblica » può considerarsi conforme alla costituzione solo quando, nel predisporre l'organizzazione della divulgazione, cioè i diritti della sfera esteriore della libertà di espressione, espande le possibilità sociali di utilizzazione dei mezzi (69). In secondo luogo, al titolare del mezzo di divulgazione di massa la costituzione non attribuisce nessuna situazione giuridica soggettiva attiva in ordine all'uso del mezzo; anzi, se si accoglie l'ipotesi dell'esistenza, in capo a soggetti determinati, di di~ ritti costituzionalmente creati di uso dei mezzi di estrinsecazione delle libertà, al titolare del mezzo dovrà essere correlativamente attribuita una situazione soggettiva passiva, come risvolto dei menzionati diritti (70). In definitiva, ogni intervento pubblico di organizzazione della divulgazione attraverso i mezzi esistenti in un determinato momento storico non ha nulla a che fare con il sistema delle libertà economiche, di cui agli art. 41 ss. cast., che contengono diritti di gestione tecnico-economica dei mezzi di divulgazione, manipolabili tramite le strumentazioni offerte dalle stesse norme che li pongono in essere. Come si è rilevato, la confm;mazione della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero (alias: l'organizzazione della divulgazione) dipende dalla peculiarità tecnico-economica di ciascun mezzo di comunicazione; pertanto non può pensarsi di trovare in costituzione la disciplina dettagliata delle varie forme di divulgazione. Sono peraltro possibili alcune considerazioni di carattere generale, conseguenziali rispetto al discorso finora svolto. Innanzitutto si può rilevare che la programmazione della divulgazione da parte del potere pubblico, trovando fondamento negli art. 3, comma 2 e 21, e non nell'art. 41, comma 3, cast., deve necessariamente considerarsi vincolante per tutti i soggetti ai quali si rivolge, in particolare per i titolari di libertà economiche sui mezzi di divulgazione. Questo non significa che in presenza di una programmazione della divulgazione quest'ultimo autore si pone il problema del diritto di accesso alla stampa, correttamente derivandone l'esistenza da una lettura congiunta dell'art. 3, comma 2, cost. e ( « in positivo »)dell'art. 21 cost. (op. cit., 427). Pace afferma che se il diritto di accesso« non sembra trovare ostacolo quanto ai periodici in mano pubblica » (op. ci t. 421 ss.) presenta difficoltà rispetto a quotidiani e riviste di proprietà privata» (427 ss.). Questa impostazione di Pace risente della configurazione corrente del diritto di accesso come situazione di pretesa derivante dalla natura pubblica dei rapporti di potere sul mezzo (ad es. imprese nazionalizzate etc.). Se, invece, l'emergenza del diritto di accesso venisse individuata nella scissione tra titolarità (potere privato) sul mezzo e diritto di organizzare la divulgazione (cfr. supra paragrafi 2 e 3, questo paragrafo, e in fra paragrafo 5 in fine) non sorgerebbero problemi di differenziazione tra mezzi gestiti (in via diretta o indiretta) dalla mano pubblica e mezzi soggetti al potere economico privato. (69) In altri termini, poichè la costituzione non tutela nessun potere privato sui mezzi scarsi di comunicazione di massa, le « forze della Repubblica », nell'ambito delle loro specifiche competenze, possono contribuire a organizzare la divulgazione, ma solo espandendo il diritto della sfera esteriore della libertà. In questo senso sarebbe non manifestamente infondata la questione di costituzionalità di una legge che disciplinando il diritto di accesso alla radiotelevisione, non lo configurasse come diritto soggettivo (cfr., Pret. Roma 3 gennaio 1976,.ord. in Giur. merito 1976, III, 89 ss., con nota di S. A. ROMANO, Diritto di·accesso e riforma della Rai), ma non per il contrasto con il combinato-disposto degli art. 21 e 43 cost. (da cui, secondo il Pretore di Roma, ord. cit., e una certa dottrina, su cui cfr. in fra, prg. 5 in fine, deriverebbe il diritto costituzionale di accesso ai mezzi in condizione di monopolio pubblico), ma in quanto contrastante con il diritto della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero, già configurato come diritto soggettivo dagli art. 3, comma 2, e 21 cost (cfr. anche supra, prg. 3 e infra, prg. 5). (70) Cfr. infra, prg. 5. 342 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 al titolare delle libertà economiche non sia consentito di diffondere il suo pensiero con i mezzi di sua proprietà (o inerenti alla sua azienda): l'imprenditore e il proprietario sono, alla stregua di tutti gli altri cittadini, titolari di un diritto della sfera esteriore della libertà di manifes.tazione del pensiero, ma in quanto cittadini e non in quanto proprietari o imprenditori. Essi, come gli altri cittadini, possono partecipare all'uso del mezzo, nelle forme e con le modalità previste dalla programmazione pubblica della divulgazione, la .quale, posta la separazione tra il diritto di divulgare e quello di impresa (o di proprietà) sui mezzi di divulgazione, non può essere rapportata alle libertà economiche (ex art. 41 ss.) ma risponde soltanto nei confronti del diritto della collettività (ex art. 3 .comma 2 e 21, cost.). La possibilità di una programmazione vincolante della divulgazione del pensiero non esclude che le imprese di gestione tecnico-economica dei mezzi di espressione possano essere assoggettate ai programmi e. controlli di cui all'art. 41, comma 3', cost., i quali possono rivelarsi necessari per impedire che le tecniche di gestione organizzativa ed economica si pongano, di fatto, in contrasto con la programmazione della divulgazione, ma anche a fini di sostegno delle imprese stesse, attraverso la creazione di un sistema di incentivi che possa eliminare le inevitabili ripercussioni negative della programmazione della divulgazione sull'economicità della gestione e, contemporaneamente, sganciare le imprese (specie quelle di piccole dimensioni) dai controlli monopolistici del capitale privato e dal ricatto pubblicitario (71 ). È appena il caso di rilevare che le libertà economiche aventi per oggetto mezzi di divulgazione, sono sottoposte a tutte le altre strumentazioni di intervento pubblico nell'economia. L'applicazione dell'istituto· della funzione. sociale della proprietà può risultare estremamente valida per certi beni il cui uso non implichi attività sussidiarie rilevanti (ad es., luoghi di riunione), mentre quando riguarda beni inseriti in una organizzazione complessa si rivela inutile, in quanto la funzionalizzazione della proprietà dei mezzi di comunicazione può considerarsi implicita ogni qualvolta sia funzionalizzata l'impresa, il potere di direzione e gestione dell'organizzazione di capitale e lavoro che costituisce il «mezzo» (72). Più complessa è la problematica sollevata dal confronto tra il concetto generico di impresa di divulgazione e l'art. 43 cost. (73). È .opportuno innanzitutto precisare che non può assolutamente essere compresa nella sfera di applicabilità di tale norma l'attività di « organizzazione della divulgazione », sia in quanto non è attività di impresa sia in quanto deve considerarsi già riservata ai soggetti della «Repubblica». In altri termini, la legittimazione della titola(71) D'altra parte, come vedremo più diffusamente, in fra prg. 9, il sistema delle incentivazioni può risultare efficace per la creazion'" di spazi di accesso anche ln assenza di una legge di programmazione vincolante della divulgazione, ma solo nella misura in cui l'elargizione dell'incentivo sia condizionata da questo risultato. In questa ottica tutte le agevolazioni finora concesse al settore della stampa sono risultate « manciate di spiccioli » inadeguate rispetto all'ampliamento degli spazi di libertà di accesso, mentre i contributi da elargire (cfr. il testo del progetto unificato di riforma dell'editoria 7luglio 1977, art. 21 ss.) hanno come modesto (e discriminatorio) pendant una piccola norma transitoria (art. 40 del progetto) la quale dispone che « nel termine· di un anno dall'entrata in vigore della presente legge la Commissione nazionale per la stampa di cui al precedente art. 11 sottoporrà al Governo indicazioni e proposte per una eventuale regolamentarione legislativa del diritto di accesso dei partiti rappresentati nelle assemblee elettive, ai quotidiani ammesSi ai benefici di cui all'art. 21 delhi presente legge ». Malgrado la logica riduttiva, discriminatoria (e !attizzatrice) rispetto alle formazioni sociali diverse dai partiti, questo progetto di norma è senza dubbio innovativo e positivo, nella misura in cui prefigura un'interpretazione costituzionale funzionalizzatrice della stampa ris!Jetto.alla sfera esteriore· della libertà di espressione. (72) Sulla funzibne sociale della propriètà. cfr. CAVALLO, Lezioni, 2, La disciplina costituzionale, cit., 26 ss., e gli .autori citati nelle schede bibliografiche (del sottoscritto), ivi, 173 ss. (73) Sulla problematica della nazionalizzazione cfr. CAVALLO, op.,ult. cit., 71 ss. (ivi bibliogr., 183 ss.). NOTE, RASSEGNE E DOCUMEN'fAZIONE 343 rità pubblica dell'attività in questione non va ricercata nell'art. 43 ma negli art. 3 comma 2 e 21 cost. L'àmbito di .applicazione dell'art. 43 si restringe dunque alle imprese di divulgazione, intese nel senso, più volte ricordato, di gestione economico-tecnica dei mezzi di comunicazione. In via generale si può rilevare che la riserva di legge rende praticamente inutili preventive classificazioni di ordine economico-tecnico delle imprese del settore dell'informazione potenzialmente nazionalizzabili. In ogni caso, il carattere di servizio pubblico essenziale (anche a prescindere dalla: discrezionalità legislativa a riguardo) non potrebbe negarsi ad attività, quali quelle di gestione economico-tecnica dei mezzi di divulgazione del pensiero, che sono il sostrato della· realizzazione sostanziale della sfera esteriore della libertà di espressione (7 4 ). Il fine ·dì utilità generale e la simmetrica condizione del preminente interesse generale esprimono una medesima valutazione costituzionale: l'apertura delle imprese nazionalizzabili (e nazionalizzate) a una generalità indeterminata di consumatori (75). (74) Valutazioni precise, peraltro, vanno fatte caso per caso (CAVALLO, op. ult. cit., 81 s.), in relazione a ogqi singola categoria di mezzi. Sono contro la nazionalizzazione della stampa CuoMo, Libertà di stampa e impresa giornalistica, Napoli 1956, 284; e gli autori citati da BARILE, Libertà di manifeswzione de/pensiero, cit., 66 nota 49. Ne ammettono la possibilità, ma hanno dubbi sulla sua opportunità, MoRTATI, Istituzioni, II, 1976, cit., 1078; EsPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., 27 nota 59; BARILE, op. ult. cit., 65. Sulla nozione di servizio pubblico cfr. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova 1964, in p art. 136 ss.; GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1977, 137 ss. Sulla discrezionalità del legislatore nella valutazione dell'essenzialità del servizio pubblico cfr. GuARINo, Scritti di diritto pubblico dell'economia (prima serie), Milano 1962, 230. Si potrebbe obiettare che tale interpretazione della riserva di legge consentirebbe la nazionalizzazione dì qualsiasi impresa, legittimando una« collettivizzazione integrale e vanificando il comma l art. 41 cast. » (EsPOSITO, La Costituzione italiana, cìt., 184 ss. ). Peraltro sembra decisiva la risposta secondo cui l'art. 41 stesso condiziona la libertà di iniziativa economica privata, stabilendo che essa non può svolgersi contro l'utilità sociale, e, inoltre, che • la gestione delle imprese collettivizzate può venire affidata a privati, forniti del potere di iniziativa nei limiti dei programmi e controlli posti dall'ente proprietario » (MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Il, Padova 19"69, 1017 ss.; l'autore ha cambiato opinione di recente: cfr. Istituzioni, Il, 1976, cit., 1122). Un argine alla collettivì;zzazione integrale peraltro esiste, e risulta dall'elemento dì fondo di cui sono intrise tutte le norme della « costituzione economica »; sì tratta di un elemento forse non tanto giuridico-formale quanto politico e ideale, e che deriva dalla natura di società transitoria, di regime di economia mista della società prefigurata nella Carta costituzionale (CAVALLO, Lezioni, 2, La disciplina costituzionale, cit., 15), che vuole un • dialogo» tra libertà politica, economica e sindacale, come regola di « coesistenza » ed espressione di « quel pluralismo ... che informa di sè la nostra Carta costituzionale » (GALGANO, La libertà di iniziativa economica privata nel sistema delle libertà costituzionali, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, dir. da F. Galgano, l, La Costituzione economica, Padova 1977, 530). (75) n« preminente interesse generale», malgrado una autorevole ma isolata opinione (GUARINO, Scritti, cit., 233 ss.) non possiede valore autonomo, in quanto è da considerare iniplicito nella« natura» delle tre categorie elencate dall'art. 41 (SPAGNUOLO VrGORITA, L'iniziativa economica privata nel diritto pubblico, cit., 302; PREDIERI, Collettivizzazione, in Enc. dir. vol. VII, 419; CAVALLO, Lezioni, 2, La disciplina costituzionale, cit., 80), o« superato » dalla più ampia previsione dei « fini di utilità generale » (MoTZO-PIRAs, Espropriazione e « pubblica utilità », in Giur. cost. 1959, 209; CAVALLo, op. ult. cit., 79). La individuazione dell'utilità generale, secondo alcuni, è rimessa alla discrezionalità del legislatore (SPAGNUOLO VIGORITA, op. ult. cit., 320); secondo altri,« l'unico valore pratico della locuzione »consiste nell'escludere « le collettivizzazioni dette punitive (di imprese di nemici, di iniprese i cui dirigenti hanno tenuto condotte riprovate dalla coscienza della collettività) » (GrANNINI, Diritto pubblico dell'economia, cit., 136). Peraltro, non può negarsi che l 'interesse riflesso dalla nazionàlizzazione non deve appartenere « a soggetti determinati o determinabili, ma a vaste collettività sociali; non a una parte corporativa della popolazione ma a « tutti »,nel senso che l'utilizzazione dei beni e dei servizi dell'impresa nazionalizzata è aperta all'insieme dei soggetti che ne hanno bisogno » (CAVALLO, op. ult. cit., 79-80). Sull'ammissibilità del ruolo politico della Corte costituzionale in ordine aile temati che della nazionalizzazione cfr. CAVALLO, op. ult. cit., 81 s. Cfr. anche, in vario senso, Fors, «Riserva originaria e riserva di legge nei princìpi economici della Costituzione, in Giur. cost. 1960, 487 ss.; MOTZO-PIRAS, op.cit., 209; PALADIN, Il sindacato della Corte costituzionale sull'« utilità» delle leggi, in Giur. cost. 1964, 144 ss. In termini generali, sulla sindacabilità dell'eccesso di potere legislativo cfr. MoDUGNO, Legge (vizio della), in Enc. dir., vol. XXIII, l 031 ss. e gli autori ivi citati. 344 FORO AMMINISTRATIVO; 1978 Pertanto, non v'è dubbio sulla possibilità di collettivizzazione dei mezzi di comunicazione di massa, e di tutto il processo produttivo che li riguarda, indipendentemente dal loro carattere « locale » o « nazionale » (76). Questa distinzione rileva probabilmente nel momento della scelta dei soggetti destinatari delle imprese collettivizzate: nel caso di mezzi di divulgazione a raggio nazionale il soggetto attivo potrebbe essere lo Stato, mentre le imprese a carattere locale dovrebbero essert< riservate o trasferite a enti, individuati dalla estensione del mezzo (es. regionale, comunale, circoscrizionale) oppure, forse con maggiore coerenza rispetto alla prospettiva partecipativa del comma 2 dell'art. 3, a comunità di utenti, promosse e costituite secondo il principio cooperazionistico, e i criteri previsti dall'art. 45 cost. (77). 5. Problematica dell'azionabilità diretta della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero. - Problemi particolarmente delicati sorgono in tema di funzione della giurisdizione in ordine all'attuazione del diritto concreto di libertà di espressione, in assenza di una legge di programmazione della divulgazione. Le recenti e composite dottrine sui cosiddetti interessi diffusi e sulla loro tutela giurisdizionale, pur avendo generalmente fissato la loro attenzione su settori eterogenei rispetto alla tematica del nostro studio, offrono Io spunto per qualche considerazione di ordine generale (78). In primo luogo esse si muovono in genere su un terreno caratterizzato dall'assenza di norme ordinarie specifiche, e, di conseguenza talora attingono gli elementi per la configurazione degli interessi diffusi direttamente da norme costituzionali, che, sul piano processuale, vengono intese come una delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione. Di qui un primo elemento di analogia: anche la nostra tematica muove dall'inesistenza di norme ordinarie, e deve pertanto affrontare il problema della diretta applicabilità nei rapporti interprivati del diritto costituzionalizzato all'uso dei mezzi di divulgazione (79). La Corte costituzionale ha ritenuto che l'accertamento della sussistenza dei fini \li utilità generale nelle leggi di nazionalìzzazione sia compresa nella sua sfera di competenza (sent. 7 marzo 1964 n. 14, in Giur. cost. 1964, 129 ss. con nota. critica di PALADIN, Il sind4cato etc. cit.) autoiniponendosi una serie di limitazioni di giudizio le quali, in realtà, sono talmente elastiche e vaghe da risultare prive di un effettivo valore di auto-restrìzione (ad es.: «-bisogna che risulti che l'organo legislativo non abbia compiuto un apprezzamento di tali fini e dei mezzi per raggiungerli, o che questo apprezzamento sia stato inficiato da criteri illogici, arbitrari, e contraddittori ... » ); queste proposizioni, aprendo lo spazio per ogni possibile interpretazione, riconfermano la natura politica delrintervento della Corte (CAVALLO, op. loc. ult. cit. ). Per una critica di questo ruolo, specie in riferimento a parametri costituzionali elastici quali « l'utilità generale » c l'utilità sociale » i « fini sociali »cfr. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna 1977, in part. :366 ss., 3-74 ss, Cfr. anche infra, paragrafo 6. (76) SPAGNUOLO-VIGORITA, L'iniziativa, cit., 320. (77) Sull'opportunità di rapportare la formula cooperazionistica ai modelli imprenditoriali non eccedenti la picçola o media dimensione cfr. CAVALLO, op. ult. cit., 160. Sul concetto di « comunità di lavoratori o di utenti » come.espressione del principio cooperativo cfr. CARBONI, Struttura cooperativa e funzione mutualistica (ed. provv.), Teramo 1977, 35 ss. e gli autori ivi citati. (78) Sulla tematica degli interessi diffusi cfr. Le azioni 4 tmela degli interessi collettivi, Atti del Conv. di studio (Pavia 11-12 giugno 1974), Padova 1976; La tmela degli interessi diffusi nel diritto comparato, Contributi originali di ALPA, ARENA, BAJNO e altri autori, raCcolti a c.. di A. Gambaro, Milano 1976. (79) Il problema si pose concretamente in-una sentenza del Tribunale di Roma del12 marzo 1969 (in Giur. merito 1969, III, 188 ss.) che decise la domanda, presentata.dal Partito nazionale monarchico contro la RAI, di risarcimento dei danni derivati dalla ripetuta esclusione del PNM dalla partecipazione alle trasmissioni di « Tribuna politica» e« Tribuna elettorale ».Il Giudice decise l'improponibilità della domanda per carenza di legittimazione passiva della RAI. Tale carenza venne des~tn,ta dal fatto che « non è attualmente identificabile nel nostro ordinamento un diritto soggettivo che conse.n.ta a chiunque .di accedere al mezzo radiotelevisivo per manifestare il proprio pensiero». In dottrina, hanno sostenuto l'applicabilità automatica del diritto,di uso dei mezzi radiotelevisivi F01s, Libertà di diffusione e monopolio radiotelevisivo, cit., 1168; BARBERA,« Tribuna politica »e« Tribunale elettorale »davanti ai giudici, in Giur. merito 1969, III, 192. Contra, CARErn-ZACCARtA, Diritto di accesso e legittimità costituzionale del NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 345 Un'autor~vole giurisprudenza ha di recente riconosciuto l'esistenza di un diritto soggettivo (individuale) alla salute ex art. 32 cost., e, applicando direttamente la norma costituzionale, ha dichiarato l'ammissibilità della tutela giurisdizionale di quel diritto (80). Pertanto, in astratto, una volta ammessa l'esistenza di un diritto costituzionalizzato alla sfera esteriore della libertà di espressione, non vi sono argomenti per differenziare il suo trattamento (processuale) da quello del diritto alla salute. Peraltro, se non vi sono dubbi sùlla qualificazìone del diritto alla sfera esteriore come diritto soggettivo, occorre aggiungere che, mentre la sua titolarità è individuale, il suo esercizio, in caso di scarsità dei mezzi di divulgazione, non può che essere collettivo; pertanto l'interesse ad agire, in questo momento storico, appartiene a entità collettive socialmente rilevanti, alle quali la costituzione attribuisce interessi omogenei (sindacati, partiti, confessioni religiose, enti locali). Si può dire che questo « esercizio collettivo » sia in sostanza un diritto soggettivo, il cui titolare è l'ente esponenziale della somma dei diritti individuali di libertà concreta di espressione? La risposta positiva a questa domanda permetterebbe di uscire dalla tematica degli interessi diffusi e dalla difficoltà di concretizzazione della loro tutela giurisdizionale (81). Infatti, se si ammette che la costituzione attribuisca un diritto di uso dei mezzi di divulgazione direttamente al «gruppo» è inevitabile l'analogia con la situazione del diritto alla salute dei- singolo, in quanto il gruppo sarebbe esso stesso un singolo, il cui diritto di uso dei mezzi di divulgazione gli è attribuito dalla costituzione in funzione strumentale all'esercizio (storicamente impossibile a livello individuale) del diritto concreto di libertà dei soggetti che fanno parte del gruppo (82). Considerando la disciplina costituzionale dei partiti politici e delle confessioni religiose si nota come in entrambi i casi sia possibile un aggancio diretto alla normativa della sfera esteriore della libertà di espressione: l'art. 19 riconosce a tutti il diritto di fare propaganda « in forma individuale o associata » della propria fede religiosa; poichè la propaganda religiosa è manifestazione del pensiero essa ricade sotto la tutela dell'art. 21, anche quando si svolge in forma associata (83). Pertanto alle associazioni religiose va riconosciuta la titolarità dei diritti, derivanti dalla doppia sfera, interiore ed esteriore, della libertà di espressione. D'altra parte, i partiti politici, per « concorrere a determinare con metodo democratico la politica nazionale» (art. 49, cost.) devono necessariamente divulgare idee, notizie, proposte. Anche la propaganda politica è manifestazione del pensiero, e dunque anche il partito è soggetto titolare delle due sfere di libertà di espressione (84). monopolio radio televisivo alla luce della riforma Rai-tv, in Foro it. 1970, l, 2615 ss.; BARILE, Relazione, in Libertà di espressione e organizzazione radiotelevisiva, cit., vol. Il, 30 s. (80) Cass., sez. un., 21 marzo 1973 n. 796, in questa Rivista 1974, I, 26 ss.; sulla portata (fortemente innovativa) della sentenza cfr. BESSONE, ROPPO, Diritto soggettivo alla salute, applicabilità diretta dell'art. 32 cost. ed evoluzione della giurisprudenza, in Poi. dir. 1974, 766 ss.; MONTUSCHI, Commento all'art. 32, comma l, in Comm. cost. a c. di Branca, Rapporti etico-sociali (art. 29-34), Bologna-Roma 1976, 160. (81) Le difficoltà di cui si parla sono principalmente quelle indicate da CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 199 ss., tra le quali, in particolare, il problema della legittimazione e quello degli effetti della pronuncia sulle parti assenti. (82) Il gruppo potrà essere giuridicamente individuato sotto la forma della associazione non riconosciuta (sindacati, partiti etc.) o attraverso la personalità giuridica (es. Università). In entrambi i casi si superano le difficoltà di cui si è detto alla nota precedente, in quanto la sfera esteriore della libertà è costituzionalmente protetta (non come generico interesse) ma come diritto del gruppo organizzato, e non ha riguardo a soggetti ad esso estranei, anche se portatori di interessi analoghi oppure omogenei. (83) Che l'art. 19 cost. sia una espressione e uno sviluppo dell'art. 21 sembra assolutamente pacifico (BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., 20). (84) Anche le norme sui partiti politici sono espressione e specificazione « di altre libertà (come quella di associazione) tra le quali primeggia quella di manifestazione del pensiero (BARILE,op.loc. ult. cit. ). Anche qui, come nel caso della libertà di espressione religiosa si parla del gruppo organizzato (partito) come « soggetto » (collettivo) 346 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 L'individuazione di un raccordo a livello costituzionale tra determinate formazioni sociali e la sfera concreta della libertà di espressione, e del conseguente diritto di tali formazioni (gruppi religiosi e partiti) di usare i mezzi di comunicazione non significa esclusione delle altre formazioni costituzionalmente rilevanti dal godimento di tale diritto.· Al contrario quel raccordo non è che l'espressione di un generale principio in base al quale tutte le formazioni sociali che l'ordinamento giuridico riconosce come rilevanti hanno eguale diritto di accedere ai mezzi di comunicazione di massa. Una diversa interpretazione contrasterebbe inevitabilmente con il principio di eguaglianza formale, la cui appliCabilità ai « gruppi » può considerarsi ormai generalmente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dalla dottrina (85). I soggetti passivi del diritto della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero sono coloro che dispongono dei mezzi di comunicazione. Posto che il diritto in .questione è configurato come un diritto di uso dei mezzi, può sorgere il dubbio se il soggetto passivo abbia l'obbligo di mettere a disposizione solo i beni materiali oppure l'organizzazione complessiva di capitale e lavoro che costituisce il mezzo di espressione. A ben vedere, le forme di uso dei mezzi di comunicazione di massa implicano inevitabilmente prestazioni personali dei titolari e dei loro dipendenti, consumi di energia e altre spese di vario tipo, in quanto l'organizzazione della divulgazione è intimamente legata alla gestione tecnico-economica dei mezzi. Si potrebbe osservare che solo la legge può imporre prestazioni personali o patrimoniali, per cui, in assenza di una norma specifica il diritto di uso di mezzi altrui non comprenderebbe il diritto di pretendere la collaborazione economica e personale del titolare del mezzo e degli eventuali dipendenti. Peraltro, la previsione costituzionale di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, correlativa al riconoscimento dei diritti inviolabili (art. 2 cost.) potrebbe ragionevolmente fondare la teorizzazione della funzionalìzzazione del titolare del mezzo di diffusione del pensiero nei confronti della sfera esteriore della libertà di espressione, e, conseguenzialmente, tutelare coattivamente le pretese degli aventi diritto all'uso del mezzo di prestazioni economiche e personali del titolare, necessarie per la concreta esplicazione del diritto di uso del mezzo stesso (86). Le forme di tutela giurisdizionale di tipo meramente risarcitorio sembrano insufficienti per assicurare una effettiva realizzazione del diritto concreto di espressione (87). Infatti, l'interesse fondamentale degli aventi diritto all'uso del mezzo consiste nella diffusione di determinate idee in precisi momenti storici, trascor.gi i quali la divulgazione delle stesse idee può perdere la possibilità di incidere sui fenomeni sociali cui si riferisce, rendendo impossibile la partecipazione .egualitaria delle formazioni sociali espresse dalle classi subalterne alla direzione politica, economica e sociale dello Stato. della libertà di divulgazione del pensiero, tutelata dall'art. 21 non solo in forma negativa ma anche come diritto concreto di uso dei mezzi di comunicazione di massa. (85) Cfr. Cortei cost. 31 maggio 1965 n. 40, in Giui. cost. 1965, 620, con nota di PALADIN, e Corte cost. 23 marzo 1966 n. 25, in qu~taRivi.fta 1966, I, l, 307, con nota di LARrcciA, Gruppi sociali ed eguaglianza giuridica., i vi, Il, 117 ss. Per stabilire quali .siano le fQmlazioni sociali « eguali » ai partiti e. alle associazioni religiose in ordine alla fruizione della sfera coJWteta <!.ella libertà di manifestazi().ne del pensiero, è necessario evidentemente ricorrere al criterio della rilevanza·costituzionale, In questo senso non possono.essere esclusi i sindacati (art. 39) le assemblee elettiv:e (comune, provincia), le comunità scolastiche (art. 3.3),1e formazioni cooperative (art. 45), le minoranze linguistiche (art. 6), e, in generale, ogni altra formazione sociale riconosciuta esplicitamente dalla costituzione. (86) Sulla-ètematica dei doveri inderogabili cfr, JlAIIBERA, Commento all'art; 2, cit. (ivi bibliografia). (87) Analogo problema si presenta in ordine aiia tutela degli interessi diffusi: cfr. CAPPELLEITI,Appunti etc., in Le azioni a tutela.degli interessi collettivi, cit., 206 s-, 217 ss.; CoSTANTINO, Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi c~lettil!idavanti al, giudice civile, ivi, 229 ss.; in argom. cfr. anche .1\.LPA, BESSONE, CARNEVALE, GmDINJ, in La tutela degli interessi diffusi: nel diritto comparato, cit., 2ti2 ss. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 347 Più efficace risulta, pertanto, l'attivazione dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 ss. c.p.c., della cui applicabilità, ammesse le considerazioni precedenti, non sembra potersi dubitare (88); Quanto si è finora detto, il tentativo di costruire una teoria dell'azionabilità diretta della sfera esteriote della libertà di espressione, riceve vigore e conferma da una consi• derazione di ordine più generale: l'art. 3, comma 2, cost., affida, come si è rilevato, alla « Repubblica » il compito diavanzare sul terreno della democrazia sostanziale nel campo della concretizzazione delle libertà costituzionali. Il « giudice » è senza dubbio una delle « forze » della Repubblica, e pertanto ha il compito di intervenire, nelràmbito dei suoi poteri (applicazione e, soprattutto, interpretazione dell'ordinamento giuridico), allargando fino al massimo consentito da una razionale interpretazione della costituzione la sfera della tutela. giurisdizionale, in funzione della espansione dei diritti concreti di libertà (89). Ammessa l'azionabilità diretta da parte dei gruppi costituzionalmente rilevanti della sfera esteriore della libertà di espressione, permangono tuttavia alcuni dubbi. In particolare, in presenza di una pluralità di domande di uso dello stesso mezzo nello stesso momento, a quale di esse dovrà darsi la priorità? a chi competono le decisioni sui problemi di priorità, sui tempi e le modalità di uso del mezzo? Non sembrano applicabili in via estensiva a tutti i mezzi di divulgazione le disposizioni degli art. 4 e 6 l. 14 aprile 1975 n. 103, relative ai poteri e alle competenze della commissione parlamentare per l'indirizzo e la. vigilanza del servizio radiotelevisivo e della relativa sottocommissione per l'accesso, data la specialità delle attribuzioni di questi organi. L'applicazione estensiva è ammissibile invece per l'art. 6, comma l, l. n. 103 cit., che individua sia il minimum di spazio da riservare all'uso sociale. del mezzo, sia i gruppisociali aventi diritto all'accesso, in quanto la norma non è che una particolare specificazione delle previsioni generali già contenute in costituzione (90). È possibile un sindacato giurisdizionale sull'organizzazione privata della divulgazione posta in essere, in assenza di regolamentazione legislativa, direttamente dai titolari dei mezzi di manifestazione del pensiero? Per rispondere alla domanda occorre innanzitutto rilevare che l'attività del privato diretta a stabilire la quantificazione degli spazi di divulgazione e a selezionare le domande di uso del mezzo non è libera ma deve· intendersi vincolata, sia in ordine al minimum di spazio da riservare all'accesso dei gruppi (91 ), sia dai principi della scalarità dei valori delle varie forme di espressione e della parità di trattamento dei gruppi legittimati costituzionalmente a richiedere l'uso del mezzo (92). In particolare, la connessione dei principi appena menzio(88) lnfatti, il procedimento d'urgenza può considerarsi esperibile ogni qualvolta si reclama la tutela di un « diritto assoluto, minacciato di pregiudizio » e non « il regolamento provvisorio di una controversia » (SAlTA, Diritto processuale civile, Padova 1973, 656 s.). È evidente che il diritto di uso di un mezzo di divulgazione da parte di un gruppo costituzionalmente legittimato può talora essere vanificato, pregiudicato, dal differimento del suo esercizio (si pensi, ad es., ai peÌiodi di propaganda elettorale, a quelli precedenti un referendum, etc.). (89) Cbe il principio di eguaglianza si rivolga anche al giudice non sembra dubbio (MORTATI, Istituzioni, II, 1976, cit., 1024, 1034). Generalmente si riconosce la non neutralità dei giudici, e la loro funzione politica (CASSESE, La formazione dello Stato amministrativo, Milano 1974, 367 ss., 405 ss.; AMBROSINI,J « corpi separati »,in L'Italia contemporanea (1945-1975) a c. di V. Castronovo, Torino 1976, 277 ss., ivi bibliografia). L'art. 3, comma 2 cost. indica alla giurisdizione un orientamento politico inderogabile, e le chiede, anzi le impone, di « usare politicamente » la sua funzione ai fini della realizzazione di sfere di eguaglianza e di libertà concreta sempre più avanzate. (90) D'ONOFRIO, Prime riflessioni sul diritto d'accesso alla radio televisione, in La tutela degli interessi diffusi, cit., 15; ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, cit., 373. (91) La quantificazione di tale minimum deriva dall'applicazione analogica dell'art. 6, l. 14 aprile 1975 n. 103, cit. (92) Cfr. supra, paragrafo 3. Il principio di eguaglianza, com'è noto, opera anche nei rapporti interprivati 348 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 nati richiede un giudizio di ragionevolezza da parte del titolare del mezzo di fronte a una pluralità di domande di accesso; data l'esistenza diparametri costituzionali (scalarità dei valori e principio di eguaglianza) il giudizio può senza dubbio ritenersi soggetto a sindacato giurisdizionale, su domanda dei gruppi esclusi dall'accesso o discriminati, rispetto ad altri gruppi, in ordine alle forme e alle modalità di uso del mezzo. Resta il problema se la domanda debba essere proposta al giudice ordinario o al giudice amministrativo. La questione apre un interrogativo preliminare, se l'atto con il quale il titolare del mezzo esclude o ammette o discrimina i gruppi in relazione all'accesso possa o. meno considerarsi atto amministrativo. Si potrebbe osservare che dalla connessione· tra l'art. 2 (doveri di solidarietà) e l'obbligo del criterio della ragionevolezza nell'attribuzione dell'uso del mezzo di divulgazione, derivi agli atti del titolare la qualificazione di atti di esercizio di una funzione pubblica. L'affermazione potrebbe trovare conferma nel fatto che la regolamentazione della sfera esteriore delle libertà è costituzionalmente riservata ai pubblici poteri, e che essa attiene senza dubbio alla cura (generale, in via legislativa, o puntuale, in vi.a amministrativa) di interessi pubblici direttamente derivanti dalla costituzione (93). In questa ipotesi il titolare dei mezzi di divulgazione si troverebbe nella situazione dell'« esercente privato di pubblica funzione», titolare di un munus costituzionalmente individuato, i cui atti sarebbero oggettivamente amministrativi (94 ). Resta peraltro da definire la natura della situazione soggettiva di pretesa di usare i mezzi di divulgazione di massa. Si è già rilevato che la costituzione configura come diritto soggettivo perfetto il potere di accesso, dei gruppi che essa considera rilevanti, al mezzo di divulgazione. Questa concezione non è nuova: essa ha trovato consensi in dottrina, nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale e anche a livello di giurisdizione ordinaria (95). In tutti i casi considerati, peraltro, il riconoscimento dell'accesso come diritto :;oggettivo perfetto veniva fondato sul rapporto tra gli art. 21 c 43 cost., con la conseguenza che esso avrebbe potuto essere fatto. valere solo in presenza di imprese concessionarie di attività riservate con legge (ex art. 43) al settore pubblico (nella specie, la RAI) (96). La debolezza della costruzione risulta evidente osservando che l'azionabilità del diritto di accesso è per essa sub.ordinata all'esistenza di una legi~ stazione ordinaria di attuazione; è. questa una palese contraddizione: se è necessaria l'attuazione legislativa, vuoi. dire che la. costituzione non crea diritti soggettivi perfetti (MoRTATI, Istituzioni, !:I, 1976, cit., 1206; ·LoMBARDI, Potere privato e diritti fondamentali, ToriJ;Io 1970; contra, PASEm, Parità di trattam.ento e autonomia privàta, Padova 1970, 13 s.). . (93) Pertanto il gestore privato dei mezzi di divulgazione di massa svolgerebbe un servizio pubblico e la sua attività avrebbe natura oggettivamente amministrativa. La tesi non è tanto peregrina se non è mancato chi, per l'impresa editoriale, ha parlato di «esercizio privato di pubblica fuJ;Izione »: CuoMo, Libertà di stampa e impresa giornalistica nell'ordinamento costituzionale, Napoli 1956, 165; JABGmt, Il diritto della collettività all'informazione attraverso la stampa, in Justitia 1959; 377; LENER, Libertà di stampa e bene comrine, in Jus 1964, 101). Sull'esercizio privato di funzioni pubbliche cfr. in genere ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, III, Milano 1958, 385 ss. (94) Secondo ZANOBINI, op. ult. cit., 389 s., la regola generale è che gli atti amministrativi dei soggetti privati esercenti pubbliche funzioni non sono soggetti al regime di giustizia amministrativa. L'affermazione risenle della tradizionale visione dell'atto 'amministrativo in senso soggettivo-oggettivo. Altre impostazioni, confortate anche da una attenta« lettura • della lègge istitutìva dei T.A.R. (6 dicembre 1971 n. 1034), ammettono la nozione di atto amministrativo in senso oggettivo, separando la natura dell'atto dalla natura del soggetto che Io· pone in essere, e legittimando il ricorso giurisdizionale amministrativo contro « atti amministrativi di autorità non amministrative » (per riferimenti è svolgimenti cfr. DI Pumo, Controlli amministrativi sulle Regioni e Yinda!i:ato giurisdizionale, in questa Rivista 1977, n, 332 Ss.). (95) In dottrina clr. CAREm-ZACCARIA, Diritto di accesso e legittimità costituzionale del monopolio radiotelevisivo, cit., 2615 ss. Per la giurisprudenza costituzionale si vedano la sent. n. 225 e n. 226 del 1975, cit.; per la giurisprudenza ordinaria cfr. Pret. Roma 3 gennaiO' 1967, cit. (96) Questa concezione è puntualmente riaffermata da ZACCARIA, Radìotelevisione e Costituzione, cit., 350 ss. NOTE; RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 349 di accesso, ma implica solo l'obbligo del legislatore ordinario di creare diritti di accesso contestualmente alla nazionalizzazione delle imprese di divulgazione. L'errore della costruzione è a monte, nell'implicito riconoscimento che la libertà economica sui mezzi di divulgazione contenga il diritto di organizzare la divulgazione. Nelle pagine precedenti si è sostenuto esattamente il contrario: il diritto di accesso (diritto della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero) deriva non dal rapporto art.21-art. 43 ma dal rapporto art. 3, comma 2-art. 21 cost.; la norma enucleata da quest'ultima relazione costituzionalizza la riserva di legge in tema di organizzazione della divulgazione del pensiero con qualsiasi mezzo non accessibile a tutti; gli art. 41 ss. tutelano le libertà economiche sulla gestione tecnica del mezzo di divulgazione, e non anche la libertà individuale di diffondere e/o organizzare la diffusione del pensiero. Se si ammette l'azionabilità diretta del diritto dei gruppi costituzionalmente rilevanti all'uso dei mezzi di divulgazione altrui, comunque si consideri la posizione del titolare del mezzo, la competenza materiale a giudicare le controversie relative non può che essere quella del giudice ordinario, in quanto il diritto di accesso è costituzionalmente configurato come diritto soggettivo perletto. 6. Legge e giustizia costituzionale nella programmazione della divulgazione del pensiero. - La scissione tra libertà economiche e potere di divulgazione del pensiero, come si è rilevato, legittima a livello costituzionale la programmazione legislativa della divulgazione per ogni categoria di mezzi di comunicazione, la quale risulta vincolante per i titolari dei mezzi, indipendentemente dall'attivazione delle strumep.tazioni costituzionali di intervento pubblico sulle libertà economiche. Pertanto i caratteri e i limiti di una eventuale legge di programmazione della divulgazione non possono desumersi dagli art. 41 ss., ma solo dalle norme costituzionali che stabiliscono il diritto concreto della sfera esteriore della libertà di espressione. Il limite generale di ogni legge del tipo in esame è la sua funzionalizzazione all'espansione del diritto di uso dei mezzi di comunicazione e della sua tutela mediante la creazione di situazioni giuridiche soggettive ulteriori e integrative rispetto al diritto stesso, che non ha bisogno di riconoscimento legislativo in quanto, come abbiamo premesso, è creato dalla costituzione, ed è intrinsecamente dotato di tutela giurisdizionale. Un secondo limite deriva dalla intoccabilità della sfera interiore della libertà di espressione, e agisce nel senso che ogni legge di programmazione deve sostanzialmente attenersi all'organizzazione della divulgazione, e non può pertanto introdurre norme selettive in ordine ai contenuti delle varie forme di divulgazione, salvo nei casi in cui il limite ai contenuti deriva direttamente dalla costituzione (97). Un altro ordine di limitazioni deriva dai criteri per la scelta dei soggetti ai quali attribuire il diritto di accesso al mezzo. È evidente che non possono essere escluse le formazioni sociali costituzionalmente rilevanti; inoltre, sembra razionale che il Legislatore possa individuare altre formazioni sociali, enucleandole dal contesto storico e politico, dalla realtà sociale del Paese. Si pone peraltro il problema se la scelta del Legislatore sia discrezionale; è evidente la natura politica della questione: l'art. 21 attribuisce a « tutti » il diritto di divulgare con ogni mezzo il proprio pensiero, ma la rimozione degli ostacoli economici e sociali che si frappongono a questo diritto implica scelte inevitabili la cui responsabilità ricàde principalmente sull'organo legislativo. È appena il caso di rilevare che il problema ha rilievo giuridico nei rapporti tra Parla(97) Per l'elencazione delle limitazioni costituzionalmente ammissibili alla sfera esteriore della libertà di espressione cfr. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., 79 ss. 350 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 mento e Corte costituzionale, in tema di possibilità di sindacato sulla « ragionevolezza » delle leggi. A ben vedere, la questione investe la intera problematica dell'organizzazione legislativa della divulgazione: su ogni punto di essa, sulla stessa ammissibilità di una legge di programmazione della divulgazione, potrebbe sorgere un conflitto tra la funzione le, gislativa e la giurisdizione costituzionale. È un dato ormai generalmente acquisito che la Corte costituzionale di fatto pone se stessa in una demiurgica posizione di supremazia nei confronti del Parlamento. Si è puntualmente verificata la previsione di chi, ancor prima della istituzione della Corte, si chiedeva: « per quanto limitato in principio, il potere incontrollabile della Corte di giudicare infallibilmente della costituzionalità delle leggi e della propria competenza in tale materia non rischia di fare di questo organo l'arbitro irresponsabile della vita dello stato, il padrone invece che il tutore della costituzione? » (98). L'interpretazione del giudice costituzionale implica l'esercizio di poteri tendenzialmente ed anzi accentuatamente discrezionali (99) e dunque essa coincide con la valutazione politica della Corte in ordine ad ogni singolo problema politico e sociale racchiuso in una legge. È ammissibile oggi l'uso politico (dell'interpretazione) della costituzione da parte di « quindici persone », anzi da parte della maggioranza in un collegio composto da quindici persone? Non importa se la domanda rischia ipriti!'=he di rozzezza e di semplicismo: ciò che importa è che non pecca certo di astrattezza. Vero è che sono indispensabili ulteriori specificazioni, relative alle procedure di nomina e alla indipendenza dei giudici, all'immenso valore di una costituzione rigida e di un equilibrio nel potere legislativo (100). Gaetano Mosca scriveva che è indispensabile creare strumenti adeguati per frenare l'opera (negativa) dei « cosiddetti rappresentanti del popolo » (101 ). Certamente l'autore, notoriamente contrario a ogni forma di soluzione « interna » al regime parlamentare, non immaginava un meccanismo quale quello della Corte costituzionale. La speranza che Mosca riponeva nella rivalutazione del ruolo del monarca a fronte di uno svuotamento dell'istituto rappresentativo hanno trovato storica risposta nell'invasione della sfera parlamentare operata progressivamente dalla Corte, e facilitata dalla contemporanea contrazione dell'intrapresa politica del Parlamento repubblicano. L'avversione di Mosca per il sistema parlamentare non sembra un valido argomento per rigettare la sua preoccupazione di porre un freno agli istituti rappresentativi. Si tratta però di individuare cosa e come è necessario frenare, muovendo dal principio che riconosce al Parlamento non solo il diritto di esistere, ma anche l'obbligo di attuare la democrazia sostanziale voluta dalla costituzione. In questa ottica non sembra ammissibile che il freno ai « cosiddetti rappresentanti del popolo » possa individuarsi nella stabilizzazione di un organo ristretto e non rappresentativo, quale la Corte costituzionale, in un'area di potere « positivo » (finora disertata dal Parlamento), proprio in un momento storico in cui la riappropriazione parlamentare della funzione di guida della politica globale viene generalmente intesa come la maggiore difesa dai r!petuti attacchi alla legalità democratica e la massima garanzia di attuazione del principio di eguaglianza sostanziale. Una prima considerazione è dunque quella della storicità del ruolo politico della Corte costituzionale, che ha un senso· preciso fin tanto che il Parlamento si ritrae dalla (98) Esrosrro, La Costituzione italiana, cit., 281. (99) BARILE, La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni pratiche, in Studi Crosa, I, 55. _ (100) Sulla natura e sulle funzioni della Corte costituzionale cfr., da ultimo, ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit. (101) Teorica dei governi e governo parlamentare, M"Ilano 1968, 245 ss., 259 ss. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE -=- 351 politica, ma entra in contraddizione con il funzionamento corretto della dialettica democratica quando. la costituzione materiale recupera il valore della centralità dell'f.;tr.gano rappresentativo (102). Una seconda considerazione ha riguardo al segno storico dei mutamenti in atto all'interno del regime parlamentare italiano, la tendenziale scomparsa della distinzione dei ruoli tra maggioranza ed opposizione, originata dall'estinzione di una conventio ad excludendum nei confronti di determinate forze politiche, pur rappresentative della maggioranza dei cittadini-lavoratori, giuridicamente individuati, dall'art. 3, comma 2, cost. (103). L'esperienza storica ha dimostrato che proprio la teoria della «maggioranza», madre di governi effimeri, instabili e ampiamente condizionabili, ha paralizzato l'istituzione parlamentare, aprendo lo spazio all'escalation politica della Corte costituzionale (104), che ha avuto modo di svolgere spesso un insostituibile ruolo di progresso, cancellando norme inique, e cercando, anche attraverso l'invenzione di strumenti peculiari (ultimo la c.d. sentenza-delega) (105) i vuoti di molte omissioni legislative (106). I nuovi p:rincìpi di collaborazione e solidarietà fra le forze politiche democratiche, il tendenziale rifiuto del principio della « distinzione dei ruoli »,si muovono verso la creazione di una nuova« costituzione materiale», che non esprime più il concetto di« forze politiche dominanti » ma di unità 'e collaborazione di tutte le forze popolari (107). Di fronte a questi mutamenti la funzione politica della Corte costituzionale non può che restringersi, ritornare nell'alveo del self restraint, che caratterizzava le sue prime sentenze (108). In riferimento alla tematica dell'organizzazione legislativa della divulgazione del pensiero. il ruolo della Corte deve dunque ridimensionarsi, e limitarsi al sindacato della « legalità » costituzionale delle scelte legislative. In particolare, fa Corte non dovrebbe entrare nel merito ditali scelte, attraverso i canali dell'eccesso di potere o della razionalità, nè fissare nella sentenza « comandamenti » o « direttive » tecnicamente simili a delegazioni legislative, che relegano il Parlamento al ruolo di mero esecutore di determinazioni politiche inderogabili, pena l'incostituzionalità dell'atto legislativo contrastante con esse, o anche solo diverso da quello in esse prefigurato. · In ordine al problema della selezione legislativa dei destinatari del diritto di accesso a un determinato mezzo di divulgazione, la Corte costituzionale dovrebbe solo sindacare l'eventuale esclusione di soggetti costituzionalmente individuati e non l'inclusione di altri soggetti. In relazione alla « quantificazione » degli spazi da riservare all'accesso e della loro ripartizione tra i gruppi, la Corte dovrebbe soltanto verificare l'esistenza di spazi, e (102) In argomento cfr. le penetranti osservazioni di ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit., 369ss. (103) Cfr. le varie fasi del dibattito aperto da« Democrazia e diritto • (ri. 4 del1974 con il titolo« Questione comunista e direzione dello Stato») concluso con una Tavola rotonda (Dem. dir. 1975 n. 3). (104) E di altri organi, in particolare Governo e Magistratura. In argom. cfr. Il sistema politico italiano (antologia a c. di P. Farneti) Milano 1973; La Repubblica probabile, a c. di M. D'Antonio Milano 1972; Il decreto-legge tra governo e parlamento, Milano 1975; SARTORI, SoMOGY, Lom, PREDIERI, Il Parlamento italiano ( 1946-1963), Napoli 1963; TAMBURRANO, Storia e cronaca del centrosinistra, Milano 1973 ;Il Parlamento nel sistema politico italiano, Milano 1975. (105) L'espressione è di PREDIERI, Il Parlamento oggi, in Il Parlamento nel sistema politico italiano, cit., 67. (106) Cfr. ZAGREBELSKY, op. Cit., 333 ·ss., 343 Ss. (107) Malgrado gli (evidenti) attacchi della« destra reazionaria», le (meno evidenti) nostalgie« di sinistra» della teoria della« maggioranza » (cfr. da ultimo BOBBIO, Compromesso e alternanza nel sistema politico italiano, in Mondoperaio 1977, n. 9, 63 ss.) e le (evidentissime) schizofrenie di nuovi e vecchi filosofi (cfr. ad es; GuASTINI, Materiali di studio sulla teoria del doppio potere, in Stato e teorie marxiste, Milano 1977, 129 ss.; e soprattutto gli interventi di ROVATil e altri, in Aut-aut n. 161, settembre-ottobre 1977). (108) ZAGREBELSKY, op. cit., 370, 373 ss. 352 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 l'assenza di discriminazioni tra soggetti costituzionalmente parificati, ma non dovrebbe spingersi fino a sindacare le diversità di trattamento operate dalla legge tra soggetti non considerati eguali dalla costituzione, nè l'esclusione di soggetti legittimata da norme costituzionali (es. XII disp. trans.). 7. Problematiche del settore radìotelevisivo.- L'unico (tjmido) esempio di introduzione a livello di legge ordinaria della tema ti ca della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero si è avuto nell'àmbito della riforma dei servizi radiotelevisivi (l. 14 aprile 1975 n. 103), con la previsione del c.d. diritto di accesso (art. 4 e 6, l. cit.). Questa normazione è frutto di una evoluzione nella legislazione e nella giurisprudenza della Corte costituzionale, viziata dall'equivoco di fondo di ritenere indissolubilmente legate l'impresa di diffusione del pensiero e l'organizzazione della divulgazione. Muovendo da questo presupposto la l. 14 aprile 1975 n. 103 ha riservato allo Stato la « diffusione circolare di programmi radiofonici ... e televisivi » (art. l), specificando che la riserva comprende « l'installazione e l'esercizio tecnico degli impianti » e « la trasmissione di programmi di qualsiasi natura »(art. 2); in sostanza, la legge si è autodefinita come legge di riserva (ex art. 43 cost.) sia in ordine all'eserciZio tecnico del mezzo che alla organizzazione della divulgazione. Cosi facendo essa non ha tenuto conto che la « trasmissione di pro-' grammi » non poteva essere oggetto di riserva ex art. 43, in quanto è già costituzionalmente riservata a« tutti »(in ordine al diritto di divulgare con qualsiasi mezzo ex art. 3, comma 2, e 21 cost. ), e alla« Repubblica » (in ordine al dovere-potere di organizzare la divulgazione, ex art. 3, comma 2, cost.). La Corte costituzionale, da parte sua, ha dichiarato illegittimo il monopolio radiotelevisivo locale in quanto contrastante con l'art. 21 cost., ammettendo implicitamente che il diritto di diVulgazione comprende anche l'iniziativa privata sul mezzo (109). Il vizio essenziale della sent. 28 lugfio 1976 n. 202, con cui la Corte ha legittimato le emittenti locali «libere », risiede nella mancata distinzione tra disciplina dell'impresa di divulgazione e diritto di organizzare la divulgazione: la prima (riserva dell'installazione ed esercizio tecnico degli impianti) avrebbe dovuto essere confrontata con l'art. 43 e non con l'art. 21 cost., mentre la disciplina del diritto di organizzare la divulgazione (che può considerarsi abbozzata nelle norme della l. 14 aprile 1975 n. 103 relative all'accesso: art. 4 e 6) avrebbe potuto essere rapportata soltanto al sistema degli art. 3 comma 2 e 21 cost. In sostanza, il monopolio dell'impresa tecnica di gestione degli impianti non poteva contrastare con le norme poste a tutela della libertà di pensiero, perchè l'art. 21 cost. non tutela le libertà economiche sui mezzi di divulgazione. D'altra parte, sarebbe stato sicuramente ammissibile un sindacato della Cotte sulla legittimità (e non sul merito) delle norme attuative della riserva pubblica dell'organizzazione della divulgazione (art. 4 e 6, l. eit.); peraltro, un giudizio costituzionale sulla riserva della organizzazione della divulgazione in quanto tale era (ed è) impossibile, poichè la riserva è posta direttamente da norme costituzionali (110). (109) Sent. 21Huglio 1976 n. 202, cit. (11 O) Assumono pertanto un valore meramente « interno »·alla logiça della criticata consociazione libertà economiche-diritto di divulgazione le varie critiche mosse alla sent. n. 202 del 197 6 cit. Un primo gruppo di rilievi critici, ampiamente condividibili, si rivolge alla equiparazione operata dalla Corte costituzionale tra_ tv-cavo locali ed emittenti locali via etere (ZAccAIUA, Radio"tele!lisione e costituzione; cit., l 06 ss.; GABRIELE, Riserva allo Stato a livello nazionale etc., cit., 1493 ss.; CAPOTOSTI, Monopolio radio televisivo ed emittenti pri11ate, cit., 15 s.). La seconda critica, aneh'essa accettabile, si rivolge all'affermazione secondo cui a livello locale non sussiste monopolio tecnico (limitatezza di frequenza) né monopolio economico (CAREm; Monopolio pubblico e radio-tv « libere», cit., 252ss.; D'ONOFRIO, Lasentenza-leggesulle emittenti locali, cit., 273 ss.; GABRIELE, op.cit., 1496 ss.). La terza ondata di critiche è rivolta alla mancanza di coerenza della Corte che, mentre afferma la natura di servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale per la radiotelediffusione a livello nazionale, non i NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 353 Argomenti analoghi a quelli finora svolti valgono per confutare le proposte di costituzionalizzazione del monopolio radiotelevisivo (111 ). Da un lato, se la proposta si intende riferita all'organizzazione della divulgazione, essa non ha senso, in quanto il potere-dovere del « pubblico » di organizzare la divulgazione, come si è più volte ripetuto, è già costituzionalizzato. D'altra parte, se la proposta ha il senso di introdurre in costituzione il monopolio delle imprese di gestione tecnico-economica del mezzo radiotelevisivo, per sottrarlo a futuri interventi della Corte costituzionale, essa presta il fianco a insuperabili obiezioni. In primo luogo essa si risolverebbe in una revisione dell'art. 41 cost., cioè nell'esclusione del diritto di impresa nel campo delle radiotelediffusioni; tale revisione dovrebbe considerarsi inammissibile, in quanto la costituzione, prevedendo esplicite procedure per l'esclusione del diritto di impresa (art. 43) vieta implicitamente qualunque altra forma di esclusione. Inoltre, l'introduzione a livello costituzionale del monopolio radiotelevisivo, equivarrebbe a una esplicita dichiarazione dell'attuale incostituzionalità dello stesso~ Infine, anche se si vuole ritenere l 'iniziativa economica privata non tutelata di fronte alla funzione di revisione costituzionale, la proposta di costituzionalizzazione del monopolio incontra evidenti e invalicabili limiti di opportunità storica e politica. Al di là di ogni critica del passato, rimane insoluto il problema della situazione reale di totale anarchia delle emittenti locali, che dovrà, come da più parti si riconosce, essere regolamentata al più presto (112). Le linee del futuro intervento pubblico nel settore sembrano già prede terminate dalla « lettura »che le forze politiche hanno fatto della parte della« sentenza-delega » (28luglio 1976 n. 202, cit.) in cui la Corte costituzionale esprime i suoi« comandamenti». Nel testo dell'accordo programmatico che le forze politiche dell'arco costituzionale hanno siglato nel giugno del 1977 si dice testualmente: « la se n t. Corte co st. n. 202 del 1976 e l'emergenza sul territorio nazionale di emittenti radiofoniche e televisive private impongono alcune modifiche e integrazioni alle norme che regolano il sistema radiotelevisivo. Di esso restano punti fondamentali la legge di riforma n. 103 e il ruolo del servizio pubblico nazionale ».Il testo prosegue indicando i principi di massima per l'attuazione della legge di riforma (14 aprile 1975 n. 103, cit.) nei punti che riguardano il monopolio pubblico cioè la giustifica la mancata estensione del medesimo assunto alle emissioni locali (CAPOTOSTI, op. cit., 14 s.; GABRIELE, op. cit.; 1497ss.; CARBTTI, op.cit., 255 s.; ZACCARIA, La Corte cambia strada, cit., 295 ss.). Come si vede, questi primi tre gruppi di obiezioni alla sentenza Jiberalizzatrice della Corte, accettabilissimi sotto il profilo tecnico-giuridico, si scontrano con un dato insuperabile: la volontà politica della Corte costituzionale, che, razionalizzando l'irrazionale, oppone altrettanti argomenti« tecnico-giuridici »,di cui si è incaricato di offrire «l'esatta» interpretazione Fms, La natura dell'attività radiotelevisiva, cit., passim. L'obiezione di fondo, alla quale la Corte non poteva rispondere senza svelare l'ideologia politica su cui è stata basata la sentenza, non è stata mossa: nessuno ha detto che l'art. 21 non tutela affatto la libertà economica sui mezzi di diffusione, nè che l'art. 41 tutela solo questa e non anche il diritto di divulgare il pensiero attraverso quei mezzi; n è che il diritto di divulgazione è già riservato alla collettività (quanto alla frnizione) e alla Repubblica (quanto alla organizzazione) dalla costituzione stessa (art. 21-3 cpv.), e che, pertanto, la Corte non ha il potere di sindacare l'attribuzione di tale riserva. Non a caso la Corte costituzionale, nel riunire le ordinanze di rinvio che le erano pervenute in tema di monopolio radiotelevisivo, ha escluso e rinviato la decisione dell'ordinanza del pretore di Roma, 3 gennaio 1976, cit., la quale, pur muovendo da presupposti scorretti, aveva centrato il cuore del problema: libertà di manifestazione del pensiero non significa possedere l 'emittente « libera » ma essere titolari di un diritto soggettivo di accesso, di uso del mezzo radiotelevisivo. Solo muovendo da queste premesse si poteva mettere a nudo il pregiudizio ideologico della Corte, la confusione tra libertà di divulgazione e libertà economica, tra pluralismo fittizio delle emittenti e pluralismo reale nell'uso sociale delle emittenti. (111) Avanzate, senza molta convinzione, da BRANCA, Rai·tv: monopolio instabile, cit. supra nt. l. (112) Cfr. le proposte« razionalizzatrici »di ZACCARIA, Radiotelevisione e costituzione, ci t., 108 ss.; CAPOTOsn, Monopolio radiotelevisivo ed emittenti private, cit., 16; CAREm, Monopolio pubblico e radio-tv« libere», cit., 258 ss. Cfr. anche supra nota l. 23. l/oro ammintstmtit•o - rnrte I (1978). 354 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 RAI: pluralismo, rispetto delle autonomie funzionali e professionali, unità dell'azienda, decentramento, terza rete televisiva a struttura regionale. In ordine alla nuova disciplina delle emittenti libere l'accordo prevede: la necessità di una « legge del piano nazionale di ripartizione delle frequenze e delle modalità e criteri per la concessione di autorizzazioni »;.la determinazione legislativa dei limiti minimi di produzione autonoma delle emittenti, nell'àmbito della tutela e della regolamentazione « dell'esercizio del diritto di espressione e di promozione civile e culturale »;che « la legge stabilirà i criteri per l'assegnazione delle frequenze disponibili e per la soluzione dei· problemi connessi», nonchè «un tetto massimo» per le emissioni pubblicitarie, allo scopo di tutelare altri settori dell'informazione; la necessità della definizione di norme contro i processi di concentrazione e per la tutela dei minori. Ad un livello strettamente giuridico, queste enunciazioni sono, per ora, prive di valore. Non sembra peraltro inutìle notare che nulla è previsto in ordine al diritto di accesso, sia nei confronti della RAI, che delle emittenti private. L'accordo programmatico è dunque arretrato, nel settore delle radiotelediffusioni, rispetto al disegno giuridico-costituzionale, che legittima e impone l'attuazione della sfera esteriore d((lla libertà di manifestazione del pensiero delle formazioni sociali, e la creazione .legislativa di diritti di accesso, anche attraverso la compressione delle libertà economiche private. In effetti, il settore pubblico ha larghe possibilità di intervento, che resteranno in utilizzate se le forze della Repubblica non assumono il punto di vista della dimensione costituzionale della partecipazione alla divulgazione, che non vuoi solo dire esigenza di forme più corrette ed« obiettive »dell'informazione data da« altri »,ma necessità dei gruppi sociali di dare essi stessi le informazioni (113). La prima possibilità è quella di una legge di programmazione delle divulgazioni via etere, che non si limiti a stabilire i tempi minimi di produzione autonoma e i tempi massimi di diffusioni pubblicitarie, ma estenda a tutte le emittenti l'obbligo di riservare uno spazio determinato all'accesso dei gruppi sociali. Non vi è necessità di una legge di nazionalizzazione per ottenere questi risultati, in quanto, come più volte hO sostenuto, la programmazione della divulgazione non rientra nel diritto di impresa, ma è costituzionalmente riservata alle forze della Repubblica. 8. Tendenze monopolistiche delle emittenti private e problemi costituzionali della loro nazionalizzazione.- In astratto, la seconda possibilità è quella di un intervento legislativo ex art. 43 sulle imprese di gestione tecnico-economica del mezzo radiotelevisivo, con il quale i settori locali dell'iniziativà economica nel campo radiofonico e/o televisivo siano nuovamente trasferiti alla mano pubblica. I presupposti costituzionali per l'intervento non mancano: le imprese ìn questione· possono essete considerate produttrici di un servizio pubblico essenziale, n ori in quanto aventi per oggetto la diffusionç dei programmi (che è già nella sfera « pubblica »), majp. quanto strumentali alla divulgazione del pensiero su scala locale. Inoltre, il non recente contrasto tra nozione soggettiva e oggettiva del servizio pubblico è superabile, nella misura in cui si ritiene che « la identificazione della ricorrenza degli elementi che conducono al riconoscimento di servizio pubblico dipende da un giudizio storico » (114 ). In questa otti<m, la ~zjone di servizio pubblico essenziale viene svuotata di contenuti costituzionalmente predeterminati, e rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore ordinario (115). D'altra parte, l'impresa radiotelevisiva," anche locale, inerisce a una situazione, presente o futura, di monopolio, per due motivi: il primo, tecnico, che la natura del servizio nOI). (113) Cfr. supra nota 49•in fine. (114) CAss!lSE, Legge dì riserva e art" 4l cost., in Giur. cost. 1960, 1346. (115) GuARINO, op. /oc. cit., supra nota 74. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 355 consente la coesistenza di un numero illimitato di punti di produzione; il secondo, economico, che la struttura del processo produttivo non segue le regole dello scambio e implica costi di produzione progressivamente crescenti (116). In ordine al problema tecnico, sono facilmente confutabili quelle impostazioni che affermano l'esistenza di un « sufficiente >> numero di bande· di' trasmissione disponibili (117): la sufficienza è un concetto relativo e soggettivo e pertanto inutilizzabile ai fini di una argomentazione giuridica. La Corte costituzionale, individuando un criterio esatto dal punto di vista oggettivo, aveva rilevato che « non essendo controvertibile che il numero delle bande di trasmissione sia limitato, la liberalizzazione inevitabilmente si tradurrebbe in una effettiva riserva a pochi >> ( sent. 10 luglio 197 4 n. 225). Il mutamento di opinione della Corte su questo punto è stato radicale; nella citata sentenza del28luglio 1976 n. 202 essa affenna « l'ingiustificatezza, allo stato attuale, della tesi secondo cui sussisterebbe una concreta limitatezza in ordine alle frequenze utilizzabili per le trasmissioni radiofoniche e televisive ». Non è il caso di ripetere le innumerevoli critiche mosse in dottrina a questa inversione di tendenza (118). In particolare mi sembra validissima quella che rileva la contraddizione della recisa affermazione della Corte con quanto la Corte stessa afferma· al punto 8 della motivazione della stessa sentenza, in .cui prevede la possibilità del Legislatore di fissare « turni >> tra le emittenti locali « al fine di rendere possibile il concorrente esercizio di attività da parte degli altri soggetti autorizzati >>. È evidente che questa seconda affermazione smentisce (clamorosamente) la prima, dimostrando che, in fondo, la Corte C9Stituzionale contìnua a ritenere « limitato » il numero dei canali utilizzabili (119) . . La situazione attuale delle emittenti libere è sempre caratterizzatà da elementi oligopolistici, e non è che la fase iniziale di un processo di progressiva accentuazione di tali elementi (120). In un contesto istituzionale di capitalismo privato, il prodotto dell'impresa radiotelevisivà, il programma, ha un valore che dipende dalla qualità tecnica della trasmissione e dai contenuti, e pertanto, in ultima istanza, è direttamente proporzionale al costo del processo produttivo, espresso ìn termini di impianti, compensi, retribuzioni, noleggi etc. (121). La distribuzione del prodotto radiotelevisivo, inoltre, non segue le regole dello scambio capitalistico: il consumatore non può essere giuridicamente obbligato in termini privatistici a pagare un prezzo, poichè il possesso del mezzo di consumo (ad es. la radio) non implica che quel prodotto (il programma) venga necessariamente consuma t o (il possessore della radio ad es. potrebbe tenerla spenta) (122). (116) Sulla nozione di monopolio cfr. CASSESE, op. ult. cit., 1347 ss.; SPAGNUOLO VIGORITA, L'iniziativa economica privata nel diritto pubblico, cit., 311 ss.; GHIDINI, Monopolio e concorrenza, in E ne. dir., vol. XXVI, 786 ss. (117) Cfr. ad es. Pret. Castelfranco Veneto 13 novembre 197 5, in l/ diritto delle radiodiffusioni e telecomunicazioni 1976, 71; Pret. Firenze 12 dicembre 1975, ivi, 86; Pret. Novara 20 dicembre 1975, ivi, 96. Per una convincente critica di queste (e altre) ordinanze cfr. SANToRo, Impianti locali e monopolio radiotelevisivo, cit., 21 ss.; BASSANINI, Riserva allo· Stato del servizio radiotelevisivo e impianti " locali », ci t., 9 ss. (118) Cfr., anche per una« critica delle critiche», supra nota 110. (119) Cfr. CARETTI, op. loc. cit., supra nota 110. (120) Cfr., anche per riferimenti bibliografici, SILIATo, L'antenna dei padroni, cit., 136 ss. (121) Si tratta di un valore d'uso e non di scambio, in quanto, come si vedrà, tra emittente e consumatore non può, materialmente e giuridicamente, stabilirsi un rapporto di scambio. L'uniCa relazione di scambio in grado di inserirsi nel sistema delle diffusioni via etere è quello inerente all'inserzione pubblicitaria (cfr. infra, in questo stesso paragrafo). (122) Sul problema della natura giuridica dell'atto di consumo del servizio radiofonico e televisivo via etere non mi risultano studi specifici. Peraltro, i seguenti principi possono fissarsi con sufficiente sicurezza: a) non si tratta di« atto giuridico» (negoziale o meno), in quanto non vi è traccia dell'intento negoziale, nè della dichiarazione di volontà, n è della « volontà di dichiarazione »;b) l 'atto di consumo radiotelevisivo si basa su di una facoltà contenuta nel diritto di proprietà del mezzo di consumo (apparecchio radio o televisore). In sostanza rientra nella categoria 356 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 A questo pro osito si deve rilevare una.differenza strutturale tra il processo produttivo della comunicazi ne giornalistica-editoriale e quello delle radiotelediffusioni: mentre in questo il mezzo di consumo del prodotto è materialmente separato dal prodotto, nel primo il prodotto (il me saggio) non può che estrinsecarsi, materializzarsi in una cosa (la carta), che ne diviene m zzo di consumo (123). Nel settore d Ila stampa il possesso dello strumento di consumo (giornale, libro) è un presupposto nece sario dell'atto di consumo, per cui la vendita del prodotto non può che avvenire mediant la vendita individuale del mezzo di consumo. In questo caso le regole dello scambio so o necessariamente rispettate (124 ). Nel settore r diotelevisivo (esclusa la tv-cavo, che può farsi rientrare nel precedente discorso) (125) l vendita del mezzo di consumo avviene necessariamente in modo separato dalla ricezio e del programma (cioè dal consumo del prodotto), così che la diffusione del programma, econdo i principi del diritto privato, non potrebbe configurarsi come « esecuzione di c ntratto » ma dovrebbe essere inquadrata nella categoria degli « atti unilaterali». Il ti lare dell'impresa radiotelevisiva può pretendere somme dai possessori dei .mezzi di ricezi ne, solo quando possiede un potere impositivo di tipo pubblicistico, che non può che deri argli dalla legge (arg; ex art. 23 cost.). In questo caso o il consumo del prodotto viene pr suntò o se ne prescinde ricollegando l'obbligo di pagamento al semplice possesso del mezz di consumo. Quando il titolare del mezzo non ha potere impositivo, e la diffusione si svol e secondo le regole del diritto privato, non vi può essere presunzione di consumo, nè la d mostrazione dell'avvenuto consumo potrebbe far sorgere obblighi del possessore del mezzo di ricezione nei confronti del titolare dell'impresa di emissione radioteleyisiva (126). de11;li « atti di godimento » che non sono atti giuridici in quanto, « mentre producono o possono produrre un mutamento nel mondo della natura, non cagionano ... nessun mutamento nei rapporti giuridici» (MIRABELU, L'atto non negozia/e nel diritto privato italiano, Napoli 1955, 106 ss.). Pertanto, il consumo del prodottoradiotelevisivo può essere definito come semplice « fatto »,consistente in un comportamento, giuridicamente lecito, ma privo, di per sè, di effetti giuridici predeterminati. (123) La Corte costituzionale ha avuto recentemente occasione di rilevare la peculiarità tecnico-giuridica delle diffusioni via etere. Infatti, nel dichiarare non fondata, in riferimento al principio di eguaglianza formale, la questione di costituzionalità dell'art. 19 r.d.l. 21 febbraio 1938 n. 246 (modificato dall'art. l d.I.C.p.S. 5 ottobre 194 7 n. 1208) che, a differenza del regime previsto per altri concessionari di pubblico servizio (SIP, ENEL ), assicura alla RAI una tutela penale nei confronti dell'abbonato moroso, la Corte ammise la razionalità della disparità di trattamento, giustificata dalle peculiarità di fatto e giuridiche (sent. 23 gennaio'1974 n. 10, in Giur. cost. 1974,37 ss. ). In particolare, la Corte osservò che« nel caso della RAI, all'utente.bastala detenzione (acquisibile direttamènte dal mercato) di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle emissioni perchè il godimento del servizio pubblico possa avere luogo e di contro per l'esercente sussistono difficoltà di controllo »,mentre nel caso (ad es.) della SIP « allo stesso fine occorrono l'installazione presso il singolo utente di apposito impianto ad opera della società stessa ed il collegamento di esso con la rete urbana, ed ogni prestazione dell'esercente è controllabile e quantitativamente determinabile ». (124) Ciò non significa che la stampa sia un settore privo di problemi di monopolio e di concentrazione. In argomento cfr. Rapporti tra potere economico ed informazione, in Rass. parlam. 1974. (125) In senso analogo GABIUELE, Riserva allo stato a Ìivello nazionale, cit., 1494. (126) In Italia, per quanto mi risulta, non si è mai posto il problema di una natunf privatistica del consumo e dello scambio del prodotto radiotelevisivo; questo si spiega facilmente se si considera che il settore è soggetto a riserva statuale fin dalla sua nascita. La questione, pertanto è stata affrontata sotto l'aspetto pubblicistico, e comunque sempre in relazione al presupposto>della preesistenza di un rapporto giuridico(« rapporto di.utenza »o « abbonamento » ). Per un breve esame delle principali posizioni <iella dottrina in ordine alla natura di tale rapporto cfr. DE FINA, Il rapporto di utenza radiotelevisivo, in Giur. merito 1970, IV, 59 ss., il ,quale afferma che il canone relativo al rapporto trova fondamento nel semplice possesso di un apparecchio « astrattamente funzionale •, indipendentemente dalla effettiva ricezione dei programmi (o p_ cit., ·60). In ordine al valore da attribuire al fatto che il gestore di una·emittenteJibera dimostri l'effettivo consumo da parte di un utente, valga quanto segue.- In base all'art. 1173 c.c..le. obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o« da ogni altro fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico ».La ricezione di programmi non deriva da contratto, nè evidentemente configura un illecito. civile; essa potrebbe essere inquadrata nella terza NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 357 L'utente, dunque, non può essere obbligato a pagare canoni alle emittenti private (via etere); di conseguenza il problema della copertura dei costi, può essere risolto solo capovolgendo la logica dello scambio: la sussistenza economica delle emittenti libere è legata alla« demercificazione » del prodotto attraverso la pubblicità (127), che consiste nell'inversione del processo di vendita: non si vende (perchè non è possibile) il prodotto al consumatorè, ma si vende il (potenziale) consumatore all'impresa che usa il mezzo di diffusione per pubblicizzare le sue produzioni (128). Al fine di assicurarsi il sostegno finanziario della pubblicità, le « libere » emittenti locali entran<;> in competizione, e la concorrenza si sviluppa nelle ore di maggior ricezione dei programmi (129). La selezione dei programmi migliori (che sono in genere i più costosi) da parte del pubblico, produce una progressiva emarginazione o l'assorbimento delle imprese a« basso indice di gradimento », le quali, a causa del ritiro delle commesse pubblicitarie, non riescono a sostenere gli incrementi dei costi di gestione (130). A questo processo di concentrazione si accompagna un movimento di espansione territoriale dell'impresa radiotelevisiva locale: la competizione iniziale implica una frenetica tendenza alla riduzione dei costi, la quale deve avvenire, pena l'emarginazione dal mercato, senza che vi sia una dequalificazione dei programmi. Il contenimento dei costi, date queste premesse, può solo attuarsi attraverso l'aumento unitario, cioè per ogni programma, degli introiti pubblicitari, che sono tanto maggiori quanto maggiore è il numero degli utenti. Di qui la tendenza « natu.rale » ad ampliare il raggio territoriale dell'impresa, mediante la creazione di più stazioni emittenti, o la utilizzazione di ripetitori, i quali trasmettano gli stessi programmi in località diverse. Ciò dimostra come la privatizzazione del settore radiotelevisivo, ideologicamente legata alla rivendicazione di uno spazio « locale » di trasmissione, porti in sè una contraddizione, che nega nella prassi l'ideologia del localismo, in quanto il programma locale, per effetto della logica economica, è costretto a trasformarsi nel suo opposto, attraverso l'estensione territoriale della sfera di emissione. Questa tendenza è un potente stimolo per il processo di concentrazione monopolistica, anche quando ostacoli esterni (es. l'intervento pubblico) impediscono l'estensione territoriale: in questo caso il ricatto pubblicitario e l'indebitamento portano direttamente le imprese locali nella sfera del controllo di fatto del capitale finanziario multinazionale. Sembra pertanto confermata, nel sistema delle emittenti radiofoniche e televisive locali, l'esistenza di una situazione tecnica ed economica di carattere monopolistico (131 ). Il « preminente interesse generale » è da considerare implicito nella natura delle tre categorie di imprese elencate dall'art. 43 cost., o, secondo altri, assorbito dalla più ampia previsione dei « fini di utilità generale ».A proposito di questi ultimi, si è già rilevato che non si riferiscono all'estensione territoriale del mezzo; nè, d'altra parte, rileva la natura categoria come « fatto idoneo » a produrre obbligazioni, ma solo a patto che si provi l'esistenza di una norma giuridica che prevede la semplice ricezione di programmi come fonte di obbligazioni. Una norma del genere non esiste nel nostro ordinamento, neanche per i programmi diffusi dalle emittenti della RAI; in questo caso infatti, il pagamento del canone si collega alla preesistenza di un rapporto di utenza, di carattere pubblicistico (DE FINA, op. cit., 60). (127) NATOLI, Risposta sbagliata ad esigenze giuste, in Rinascita 1976, n. 10, 24; AMATO, Monopolio o pluralismo, cit., 3; CARETTI, Monopolio pubbl~o e radio-tv« libere», cit., 254; ZACCARIA, La Corte cambia strada, cit., 300. Il ricatto pubblicitario si estende, anche se in misura minore, al settore della stampa; cfr. ZACCARIA, La pubblicità nella stampa, in La stampa quotidiana tra crisi e riforma, Bologna 197 6, 297 ss.; CARCANO, Il peso e il ruolo della pubblicità, cit., 107 ss.; SILIATO, L'antenna dei padroni, cit., 153. (128) SILIAlO, op. loc. ult. cit. (129) NATOLI, Risposta sbagliata ad esigenze giuste; loc. cit. (130) La pubblicità si dirige, infatti, verso quei mezzi di comunicazione che hanno una maggiore probabilità di giungere al consumatore: cfr. Fusi, La comunicazione pubblicitaria, ci t., 11. (131) Cfr. supra nota 110. 358 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 (economica, sociale etc.) del tipo di utilità. I fini di utilità generale devono intendersi perseguiti quando il servizio è aperto, ha cioè carattere di generalità ed è funzionalizzato alla creazione di diritti concrçti di accesso. In ogni caso la determinazione dell'utilità generale è rimessa al Legislatore ordinario; pertanto non dovrebbe esservi possibilità di sindacato della Corte costituzionale (132). Data la natura (inizialmente) locale delle emittenti private, i soggetti déstinanlri del trasferimento dovrebbero essere cooperative· di utenti, promosse e costituite (ex art. 45 cast.) dalla Repubblica, cioè con il concorso determinante delle regioni e degli enti locali. La cooperativa potrebbe esprimere un consiglio di gestione della programmazione tecnica del mezzo, al quale la legge potrebbe affidare anche il compito di programmare la divulgazione e il diritto di accesso; nel consiglio potrebbero essere inseriti, secondo i moduli partecipativi tipici della tematica regionalistica, soggetti rappresentativi delle istanze dei gruppi fruitori del diritto di accesso. La gestione tecnico-esecutiva del mezzo potrebbe essere affidata in concessione anche a imprese individuali (133). L'ipotesi di una nuova nazionalizzazione, peraYtro compatibile con il sistema costi tu~ zionale, non sembra politicamente opportuna, per il pericolo di fratture e tensioni tra Parlamento e Corte costituzionale, ma anche perchè, da un lato,. non è necessaria per programmare legislativamente l'organizzazione vincolante della divulgazione e, dall'altro, crea evidenti problemi finanziari relativi alla necessità della corresponsione di indennizzi alle imprese trasferite (134 ). La via forse più opportuna, in questo momento storico, è quella della compartecipazione del «pubblico » e del « privato » nell'attività economica di gestione tecnica degli impianti di diffusione radiotelevisiva, che consenta un margine autonomo di manovra alle imprese private, pur nell'àmbito della creazione legislativa vincolante degli spazi di accesso per i gruppi sociali (135). Si noti che « privato »può essere anche un soggetto di indiretta derivazione pubblica, che agisce servendosi delle tradizionali forme privatistiche di intervento sociale nell'economia (ad es. una società finanziaria regionale). 9. « Pubblico» e «privato » nel settore radiotelevisivo: funzionalizzazione delle emittenti locali e ruolo delle regioni. -La sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero e il corrispondente compito della Repubblica di programmare la divulgazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa sono, come si è rilevato, variabili storiche. Il disegno costituzionale di socializzazione della libertà di espressione dev€ pertanto rapportarsi al momento storico presente, che riassume determinati stadi della tecnica, rapporti sociali, economici, politici, giuridici. Il nucleo essenziale di ogni interpretazione è peraltro costituzionalmente predeterminato: l'interVento della mano pubblica deve essere finalizzato al massimo ampliamento della partecipazione diretta dei cittadini alla divulgazione delle idee: è questa l'unica possibile chiave di lettura dell'ipotizzato rapporto di compartecipazione tra « pubblico » e «privato » nell'attività di gestione degli impianti radiotelevisivi. Gli istituti utilizzabili (132.) Su tutto, cfr. supra prg. 4 in fine. (133) Sul problema dell'ammissibilità costituzionale della conc'essione a privati di imprese riservate ai sensi dell'art. 43 cost. cfr. ZACCARIA, Radiotelevisione e costituzione, 175 ss., e gli autori citati ivi, 179, nota 62. (134) In base a una certa impostazione si potrebbe riproporre il sistema della« riserva originaria» anche in presenza di imprese già operanti, che non sarebbero « trasferite » ma semplicemente estinte o assorbite privatisticamente. Su questa tematica cfr. BALDASSARRE, Iniziativa economica privata, in Enc. dir., vol. XXI, 600; DI MAJO, L'avocazione delle attività economiche alla gestione pubblica o sociale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, I, La costituzione economica, ci t., in p art. 350 ss. Conseguenza immediata di questa teorica sarebbe evidentemente l'inapplicabilità del principio dell'indennizzo. ( 135) Per una impostazione sostanzialmente corretta delle problematiche di fondo di questa coabitazione tra il servizio pubblico e le emittenti private cfr. SILIATO, L'antenna dei padroni, cit., 221 ss. NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 359 all'interno di questo rapporto sono, riassuntivamente: la programmazione della divulgazione, l'incentivazione in funzione programmatoria, l'istituzione di regimi concessori e/o autorizzatori, il decentramento del servizio radiotelevisivo nazionale. Della programmazione della divulgazione abbiamo più volte parlato in termini generali. È opportuno ricordare che essa si rivolge indistintamente a tutti i mezzi di comunicazione di massa, e che pertanto deve essere differenziata, secondo la natura del mezzo e la realtà storica e geografica in cui il mezzo stesso è inserito. Pertanto, è di piena evidenza l'opportunità che la programmazione della divulgazione su scala locale (emittenti private e servizio nazionale decentrato) sia riservata alle regioni, nel quadro dei principi della legge statale. · La competenza regionale in materia deriva sia dalle disposizioni di moltissimi statuti, sia dal principio della delega (art. 118 cost.), sia dalla stessa legge di riforma del servizio radiotelevisivo (l. 14 aprile 197 5 n. 103, ci t.), che, evidenziando la necessità del ruolo della regione, indica l'esistenza di un generale principio che chiama questo ente, insieme alle altre forze della Repubblica (art. 3, comma 2 cost.) a trasformare la realtà per realizzare la libertà sostanziale anche nel campo della diffusione del pensiero (art. 3, comma 2 e 21 cost.) (136). In mancanza di una legislazione specifica, potrebbe porsi il problema dell'applicabilità in via analogica delle norme sull'accesso, contenute negli art. 4, 5 e 61. n. 103 del1975 cit., alle emittenti private. La soluzione positiva non sembra eontestabile, se si muove dal riconoscimento dell'identità oggettiva delle due situazioni di fronte alla sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero: le citate norme sull'accesso trovano fondamento non già nella riserva statuale del servizio pubblico nazionale radiotelevisivo, ma direttamente nella costituzione, che, separando la libertà economica dal diritto di divulgare, crea il diritto dei gruppi costituzionalmente rilevanti di accedere a tutti i mezzi di comunicazione di massa, sia che la loro disponibilità derivi da una legge di riserva sia che derivi dal diritto di proprietà o di impresa privata (137). Un punto fondamentale da considerare, su cui torneremo, è che l'accesso, essendo già previsto in costituzione come diritto soggettivo perfetto, non può trovare nella legislazione (136) È stato di recente ribadito che alle regioni deve essere attribuito sia il diritto di informare, che quello di predisporre i mezzi concreti per il suo esercizio, inteso come libertà positiva e come « dovere >> di informare, derivante dall'esigenza della partecipazione popolare sancita in tutti gli statuti regionali (Russo, Il diritto all'informazione nell'ordinamento regionale, cit., 118 ss.). Il pur attento studio ora citato non sembra cogliere il momentD essenziale del ruolo delle regioni nella creazione di spazi di accesso ai mezzi di comunicazione di massa. L'autore si limita ad osservare che molti statuti, parlando di « uso di strumenti di comunicazione di massa » possano essere interpretati nel senso di legittimare il diritto delle regioni di stampare propri notiziari (op. cit., 124), mentre ogni intervento in tema di radiotelevisione sarebbe subordinato alla legge statale (124-125). Peraltro, l'autore sembra favorevole alla tesi prospettata dalle regioni secondo cui esse potrebbero, usando Io strumento della spesa facoltativa anche in settori estranei all'art. 117 cost., elargire provvidenze economiche in favore dell'editoria, stabilendo contemporaneamente criteri di programmazione (144 s.). L'autore non riromprende tra questi criteri, la finalizzazione dell'incentivo regionale alla creazione di spazi d'accessD per le formazioni sociali. Per una più ampia prospettiva dell'intervento regionale in materia di informazione cfr. infra, in questo paragrafo. (137) Diversamente da quanto si era affermato in ordine all'applicabilità analogica dell'intero sistema dell'accesso previsto nella I. 14 aprile 1975 n. 103 a tutti i mezzi di diffusione di massa (cfr. supra prg. 4), l'applicazione analogica sembra perfettamente possibile nel caso delle emittenti locali. In particolare, questa possibilità deriva dal fondamento del diritto di accesso nella programmazione vincolante della divulgazione (art. 21 e 3, comma 2, cost.); dall'identità materiale del mezzo; dalla qualificazione giuridica degli organi preposti all'accesso, individuati dalla l. n. 103, cit., come organi« di vigilanza» o« per l'accesso» al mezzo radiotelevisivo; dalla necessità di interpretare la legge secundum constitutionem, cioè nel senso di allargare al massimo la sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero. L'unica possibile obiezione sarebbe quella che in tanto la l. n. 103 ci t. predispone l'accessoin quanto vi è riserva statuale dell'attività radiotelevisiva; di qui l'eccezionalità della fattispecie e l'impossibilità di applicazione analogica, al di fuori delle categorie di imprese « riservate ». II presupposto da cui muove l'obiezione è errato, se è vero che ogni configurazione di spazi di accesso trova fondamento nei rapporto art. 21-art. 3 cpv., e non in quello art. 21-art. 43 cost. (cfr. SUfHa prg. 5 in fine). 360 '. FORO AMMINISTRATIVO: 1978 ordinaria una tutela minore. Pertanto, ogni.legge che regoli l'esercizio concreto del diritto alla sfera esteriore della libertà di divulgazione deve essere interpretata, ove possibile, nel senso suddetto; in caso contrario essa è certamente incostituzionale (138). Un secondo strumento di intervento è la previsione di regimi concessori o autorizza tori in funzione di programmazione. A questo proposito occorre rilevare che uno dei« comandamenti» contenuto nella sent. 28 luglio 1976 n. 202 della Corte costituzionale, indica come unico regime possibile per le emittenti libere quello di autorizzazione. Questa concezione (che del resto è la stessa che ha ispirato la normazione sulle tv-cavo contenuta nella l. 14 aprile 1975 n. 103) muove dalla meccanica applicazione dei tradizionali concetti di autorizzazione e di concessione, secondo la quale la prima indica la preesistenza di un diritto del soggetto richiedente, mentre la seconda la esclude (139) . . In questo senso il comandamento della Corte-offre il fianco a, diverse critiche. In primo luogo, se è vera la scissione costituzionale tra iniziativa economica e diritto di divulgare, l'appJicazione meccanica della teoria tradizionale, per essere corretta, avrebbe dovuto distingt\ere il diritto di installare e gestire impianti di diffusione radiofonica e televisiva, dall'attività di diffusione di programmi: mentre nel primo caso (preesistendo il diritto di impresa) il regime opportuno sarebbe stato quello autorizzatorio, nel secondo caso (mancando il diritto di divulgare) l'unico possibile regime amministrativo sarebbe stato quello concessorio. In secondo luogo, in riferimento alla mera gestione tecnica degli impianti, sembra possibile l'introduzione di un regime di concessione, in quanto si deve probabilmente ritenere superata l'impostazione tradizionale, a favore della concezione secondo la quale « il regime di concessione non incide sul diritto di impresa ma sul suo esercizio » o, al massimo, sulla « legittimazione all'esercizio dell'impresa» (140). Comunque, l'introduzione dello strumento della concessione non può considerarsi dipendente dalla preesistenza di una riserva statuale del ramo dell'economia in cui si esplica l'attività di impresa che si vuole sottoporre a concessione (141). Il regime concessorio può essere introdotto anche quando la mano pubblica voglia regolare la costituzione e il funzionamento di imprese non nazionalizzate, come si desume inequivocabilmente dalla genericità del termine « controlli» contenuto nel comma 3 art. 41 cost. (142), nonchè dall'interpretazione letterale dell'art. 2084 c.c., secondo il quale la legge determina le categorie di imprese il cui esercizio (e non la cui titolarità) è subordinato a concessione o aq autorizzazione amministrativa (143). (138) In tal senso pret. Roma 3 gennaio 1976 ord. cit. (139) Com'è noto la distinzione risale a RANELLETII, Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. it. 1894, IV, 29 ·ss. Essa, elaborata in un periodo storico in cui l'intervento pubblico nell'economia era, rispetto ai nostri tempi, inesistente, viene automaticamente riproposta anche dalla dottrina recente (ad es. cfr. GuLLO, Provvedimento e contratto nelle concessioni amminjstrative, Padova 1965, in part. 174 ss.) malgrado le profonde trasformazioni dello Stato liberale, e i nuovi fenomeni di socializzazione dell'economia, che imporrebbero una necessaria revisione della struttura tecnica dei concetti di autorizzazione e concessione. (140) Per tutti, GIANNtNI, Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1977, 196. (141) A riprova si consideri che alcuni addirittura escludono che le attività riservate o trasferite ai sensi dell'art. 43 cost. possano essere date in concessione a privati (cfr. ad es. Fms, Libertà di diffusione e monopolio radiotelevisivo, cit., 1127; D'ALBERGO, Monopolio« pubblico » e concessione nel servizio Rai-tv, in Dem. dir. 197 4, 331 ss.). Del resto, che dire della recente legge di riforma del regime !ii uso dei suoli edificabili (28 gennaio 1977 n. lO), la quale assoggetta a concessione ogni ~ttività di trasformazione urbanistica del territorio? È evidente che questa legge non conforma solo e tanto il diritto di proprietà ma soprattutto il diritto di iniziativa economica privata. Se fosse vera la tesi che il regime di concessione può essere imposto solo in caso di attività nazionalizzate, dovremo desumerne che la legge n. 10 del1977 è, in sostanza, una legge di nazionalizzazione(!). (142) GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, cit., 180. (143) Coerentemente a una corretta interpretazione del rapporto tra commi l e 3 art. 41, l'art. 2084 c.c. stabilisce che solo l'esercizio, e non la tito~arità, del diritto di impresa è sottoponibile a concessione. È conseguenziale NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE 361 In sostanza, ciò equivale a intendere la concessione, « al di là delle parole », come sottoposizione dell'impresa a « potestà dell'amministrazione più penetranti di quelle che si hanno in regime di autorizzazione» (144). Quanto detto introduce il discorso essenziale cui si voleva giungere, che costituisce la terza critica al dettato della Corte (e ai còntenuti della normazione sulle tv-cavo); a ben vedere, il regime autorizza torio è inteso dalla Corte costituzionale come un mero controllo di requisiti del richiedente: manca la visione del provvedimento amministrativo in funzione di programmazione, che avrebbe potuto contribuire a finalizzare l'emittente libera alla concretizzazione del diritto di accesso dei gruppi. Più aderente al dettato costitUzionale sarebbe l'introduzione di un regime amministrativo che, « al di là delle parole », consentisse una reale programmazione degli spazi di accesso al. mezzo, oltre che il meccanico riscontro di requisiti di varia natura del richiedente. Visto che la Corte, e le forze politiche, sembrano ormai definitivamente orientate verso l'introduzione di un regime di autorizzazione (145), rimane da chiedersi se, in questo quadro, sia possibile una manovra programmatoria dell'amministrazione, che subordini il rilascio dell'autorizzazione all'assunzione da parte del richiedente dell'obbligo di riservare spazi determinati all'accesso dei gruppi sociali. Il problema non dovrebbe porsi in presenza di una legge di programmazione della divulgazione, in quanto si può presumere che essa, determinando in modo vincolante gli spazi minimi di accesso, rinvii all'autorità amministrativa il compito tecnico di accogliere o respingere le domande di accesso, con decisione direttamente vincolante nei confronti del titolare del mezzo. Peraltro, come si è avuto occasione di rilevare, l'indirizzo politico attuale è orientato su una linea arretrata rispetto al disegno costituzionale, per cui sarà molto difficile che, a breve .termine, sia emanata una legge di programmazione della divulgazione, a meno di interpretare estensivamente (in ordine anche alle emittenti private) l'attuale normativa sul diritto di accesso, che potrebbe essere così considerata come un embrione di legge di programmazione della divulgazione. Se il Legislatore si limiterà ad eseguire la« delega » della Corte costituzionale, le linee del futuro intervento saranno, grosso modo, le seguenti: emanazione di una legge statale, in cui, tra l'altro, verranno individuati i requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'installazione ed esercizio degli impianti (autorità amministrativa competente il Governo centrale) e le condizioni (limiti di emissione pubblicitaria e rapporto produzione propria-produzione altrui, etc.) per la diffusione di programmi (autorità competente la Regione), ricalcando in tal modo la legislazione già esistente per le tv-cavo locali, tanto che, se si considerasse analogicamente applicabile alle diffusioni via etere questa disciplina, la legge di esecuzione dei dettami della Corte sarebbe praticamente inutile. La risposta negativa al problema dell'applicabilità in via analogica (o estensiva) delle norme sull'accesso contenute nella l. 14 aprile 1975 n. 103, cit., alle emittenti locali, porrebbe l'interprete di fronte alla questione se la regione, in caso di ammissibilità di applicazione analogica alle emittenti locali via etere del regime previsto per le tv-cavo, possa vincolare il rilascio dell'autorizzazione a diffondere programmi su scala locale, all'assunzione dell'obbligo, da parte del richiedente, di riservare spazi determinati di trasmissione all'accesso delle formazioni sociali. In termini generali, seguendo un'autorevole dottrina, si può affermare che il modello attuale di autorizzazione amministrativa « presuppone ... che esista un corpo di disposizioni l'argomentazione che per sottoporre una impresa a regime concessorio non è necessario nazionalizzarla. Non si capisce pertanto il motivo per cui anche la più attenta dottrina commercialistica configura l'art. 2084 come una specificazione deU'art. 43 cost. (cfr. ad es. GALGANO, L'imprendiÌore, Bologna 1971, 112). (144) GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, cit., 195. · (145) Cfr. supra prg. 7. . i• ' ~ 362 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 prescrittive, all'osservanza delle quali il provvedimento autorizzatorio si ordini, proposizioni che possono essere tanto in atti norma ti vi quahto in atti amministrativi, quanto essere specificate nello stesso provvedimento autorizzatorio » (146), certo, sempre nell'àmbito del perseguimento di un interesse pubblico. Nel caso.particolare dell'autorizzazione regionale alla diffusione dei programmi locali, l'art. 30 l. 14 aprile 1975 n. 103 cit. (che si riferisce alle tv-cavo, ma può essere suscettibile di applicazione analogica alle emittenti via etere) sancisce, nel comma 5, che« nel concedere l'autorizzazione la regione deve assicurare il rispetto delle seguenti norme » (segue un elenco relativo ai minimi di diffusione pubblicitaria etc.) ma non vieta alla regione di assicurare il rispetto di altre norme, quali quelle costituzionali che impongono a ogni soggetto della Repubblica di rendere effettivo, nell'àmbito della propria sfera di competenza, il diritto di accesso dei gruppi sociali ai mezzi di divulgazione. Del resto, se tale divieto vi fosse, sarebbe da considerare incostituzionale. Pertanto la regione potrebbe adoperare l'autorizzazione in funzione di programmazione,.subordinandone il rilascio all'assunzione dell'obbligo, anche convenzionale, da parte del richiedente, di riservare un minimum di spazio (individuabile attraverso l'interpretazione estensiva dell'art. 6, cit.) all'accesso dei gruppi costituzionalmente rilevanti, e di quelli previsti nell'eventuale convenzione. Un altro importante momento di programmazione potrebbe essere rappresentato dal sistema delle incentivazioni. Il nodo reale della autonoma sopravvivenza delle emittenti locali è quello del finanziamento, che, come generalmente si riconosce, dipende totalmente dalle commesse pubblicitarie.ll profilarsi di legislazioni restrittive in questo senso, da un lato, rende sempre più difficile l'esistenza dell'emittente locale, e, dall'altro, accentua i processi di assorbimento e di concentrazione da parte del capitale finanziario multinazionale. La creazione di cooperative potrebbe in parte superare questi problemi, con il ricorso all'autofinanziamento; allostesso modo i gruppi sociali (sindacato, partito, associazioni religiose etc.) potrebbero entrare nel mercato, autofinanziando proprie emittenti (fenomeno che puntualmente si sta verificando in particolare in campo radiofonico ). Quest'ultima soluzione è veramente problematica, sia perchè è surrogatoria di un preciso compito della Repubblica, sia perchè esula dai compiti istituzionali di quelle formazioni sociali, sia, infine, perchè incrementa il «groviglio nell'etere». Di qui l'importanza di un intervento pubblico che, finanziando le emittenti locali, da un lato le liberi dal ricatto pubblicitario e dall'altro assicuri la loro funzionalizzazione sociale (in particolare il diritto di accesso dei gruppi), attraverso il sistema della contrattazione programmata e dei controlli di gestione (147). Le regioni potrebbero intervenire in due modi: o attraverso legislazioni specifiche di incentivo o mediante l'azione di società finanziarie regionali. In entrambi i casi, peraltro, la finalizzazione dell'intervento non potrebbe essere solo il mero sostegno delle imprese locali di radiotelediffusione, ma dovrebbe consistere nella creazione di spazi di accesso sul piano locale, per le formazioni sociali rilevanti (148) .. (146) GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, cit., 191. (14 7) È quanto timidamehte prevede il progettoùnificato dalla legge di riforma dell'editoria (art. 40). In arg. cfr. supra nota 71. ( 148) In tema di editoria, vi è stato un intervento legislativo della regione Sicilia, che prevedendo un impegno finanziario piuttosto elevato a favore delle imprese editoriali operanti nel territorio della regione, conteneva anche elementi di pr-ogrammazione (per i riferimenti cfr. Russo, Il diritto all'informazione nell'ordinamento regionale, cit., 144 s.). L'intervento è da considerare insufficiente in-quanto, benchè rron privo di reali innovazioni, manca dell'elemento programmatorio essenziale; relativo alla subordinazione delle elargizioni finanziarie alla creazione di spazi di accesso per i gruppi socialmente rilt!'vanti della regione. Le eventuali censure di costituzionalità di leggi del genere (cfr. Russo, op. loc. cit.) sembrano aggirabili NOTE, RASSEGNE E DOCUMENTAZIONE - y 363 L'ultimo nodo è quello del decentramento della RAI e della creazione della terza rete televisiva a carattere regionale. Sono evidenti le implicazioni nei confronti della sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero: la tensione politica e le dichiarazioni di principio sono inutili quando non si comprende che l'unica ragione di essere del decentramento è il bisogno di partecipazione, emergente sia a livello sociologico, che a livello giuridico-costituzionale. La l. 14 aprile 197 5 n. l 03 attribuisce a comitati regionali per il servizio radiotelevisiv0 il compito di «regolare » l'accesso alle'trasmissioni regionali, secondo le norme della Commissione parlamentare di indirizzo e vigilanza per i servizi radiotelevisivi (art. 5, ultimo comma, l. cit.). La disposizione fa scaturire problemi apparentemente complessi in ordine alla natura e al valore dei regolamenti e degli altri atti emanati dal comitato regionale. In realtà tutta l 'impalcatura relativa al diritto di accesso contenuta nella l. n. l 03, cit., è farraginosa, probabilmente incostituzionale, fonte oggettiva di equivoci e problemi. La Commissione parlamentare ha potestà regolamentare piuttosto ampia in tema di regolamentazione dell'accesso, ed ha anche il potere di decidere sui ricorsi presentati contro le deliberazioni della Sottocommissione permanente per l'accesso, che trimestralmente esamina le richieste e, sulla base di un piano di ripartizione, attribuisce ai soggetti ammessi la disponibilità di spazi di accesso (149). ' I ricorsi contro le decisioni dei Comitati regionali sono decisi, secondo le forme classiche del ricorso amministrativo in opposizione, dal Comitato stesso. Le decisioni del Comitato regionale divengono esecutive se la Sottocommissione per l'accesso, cui vanno inviate sotto forma di piano trimestrale, non formula entro 15 giorni osservazioni. Contro le osservazioni della Sottocommissione il Comitato regionale può presentare ricorso alla Commissione parlamentare, che decide in via definitiva (150). La rilevata farraginosità del sistema ha creato in una giurisprudenza la convinzione, forse precipitosa, che l'accesso non sia costruito dalla legge come diritto soggettivo; pertanto la citata giurisprudenza ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 4 e 6 l. 14 aprile 1975 n. 103 cit. (151). A ben vedere, il problema può prospettarsi sotto un diverso profilo: l'attività delle tre commissioni individuate dalla l. n. 103, cit., può considerarsi oggettivamente amministrativa, e pertanto soggetta a sindacato giurisdizionale, indipendentemente dalla natura soggettiva delle commissioni (152). La previsione del sistema di ricorsi sopra delineato non impedisce l'immediato esperimento del ricorso giurisdizionale, secondo i criteri del nuovo regime della tutela giurisdizionale contro gli atti amministrativi (153). Nè può considerarsi carente la posizione di diritto soggettivo dei soggetti individuati dall'art. 61. 14 aprile 1975 n. 103, in quanto questa non presume la discrezionalità delle commissioni nel momento dell'ammissione dei soggetti titolari del diritto di accesso, n è una discrezionalità piena nella formazione dei piani trimestrali delle trasmissioni, che debbono in ogni caso rispettare i canoni del principio di imparzialità (art. 97, comma l, co st.) e del principio di eguaglianza formale tra i gruppi sociali individuati dalla legge (art. 3, comma 2, cost.) (154). Non sembra potersi dubitare, pertantg, che contro i provvedimenti delle mediante lo strumento della società finanziaria, che, malgrado interpretazioni restrittive della l. 16 maggio 1970 n. 281 (legge finanziaria), hanno un campo di azione praticamente illimitato (PALADIN, Diritto regionale, Padova 1976, 348). (149) Su tutto cfr. ZACCARIA, Radiotelevisione e costituzione, cit., 255 ss., 327 ss. (150) Art. 7 reg. esame richieste accesso al mezzo radiotelevisivo (in Gazz. Uff. 15 maggio 1976 n. 128). (151) Pret. Roma, 3 gennaio 1976, (ord. cit.). (152) Cfr. supra nota 94. (153) CAVALLO, Tribunali amministrativi regionali, in Noviss. dig., vol. XIX, 25 ss. (dell'estratto). (154) Configura l'accesso come interesse legittimo, tutelabile mediante ricorso al TAR, FRAGOLA, Diritto 364 FORO AMMINISTRATIVO: 1978 commissioni per l'accesso si debbano utilizzare gli strumenti del ricorso alla giurisdizione ordinaria. In ogni caso, una diversa interpretazione sarebbe contraria al disegno costituzionale, che, come si è visto, crea la sfera esteriore della libertà di manifestazione del pensiero dei gruppi socialmente rilevanti come diritto soggettivo, probabilmente azionabile anche in mancanza di una esplicita attuazione legislativa (155). GIAMPlERO DI PLINIO d'accesso radiotelevisivo e giurisdizione amministrativa, iti. Trii). amm. reg. 1977, Il, 267 ss. Dubitativo, ma probabilmente propenso verso la teoria del diritto soggettivo ZACCARIA, Radiotelevisione e costituzione, cit., 359 ss. Una posizione singolare è quella che distingue i soggetti legittimati all'accesso in due categorie: le formazioni sociali espressamente previste sarebbero titolari di un vero diritto soggettivo, mentre gli altri eventuali richiedenti, non individuati dalla legge, godrebbero di una tutela minore, sotto forma di interesse legittimo (BARILE, Qualche passo avanti verso la libertà della radiotelevisione italiana, in/l diritto delle radiodiffusioni e teiecomunicazioni 1974, 16 ss. ). La tesi può essere accolta, a patto che si aggiunga che comunque i gruppi previsti in costituzione godono sempre della tutela maggiore, ancorchè non elencati nell'art. 6 l. n. 103 del 1975 cit. (155) Cfr. supra prg. 5.