Le letterature comparate, a differenza delle storie letterarie nazionali, non sono organizzate secondo un arco cronologico, ma sono strutturate in base alle categorie sovranazionali (tema, genere, forma*…): la parola “categoria” rimanda a un insieme di elementi omogenei, mentre la parola “sovranazionale” significa che non sono racchiuse nei confini nazionali, storici, letterari e geografici di un singolo Paese. Per esempio, il tema dell’amore o della crisi del soggetto è sovranazionale, in quanto non viene trattato solo in Italia o in Germania. Anche i generi letterari, come il romanzo, sono sovranazionali. *Forma: indica una variante di un genere letterario (es. il romanzo di formazione). Le storie letterarie nazionali, invece, procedono secondo un’organizzazione cronologica basata su parametri che variano in base allo stato: la letteratura italiana si organizza intorno alle grandi figure letterarie come Dante, Boccaccio, Tasso; quella inglese ha come punto di riferimento i sovrani, in particolare dopo il Cinquecento (es. letteratura elisabettiana, giacomina, vittoriana…); quella francese i movimenti, come l’Illuminismo o il Naturalismo, e via dicendo. MODERNISMO (1890-1930) È un’epoca in cui prendono forma una serie di iniziative che daranno origine a vari movimenti modernisti, con testi molto diversi tra loro: alcuni di questi movimenti, infatti, sono dichiaratamente antagonisti ed eversivi rispetto alla tradizione, che secondo loro deve essere sostituita da forme più sperimentali e innovative (è il caso delle avanguardie: Futurismo, Dadaismo…); altri invece sono antiavanguardisti e percepiscono il bisogno di fare ordine nel presente; nel farlo utilizzano, spesso in maniera strumentale e antitetica, anche i modelli classici o recenti. Per esempio, nel capitolo 5 della prima parte di Gita al faro, l’autrice adotta sorprendentemente una narrazione realista, accostandola alla tecnica modernista dello stile indiretto libero, in modo da evidenziare il contrasto tra realismo e modernismo e dimostrare che la realtà può essere letta secondo due punti di vista: quello realista, cronologico e basato su causa-effetto, e quello modernista, soggettivo, non cronologico e incentrato sulla psiche dei personaggi (il messaggio della Woolf è che il realismo non esaurisce l’esperienza del reale). Alcuni studiosi parlano di Protomodernismo (o High Modernism), collocando il Modernismo entro limiti temporali più ampi, ovvero dal 1880 alla fine degli anni ‘30. Un modello ermeneutico (= interpretativo) per la letteratura modernista è il pensiero freudiano, che permette di individuare tracce dell’immaginario e dell’inconscio di un autore all’interno di un romanzo. In tutti i vari movimenti modernisti la forma è anche sostanza, nel senso che la volontà di sperimentalismo dà origine a nuove tecniche narrative, come il flusso dell’inconscio, che non sono fini a sé stesse, ma diventano anche strumenti conoscitivi e di denuncia di determinate problematiche sociali, politiche o culturali. LE ORIGINI E I TRATTI COMUNI DEI “MODERNISMI” La sperimentazione modernista è transnazionale, poiché impregna tutte le nazioni europee, comprese anche quelle delle letterature minori. Acquistano rilevanza, in questo senso, le grandi città e metropoli (Londra, Parigi, Dublino, Trieste…), che fungono da 1 luoghi di aggregazione geografica, economica e, in seguito, culturale (poiché vi si trasferiscono molti scrittori, provenienti anche da oltreoceano), e si trasformano in grandi laboratori di confronto e di produzione artistica, contribuendo al rinnovamento letterario. Le città attirano i capitali e sono i luoghi in cui la letteratura può essere divulgata attraverso la stampa e l’editoria: già nell’Ottocento, in Inghilterra i grandi romanzi venivano inizialmente scritti in forma di libro, ma poi, per motivi economici e di diffusione, venivano sfrondati dagli elementi immorali e indecenti, e pubblicati a puntate su quotidiani o settimanali (es. i romanzi di Dickens). In altre parole, anche fattori esterni alle arti, come l’economia o la politica, sono strettamente collegati al Modernismo; inoltre, i protagonisti dei romanzi modernisti vivono nelle città e sono accomunati dal fatto di essere degli outsider, che si sentono isolati dalla società. Come già accennato, la natura del Modernismo è riformistica, poiché il Modernismo nasce in un periodo segnato dalla crisi dei modelli di lettura e di rappresentazione della realtà presenti fino a quel momento; di conseguenza, diversi autori modernisti utilizzano il modello realista per mostrarne l’esaustività e la limitatezza. Questa crisi dei modelli ermeneutici ereditati dal passato, insieme agli sconvolgimenti provocati dalle nuove teorie in ambito scientifico e filosofico (Nietzsche, Freud, Bergson, Einstein), si traduce in una crisi sociale e del soggetto. Le sue unità stilistiche (= caratteristiche che accomunano i vari movimenti di questa epoca) sono: La concezione frammentaria della realtà, la difformità e la pluralità (infatti si parla di vari “modernismi”: Espressionismo, Simbolismo…); Lo sperimentalismo; La sofisticatezza*: la presenza di più livelli di lettura e le tecniche innovative, in quanto tali, fanno dei romanzi modernisti un genere destinato a un pubblico di élite (non è arte di massa facilmente interpretabile da chiunque) e attirano molte critiche, in quanto gli autori venivano accusati di oscurità e di incomprensibilità. *A questo proposito, è necessario distinguere tra successo e fortuna di un’opera: il successo è un dato quantitativo e corrisponde al numero di copie vendute; la fortuna è collegata invece al concetto di innovazione, alla creazione di un modello per i posteri. Madame Bovary di Flaubert (1856) inizialmente fu un insuccesso e venne aspramente criticato per la sua immoralità e per non essere in linea con i gusti dell’epoca; Fanny invece fu un grande successo di vendite, ma non ebbe fortuna, in quanto non costituì un modello inedito per i posteri (tanto che oggi è pressoché sconosciuto: solo in pochi ricordano il nome del suo autore, ovvero Feydeau). Di conseguenza, possiamo affermare che fu il romanzo di Flaubert ad avere fortuna, proprio perché esso fu innovativo. PERIODIZZAZIONE René Wellek, critico letterario che fu costretto a lasciare l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, fu il primo a parlare di periodizzazione in merito alle problematiche del testo letterario nel suo saggio Theory of literature (1949). Periodizzare significa individuare e stabilire periodi artistici secondo criteri oggettivi e puramente letterari (nonostante la letteratura sia difficilmente inquadrabile all’interno di parametri indiscutibili). Tra questi 2 criteri ritroviamo le tematizzazioni persistenti, come l’amore declinato nel motivo del corteggiamento (Orlando innamorato), oppure l’amore pastorale nel locus amoenus, o ancora l’amore correlato alla caccia alle streghe (in cui la donna angelo diventa una strega da perseguire)*. Un altro criterio è la circolazione di nuove forme: è il caso del romanzo modernista, caratterizzato da una forte sperimentazione linguistica e, soprattutto, dal rifiuto della mimesi realista e naturalista ottocentesca, un modello professato da autori come Balzac (che nella Comédie humaine fornisce un ritratto oggettivo dell’esperienza quotidiana dell’uomo, un ritratto incentrato sulla relazione cronologica di causa ed effetto e certamente non allegorico, come avveniva nella Commedia dantesca), oppure Zola (che nel ciclo dei Rougon-Macquart applica il metodo scientifico in letteratura, secondo cui razza, luogo e momento ci permettono di comprendere e addirittura prevedere le azioni dei personaggi). A questo proposito, il naturalista Stendhal sosteneva che il romanzo fosse “uno specchio che passa per la via”, ossia che dovesse rispecchiare la quotidianità del reale. Gli autori modernisti, invece, si incentrano sulla soggettività e sul singolo fatto: ne deriva che nei loro romanzi non è più la realtà a influenzare la percezione del soggetto, bensì sarà il soggetto, attraverso il suo sguardo, a modellare la realtà e a strutturarne la lettura. *La tematica dell’amore ha permeato le comunità occidentali e orientali dalla classicità alla contemporaneità: per esempio, il rapporto uomo-donna all’interno del matrimonio ricorre sia nell’Odissea sia nell’Ulisse di Joyce (dunque, quest’ultimo riprende una tematica classica per cercare di fare ordine nel mondo a lui contemporaneo). Alcune categorie che rientrano nella periodizzazione sono (in ordine decrescente): Epoca: periodo storico con un arco temporale lungo e ben definito, che ingloba diversi movimenti ed eventi storici (es. Romanticismo, Rinascimento, Realismo, Modernismo…). Periodo: segmento cronologico più breve e meno netto che si colloca all’interno dell’epoca, esprimendo una delle pluralità che possono caratterizzarla (es. in epoca modernista, la “fin de siècle” indica il periodo tra il 1890 e il 1910, contraddistinto dal gusto per l’estetica: Il Fuoco di D’Annunzio; Picture of Dorian Grey di Wilde). Movimento (-ismi): insieme di pratiche attuate da scrittori e artisti che condividono lo stesso pensiero e/o gli stessi modelli all’interno di un’epoca (es. Futurismo, Scapigliatura, Simbolismo, Decadentismo…). Corrente: insieme di affinità più tenui rispetto al movimento; a volte le correnti persistono in maniera antagonistica rispetto a un periodo o a un’epoca (es. le correnti realiste in epoca modernista). Scuola: concetto riconducibile alle arti visive e pittoriche, indica un insieme di artisti e pensatori accomunati dalla stessa ideologia e dallo stesso metodo di lavoro. Per esempio, all’interno della cornice dello sperimentalismo modernista, i pittori della scuola espressionista proiettano il loro sguardo unico e soggettivo sulla realtà, opponendosi alla scuola impressionista, in cui il pittore riceveva e raffigurava l’impressione proveniente dall’esterno. Gruppo: insieme di autori con una poetica e un’estetica in comune che si riuniscono fisicamente per discutere di svariati argomenti artistici, politici o letterari, 3 elaborando un progetto che non è necessariamente codificato in un manifesto (es. il gruppo di Bloomsbury a Londra, che annoverava Virginia Woolf tra i principali esponenti e comprendeva gli spiriti più liberali e anticonformisti dell’epoca, accomunati da un rifiuto delle rigide norme sociali imposte in età vittoriana). La periodizzazione e le letterature comparate sono importanti anche perché permettono di inglobare anche le letterature minori nello studio di una tematica o di un genere (es. letteratura danese o portoghese). MODERNITÀ E MODERNISMO Entrambi i termini trasmettono l’idea di progresso (nel senso di sviluppo, progredire dell’umanità). Baudelaire cerca di definire il termine “modernità” scrivendo: “La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile”. “Moderno” è dunque un termine in sé instabile perché ciò che è moderno oggi verrà necessariamente superato dal progredire della conoscenza. Il termine “Modernismo”, invece, identifica un’epoca con tratti temporali, estetici e stilistici ben precisi. Riassumendo, “moderno” significa “instabile”, mentre “modernista” significa “stabile”. CRISI DEL SOGGETTO NELL’ARTE DI INIZIO NOVECENTO Matisse, Le bonheur de vivre (1905) La dissoluzione dell’armonia del soggetto nei confronti dei propri simili e del mondo che lo circonda impregna anche l’arte. Nel quadro di Matisse la prospettiva è ancora presente, ma non è perfetta; le figure sono ancora ritratte in posizioni plastiche, che trasmettono armonia, ma quest’armonia inizia a essere turbata dal fatto che gli alberi non sono facilmente distinguibili e sembrano voler schiacciare l’uomo (non è più una natura amica). Infine, i colori non sono naturali, bensì forzati e scelti in base allo stato d’animo dell’autore. 4 Cézanne, Les grandes baignantes (1906) In Cézanne l’armonia è quasi assente: rimane la prospettiva, ma i soggetti sono divisi nettamente e non comunicano tra di loro (uno fa il bagno da solo, due si trovano sull’altra sponda, i due gruppi in primo piano sono scissi); inoltre, i corpi sembrano essere costituiti dall’assemblaggio di forme volumetriche (cubi, sfere…), che trasmettono l’idea di scomposizione (e frammentazione) dell’unità del soggetto. La natura, infine, è ancora più opprimente rispetto al quadro di Matisse, in quanto gli alberi sono più curvi: si tratta di una natura matrigna, che tra l’altro presenta una gamma cromatica molto ridotta, limitata ad alcune sfumature di giallo ocra, blu e verde. Picasso, Les demoiselles d’Avignon (1907) Le demoiselles d’Avignon non sono veneri o donne caste in stile botticelliano, bensì donne provenienti da Calle de Avignon (Barcellona), luogo rinomato per i suoi bordelli (si tratta quindi di un soggetto indecente). Qui l’armonia è del tutto assente: manca la prospettiva, poiché lo sfondo (poco definito: è una finestra oppure sono terme?) sembra irrompere in primo piano; in aggiunta, coesistono più punti di vista: le 3 donne a sinistra sono viste di 5 fronte, mentre nel gruppo di destra la fisionomia è distorta, poiché il corpo è visto di spalle, mentre il volto è capovolto e frontale. Contribuisce a trasmettere disarmonia il fatto che i corpi sono costituiti da giustapposizioni di figure volumetriche (tratto caratteristico del Cubismo). I colori, infine, sono pressoché piatti: non c’è sperimentalismo in questo senso da parte dell’autore. Picasso vuole trasmettere il bisogno profondo dell’uomo di recuperare le proprie radici per stabilire nuove relazioni con la storia e ordinare un presente caratterizzato dalla crisi e dall’isolamento del soggetto (i volti a sinistra sono riferimenti a figure tipiche della cultura autoctona della Penisola iberica); allo stesso tempo, l’autore invita a promuovere la circolazione e lo scambio di idee, senza isolarsi all’interno della propria cultura (i volti a destra rimandano alla cultura africana). NB: nel caso del Modernismo, il topos della rappresentazione delle bellezze al bagno in un contesto naturale segue il principio della libera trascrizione: il pittore non si limita alla mimesi della realtà, bensì la trasfigura, rivisitando i corpi, i colori e la prospettiva in base al suo punto di vista soggettivo. Questo a riprova del fatto che il Modernismo non rigetta del tutto i temi radicati nel tempo (es. amore o ricerca dell’armonia), ma anzi se ne appropria e li utilizza per fornire un’interpretazione del presente. L’armonia scompare progressivamente anche in musica: mentre Ciaikovskij nello Schiaccianoci (1892) rispetta la scala diatonica tradizionale, pur alternando pause e momenti di esplosione (tipici del valzer), Schoenberg nel 1908 sperimenta per la prima volta l’atonalismo, un modello più difficile da seguire e da inquadrare, caratterizzato da suoni più acuti e laceranti e privo di una traccia precisa e stabilizzante. In questo modo egli trasmette il disagio esistenziale modernista. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI E GENERALI SUL ROMANZO “Il romanzo è qualcosa che fa parte dell’esperienza di ogni lettore, che sembra immediatamente accessibile e che tende quasi a identificarsi con l’idea stessa di libro, di testo letterario, ma è anche qualcosa di cui non si può cogliere pienamente l’identità, perché il suo universo è troppo vasto [può essere romance, novel*, autobiografia…], perché i termini in gioco sono molti e gli strumenti in nostro possesso, dopotutto, non sono né sofisticati né infallibili. Le parole che salgono automaticamente alle labbra, pensando al romanzo, sono apertura, varietà, molteplicità, dinamismo, libertà.” *Il novel è un romanzo realista, che inscena narrazioni verosimili (es. Dickens, Defoe…), mentre il romance narra avventure cavalleresche o amorose dichiaratamente inverosimili, aventi per protagonisti eroi troppo perfetti per essere veri (coincide con il termine fiction). Apertura: il romanzo apre alla contaminazione dei generi (poesia, prosa, teatro), perciò può avere una trama drammatica ma essere scritto in versi, oppure diviso in atti. Varietà: può presentare una molteplicità di forme; il romanzo ottocentesco ha diverse forme, come il romanzo di formazione (Dickens, sorelle Brontë), il dramma borghese o il romanzo gotico. 6 Molteplicità: in un romanzo possono coesistere più temi. La signorina Else è in primo luogo un flusso dell’inconscio, che si inscrive nella sfera della psicoanalisi del soggetto; ma nel romanzo affiorano altre tematiche, come la critica alla borghesia o la critica letteraria (vengono citati alcuni testi antitetici rispetto a La signorina Else, ad esempio il feuilleton Fanny*). Possono essere presenti anche più livelli narrativi. *Si tratta di un genere letterario che propone narrazioni ricche di colpi di scena e intrecci avvincenti adatti a un pubblico vasto e in genere non colto (il feuilleton era la parte di giornale che ospitava i romanzi a puntate). Esempi di feuilleton sono Fanny, I tre moschettieri, I Miserabili. Dinamismo e libertà: dinamismo significa che la cronologia dei fatti (= la fabula) viene scomposta e riordinata secondo un intreccio che segue il volere dell’autore (mediante tecniche quali l’inizio in medias res oppure i flashback e i flashforward). Questo decreta la libertà del genere. “Se il romanzo è l’unico genere a non avere dei canoni [non c’è un modello unico e codificato, ci sono più finalità], è perché è l’unico in uno stato di divenire perpetuo”. Esso rinasce continuamente sulle ceneri dei movimenti precedenti perché è influenzato e determinato dalle problematiche e dai bisogni sociali, religiosi, storici e culturali che interessano le comunità. Nel caso del Modernismo, nella produzione romanzesca subentrano l’imprevedibilità e l’oscurità che avvolgono il mondo moderno, che si traducono nello sperimentalismo di forma. Per romanzo intendiamo dunque l’incontro fra una struttura, una forma (= romanzo realista, d’introspezione psicologica, modernista…) e una tematica (cosa immagina e rielabora l’autore all’interno di una comunità) in un dato momento storico e culturale. IL ROMANZO COME PUNTO DI INCONTRO TRA LETTERATURA E COMMERCIO Dalle origini fino al XVIII secolo, la letteratura era un privilegio per pochi: il pubblico e gli autori erano prevalentemente maschili – poiché la donna doveva prendersi cura delle faccende domestiche – e facevano parte dell’aristocrazia. Anche i romanzi settecenteschi di Defoe, Fielding, Voltaire, Rousseau, dunque, erano il privilegio di un’élite ristretta. Nell’Ottocento la rivoluzione industriale fu alla base di un rimescolamento all’interno della piramide sociale: creò molti posti di lavoro (distribuiti però in modo poco equo) e comportò una maggiore circolazione di informazioni, merci e persone, nonché la nascita e il consolidamento della borghesia e dell’economia. Nacquero i primi grandi editori (che erano francesi, es. Hachette), che contribuirono alla diffusione del genere proprio presso la classe borghese (che ne era il destinatario principale), e, verso la metà del secolo, il romanzo fu assorbito dalla stampa e iniziò a essere pubblicato a puntate sui giornali, divenendo così un bene di consumo di massa. Nel Novecento avvenne la massificazione del genere grazie alle prime grandi tirature, alle campagne pubblicitarie e, dalla seconda metà del secolo, alle ristampe economiche dotate di paratesti (copertina, indice, introduzione…). Dagli ultimi 20 anni si è iniziato a parlare di “global literature”: si tratta di tutta quella letteratura internazionale la cui produzione è condizionata da svariati fattori di vendita, quali le tirature, l’editoria, la traduzione e così 7 via. In pratica, gli editori sono disposti a investire denaro nella pubblicazione di un romanzo a patto che esso sia mediamente fruibile da un pubblico internazionale, non tratti tematiche troppo specifiche e presenti un linguaggio ben traducibile*. Questa letteratura di massa (gialli, rosa, noir), però, raramente apporta novità dal punto di vista del contenuto e della rinascita del genere. *La traduzione comporta che l’editore imponga un numero massimo di pagine al traduttore, al quale è concesso anche omettere diverse pagine o addirittura capitoli interi. Oggi il romanzo sta attraversando una crisi a causa dell’eccessiva multimedialità, che si traduce per esempio nella presenza degli ipertesti: mentre il romanzo cartaceo implica una lettura cronologica e lineare, che segua l’ordine delle pagine, quella ipertestuale si basa sulle esigenze e i gusti del lettore, il quale può cliccare su un link presente su una parola e deviare la sua lettura. In aggiunta, a partire dagli anni ‘20, e in particolare negli anni ’50 e ‘60, il dibattito sul romanzo si è spostato dal piano morale a quello estetico: sono diventate rilevanti anche le possibilità estetiche e stilistiche fornite dai supporti a disposizione dell’autore (es. con un DVD si può rappresentare il romanzo avvalendosi sia della scrittura sia delle immagini o dei video: si parla di multimodalità). In altre parole, la tematica è venuta meno di fronte alla forma e alla struttura del romanzo, alle sue possibilità espressive (è il caso degli autori del Gruppo 63 o i Nouveaux romanciers). Va aggiunto che tra ‘800 e ‘900 furono pubblicati romanzi di formazione molto travagliati, che nel caso del Romanticismo anticipavano il turbamento modernista (es. I dolori del giovane Werther, Ultime lettere di Jacopo Ortis). Tali romanzi esercitarono un potere di seduzione notevole sui giovani di allora: alcuni emularono il modello di Jacopo Ortis o di Werther, suicidandosi, altri imitarono lo stile di vita di Emma Bovary – caratterizzato da un desiderio costante di evasione dalla realtà – costruendosi un mondo fittizio nel quale proiettavano ambizioni e frustrazioni (quest’ultimo atteggiamento è detto bovarismo). Anche oggi i romanzi e i film esercitano questo fascino seduttivo: James Bond piace perché tratta e stuzzica gli aspetti più morbosi del nostro immaginario (belle donne, hotel di lusso, ricchezza…). Vanno ricordati infine anche Don Giovanni, il seduttore per eccellenza, e i romanzi di Orwell, che trattano il potere delle ideologie. IL PATTO NARRATIVO In genere leggiamo i romanzi per sostituire alla monotonia della nostra vita quotidiana un mondo caratterizzato da avventura, amore e lusso. La nostra compensazione deriva dal fatto che ci identifichiamo nei personaggi di cui leggiamo e dalla consapevolezza che il romanzo è finzione e dà forma ai nostri impulsi (paure e desideri), rendendoli accettabili. In altre parole, il romanzo serve a compensare alcune lacune dell’esperienza, in quanto il lettore vi trova comportamenti che non sono permessi dalle censure morali della società (es. soddisfazione di sessualità o ricchezza). L’identificazione avviene più facilmente se il romanzo tratta una tematica di attualità, ovvero se comunica un bisogno a cui viene fornita una risposta in chiave letteraria. Infine, il romanzo ha una funzione liberatoria (dalla realtà): esso esige l’isolamento del lettore per la sua fruizione e per la comprensione dell’universo della vicenda narrata (questo vale in particolare per i romanzi modernisti). L’evasione dalla realtà concreta è 8 quindi possibile grazie all’isolamento e alla mediazione di un personaggio in cui si identifica il lettore. A questo proposito, si usa il termine patto narrativo (o coscienza comune) per indicare un tacito accordo in base al quale il lettore compie una parziale e momentanea sospensione delle facoltà critiche e accetta come se fosse vera una storia che sa essere fittizia; questo accordo viene rispettato nel momento in cui le 3 istanze del romanzo – lettore, narratore e personaggio – arrivano a coincidere. La coscienza comune è quindi una condivisione di punti di vista, e a volte viene garantita da un frammento di testo che spinge il lettore a credere a quanto viene narrato, come nel caso della cornice del Giro di vite o della premessa a The Beautiful Lady di Defoe, in cui l’autore dichiara: “The foundation of this is laid in truth of fact; and so the Work is not a Story [una vicenda romanzata], but a History [una storia vera; lo scopo nel Settecento era narrare i fatti in maniera tale che sembrassero reali]”. Volendo schematizzare quanto appena detto: Spiegazione: da un lato abbiamo l’autore e la realtà che vuole narrare, dall’altro il lettore e la realtà concreta in cui vive (che non sono necessariamente contemporanee); tra i due si inseriscono il romanzo o il racconto, ovvero un insieme di strategie volte a narrare una storia, o fabula (= una serie di fatti ordinati cronologicamente). L’autore può attuare una serie di scelte stilistiche, manipolando liberamente l’esposizione degli eventi: in tal caso si parla di intreccio*. All’interno di questa cornice (detta comunicazione intratestuale) ritroviamo una dialettica costante tra realtà e finzione: ad esempio, nell’introduzione Defoe cerca di convincerci che i fatti narrati dalla Lady sono reali, ma nel momento in cui il lettore diventa consapevole del fatto che l’autore si sta servendo di un personaggio fittizio, si passa inevitabilmente alla finzione; lo stesso vale per La signorina Else. Il risultato di queste continue interazioni è il patto narrativo che si stabilisce tra autore e lettore (entità reali) e tra narratore e narratario*. Il tutto costituisce la forma estetica del romanzo. 9 * Le strategie dell’intreccio sono la pausa (= il narratore annulla la sovrapposizione temporale tra fabula e intreccio, esprimendo i suoi pensieri), la prolessi (anticipazione improvvisa di ciò che accadrà, tipica dei romanzi di fantascienza), l’analessi, la digressione, la descrizione, la sintesi… *Il narratore è la voce che espone i fatti, l’alter ego dell’autore (= parla per conto dell’autore); il narratario è l’alter ego del lettore, ovvero il destinatario della narrazione, a cui si riferisce, a volte in maniera diretta, il narratore. Questi due concetti non vanno confusi con quelli di autore e lettore modello: il narratore e il narratario sono entità fittizie, che fanno parte del meccanismo narrativo, al pari di tempo e spazio (rientrano nella sfera dell’analisi del testo: analizzare = smontare un testo e studiarne le varie componenti). Al contrario, l’autore modello e il lettore modello sono esterni alla storia narrata, in quanto rientrano nell’ermeneutica del romanzo. L’autore si interroga sul pubblico a cui vuole destinare la sua opera, cercando di interpretarne i gusti e le attese (il lettore modello), mentre chi legge l’opera ricava un’idea generale dell’autore che l’ha pubblicata, cercando di dedurre, ad esempio, gli elementi biografici inseriti nella storia (autore modello). Come accennato prima, il romanzo è sempre stato un genere in costante oscillazione tra realtà e finzione, che non sempre coesistono in un’unica opera. Alla prima categoria possiamo associare i romanzi sociali di Dickens oppure quelli naturalisti, realisti e veristi (es. Zola, Verga). Quanto al fantastico, invece, vanno distinti diversi tipi di fantastico, come il gotico (Frankenstein, Dracula…), il terrore e l’allucinazione (Poe e James, nel caso del Giro di vite) oppure il simbolismo (Joyce, Proust). Ai modernisti interessa la realtà per come appare alla mente del singolo personaggio, dunque il punto di vista circoscritto assume rilievo e il romanzo diventa una ricerca psicologica e metaforica in Proust, Kafka e Pirandello, oppure un esperimento linguistico a tratti surreale. ROMANZO-RACCONTO-NOVELLA Il romanzo (romanzo breve compreso) appartiene al filone della narrativa lunga, che gli inglesi chiamano long fiction, e si fonda su una concatenazione di storia e intreccio con molti personaggi; i racconti e le novelle rientrano invece nella short fiction e mettono a fuoco un unico fatto saliente, un aspetto specifico della vita che viene tramandato oralmente (novella*) o in forma scritta (racconto). Julio Cortázar afferma che scrivere un racconto è come scattare una fotografia: l’attenzione si focalizza su un unico dettaglio, su un ritaglio di spazio in grado di evocare nel lettore una realtà più ampia. Questa “scossa” deve avere un effetto immediato sul lettore, in quanto lo scrittore di racconti non ha il tempo né lo spazio per approfondire gli aspetti ideologici o psicologici più profondi della vicenda; di fatto, la scrittura della short fiction è molto densa, e nella trama, estremamente esigua, nessun aspetto è lasciato al caso. *La novella era molto in voga durante il Medioevo. Poe sostiene che la short fiction deve essere letta e compresa in un fiato, nell’arco di un’ora. Al contrario, un romanzo (breve o meno), come La signorina Else, presenta una densità di fatti che va oltre la riflessione sul singolo aspetto tipica della short fiction. Anche il ritmo è diverso: il romanzo ha i suoi tempi e può contenere pause, digressioni, flashback 10 e così via, mentre il racconto normalmente presenta un fatto, un climax, un apice, una chiusura finale e spesso una morale, che è separata con uno spazio (la cesura) dal resto della storia. Dal punto di vista del tono, il romanzo può permettersi una variazione di tono, mentre racconti e novelle esigono uno standard costante di tono. Per quanto riguarda il materiale tematico, mentre questi ultimi, come già detto, trattano un singolo aspetto (es. l’incapacità dell’individuo di reagire a una situazione problematica), il romanzo correla quell’aspetto con altre tematiche (in Senilità l’inettitudine di Emilio è collegata anche all’incapacità di amare o di realizzarsi come scrittore). Quanto all’obiettivo dell’autore, infine, quello dei romanzieri è realizzare una trattazione che abbia valore socio-culturale, oltre che stilistico; nel caso del racconto o della novella, invece, lo scopo è prevalentemente morale (viene narrato un caso singolo che esemplifica una problematica condivisa). Riassumendo: Materiale tematico Romanzo Pluralità di tematiche e di personaggi Densità e tempo di lettura Svariate ore Ritmo e tono Variabile: possono esserci approfondimenti psicologici, digressioni, commenti, flashback, flashforward… Stilistico, socio-culturale, politico o morale Obiettivo dell’autore Racconto/Novella Fotografia: un unico fatto, un'unica sfaccettatura del reale Massimo un’ora: deve essere letto e compreso in un fiato Costante: non c’è spazio per divagazioni Esclusivamente morale I TRATTI DEL ROMANZO MODERNISTA Molteplicità di forme: elevato livello di sperimentazione letteraria Autoriflessione sulle proprie capacità di analizzare e ordinare la realtà, in risposta al disordine culturale e sociale di inizio Novecento Crisi del modello realista, che porta alla disgregazione della storia tradizionale Maggiore attenzione alla forma estetica e al linguaggio Focus sul singolo personaggio e sul suo modo di percepire il reale: dalla spazialità esterna si passa a quella privata, psichica Spesso è ambientato nelle città, luoghi di isolamento e dispersione Opposizione individuo – società Fusione tra arti maggiori e minori Io-soggetto -> mondo-oggetto -> Io-oggetto All’interno dell’etichetta di “romanzo modernista” troviamo una molteplicità di forme giustificata dal fatto che il genere era diventato per gli autori uno strumento ontologico per indagare e conoscere la realtà. In tutte queste varianti, però, compare sempre un Io11 soggetto (reale o fittizio) che indaga e s’interroga sul mondo-oggetto. Analizzando la realtà circostante, l’io finisce con l’inserirsi all’interno di questo contesto, facendo di sé stesso un oggetto di indagine: in questo modo, diventa un Io-oggetto (es. Marcel della Ricerca del tempo perduto o Zeno Cosini: diventano l’oggetto principale della riflessione nel romanzo di cui sono protagonisti). Gli autori, del resto, attribuiscono, come già detto, allo stesso genere del romanzo lo scopo di conoscere il mondo esterno attraverso l’indagine dell’interiorità dei suoi personaggi: si parla dunque di romanzo di introspezione. Questa sequenza è ben esemplificata nell’incipit de La Signorina Else: la protagonista inizialmente si afferma come Io-soggetto (intervenendo in prima persona durante il discorso diretto); in seguito non parla più, ma lascia parlare il proprio inconscio, proiettando così il suo sguardo verso il mondo che la circonda, che diventa oggetto della sua riflessione (“Niente male, come uscita di scena. Speriamo che quei due non pensino che io sia gelosa”). Infine Else si trasforma in un Io-oggetto nel momento in cui inizia a interrogarsi su sé stessa, cercando successivamente di darsi delle risposte (“Ho un aspetto garbato adesso?”). Possiamo notare la molteplicità di forme sopraccitata nei 4 romanzi da leggere: ne La Signorina Else viene impiegata la tecnica del flusso dell’inconscio (siamo quindi nella sfera del soggettivismo puro). In Gita al faro troviamo svariate tecniche: frammenti di flusso dell’inconscio, stile indiretto libero, parti di discorso diretto e così via. Nel Giro di vite l’istanza modernista che ricorre più spesso è il concetto di “impressione”, strettamente collegato alla tecnica del punto di vista circoscritto (termine coniato da James), che consiste nell’avvalersi di un narratore anonimo interno alla storia che presenta i fatti interpretandoli in base al suo punto di vista soggettivo e, pertanto, limitato. Il tutto ovviamente conferisce ambiguità di visione e di giudizio morale alla vicenda narrata: l’istitutrice avrà veramente visto i fantasmi di Jessel e Quint oppure erano frutto di un’allucinazione? Inoltre, non è detto che i comportamenti di Flora e Miles avessero lo scopo di fuorviarla o di destabilizzarla, come lei invece pensava. In generale, possiamo affermare che nel romanzo modernista la conoscenza della realtà passa attraverso il filtro della coscienza del personaggio; questo però è all’origine della totale assenza di certezze: gli autori modernisti ci avvertono che ogni azione dell’uomo è ambigua perché al suo origine c’è sempre un processo di lettura della realtà parziale e circoscritto, quindi limitato. Per esempio, sempre nel Giro di vite, quel poco che sappiamo di Miles e Flora oppure di Quint e Jessel deriva dal punto di vista parziale e poco affidabile dell’istitutrice. Quel che è certo è che le isterie e le nevrosi dei personaggi minano l’affidabilità del loro punto di vista. A proposito del punto di vista circoscritto, James parte dal presupposto che la vita sia fondata sul principio della confusione; il compito dell’arte è tentare di fare ordine in questa visione caotica (p. 33 del manuale). Di conseguenza, egli ricorre a un personaggio in modo da poter plasmare e interpretare la realtà del romanzo attraverso il suo particolare punto di vista. Questo gli permette di passare, in modo camuffato, dall’oggettivismo al soggettivismo. Le nuove teorie e forme del romanzo e, più in generale, lo scetticismo nei confronti dei principi e dell’affidabilità con cui il romanzo ottocentesco leggeva la realtà sono fondate su 12 un relativismo culturale determinato dalle teorie di Einstein, Freud, Bergson, ma anche di Nietzsche, che teorizzò un mondo in cui non esiste Dio. Secondo il filosofo, non c’è una chiave di lettura dogmatica della realtà basata sull’esistenza di un’entità superiore responsabile della creazione dell’uomo e che presidia la realtà (viene negata quindi qualsiasi teoria panteistica). Il tutto genera uno scollegamento tra l’Io e la società in cui si colloca, una società composta da individui che non comunicano e non si sentono più parte di un ingranaggio superiore perfettamente decodificato. Per rispecchiare questo ateismo, la letteratura si libera del narratore onnisciente* (che pretende di essere detentore di una verità assoluta), preferendo personaggi che parlano secondo il loro esclusivo punto di vista. In aggiunta, la letteratura responsabilizza il singolo individuo, che dunque diventa arbitro del proprio destino. Riassumendo, tutto diventa relativo, non assoluto. *NB: la letteratura non è mai scissa dal pensiero filosofico o dalle teorie scientifiche, ma anzi se ne appropria, le concretizza e le introietta nelle proprie strategie di comunicazione. Bisogna anche ricordare che la letteratura modernista non è letteratura di massa, bensì letteratura d’élite, destinata a un lettore attento e colto. Si può anche affermare che il romanzo modernista si rivolge su sé stesso e riflette sulla propria forma: pur non essendo il romanzo un soggetto pensante e autonomo, spesso gli autori si interrogano sulle possibilità mimetiche e conoscitive del genere nell’ambito di una realtà sempre più complessa e incostante; e a volte, appunto, questa riflessione ontologica diventa anche uno dei temi del romanzo, come nel caso dei Falsari di André Gide (1925): a un primo livello di lettura, abbiamo una storia che riguarda un gruppo di ragazzi che spacciano monete false, ma a un’analisi più profonda scopriamo che il vero tema dell’opera è anche l’arte dello scrivere i romanzi. L’autore, infatti, sembra volerci informare che i veri falsari sono le voci narranti presenti nel testo (perché ognuna manipola in modo diverso la vicenda in base al proprio punto di vista*; il risultato sono versioni diverse tra loro del medesimo fatto di cronaca). *Questa tecnica di costruzione a più voci e più punti di vista è anche detta fugata e spesso disorienta il lettore. Dal romanzo polifonico, caratterizzato da trame complesse e una molteplicità di personaggi e situazioni che accompagnano la vicenda di un protagonista ordinata cronologicamente (es. Tom Jones o Robinson Crusoe), si passa al romanzo univoco, in cui ci sono pochi personaggi e tutto ruota intorno alla coscienza di un singolo individuo (es. La signorina Else). Si assiste, inoltre, alla disgregazione della storia tradizionale, in quanto viene meno la corrispondenza tra fabula e intreccio: ai romanzieri modernisti non interessano le vicende più o meno complesse vissute dal personaggio per come sono, bensì la sua percezione della realtà durante tali vicende, che spesso hanno una connotazione quasi atemporale (perché perdono rilevanza: vedi Giro di vite o Senilità). Per esempio, nella prima parte di Gita al faro la dimensione temporale cronologica è presente, ma viene affiancata da un'altra temporalità che si origina all’interno dell’inconscio di Mrs. Ramsay in seguito all’esperienza di situazioni o incontri che evocano pensieri o ricordi ad essi collegati; questi ultimi presentano temporalità e spazialità a sé stanti, che non coincidono con gli avvenimenti della vita reale. 13 Il romanzo modernista si interessa poco alle problematiche dichiaratamente sociali, contrariamente ai romanzi ottocenteschi, in cui spesso compariva il tema della disponibilità economica, correlato all’opportunità di scalare la piramide sociale (Dickens, Zola…). La preoccupazione del romanzo modernista è prevalentemente estetica, in quanto gli autori riflettono sulle possibilità stilistiche e letterarie del genere attraverso cui fotografare il mondo esterno. A volte compaiono cenni di problematiche sociali o culturali, che però ricoprono un ruolo di secondo piano: nella seconda parte di Gita al faro, ad esempio, si fa riferimento alla Prima Guerra Mondiale, che non viene però descritta in maniera dettagliata, poiché l’unico vero protagonista è il tempo che passa. La complessità della forma è giustificata dal fatto che il romanzo si è liberato dalla schiavitù ottocentesca, intesa come corrispondenza fabula/intreccio e causa/effetto; grande attenzione viene riservata, a differenza degli sperimentalismi di fine Settecento*, anche all’uso del linguaggio (già da metà Ottocento molti romanzieri sperimentavano sull’uso di forme inedite, come nel caso del laboratorio di letteratura denominato OULIPO in Francia: per esempio, Perec scrive un romanzo omettendo una lettera dell’alfabeto). *Sterne, già alla fine del Settecento, aveva sconvolto la successione cronologica dei fatti narrati, inserendo dei flashback. La differenza è che nel Novecento queste tecniche vengono riprese e amplificate nel loro uso, alla luce delle nuove teorie scientifiche (nuova concezione del tempo, psicoanalisi, nuova consapevolezza delle potenzialità del linguaggio in seguito alla distinzione tra langue e parole di Saussure). Dalla spazialità esterna alla spazialità interna: l’attenzione è rivolta a una dimensione puramente privata e psichica, spesso non controllabile. Questo è dimostrato, per esempio, ne La signorina Else, in cui si passa frequentemente da uno spazio esterno* e reale, come il campo da tennis o la sala da pranzo dell’hotel, a uno spazio mentale e soggettivo, in questo caso la psiche disordinata della protagonista. A volte troviamo la frammentazione dello spazio, data dalla presenza di più punti di vista (es. I Falsari). *Spesso lo spazio esterno corrisponde allo spazio metropolitano. Tuttavia, la città è un luogo estraniante, di dispersione e d’isolamento, caratterizzato dalla disarmonia tra il singolo personaggio e una collettività fatta di tante individualità scisse (questo spiega anche la scarsa presenza di dialoghi diretti); inoltre, contribuiscono in maniera significativa all’alienazione dell’individuo i frequenti presagi di guerra e le conseguenze del Primo conflitto mondiale (non si combatte più fianco a fianco o guardandosi in faccia, bensì in maniera anonima nelle trincee). In questo contesto, gli individui per ritrovare sé stessi puntano inizialmente a una spazialità aperta e al recupero di un rapporto autentico con la natura, che però viene percepita come matrigna. Ad esempio, a partire dal terzo capoverso del capitolo 3 della seconda parte di Gita al faro (p. 140), troviamo una natura che non offre un rifugio sicuro all’individuo, ma anzi provoca angoscia. Ancora, nel capitolo 6 (p. 146) la Woolf sostiene che è impossibile per l’uomo trovare un qualsiasi elemento di relazione con la natura (questa mancata relazione è simboleggiata dall’approdo impossibile alla spiaggia), poiché l’uomo non possiede più gli strumenti per contemplare e comprendere la realtà circostante. Lo specchio infranto è un riferimento allo specchio di Stendhal: l’autrice afferma che non è più possibile ritrarre e decodificare la realtà con compiutezza. Data quindi l’impossibilità di relazionarsi con la natura (dovuta anche 14 all’industrializzazione, che ha portato alla nascita del proletariato, la fascia sociale più debole, composta dai soggetti alienati generati dalle fabbriche), all’individuo non resta che rifugiarsi nello spazio mentale. Le questioni stilistiche poste dal romanzo modernista (= l’attenzione alla forma e al processo creativo) diventano la risposta al disordine culturale e sociale di inizio Novecento, che viene riflesso dalla molteplicità di forme di questo movimento. Non bisogna dimenticare, infatti, che il romanzo, e l’arte in generale, sono sempre una risposta a un bisogno proveniente dall’esterno, anche nel caso dell’arte per l’arte. Caratteristica di questo periodo è la volontà di giungere a una nuova forma d’arte in discontinuità con la tradizione da un punto di vista sia stilistico sia tematico; di conseguenza, un tema classico, come quello dell’amore, viene trattato in modo nuovo, nell’ottica dell’incertezza di quell’epoca. In questo senso, la letteratura si appropria di tecniche peculiari di altre arti (come la pittura, la musica o la scultura) e viceversa. Dalla musica, ad esempio, viene ricavata la sonorità, riprodotta tramite figure retoriche quali l’allitterazione, l’assonanza, l’onomatopea… Le arti maggiori vengono poi combinate con quelle minori (o applicate, come l’arredamento o l’edilizia), legate ai campi della produzione economica. Ad esempio, l’Art nouveau riscopre una relazione autentica tra uomo e natura come nel caso del Palazzo della Secessione o delle Case di Gaudí a Barcellona. QUAL È LA REALTÀ NEL ROMANZO MODERNISTA? Proust sostiene che la teoria del romanzo come specchio che passa per la via ormai è insufficiente e inadeguata per descrivere la realtà, poiché la sua vera essenza è nascosta nella mente, non nell’oggettività del mondo esterno. (p. 31 del manuale di Stevenson). I romanzi modernisti, pertanto, non si limitano a descrivere oggettivamente il mondo: In Senilità, quando Emilio vaga per Trieste dopo aver scoperto il tradimento di Angiolina, la presentazione delle vie e dei meandri della città è superficiale e serve in realtà ad esplorare la psiche di Emilio. In aggiunta, alla fine del romanzo (p. 191) la voce narrante oggettiva in terza persona sembra quasi perdere consistenza e lasciare spazio alla voce dei pensieri del protagonista, mentre la realtà esterna sembra essere del tutto scomparsa. Nel Capitolo 6 del Giro di Vite (p. 136) è a partire dall’impressione circoscritta e soggettiva dell’istitutrice che si giunge a un processo conoscitivo. Anche qui, dunque, ci si allontana dalla spazialità esterna prediligendo una realtà esclusivamente mentale, fondata sull’impressione. All’inizio del capitolo 5 della prima parte di Gita al Faro (p. 27) troviamo una continua alternanza tra discorso diretto e indiretto, tra realtà esterna e mentale, con quest’ultima che prevale: la signora Ramsay sta tessendo un calzerotto per il figlio Giacomo, ma quando vede passare due ospiti, Guglielmo e Lily, la sua mente si stacca dalla realtà effettuale e inizia a pensare a un eventuale matrimonio tra i due. Si passa quindi da un episodio epifanico casuale a una realtà rielaborata dal pensiero della signora Ramsay, che prefigura fatti che potrebbero accadere (realtà mentale). In seguito Giacomo inizia a dimenarsi, riportando la madre nella realtà effettuale (un ritorno indicato anche dalla presenza del discorso diretto: “Sta’ fermo, caro”). 15 Generalmente, la realtà esterna acquisisce una funzione strumentale, fornendo una serie di stimoli che danno origine alle considerazioni mentali dei personaggi. LE FORME DI ESPRESSIONE DEI PERSONAGGI Dialogo: avviene tra due personaggi ed è riportato con lo stile diretto. Nella Signorina Else questo è presente per esempio nella prima pagina. Discorso indiretto libero: il narratore parla per conto di un personaggio e c’è una sovrapposizione tra i due. Un esempio di discorso indiretto libero lo troviamo alla fine della cornice introduttiva del Giro di vite (p. 105), quando il narratore primo passa la parola a Douglas, che a sua volta inizia a leggere il diario dando voce ai pensieri annotati dall’istitutrice (Douglas, narratore di secondo livello, e l’istitutrice coincidono). Questo “escamotage” permette a James di fornire una lettura soggettiva della realtà basata su un punto di vista circoscritto, non onnisciente (quello dell’istitutrice); non è però un flusso di coscienza, in quanto l’autrice del diario ha annotato i suoi pensieri solo dopo averli sottoposti a un processo di organizzazione logica. All’inizio del capitolo 3 della seconda parte di Gita al faro (p. 139) abbiamo altri frammenti di discorso indiretto libero, in quanto l’autrice/narratrice anonima funge da mediatrice per il tempo, che di per sé non è in grado di esprimersi oralmente o in forma scritta. Stile indiretto libero: alcuni studiosi lo fanno coincidere con il monologo interiore. Ha un’impronta più mentale rispetto al discorso indiretto libero, nel senso che non c’è qualcuno che parla per conto di qualcun altro, è più una comunicazione interiore. Si tratta di una tecnica che prevede l’inserimento dei pensieri di un personaggio all’interno dell’enunciato del narratore e che si differenzia dal monologo tradizionale poiché è un discorso senza ascoltatore e non pronunciato con cui un personaggio esprime la sua interiorità. La citazione del pensiero non è introdotta né da virgolette né da verbi come pensare o riflettere, come se il narratore affidasse al personaggio la responsabilità dell’espressione e modellasse di conseguenza il proprio stile sulle capacità espressive del personaggio stesso. Nel Capitolo 5 di Gita al faro questa tecnica è alla base dell’alternanza tra spazialità (e realtà) esterna e mentale, ribadita anche dall’alternanza tra i verbi pensare e vedere. Per esempio, nella frase “Alzò gli occhi – che demonio invasava quel suo piccolino, il suo prediletto? [stile indiretto libero] – e vide la stanza, vide le seggiole e le parvero logore assai” possiamo notare l’avvicendamento tra il pensiero di Mrs. Ramsay (segnalato dai trattini e riportato con la tecnica dello stile indiretto libero) e la narrazione in terza persona. NB: questo capitolo di Gita al faro è suddiviso in due grandi rappresentazioni mentali, che dal punto di vista stilistico corrispondono alle digressioni (= un continuo gioco di consegne tra narratore e personaggio, diverse dalla digressioni ottocentesche), e che assumono i toni di un flusso dell’inconscio*. Nel momento in cui la signora Ramsay rimprovera il bambino e misura il calzerotto (p. 30), abbiamo una cesura che separa le due rappresentazioni mentali. *Non è un flusso di coscienza vero e proprio perché a volte interviene il narratore in terza persona; in aggiunta, nel monologo interiore troviamo ancora una sintassi chiara, mentre nel flusso di coscienza il susseguirsi di pensieri è asintattico e non facilmente decifrabile. 16 Flusso di coscienza: tecnica che consiste nel riportare sulla pagina l’ordinamento casuale di pensieri e impressioni proprio della mente, prima che esso sia sottoposto a una qualsiasi forma di organizzazione logica. Tipico del flusso di coscienza è il susseguirsi di libere associazioni tra pensiero e realtà, non mediate dal pensiero logico e intenzionale. Il tutto viene reso letterariamente tramite l’uso di una sintassi irregolare, l’abolizione della punteggiatura oppure l’accostamento di frasi che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. IL TEMPO Virginia Woolf sostiene che il tempo non passa in modo uguale per animali/vegetali e per lo spirito umano, in quanto non può cancellare del tutto i nostri ricordi e le nostre impressioni. L’autrice parla di “epifania”, riferendosi alle visioni e ai ricordi che si manifestano alla nostra mente in seguito all’esperienza di un determinato oggetto o di una determinata situazione: perciò, un pezzo di carta insignificante sul marciapiede può acquistare un valore epifanico solo per me e farmi pensare a esperienze passate, anche se il tempo effettivo in cui lo vedo è di un secondo. Nei romanzi il tempo cronologico e mentale può essere espanso o contratto dall’autore o dallo spirito del personaggio: ad esempio, nella seconda parte di Gita al Faro la temporalità si espande fino a coprire una decina di anni, se si considerano gli eventi storici, oppure si contrae, se si considera il tempo di lettura delle digressioni o delle varie riflessioni. La prima e la terza parte rappresentano ulteriori esempi di compressione del tempo, perché durano, rispettivamente, un unico pomeriggio e un’unica mattina. Nel Modernismo è diffuso un senso di ostilità e di inquietudine nei confronti del tempo, tanto che esso diventa un altro nucleo tematico della narrazione (poiché si oscilla continuamente tra tempo reale e tempo mentale), o addirittura uno dei protagonisti. Per esempio: Ne La signorina Else abbiamo una fabula ordinata cronologicamente, che ha inizio di pomeriggio e si conclude di sera. C’è quindi una temporalità cronologica molto contratta, poiché vengono esposti fatti narrativi che durano solo alcune ore. Accanto al tempo cronologico si colloca il tempo mentale, che costituisce l’intreccio (NB: il romanzo modernista non distrugge del tutto l’architettura temporale cronologica, ma la usa come sfondo, integrandola con altre strategie di rappresentazione del tempo). Ad esempio, a p. 26 de La signorina Else passiamo dalla temporalità lineare della fabula a un brandello di flusso dell’inconscio, in cui vengono esposte diverse considerazioni di tipo affettivo-familiare, personale oppure censorio (nei confronti di Dorsday). Nella cornice del Giro di vite abbiamo addirittura 3 dimensioni temporali: un presente storico della narrazione (James è inserito nel suo presente quando si rivolge al lettore), un passato imprecisato (quello in cui l’istitutrice ha messo per iscritto la vicenda di Bly) e un “trapassato” (il tempo in cui si collocano i fatti avvenuti a Bly, che è passato per l’istitutrice). Ne deriva che tutte le vicende di Bly sono indicate con l’imperfetto o il passato remoto: l’istitutrice parla al passato rispetto ai suoi “occhi di oggi, più vecchi e più smaliziati”, ma a volte inserisce dei flashforward, come alla fine del Capitolo 1 (p. 110), in cui cita una “grande casa 17 brutta, antiquata ma comoda”, senza che il lettore sappia a cosa si stia riferendo. Vedi il paragrafo dedicato al Giro di vite per ulteriori dettagli. L’INFLUENZA DI BERGSON E DI FREUD SUI ROMANZI MODERNISTI Il periodo compreso tra 1898 e 1914 è conosciuto come Belle époque ed è definito dall’idea che il progresso e la scienza porteranno a un continuo miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo; fu un’epoca caratterizzata da un fiorire senza precedenti di invenzioni e di teorie, come la teoria dei quanti di Max Planck, il primo collegamento radiotelegrafico di Marconi, il primo volo dei fratelli Wright e la teoria della relatività di Einstein. Le scoperte scientifiche e tecnologiche esercitarono una notevole influenza in ambito culturale, filosofico e letterario: la radio permetteva per la prima volta di comunicare a distanza; la possibilità di volare, l’illuminazione elettrica e il cinema generarono un enorme impatto emotivo, diffondendo la concezione che l’uomo dopo secoli fosse in grado di realizzare qualsiasi suo sogno. Movimenti come il Futurismo contribuirono a creare questo clima di fiducia nel progresso, esaltando il moderno, la velocità, l’automobile, ma anche la guerra. Al contempo, tutte queste teorie, che fornivano nuove prospettive con cui analizzare il mondo (in particolare quella della relatività di Einstein, che dimostrò che spazio e tempo sono entità legate tra loro, e quella del tempo di Bergson), portarono al crollo di tutte le certezze fisiche e metafisiche diffuse fino a quel momento. Ad ogni modo, la Prima Guerra Mondiale spazzò via definitivamente quest’epoca caratterizzata dall’ottimismo nei confronti del progresso e del futuro: la stessa tecnologia da tutti esaltata, che sembrava in grado di garantire una felicità eterna, era diventata responsabile di un notevole incremento del numero di morti (a causa, per esempio, dei gas asfissianti e delle armi chimiche) e della disumanizzazione dell’individuo, ormai ridotto al rango di appendice della macchina. La stessa Europa, che prima era considerata al vertice del mondo, uscì distrutta dalla guerra, mentre USA e URSS iniziarono ad assumere un’importanza primaria nella politica internazionale. La crisi del soggetto derivante dagli sconvolgimenti della Belle époque e dal Conflitto mondiale si estese non solo nell’ambito letterario, ma anche in quello artistico, dove si erano da poco diffuse riflessioni sul tempo (impressionisti, che dipingevano all’aperto ed erano condizionati dalla luce nei diversi momenti della giornata) e sullo spazio (Cézanne e i cubisti cercavano di rappresentare su un’unica tela le diverse parti di un oggetto osservate da tutti i punti di vista, smontando la visione monoculare). Con l’Astrattismo lirico di Kandinskij (1910-1920), fecero irruzione nell’arte l’interiorità e l’inconscio: a ogni forma e colore egli attribuiva un particolare stato d’animo. 18 1915: Malevic, sempre nell’ambito dell’astrattismo, raffigurava la forma in sé e per sé (= figure geometriche), escludendo la realtà concreta dalle sue opere. 19081912: Mondrian partiva dalla rappresentazione della natura per poi scomporla in figure, fino ad arrivare alla pura astrazione. La natura che compare inizialmente è però una natura matrigna, che non offre alcun tipo di consolazione al soggetto, al quale non resta che rifugiarsi nella propria intimità e nel proprio spazio mentale. 1917: nei quadri di Schiele non compariva l’astrazione dalla realtà, però l’artista estendeva il suo sguardo tetro e negativo sui soggetti rappresentati (anche qui, dunque, abbiamo una rappresentazione della realtà filtrata dallo sguardo del soggetto). BERGSON All’inizio del Novecento, Henri Bergson introdusse il concetto di tempo della vita, fondato sulla durata e agli antipodi rispetto al tempo della scienza, cronologico e simboleggiato dalle lancette dell’orologio. Quest’ultimo è una creazione astratta dell’uomo, volta a conferire ordine alla realtà e caratterizzata da una progressione regolare e irreversibile; al contrario, nella durata ci si basa sulle regole dell’inconscio, perciò la progressione è irregolare e procede per salti, riduzioni e dilatazioni, così che un minuto può essere più lungo di un’ora o addirittura di un anno. Proprio come scrive Proust nella Recherche du temps perdu (1910-20 circa), ciò che è accaduto nel nostro passato non è perduto (come sostiene la teoria del tempo cronologico), ma modella la nostra esperienza e rimane racchiuso nella memoria (vedi episodio della Madéleine). 19 Bergson parte dalla scienza e dalla matematica per ridefinire il concetto di tempo: quando parla di “tempo” si riferisce al tempo indicato dalle lancette dell’orologio; si tratta, però, di una misurazione solo apparentemente oggettiva, poiché è data dalla sovrapposizione del pensiero matematico alla realtà. Tale misurazione, infatti, è stata adottata per comodità, ed è basata su convenzioni soggettive: il tempo, in realtà, è un flusso continuo e le scienze, per semplificarne la misurazione, hanno inventato e imposto vari parametri, che corrispondono a degli intervalli (minuto, ora…). Il tempo è stato così proiettato nello spazio e trasformato in una grandezza divisibile e misurabile. Bergson però sostiene che esiste anche un tempo della psiche (che lui definisce “durata”), che dipende dal singolo soggetto. Nel tempo matematico passato, presente e futuro sono divisi nettamente, mentre nella durata essi possono sovrapporsi, perché la psiche dell’essere umano è dotata di libertà e non segue meccanicamente il determinismo della realtà (= la concatenazione di causaeffetto). A questo proposito, Bergson parla di compenetrazione dinamica: mentre il tempo è statico e scorre in maniera sempre uguale e irreversibile, nella durata possono ritornare momenti passati. All’interno della durata è importante il ruolo della memoria, che non è più concepita come una semplice cassettiera passiva contenente il nostro passato, bensì come un elemento che si attiva e condiziona le nostre azioni del presente. Bersgon parla anche di stati di coscienza: in ogni stato di coscienza è contenuta tutta la nostra psiche; in altre parole, in ogni frammento e in ogni istante della nostra vita coesistono tutto il nostro passato e il nostro presente, quindi non ha senso parcellizzare il nostro io. Ne deriva che la memoria è il luogo della soggettività individuale e interviene anche nell’atto di percezione della realtà: per comprendere un nuovo concetto, ad esempio, dobbiamo confrontarlo con le nostre conoscenze pregresse (es. quando cerchiamo di tradurre da una lingua all’altra). In un secondo momento il filosofo estese il concetto di durata anche alla materia stessa, sostenendo che essa non è più statica, ma è flusso e movimento. Le teorie di Bergson costituiscono le fondamenta di molti romanzi modernisti, in cui il tempo diventa una delle tematiche e il ticchettio dell’orologio è connotato negativamente e percepito come un fastidio, in quanto simbolo della casa e degli impegni sociali oppure dell’aspirazione borghese a migliorarsi continuamente*. La misurazione stessa del tempo è ritenuta estranea rispetto all’io, essendo stata imposta dalla società. *Nell’Ottocento la borghesia conferì importanza al singolo individuo e dignità sociale al lavoro, diffondendo l’idea che il successo nella vita dipendeva non tanto dai possedimenti terreni o dal lignaggio, quanto dal sacrificio e dal talento. In epoca modernista la concezione del soggetto conobbe una crisi, al pari del modello di famiglia borghese, caratterizzato da rigore e formalismo (vedi Giro di vite e Gita al faro). Nello specifico, la famiglia e la società ottocentesche e di inizio Novecento erano gerarchizzate e si basavano su un codice etico preciso che variava da classe a classe; chi si opponeva a queste regole veniva escluso dalla società, perciò ognuno doveva forzatamente assumere ruoli e comportamenti di facciata imposti dalla società vittoriana e percepiti come armature o prigioni: la donna non poteva mostrare le caviglie ed era confinata in casa, senza la possibilità di coltivare i propri sogni (altrimenti sarebbe stata giudicata una pessima madre); i matrimoni erano combinati in modo da non mischiare le varie classi sociali. 20 MEMORIA VOLONTARIA E INVOLONTARIA Proust introdusse in Alla ricerca del tempo perduto la distinzione tra questi due tipi di memoria. La memoria volontaria è il classico procedimento in cui l’intelletto recupera vari ricordi in maniera pienamente consapevole; secondo Proust, tuttavia, questi ricordi sono parziali e non sono in grado di restituirci le stesse sensazioni e sentimenti di un evento passato. La memoria involontaria, invece, è più forte di quella volontaria e rivela l’io più profondo e veritiero. È basata sulla sollecitazione di uno dei 5 sensi ad opera di oggetti apparentemente insignificanti (es. il gusto di una madeleine), che ci fanno ripiombare nel passato permettendoci di riviverlo come se fosse contemporaneo. Come suggerisce la definizione, i ricordi della memoria involontaria non sono facilmente rievocabili: fanno parte della nostra psiche e riaffiorano quando meno ce l’aspettiamo (questo è un esempio di compresenza tra passato e presente di cui parla Bergson). È importante sottolineare come tutto questo procedimento dipenda interamente dallo spirito del soggetto in cui è presente il ricordo, in quanto l’oggetto in sé non fa scaturire lo stesso ricordo in tutti noi. Vedi citazione p. 121 del manuale: il Modernismo vuole proporre una nuova idea di realismo dopo l’esperienza positivista e verista dell’Ottocento, eccessivamente attaccata alla realtà concreta. La realtà empirica viene dunque subordinata alla realtà mentale e soggettiva, e i modernisti cercano un linguaggio in grado di esprimere le sensazioni che proviamo di fronte al mondo fisico (che sono anch’esse reali). Secondo loro, una letteratura realistica deve indagare e riprodurre, per quanto possibile, l’interiorità dell’individuo, che non corrisponde a un mondo fantastico oppure onirico, bensì ai suoi stati d’animo e ai suoi pensieri. In aggiunta, dalla citazione si evince che i modernisti cercano di riscoprire l’oralità dei testi, alla luce della loro indagine sulle origini della letteratura e della civiltà umana: inizialmente, infatti, le opere erano trasmesse in forma orale come nel caso dei miti, che non erano fissi e immutabili, bensì variavano nell’ordine narrativo o nel finale; i discorsi orali, tra l’altro, presentano molti flashback o flashforward, tecniche spesso impiegate dai modernisti insieme al flusso di coscienza, che rispecchia la libera associazione di idee tipica del pensiero. Vedi citazione p. 125: Woolf, descrivendo la genesi artistica, spiega che sono la memoria involontaria e l’inconscio a condurci nella scrittura di un romanzo; l’immagine della tessitura richiama l’intreccio della storia. È evidente da questo esempio che i modernisti riflettono anche sulla procedura di realizzazione del romanzo. FREUD Prima di Freud si parlava già della possibilità di sondare il proprio Io, ma fu Freud a rendere l’Io un oggetto di studio dell’ambito medico e clinico in seguito alla pubblicazione de L’interpretazione dei sogni (1899). Egli divise la nostra psiche (che precedentemente veniva fatta coincidere solo con la coscienza) secondo 2 topiche: Prima topica freudiana: 1) Conscio: è la memoria, ovvero la parte che si trova a diretto contatto con il mondo esterno e utilizza in modo consapevole i pensieri, i ricordi e i desideri per compiere azioni volontarie. Mentre in precedenza si riteneva che la psiche coincidesse con il 21 conscio, Freud dichiara che quest’ultimo è solo la punta dell’iceberg della nostra mente. 2) Preconscio: è una zona intermedia che contiene materiali che possono affiorare al conscio (se li ricordiamo) oppure cadere nell’inconscio (se li dimentichiamo). 3) Inconscio: comprende tutte le nostre pulsioni nascoste e opposte tra di loro, i nostri sentimenti e i nostri desideri immorali. Seconda topica freudiana (introdotta nel 1922): 1) Io: coincide con il Conscio, ovvero la parte razionale, e funge da mediatore tra Es, Super Io e le esigenze del mondo esterno. 2) Super Io: è un’istanza che proviene dall’esterno (a differenza delle altre due, che sono innate). È costituito dai divieti e dalle norme sociali che abbiamo interiorizzato, quindi funge da morale e da censore della nostra psiche. Il primo contenuto del Super Io è l’immagine ideale dei nostri genitori (perché sono i primi che ci hanno trasmesso le norme), seguita eventualmente da quella dei nonni, dei parenti oppure degli insegnanti. Durante la nostra vita poi incontriamo modelli comportamentali che cerchiamo di riprodurre attraverso l’immedesimazione e l’imitazione. 3) Es: coincide con l’Inconscio ed è governato esclusivamente dal principio del piacere; ne deriva che tende alla soddisfazione immediata di istinti, pulsioni e desideri (come i desideri erotici, le pulsioni aggressive e quelle auto-distruttive). La psiche è dinamica, in quanto i suoi oggetti possono sprofondare nell’inconscio o riaffiorare. Freud afferma che l’Io è prigioniero delle proprie istanze, che fatica a controllare, e che la psiche stessa è un continuo conflitto tra energie psichiche: il Super Io, infatti, tende a rimuovere ogni contenuto illecito e immorale dal nostro conscio, relegandolo nell’inconscio (Freud definisce questo passaggio rimozione), ma l’Io deve ricorrere a dei compromessi per evitare che il Super Io prevalga sull’Es. In altre parole, l’Io deve tener conto della realtà e deve saper dilazionare nel tempo e nello spazio le richieste dell’Es; un esempio di compromesso è la sublimazione (o neutralizzazione), ovvero quel processo psichico attraverso cui un desidero o una pulsione vengono trasferiti su un un’attività o un oggetto meno erotici o aggressivi, e a volte potenzialmente costruttivi, pertanto invisibili al Super Io (per esempio, un individuo con pulsioni aggressive può intraprendere una professione sanitaria, come il chirurgo, che prevede interventi invasivi sul corpo). Non bisogna dimenticare che l’Io deve garantire un equilibrio tra le altre istanze, impedendo che una delle due prenda il sopravvento; in caso contrario, il soggetto sarebbe colpito da una nevrosi o diventerebbe preda della follia (innovazione di Freud: queste malattie vengono ritenute un meccanismo di difesa estremo del nostro corpo*). Malattie mentali e normalità differiscono solo dal punto di vista quantitativo: tutti gli esseri umani provano paura, ma se questa diventa patologica (= si intensifica la sua energia psichica ed essa si impadronisce della persona), allora si trasforma in follia. Gli elementi rimossi dal Super Io e presenti nell’inconscio devono comunque essere scaricati, onde evitare l’insorgere di problemi come le fobie (che derivano da un problema passato che non è stato risolto e di cui non siamo consapevoli); questo avviene, per esempio, attraverso il sogno (elaborazione). 22 *È il caso della signorina Else: per rispettare la morale e le convenzioni sociali dell’epoca si vede costretta ad adempiere a qualsiasi ordine dei genitori, anche a costo di compiere azioni immorali. Freud aggiunge che l’inconscio non segue le regole del tempo cronologico e non si basa sulla logica causa-effetto: eventi cronologicamente lontani in realtà possono essere vicini per noi (es. il dolore per una persona scomparsa), mentre possiamo dimenticare quello che abbiamo fatto il giorno prima se lo consideriamo insignificante. Nella psiche, dunque, ha importanza il peso di un evento, non la sua distanza cronologica; in aggiunta, le emozioni che proviamo attualmente sono il frutto della nostra infanzia (che dunque è predominante nel corso di tutta la vita; anche questo è un caso di compresenza tra passato e presente). Lo psicoanalista sostiene infine che ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, e anche i nostri sogni non hanno mai una sola motivazione (sovradeterminazione), in quanto la psiche tende a comprimere oggetti latenti diversi tra loro in un’unica immagine o sentimento senza che noi ce ne rendiamo conto (condensazione), tanto che si parla di sentimenti ambivalenti: mentre all’esterno manifestiamo solo un’emozione o un lato del nostro Io, in realtà dentro di noi ce ne sono moltissimi di cui non siamo consapevoli. Questo significa che in tutti noi è presente anche un lato feroce, che non è esclusivo degli animali come pensavano i greci (questo lato si è manifestato, ad esempio, durante la Prima Guerra Mondiale). Le teorie di Freud ovviamente suscitarono scalpore in un periodo governato da una mentalità razionale e dalla convinzione che l’uomo potesse conoscere ogni sfaccettatura del reale, in quanto implicavano che gran parte della nostra psiche non è scibile e che non siamo completamente padroni di noi stessi. I concetti freudiani di condensazione e sovradeterminazione esercitarono anch’essi una notevole influenza sull’arte modernista, in cui si prediligono parole che evochino più idee allo stesso tempo e che diano spazio a tante interpretazioni. IL TEMPO UNIVERSALE (da p. 140 del manuale) I modernisti si trovavano di fronte a un paradosso: da una parte il tempo matematico iniziava a essere visto con sospetto, in quanto frutto di una convenzione; dall’altra si era diffusa un’organizzazione rigida della società e del lavoro industriale basata proprio sul tempo istituzionalizzato e astratto. Quest’organizzazione rigida e precisa aveva fini pratici: imporre un determinato ritmo di lavoro, scandendone esattamente le ore e i minuti, permetteva di ottimizzare la produzione; l’uomo stesso era diventato un ingranaggio all’interno del processo della catena di montaggio, mentre era svanita la figura dell’artigiano in grado di produrre da solo un bene. Anche la diffusione delle ferrovie nell’Ottocento contribuì a rendere il tempo convenzionale padrone della vita quotidiana dell’individuo: il tempo era diventato un’ossessione e impregnava qualsiasi ambito della realtà. In più, alla luce della teoria della relatività di Einstein, tutto il mondo fu sottoposto a un’unica misurazione spaziale, oltre che temporale (divisione in paralleli e meridiani) il cui punto di riferimento era il Meridiano di Greenwich, in Inghilterra. Ovviamente questo 23 tempo convenzionale (ancora oggi in uso) non corrisponde al vero tempo solare (misurabile con la meridiana) su cui si basava il lavoro agricolo nell’antichità. In seguito alla Prima Guerra Mondiale gli artisti adottarono una tecnica tagliente e quasi sarcastica per rappresentare la realtà, inserendo nelle loro opere soggetti brutti e fastidiosi per il pubblico, come nel quadro Prager Strasse di Otto Dix (1920, esponente della Nuova oggettività tedesca), che raffigura una strada di Dresda popolata da reduci mutilati o malformati e negozi che vendono protesi. Era diffusa, infatti, la concezione che il conflitto, che era il prodotto di un’eccessiva esaltazione della macchina, avesse causato la distruzione dell’uomo. In ambito letterario, la Woolf restituì tutto ciò nella seconda parte di Gita al Faro, incentrata sullo scorrere del tempo e sugli effetti della guerra. Anche il cinema ricoprì un ruolo chiave nella realizzazione dei romanzi modernisti, rafforzando l’idea del movimento e del flusso, ma anche della parcellizzazione (le immagini in movimento che compongono un film sono separate tra loro). In questo modo, esso riassumeva le due teorie scientifiche opposte di fine Ottocento, che concepivano la materia come onda o come flusso di particelle di energia separate tra loro. SEMINARIO – LA PROGRESSIVA SPERSONALIZZAZIONE DELL’IO In Letteratura come utopia, Bachmann scrive che la letteratura ha il compito di combattere la brutta lingua, non di trasmettere messaggi sociali o etici. Ella si occupa dell’Io, “della sua presenza nella letteratura […] nella misura in cui l’uomo si rivela tramite un Io [diverso], o tramite il proprio Io, oppure si cela dietro l’Io”. Quando leggiamo una poesia, un’autobiografia o un romanzo, il nostro Io coincide momentaneamente con l’Io dell’autore. A questo proposito, secondo Benveniste i pronomi personali “io” e “tu” (che in realtà sono io e io, perché rivolgersi a un tu è come rivolgersi a un altro io) sono contenitori vuoti, ma sono essenziali per la soggettivazione del linguaggio, in quanto permettono di indicare una molteplicità di persone concrete. Dunque, “io” è un segno vuoto dotato di funzione retorica che può essere riempito da chiunque, a differenza della terza persona che troviamo nei romanzi: Rimbaud, per esempio, sosteneva l’Io che scrive e compare in Le bateau ivre è diverso dal suo Io ordinario. Il fatto che Bachmann sostenga che l’Io permetta all’autore di nascondersi può sembrare strano, eppure è quello che succede in molti romanzi modernisti, come Senilità: Svevo scrive in terza persona, prendendo così le distanze da Emilio (“egli”), ma a volte queste due istanze coincidono, come se l’autore avesse camuffato alcune sue vicende biografiche 24 nella raffigurazione del suo personaggio. Un esempio ancora più significativo è costituito dalla Coscienza di Zeno, in cui Svevo rinuncia alla terza persona a favore del pronome “io”, usato per riferirsi al commerciante triestino Zeno Cosini, autore di una serie di appunti che un medico psicanalista pubblica per dispetto. In questi scritti emerge un personaggio che è fortemente a disagio nei confronti del proprio Io; tuttavia, come osserva Bachmann: “apparentemente seguiamo solo l’evoluzione, a partire dall’infanzia, di un essere umano qualsiasi, apprendiamo delle prime sigarette fumate di nascosto, di una università frequentata di malavoglia sino alla morte del padre, dell’amore infelice per Ada e del grottesco fidanzamento con la sua poco avvenente sorella […], dello scoppio della Prima guerra mondiale che, finalmente, offre all’abulico Zeno Cosini l’occasione di riscuotersi dal suo vegetare e di dedicarsi all’azione, cioè ad affari non proprio puliti”. In realtà, però, lo stesso Zeno ammette di aver fornito una versione di comodo delle vicende che lo riguardano: “se egli [lo psicoanalista] sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero di ricorrere al vocabolario”. Ecco dunque un caso di Io inaffidabile, dietro il quale si nasconde Svevo per lanciare alcune critiche nei confronti del ricorso alla psicoanalisi freudiana per curare i pazienti: Zeno mente allo psicoanalista e riconosce, alla fine dei suoi appunti, di non essere guarito; egli è un Io “buono a niente, avido di verità, molto diretto e un momento dopo capace di riderci in faccia, perché quello che noi riteniamo essere il suo volto è ora una maschera, e poi, ad un tratto, di nuovo il suo vero volto”. Nel corso del Novecento l’Io conosce un processo di progressiva spersonalizzazione: 1) Inizialmente l’Io dimorava nella storia circostante e governava la realtà: è il caso, per esempio, delle autobiografie o dei memoriali (es. il De bello gallico di Giulio Cesare), in cui il lettore si aspetta di trovare un Io affidabile che si identifichi necessariamente con quello dell’autore (e che, in quanto tale, è anche il più convincente, perché l’autore rinuncia alla finzione di un Io alter ego). 2) Nel Modernismo, con scrittori come Svevo, Woolf e Proust, sono le storie a entrare nell’Io, che diventa il luogo in cui la realtà viene riletta e rimodellata secondo i criteri interiori e personali del singolo soggetto. In Gita al faro l’autrice approfitta pienamente della sua libertà di riempire il contenitore dell’Io, inserendosi a piacimento (e facendoci entrare a nostra volta) nella mente di diversi personaggi (Mrs. Ramsay e Lily Briscoe in primis) attraverso la tecnica dello stile indiretto libero, e mostrandoci come questi percepiscono e ricostruiscono la realtà: qui l’Io del lettore coincide con l’Io di chi scrive, ma anche con l’Io dei personaggi. In questo senso, potremmo affermare che l’Io dell’autore modernista è un Io onnisciente (e onnipotente) nell’ambito del romanzo. È importante notare che spetta al lettore attribuire una determinata frase a un personaggio piuttosto che all’autrice stessa (perché con lo stile indiretto libero i pensieri dei personaggi penetrano nella narrazione senza essere introdotti da virgolette o da verbi enunciativi). Paradossalmente, nonostante questa libertà inedita per l’Io che scrive, il Modernismo fu anche il periodo di maggiore precarietà per l’Io, che era preda della massificazione industriale e della banalità del quotidiano, ed era conscio del fatto che una parte di sé non era conoscibile né controllabile, ma condizionava comunque le sue azioni. Di fatto, come scrive Charles Taylor in Radici dell’Io, pur 25 essendo vero che il Romanticismo diede il via all’espressività dell’Io, che divenne uno dei tratti caratteristici del Modernismo, quasi simultaneamente l’inizio del Novecento assistette al rilancio di una tendenza antisoggettivistica: “l’arte del XX secolo è penetrata maggiormente nella sfera dell’interiorità e ha cercato di fare della soggettività l’oggetto privilegiato delle proprie esplorazioni […] ha sondato nuovi recessi del sentimento, indagato la corrente della coscienza [psicoanalisi]. Nello stesso tempo, però, i suoi prodotti più consistenti sono caratterizzati spesso da una sorta di decentramento del soggetto [e del tempo cronologico]: lungi dal concepire l’arte come autoespressione, [i modernisti] pongono al centro del proprio interesse il linguaggio e talvolta giungono a dissolvere l’Io”. 3) Infine, con L’Innominabile di Samuel Beckett, l’Io diventa quasi evanescente, riducendosi a puro segno linguistico privo di identità, personalità e passato. In sintesi, l’Io che scrive il romanzo modernista è difficile da individuare e da rinchiudere in determinate categorie: il Modernismo, infatti, frantuma ogni certezza, a partire da quella del soggetto e della percezione unitaria dell’essere. Bisogna però ricordare che la letteratura modernista è una reazione a un bisogno proveniente dall’esterno: infatti denuncia varie situazioni, come la corruzione dell’alta borghesia o il disfacimento del sistema dei suoi valori. LEZIONE NORMALE – ALCUNE CARATTERISTICHE COMUNI DEI PROTAGONISTI E DEL LINGUAGGIO DEI ROMANZI I protagonisti dei romanzi spesso sono scrittori o artisti: Lily Briscoe è una pittrice, mentre Emilio Brentani vorrebbe diventare uno scrittore di successo. Sono anche antieroi*, ossia sono personaggi con caratteristiche normali, a volte addirittura negative, oppure outsider esclusi dalla società. *L’eroe mitologico o epico era un personaggio che si distingueva dalla massa per alcune sue qualità eccelse (l’intelligenza nel caso di Ulisse, la forza bruta nel caso di Achille). Rispetto ai grandi poemi epici, nei romanzi modernisti rimane solo la componente di erranza del protagonista – viaggio fisico nei primi, viaggio quasi esclusivamente mentale nei secondi. Nei romanzi modernisti compaiono frequentemente riferimenti ad altri testi letterari oppure a opere artistiche che permettono all’autore di trasmettere determinati messaggi oppure di stigmatizzare certi modelli letterari (hanno dunque una finalità morale). Questo attribuisce una forte autocoscienza artistica ai romanzi, nel senso che i testi parlano dei propri metodi e degli stili adottati da altri scrittori. Per esempio, ne La signorina Else a p. 28 viene citato il romanzo Fanny, uno studio dei costumi sociali che trattava la tematica della gelosia e assecondava il gusto dell’epoca. In questo caso, il riferimento serve a stigmatizzare una determinata tipologia di letteratura, basata sugli aspetti più morbosi e sentimentali della psicologia umana (alla Walter Scott o alla Fielding, ma diffusa anche a metà Ottocento): “La nobile fanciulla si sacrifica per l’amato genitore e la cosa non le dispiace. Che solenne schifezza! […] In fondo anche Fanny si è venduta”. Ancora, a p. 66 viene citata La signora delle camelie di Dumas* per denunciare la natura effimera del sentimento amoroso e criticare la declinazione ottocentesca dell’amore: il momento di crisi di fine Ottocento, 26 infatti, esigeva che la letteratura si concentrasse su tematiche diverse rispetto a quella amorosa. *Racconta la storia di una giovane cortigiana, Margherita, che ama vivere nel lusso e si circonda degli uomini più facoltosi, salvo poi innamorarsi realmente di un signorotto, Armando, che dilapida la sua eredità pur di mantenerla. In seguito all’intervento del padre di lui, si generano varie incomprensioni tra i due (perché Margherita non si sente degna di Armando e soffre la distanza morale e sociale che li separa, mentre lui si sente in colpa nei confronti della propria famiglia), finché essi si lasciano e lei muore sola e malata. In alcuni casi, in particolare in Gita al faro, compare l’immagine dell’artista-vate, ossia un artista visionario, quasi un profeta, in grado di leggere in profondità i fatti, fornendo poi una testimonianza della sua esperienza al lettore. Alla fine del romanzo (p. 226) compare una citazione del Nuovo Testamento della Bibbia*: come Cristo si sacrifica per salvare l’umanità dalla morte, così l’artista (Lily Briscoe, che tra l’altro ha 33 anni) si immola nel tentativo di testimoniare i suoi valori e dotare di un ordine la realtà. In entrambi i casi figurano il senso della maternità (in Woolf lo ritroviamo nel momento in cui la signora Ramsay sta tessendo la calza per il figlio) e dell’obbedienza, nonché della compiutezza (nel senso che il completamento del quadro rappresenta il compimento di un processo di sintesi di una realtà complessa e imperscrutabile). Virginia Woolf vuole dire che c’è un qualcosa di divino e di profetico nella capacità dell’artista di leggere e decodificare la complessità della realtà contemporanea. * “Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena. 26 Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!» 27 Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua. 28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29 C'era lì un vaso pieno d'aceto; posta dunque una spugna, imbevuta d'aceto, in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla sua bocca. 30 Quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: «È compiuto!» E, chinato il capo, rese lo spirito.” Notiamo che compaiono varie riflessioni tecniche sull’arte da parte dei personaggi, che sono sempre dotati di una forte autocoscienza delle proprie capacità e del loro ruolo di semi-veggenti, a cui è affidato il compito di ordinare la realtà dosando nel modo giusto i principali fattori coinvolti nella scrittura di un romanzo o nella realizzazione di un dipinto: questo vale per Brentani e soprattutto per Lily Briscoe, che nella prima parte pensa a come attribuire armonia al suo quadro e ci fornisce informazioni molto dettagliate sulla pittura (verso la fine del capitolo 9, parte 1, p. 57). Vedi anche p. 195-196 del manuale: la parte centrale del romanzo serve a tenere coese le altre due: qui la spazialità è quasi rarefatta (compare la casa, ma è distrutta) e viene subordinata alla temporalità, di cui si vedono gli effetti. Una grande centralità è attribuita anche al linguaggio, assai elaborato, strutturato e stratificato (= implica più livelli di lettura, non bisogna mai soffermarsi sul livello più superficiale). Tuttavia, nel capitolo 5 della terza parte 5 di Gita al faro (p. 194), l’autrice dichiara che “le parolette che frangono, smembrano il pensiero, non dicono nulla […] le 27 parole sfrecciavano di traverso e colpivano sempre più un basso della mira”; in altri termini, le parole non esauriscono facilmente il contenuto del pensiero, pertanto se tento di tradurre in parole o sintetizzare una percezione, inevitabilmente mancherò il bersaglio, secondo la Woolf. Essendo fondato sull’approssimazione, il linguaggio (orale e scritto) non è in grado di riprodurre perfettamente i contenuti della mente, che a loro volta traducono le esigenze del corpo e variano in base a ogni singolo soggetto. Anche Svevo, attraverso Emilio, riconosce che il linguaggio (parole) e i contenuti mentali (langue) sono collegati: nell’ultima parte, l’autore tenta di rendere a livello linguistico l’estasi esclusivamente mentale attraverso cui Angiolina viene trasformata in Ange, ossia in donna-angelo. HENRY JAMES (1843-1916) – IL GIRO DI VITE (1898) Il proto-modernismo di James non è sperimentale come quello di Svevo (ne La coscienza di Zeno), Woolf o Schnitzler. Il giro di vite non è un romanzo d’azione in senso stretto, poiché non è caratterizzato da un grande dinamismo fisico, bensì dal movimento interiore della psiche del personaggio, che conosce diversi avanzamenti nel processo di decodificazione dei fatti e che costituisce il focus dell’opera. Svevo scrisse Senilità nello stesso anno, 1898, ma rispetto allo scrittore inglese non seguì una poetica e un progetto artistico ben definiti (cosa che poi fece ne La coscienza di Zeno). Si può dunque affermare che James anticipa la sperimentazione modernista, che si basa sull’esperienza del singolo personaggio per fornire una lettura della realtà. Il giro di vite viene scritto agli albori del Modernismo, ed è basato sulla visione di James di letteratura intesa come sublime forma d’arte dotata del compito di ordinare una realtà caotica. La concezione letteraria dello scrittore appare nel saggio The art of fiction (1884): “L’arte crea [= ordina] la vita, l’interesse, il significato” e lo fa meglio di ogni altra disciplina di carattere storico, sociologico o antropologico. L’autore aggiunge che “il romanzo è storia. Rappresentare e illustrare il passato, le azioni degli uomini, è compito sia dello storico che del romanziere. La sola differenza torna a tutto onore di quest’ultimo e consiste nelle maggiori difficoltà che egli incontra per raccogliere le prove, che sono ben lungi dall’essere puramente letterarie.” In altre parole, sia lo scrittore sia lo storico fanno riferimento a fatti radicati nella storia, ma il compito del primo è più gravoso: mentre lo storico è un semplice cronista, lo scrittore aggiunge all’oggettività dei fatti le sue impressioni e la sua interpretazione personale della vicenda, grazie alla sua sensibilità. Lo scrittore quindi è dotato di un talento speciale, che, in epoca modernista, gli permette di intuire la complessità che avvolge l’esistenza del soggetto umano. Da molti contemporanei e critici James era percepito come uno scrittore aristocratico, che viveva isolato dalla società e non si interessava mai alle problematiche politiche e sociali; a una lettura attenta, però, compaiono alcuni riferimenti a tali questioni, come la netta divisione in classi sociali che caratterizza i personaggi del Giro di vite (lo zio e i bambini sono aristocratici; le istitutrici appartengono alla borghesia medio bassa; Grose e Quint sono servitori e occupano il gradino più basso della piramide sociale). Come già accennato, la novità stilistica introdotta da Henry James è la tecnica del punto di vista circoscritto, ossia un punto di vista limitato e soggettivo, che coincide con la percezione ed elaborazione dei fatti da parte del singolo personaggio. Si trattava di un’anomalia assoluta in un contesto caratterizzato dai narratori onniscienti del Naturalismo 28 e del Realismo; il fatto che alla fine del Giro di vite non capiamo se le apparizioni fossero reali o fossero frutto della nevrosi dell’istitutrice è sicuramente modernista. Un’altra anomalia è costituita dal fatto che gli episodi narrati, pur seguendo la logica causa-effetto, non sono più il fulcro della narrazione, che coincide invece con l’attività intellettuale ed ermeneutica del personaggio. In altre parole, le circostanze esterne sono meno rilevanti rispetto alle conseguenze e ai turbamenti che generano sulla psiche del personaggio, descritti in modo assai più dettagliato: Alla fine del capitolo 9 (p. 163), dopo la terza fugace apparizione di Quint (evento esterno, a cui sono dedicate poche righe), l’istitutrice dubita del fatto che sia avvenuto l’incontro e prendono piede svariate considerazioni in merito, che espandono notevolmente l’azione del romanzo. All’inizio del capitolo 15 (p. 190), le parole di Miles (evento esterno) hanno generato un dubbio che viene poi elaborato all’interno della psiche dell’istitutrice, la quale riflette sulla propria debolezza, la propria paura e la sua relazione coi suoi studenti, nonché sulla cacciata di Miles dal collegio. Tra l’altro, il fatto che l’istitutrice voglia occuparsi di quest’ultimo fatto riflette una problema sociale, ovvero l’intromissione nelle scelte e nelle vicende di soggetti appartenenti a classi sociali superiori alla propria. James però non fornisce soluzioni a riguardo, ma si limita a denunciare tale situazione. In tutta la produzione dello scrittore inglese, la narrazione oscilla tra il telling, cioè fornire copiosi dettagli su fatti, personaggi e situazioni in maniera mimetica e oggettiva, e lo showing, ossia spostare il focus dalla realtà esterna all’interno della psiche, dove gli avvenimenti vengono rivisitati; nel romanzo in questione sicuramente prevale lo showing, grazie all’impiego del punto di vista circoscritto. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLE VOCI NARRANTI L’incipit del Giro di vite rappresenta una cornice del romanzo in cui vengono forniti i termini entro i quali si colloca tutta la storia. Ci sono 3 narratori nel romanzo: l’istitutrice anonima narra l’intera vicenda; Douglas dà voce all’istitutrice anonima leggendo il suo diario; Henry James (narratore primo) parla nell’introduzione, perdendo la sua consistenza autoriale e trasformandosi in un io narrante anonimo. LIVELLO narrativo extradiegetico intradiegetico metadiegetico RAPPORTO con la storia narrata eterodiegetico Narratore di primo livello de Il giro di vite omodiegetico Douglas ne Il giro di vite 29 omoautodiegetico Istitutrice innominata ne Il giro di vite Il narratore può essere definito in base al suo livello narrativo (= il livello in cui si colloca rispetto al racconto) o in base al rapporto che intrattiene con la storia narrata, o diegesi (fuori o dentro la storia). Livello narrativo: Extradiegetico: è un narratore di I livello ed è esterno rispetto alla storia narrata (es. Omero nell’Odissea). Intradiegetico: è un narratore interno alla narrazione. Metadiegetico: è un narratore di II o III livello che racconta i fatti nell’ambito degli avvenimenti raccontati da un altro narratore (es. Ulisse che racconta la sua storia a Nausicaa nell’Odissea narrata da Omero): in altre parole, fa parte di una narrazione nella narrazione. Rapporto con la diegesi: Eterodiegetico: è assente dalla storia narrata, non vi partecipa come personaggio (es. Manzoni nei Promessi Sposi oppure Omero nell’Odissea). Omodiegetico: è presente come personaggio nella storia narrata (es. Paolo e Francesca quando raccontano la loro storia nell’Inferno). Omo-autodiegetico: è una sottocategoria di omodiegetico e indica un narratore che è anche protagonista principale della storia narrata e non si limita a esserne testimone (es. Dante nella Divina Commedia, oppure Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno). Nel caso del Giro di vite, l’io narrante della cornice (che coincide con Henry James) è esterno rispetto alla diegesi (= i fatti accaduti a Bly non lo riguardano), quindi è eterodiegetico ed extradiegetico. Douglas fa parte della vicenda, ma a un livello intermedio (vedi p. 98-99 della cornice), in quanto afferma conoscere l’istitutrice e di non averla mai dimenticata (“l’ho conservata qui – si batté sul cuore – e non l’ho mai persa”), perciò è intradiegetico e omodiegetico. L’istitutrice anonima, invece, racconta la sua storia nell’ambito della cornice, perciò è metadiegetica e omo-autodiegetica. Come si diceva prima, la narrazione nel Giro di vite è prevalentemente basata sullo showing, ma questo non significa che la realtà oggettiva e contemporanea non sia affatto presente; anzi, la vicenda dipende da un rapporto di stretta relazione con il realismo: alla fine del capitolo 1 (p. 110) troviamo un flashforward che, senza rivelarci nulla di quello che accadrà a Bly, ci restituisce l’immagine dell’istitutrice dopo gli eventi narrati. Il flashforward, infatti, serve proprio a posizionare la storia e i suoi attori rispetto alla realtà dei fatti attuale, cioè al presente storico del protagonista o del narratore. Se ci limitiamo a considerare la vicenda raccontata dall’istitutrice nel manoscritto e consideriamo il suo punto di vista (escludendo la cornice), gli avvenimenti di Bly fanno parte del suo passato, poiché lei li ha messi per iscritto a posteriori, nel suo presente storico e reale (il suo 30 “oggi”). Questo presente, però, fa comunque parte del livello metadiegetico ed è passato rispetto ai personaggi della cornice (a p. 99 Douglas dichiara infatti che l’istitutrice è morta da 20 anni). Un altro flashforward si trova al capitolo 3 (p. 121-122): anche qui capiamo che la protagonista sta scrivendo in un tempo diverso rispetto a quello in cui si sono svolti i fatti: “così lo vidi, come ora vedo le lettere che vado scrivendo su questa pagina”. Anche alla fine del capitolo 4 (p. 129) notiamo un flashforward: “Non so parlare se non in modo vago, oggi, della durata di queste cose”. James, attraverso questo continuo contrapporsi tra passato e presente storico, sembra volerci dire che la diegesi è veritiera, che l’istitutrice ha veramente fatto esperienza dei fantasmi; allo stesso tempo, però, il fatto che la protagonista non abbia un nome pare collocare la narrazione nella dimensione dell’irrealtà. ASPETTI CENTRALI DEL ROMANZO Il Giro di vite fa parte del 12esimo volume dell’Edizione newyorkese, una raccolta di tutta la sua produzione letteraria. Nella prefazione al Carteggio Aspern (parte anch’esso del 12esimo volume) James espone la sua poetica, ricorrendo spesso ai termini “fantasticheria”, “immaginazione” e “irreale”, in quanto il suo progetto per Il Giro di vite era quello di un romanzo che proiettasse il lettore nella sfera del fantastico oscuro e perturbante, al pari dei romanzi gotici. Non a caso, Il Giro di vite presenta diverse caratteristiche in comune con questo genere, che viene utilizzato strumentalmente da James come punto di partenza, per poi passare alla sperimentazione modernista. Il gotico era un genere in voga dal 1790 al 1830 (Romanticismo) e nacque in reazione all’eccessiva formalità delle altre forme romantiche, ma affonda le sue radici nel Medioevo e, in particolare, nel Cinquecento, quando l’Inghilterra prese le distanze dalla Chiesa cattolica: di fatto, il gotico serviva a fotografare la crisi dei valori religiosi di quel periodo. Tuttavia, solo in epoca romantica questa forma trovò una codificazione tematica e stilistica alla luce del rimpianto e della nostalgia nei confronti di un passato ormai irrecuperabile (NB: il Romanticismo esaltava il passato e rivalutò in particolare il Medioevo: non a caso, molti romanzi gotici sono ambientati in castelli, abbazie o edifici caduti in rovina). In epoca modernista, questo genere viene ripreso e adattato: rispetto al gotico tradizionale, infatti, ci si sposta dallo stato di crisi e di spaesamento esterno (= della collettività) verso quello interno. James colloca un singolo individuo, l’istitutrice, in una situazione gotica, ossia Bly, per indagare i turbamenti che avvengono nella sua psiche e trascinare il lettore in una dimensione puramente mentale. Nel romanzo appare anche una citazione a I misteri di Udolpho, di Ann Radcliffe, dove l’eroina si ritrova imprigionata in un solitario castello sugli Appennini e vive misteriosi e terrificanti eventi, per i quali però viene fornita una spiegazione razionale da parte dell’autrice. Fare attenzione alle pagine 217-218 nella Prefazione. L’ASSE DELLA STORIA Il motivo della ripetizione e della moltiplicazione dei fatti è un asse portante nel Giro di vite: Il titolo si presta a due livelli di lettura: il primo riguarda un principio pedagogico formativo, e viene proclamato dall’istitutrice quando si accorge che il suo controllo sui bambini le sta sfuggendo di mano (dichiara che sarà necessario un giro di vite, 31 ossia un inasprimento, una stretta). Il secondo si riferisce all’ossessione e al tormento psicologico: quando l’istitutrice comprende di dover prendere in mano la situazione per disciplinare i ragazzi, lei diventa vittima di una sorta di avvitamento su sé stessa, di un’ossessione che la fuorvia e fuorvia anche i lettori, che non sanno più se quello che viene narrato è frutto di un’allucinazione oppure è reale. Vengono raddoppiati anche i personaggi: 2 bambini (Flora e Miles), 2 istitutrici (Jessel e la protagonista), 2 fantasmi (Quint e Jessel) che si manifestano 4 volte a testa. Ci sono anche 2 mondi contrapposti: quello dei fantasmi, passato, e quello presente. Troviamo poi 2 situazioni di innamoramento: Quint ha avuto una relazione impari con Jessel, infrangendo le gerarchie sociali (perché Quint apparteneva a una classe più bassa rispetto a Jessel, che era un’istitutrice); Douglas sembra innamorato dell’istitutrice anonima, la quale a sua volta ha un debole per lo zio di Flora e Miles. Ci sono infine 2 livelli di narrazione: Douglas legge ad alta voce la storia narrata dall’istitutrice. A questo proposito, si può parlare di metascrittura; tra l’altro, all’inizio del capitolo 2 troviamo una lettera nella lettera, nel senso che nel manoscritto dell’istitutrice (prima lettera) viene menzionata una lettera da parte del direttore del collegio che genera turbamento (perché è chiusa e contiene brutte notizie). Lo stesso dicasi per la lettera che la protagonista vuole inviare allo zio di Miles e Flora. Un altro asse portante è rappresentato dai fantasmi, simbolo di qualcosa che è già stato e che si ripete con connotazione maligna nel periodo trascorso a Bly dalla seconda istitutrice; essi generano azione e turbamenti nella sua psiche. Mentre per Svevo e per Proust il ritorno del passato (concepito come esperienza repressa) dai meandri dell’inconscio ha una connotazione positiva*, in quanto rappresenta un fattore che permette di indagare sui motivi di una nevrosi, secondo James i fantasmi sono il simbolo del maligno, e la ripetizione delle loro apparizioni è allegoria della reiterazione del male nell’uomo, affetto da una condizione insanabile di malattia a cui deve rassegnarsi. Notiamo che anche qui l’autore ha adottato un procedimento innovativo e contrario rispetto agli scrittori passati: partendo dall’analisi dello stato di crisi individuale (dell’istitutrice), è arrivato a definire la condizione dell’uomo inteso come collettività, una condizione caratterizzata da continue irruzioni del maligno, che viene percepito come un peccato originale che dobbiamo scontare fino alla morte. *Anche ne La signorina Else il ritorno del passato ha valenza positiva: il flusso del suo inconscio oscilla continuamente tra il presente (cena, lettera dei genitori) e il passato, ovvero le usanze e i valori borghesi che hanno caratterizzato la sua adolescenza e che si dimostrano assurdi. Al tempo stesso, però, questi valori le permettono di scoprire la sua vera identità per contrasto, poiché Else si rende conto che le norme e i modelli comportamentali borghesi che dovrebbe rispettare non le appartengono. Ad esempio, nonostante la madre l’abbia invitata a soddisfare qualsiasi richiesta di Dorsday, la protagonista in un primo momento pensa che questo comportamento non si confaccia a una giovane ragazza per bene, e in seguito ricorda che nel passato recente aveva provato piacere a mostrarsi mezza nuda dalla finestra della sua stanza davanti a una barca di 32 pescatori. Quindi Else, attraverso il ricordo di un’esperienza passata, scopre un aspetto carnale di sé stessa che certamente contrasta con i valori morali borghesi, e intraprende così un percorso di presa di coscienza (pertanto, per certi versi quello di Schnitzler è un romanzo di formazione). Alla fine del romanzo Else si dimostra fedele ai suoi ideali: non si vende a Dorsday, ma si denuda gratis di fronte a un’intera sala, al fine di nobilitare la sua natura. Diversi elementi attribuiscono una connotazione negativa a Quint e Jessel: anzitutto la loro relazione amorosa, che non tiene conto della piramide sociale ed è fin da subito descritta come morbosa, erotica e quasi maniacale (già dalla prima apparizione di Quint ci viene detto che è un uomo dallo sguardo seducente e provocatorio, a cui certamente non importa la divisione in classi sociali). In aggiunta, entrambi i fantasmi, quando erano in vita, hanno corrotto l’atteggiamento, il linguaggio e l’immaginario dei bambini: Miles si comporta già come un piccolo uomo ed è in grado di sostenere lo sguardo dell’istitutrice con la consapevolezza e la sfrontatezza tipiche dell’uomo adulto; anche Flora non è per nulla innocente, ma anzi tenta di trarre in inganno l’istitutrice fino a spingerla sul baratro della schizofrenia (tanto che dubita del fatto di aver visto i fantasmi). Tra l’altro, Quint infrange le convenzioni sociali anche nel momento in cui inizia a frequentare Miles, poiché solo all’istitutrice dovrebbe essere permesso di avere rapporti con i bambini aristocratici ed educarli. Proprio la divisione in classi sociali ben distinte rappresenta un altro asse portante del romanzo, ed è alla base del suo valore morale: l’infrazione della gerarchia sociale è all’origine del male. L’appartenenza sociale crea disparità e barriere tra i personaggi e determina i rapporti tra Quint e le istitutrici oppure tra la protagonista e lo zio: quest’ultimo è il committente, mentre l’istitutrice è la dipendente e non ha il diritto di disturbarlo. È presente, infine, una simmetria tra l’incipit e il finale, che conferisce una struttura circolare al romanzo: all’inizio del capitolo 1 e all’ultimo capoverso dell’explicit ricorre il termine “impressione” e abbiamo in entrambi i casi una luce calda e solare che contrasta con lo stato prima di diffidenza e poi di tragicità delle due situazioni. ITALO SVEVO (1861-1928) – SENILITÀ (1898) Senilità è il secondo romanzo di Svevo dopo Una vita, che aveva per protagonista Alfonso Nitti, un inetto con velleità artistiche, al pari di Emilio Brentani. Come tutti gli scrittori del Modernismo, Svevo nei suoi romanzi parte da un netto rifiuto del romanzo naturalista, (rottura con la tradizione letteraria ottocentesca, ricerca di un nuovo modello); un frammento del Fu Mattia Pascal di Pirandello chiarisce questo aspetto: il protagonista, che si farà chiamare Adriano Meis, a un certo punto afferma: “E va bene! Il signor Conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise; la Signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… Oh santo Dio! E che volete che me ne importi?”. Da questa citazione possiamo notare che Pirandello inveisce contro il romanzo naturalista, sostenendo che le sue descrizioni fisiche minuziose ormai non erano più rilevanti in un periodo storico in cui ci si interrogava sul senso dell’esperienza tragica e dolorosa dell’uomo. Come già ribadito più volte, infatti, secondo i modernisti il romanzo 33 doveva indagare soprattutto l’interiorità della psiche e la miseria umana, non il contesto oggettivo che circonda il soggetto (è quello che fece James con il punto di vista circoscritto, inserito però in un modello radicato nella tradizione, ovvero il gotico). Pur essendo un romanzo di transizione nella produzione sveviana, Senilità presenta una serie di tratti tipici del romanzo modernista: È un testo letterario che, attraverso citazioni dirette o indirette, espone la poetica dell’autore e contribuisce alla diffusione delle sue idee stilistiche e morali. Questo vale anche per il Giro di vite, in cui James invita a riflettere su quanto l’esistenza dell’uomo sia caratterizzata dal maligno, e per La signorina Else, che comunica idee prevalentemente etiche, essendo un forte atto d’accusa contro la società borghese, di cui Else e i personaggi dell’hotel sono modelli perfetti. Nel caso di Senilità, l’autore mostra la scarsezza morale di Emilio, che si adatta a una lettura dei fatti illusoria, ma a proprio vantaggio. Il personaggio è un avamposto testuale dell’autore: in Senilità Svevo inserisce, a volte inconsapevolmente, alcuni elementi autobiografici che fanno parte del periodo in cui non aveva ancora raggiunto la notorietà e la fama (fu a partire dall’incontro con Joyce a Trieste che l’autore intraprese la sperimentazione modernista). Ciò è evidente nei comportamenti di Emilio Brentani e nei suoi rapporti sia con Angiolina sia con il Balli. Un esempio di questo tratto è a p. 113-114 (inizio capitolo X), in cui Svevo parla in modo indiretto del suo innamoramento per Livia. Intrusione dell’autore nella narrazione, facilitata anche dal fatto che, come già detto, il protagonista stesso è avamposto dell’autore. Rottura del rapporto tra personaggio e società. I personaggi sono degli outsider che faticano persino a dialogare con sé stessi: spesso Emilio pensa una cosa, ma poi la nega quasi simultaneamente con il suo comportamento; egli non ha un rapporto autentico nemmeno con la sorella e con sé stesso, perché scende a patti con le sue debolezze e le accetta passivamente. Questo vale anche per l’istitutrice innominata, che è preda delle proprie impressioni e non riesce a dialogare sinceramente con i bambini. Attenzione a fatti capillari della coscienza: si tratta di uno degli elementi di omogeneità del Modernismo. La psiche e la coscienza fungono da filtro della realtà. Concezione del tempo come durata. In realtà, questo vale più per Schnitzler e Woolf e per gli autori degli anni 1920, poiché Svevo e James spesso si limitano a presentare i fatti secondo la logica causa-effetto. Nel corso della sua attività letteraria Svevo si occupa di diversi temi centrali nell’ambito della sua riflessione sulla vita: La felicità e l’eventuale possibilità per l’uomo di raggiungere questo stato. Si tratta di una tematica universale presente già dall’antichità classica. Il ruolo e il compito dell’uomo nell’universo. La messa a fuoco dello stato di crisi individuale. In Svevo si passa quindi dall’analisi sociale ottocentesca a un’analisi del singolo soggetto che però genera una conseguente riflessione sulla collettività; in altre parole, la vicenda di 34 Emilio Brentani non è fine a sé stessa, ma diventa uno strumento per estendere la riflessione di Svevo nell’ambito più generale (Emilio è l’espressione dell’antieroe e dell’individuo medio novecentesco). Tratti costanti nei romanzi di Svevo: La riflessione sulla possibilità mimetica del romanzo. Già in Una Vita Alfonso Nitti, attraverso le proprie esperienze in prima persona, riflette sulle possibilità del romanzo: il protagonista vuole scriverne uno non per contribuire all’evoluzione del genere (proponendo un’alternativa al romanzo realista), ma per assecondare il gusto dei lettori a lui contemporanei e avere successo e soldi. Questo è l’opposto della concezione modernista sul romanzo, in base a cui il romanzo deve ambire alla fortuna, non al successo; deve lasciare ai posteri qualcosa di significativo per la vita del genere. Il gusto (dichiarato) per la letteratura: Emilio ha scritto un romanzo di poco successo, ma rimane un appassionato di letteratura. La natura contraddittoria di Brentani, che è espressione della sua inettitudine e “senilità”: come si dichiara a p. 7-8, Emilio intraprende due carriere, una presso un’assicurazione e una letteraria, in cui però “egli non aveva fatto nulla, per inerzia, non per sfiducia”. L’inettitudine è una sorta di paralisi, un’incapacità di mettere in pratica e dar seguito ai propri intenti che intrappola il protagonista durante un periodo storico che invece richiedeva dinamismo e ambizioni. L’idea di paralisi appare anche nella Dublino di Joyce: nonostante nella poetica modernista la città sia un tema imprescindibile, essa assume una connotazione negativa, essendo sia un luogo di aggregazione sociale sia un luogo di paralisi e dispersione, che cancella i propositi dell’individuo e lo rende senile. In Svevo la senilità è quindi incapacità di agire esternamente, ma è soprattutto un dato interiore, come si evince da p. 127 (dal capoverso “era una mentitrice ostinata”), in cui compare una sintesi dell’inerzia di Emilio e della sua volontà dichiarata di non affrontare i problemi della vita, elementi che intaccano anche la sua sfera affettiva e i suoi rapporti amorosi. La senilità però è anche mancanza di curiosità, da cui deriva una vita caratterizzata dalla noia: addirittura a p. 70 (capoverso “Ed Emilio sembrava prendere interesse…”) ci viene detto che in Emilio l’arte del simulare indifferenza era talmente radicata nel suo essere da trasformarsi in convinzione e da renderlo vecchio dentro, tanto che egli “invano cercava in qualche cosa d’altro fuori di essa, e non trovava che una grande stanchezza”, e pensava: “Quando sarò solo, starò certo meglio di così”. Riassumendo, Emilio prova noia per Angiolina, per la sorella, ma soprattutto per sé stesso, il che genera in lui una scarsa autostima e lo fa sentire in soggezione in soggezione in presenza del Balli. Anche durante il rapporto con Angiolina Emilio appare rassegnato alle sue imperfezioni e accetta i suoi tradimenti fino a idealizzarli e a viverli passivamente. Il romanzo non è un romanzo di formazione o di apprendistato amoroso, bensì ha lo scopo di approfondire il carattere e la psicologia del personaggio (il fulcro della narrazione non è l’azione o la storia amorosa). A questo proposito, spesso i personaggi secondari (Amalia, Stefano o Angiolina) sono strumentali, essendo 35 immagini rovesciate di Emilio. Essi, infatti, servono a mettere in risalto per somiglianza o per contrasto alcuni aspetti della personalità del protagonista: il Balli, per esempio, rappresenta tutte le qualità positive che un uomo maturo può avere, a partire dalla sua esuberanza nelle relazioni, che è alla base del suo successo nella sfera lavorativa e amorosa; da questo punto di vista, egli compensa tutte le lacune di Emilio. Alcune osservazioni su Senilità: La cecità volontaria (inerzia, incapacità di agire) qualifica Emilio Brentani sia nella vita privata e affettiva sia in quella lavorativa. Questo è alla base della sua senilità, ma anche dell’idealizzazione del suo rapporto con Angiolina, che si basa sin dall’inizio su una grande presunzione infondata: Emilio sceglie di non vedere certi difetti della donna amata perché pretende di poter gestire la sua personalità ancora in formazione dall’alto della sua posizione di letterato e di persona adulta (perché si ritiene il più forte dei due nel rapporto, nonostante in realtà sia vero il contrario). Nel gioco di nomi Angiolina vs Ange (idealizzazione di Angiolina), ma anche Emilio vs Amalia, compaiono due opposti che si completano tra di loro: Emilio e Amalia sono fratello e sorella, ed entrambi sono inetti che tendono all’idealizzazione (Amalia idealizza il rapporto con Balli, Emilio quello con Angiolina). Svevo in questo caso riprende il mito degli antipodi, che spesso in letteratura veniva tematizzato appunto con la coppia fratello/sorella. Si passa dall’idealizzazione (la fuga dalla realtà verso una dimensione onirica, a causa dei tradimenti di Angiolina e della subordinazione rispetto al Balli) alla menzogna, ovvero dal sogno alla realtà. Emilio idealizza Angiolina, trasfigurando la realtà concreta e rinchiudendosi in una dimensione personale e inautentica; il risultato, però, è che il protagonista non riesce ad avere relazioni autentiche con coloro che lo circondano e arriva a mentire in primo luogo a sé stesso. Di conseguenza, al pari dei personaggi futuristi, egli perde la sua unità psichica: secondo Svevo questa è la vera essenza dell’uomo moderno, un uomo debole, inautentico e ipocrita. Amalia, come già accennato, presenta diversi elementi in comune col fratello, per esempio il nome, che sembra un anagramma di “Emilio”, oppure una vita caratterizzata dalla privazione e dall’idealizzazione dei rapporti interpersonali e affettivi. A p. 56 del capitolo 5, tra l’altro, notiamo come i due siano in sintonia l’uno con l’altra; anche più avanti nella storia Emilio si accorge persino dei cambiamenti più impercettibili nel comportamento della sorella. Si potrebbe affermare che Amalia e il Balli rappresentano la coscienza morale di Emilio, nel senso che quest’ultimo vede in loro tutte le sue potenzialità inespresse: la sorella è simbolo dell’affettività che lui non è in grado di esprimere finché lei non entra in coma; il Balli è un uomo di successo e rappresenta ciò che Emilio vorrebbe diventare ma sa di non poter essere per difetti caratteriali (perché prende atto della propria senilità e sceglie di vivere nella menzogna). In questo senso il Balli potrebbe essere paragonato all’Es, perché è esuberante e riesce a superare alcune barriere morali e a dare sfogo ad alcuni dei suoi istinti. 36 Compaiono la tematica della colpa e il sacrificio dell’amore: Amalia viene sacrificata da Emilio, che a sua volta si “immola” perché sceglie di amare una persona che non merita di essere amata, in quanto non ricambia i suoi sentimenti (Angiolina). Il topos della colpa emerge chiaramente a p. 172 del capitolo 12, in cui Emilio tenta di discolparsi per ciò che è accaduto alla sorella. La frase “il male avveniva, non veniva commesso” si riferisce alla convinzione del protagonista secondo cui il male caratterizza il destino dell’uomo: anche qui, dunque, abbiamo un caso di idealizzazione (è come se Emilio attribuisse al fato la responsabilità di quello che è successo). Subito dopo, Svevo ci suggerisce un’interpretazione del romanzo (che, va ricordato, è un romanzo di analisi psicologica su base biografica), sottolineando ironicamente ancora una volta l’incapacità del protagonista di risolvere i problemi quotidiani e la sua tendenza a trovare sempre una giustificazione e ad aggirarli: “gli venne il sospetto che forse il suo stato d’animo era risultato dal bisogno di scusarsi e di assolversi […]. Come erano stati colpevoli lui e Amalia di prendere la vita tanto sul serio!”. L’unico momento di lucidità di Emilio, in cui egli ammette la sua abitudine di idealizzare la realtà e la sua incapacità di parlare apertamente e onestamente con il prossimo, è a p. 177 (ultimo capoverso del capitolo 12): qui il protagonista si rende conto di non poter più correggere il proprio rapporto né con Amalia né con Angiolina perché la prima è morta e la seconda l’ha lasciato definitivamente (è una sorta di epifania). A proposito della crisi del soggetto in epoca modernista, è importante notare l’involuzione di Emilio nel corso della storia, che alla fine dell’ultimo capitolo ritorna all’equilibrio egoistico iniziale: egli sceglie di tornare alla tranquillità che era stata turbata in primo luogo dal rapporto con Angiolina, che a cascata aveva alterato le sue relazioni con il Balli e con Amalia. Svevo, infatti, ci dice che “anni dopo egli si incantò ad ammirare quel periodo della sua vita” ritenendolo il più importante e il più luminoso. Anche sul finale, perciò, ritorna l’idea del letterato ozioso e fallito. Inoltre, Emilio fa morire una seconda volta Amalia, subordinandola di nuovo ad Angiolina e trasferendo in quest’ultima tutte le qualità positive della sorella: non a caso, compare la parola “altare”, che rimanda all’idea del sacrificio di Amalia. Da quanto appena detto, si evince che Emilio non compie nessun percorso di formazione, in quanto non subisce alcun cambiamento in meglio. ROMANZO E AUTO-BIOGRAFIA Senilità non è una vera e propria autobiografia, perché ha per protagonista un personaggio con nome e cognome, Emilio Brentani, che non coincide con Italo Svevo. L’elemento autobiografico va individuato in alcune situazioni che si sono verificate realmente nella vita di Svevo e che egli trasporta inconsciamente* nella costruzione dei personaggi dei suoi romanzi: Emilio Brentani, ma soprattutto Zeno Cosini. *Nel senso che egli non dichiara apertamente di aver inserito elementi autobiografici nel romanzo. Un elemento autobiografico risiede nell’atteggiamento pedagogico (e in parte senile) che Emilio pretende di assumere nei confronti di Angiolina: tale atteggiamento emerge anche nell’epistolario di Svevo, in cui si rivolge alla sua fidanzata (che tra l’altro assomigliava sia fisicamente sia caratterialmente ad Angiolina) in questi termini: “Iersera (te lo dissi subito) mi sentii vecchio, vecchio e sentii te giovine, giovine”. Ancora, in una lettera indirizzata alla 37 moglie Livia, Svevo scrive: “mi ripiego su me stesso e vedo passarmi dinanzi tutta la vita e la sua grande nullità in sé e tutta la vanità di tutti gli sforzi fatti in trentotto anni di esistenza”. Da questi frammenti traspare un sentimento di indifferenza e quasi di inerzia nei confronti del destinatario e della vita stessa. Scopriamo quindi forti analogie tra Emilio/Angiolina e tra Svevo/fidanzata/Livia, a partire dal rapporto maestro-allievo, che va oltre l’aspetto puramente affettivo e assume una connotazione appunto formativa. Senilità fu iniziato nel 1892, quando la relazione di Svevo con una certa Giuseppina Zergol, che Livia definì “una fiorente ragazza del popolo” (come Angiolina), era appena iniziata. Come scrive l’autore stesso nel suo Profilo autobiografico, il romanzo “dapprima non fu pensato per essere pubblicato. Sei anni prima [nel 1892] molti suoi capitoli furono scritti con l’intento di preparare l’educazione di Angiolina, quell’educazione di cui nel romanzo tanto spesso si parla. Angiolina fu la prima che conobbe il romanzo di cui ella era la protagonista”. Emerge anche qui un forte elemento privato che condizionerà la stesura del romanzo e i suoi personaggi; tra l’altro, notiamo che Svevo, al pari di Emilio alla fine di Senilità, rielabora il suo rapporto con Giuseppina a posteriori, insieme alla moglie Livia. Un ulteriore elemento autobiografico è nascosto dietro al rapporto in parte conflittuale tra Brentani e Balli, che riecheggia quello tra Svevo e Umberto Veruda, un pittore anticonformista con cui l’autore strinse amicizia e si confrontò a più riprese nel corso della sua vita. LA RETE TEMATICA I protagonisti dei romanzi sveviani costituiscono una rete tematica* che si allestisce sul tipo letterario dell’inetto, che a sua volta deriva dal motivo dell’autoanalisi e rientra nel tema della crisi del soggetto nella società modernista. Emilio è dunque un prototipo di soggetto in crisi in età modernista: in questo modo, l’idea astratta di crisi del soggetto si concretizza in personaggi isolati e nevrotici (= psicologicamente scissi) che riflettono molto su sé stessi. *Rete tematica: rete di relazioni che parte da un concetto astratto, ovvero il tema (l’argomento principale di un’opera), per poi concretizzarsi in unità microtematiche sempre più concrete, vale a dire il motivo (una situazione o un comportamento circoscritti che rappresentano un tema) e il tipo (un simbolo o un personaggio che mette in pratica un determinato motivo). Per esempio, l’amore è un tema astratto e si declina anzitutto nei motivi del corteggiamento, del possesso e della gelosia, poi nei tipi del Don Giovanni o dell’amante infedele. Ancora, il viaggio (= progredire della conoscenza verso l’ignoto) è un tema astratto che ci concretizza nei motivi della partenza, del transito e dell’arrivo e nei tipi del turista, del pellegrino e via dicendo. IL POSIZIONAMENTO DI AUTORE, NARRATORE E PROTAGONISTA NEL ROMANZO LIVELLO narrativo extradiegetico intradiegetico metadiegetico 38 RAPPORTO con la storia narrata eterodiegetico omodiegetico omoautodiegetico Narratore di Senilità Flusso di pensieri di Emilio Brentani Abbiamo visto che Svevo inserisce parte del suo privato (= vita vissuta) nel romanzo, in modo da presentarlo in maniera camuffata al pubblico. Questo rende difficile stabilire chi stia realmente parlando in alcune parti della storia: è l’autore che parla sotto le mentite spoglie del personaggio? È il flusso del pensiero dello stesso Emilio (che comunque è un personaggio dotato di autonomia)? Oppure è un narratore anonimo in terza persona? In generale, Senilità si basa su una narrazione oggettiva, è scritto in terza persona e raccontato da un narratore anonimo e onnisciente, che è extra ed eterodiegetico (perché non ha una parte nella storia). Tuttavia questo narratore si avvicina continuamente alla psiche di Emilio, allo scopo di metterla a fuoco, e in certi punti queste due istanze sembrano coincidere, come a p. 146 del capitolo 11. In questo frammento, l’uso reiterato della parola “egli” permette al narratore anonimo di prendere le distanze da Emilio, ma in diversi punti sembra che il primo si appropri dei pensieri del protagonista, dando origine a uno stile indiretto libero ancora in fase embrionale, di cui troviamo un altro esempio alla fine del romanzo; qui però c’è una sovrapposizione netta tra la psiche del protagonista e il narratore, a partire dal penultimo capoverso (“Quella figura divenne persino un simbolo…”). Tornando al grafico, perciò, Emilio Brentani, con il suo flusso di pensieri, è un narratore intradiegetico e omo-autodiegetico, in quanto è interno al meccanismo della narrazione di cui è protagonista. È interessante anche notare che all’inizio del primo capitolo (“Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria […] piuttosto sospettata che saputa per esperienza”) e in tutta la prima parte del romanzo non è chiaro se stiamo leggendo una trascrizione dei pensieri di Emilio mediata da un narratore anonimo oppure dall’autore stesso. È infatti probabile che qui lo stesso Svevo si sovrapponga al narratore primo, anche se egli non dichiara mai apertamente di voler irrompere nella narrazione. Ad ogni modo, questo focalizzarsi sulla dimensione interna di Emilio colloca Senilità all’interno della sperimentazione modernista. Per rispondere alla domanda iniziale, perciò, potremmo dire che il narratore raccoglie con sfumature diverse e in momenti diversi tutte e tre le istanze (autore, narratore anonimo e personaggio). UNA RILETTURA IN CHIAVE FREUDIANA DI SENILITÀ Brentani rispecchia Svevo da giovane, con le sue ambizioni da scrittore, ma anche le sue insicurezze: nel 1898, infatti, l’autore non aveva ancora riscosso un enorme successo né 39 come scrittore (perché Una Vita non era stato particolarmente apprezzato dal pubblico e dalla critica) né nelle sue relazioni amorose; ciononostante, l’autore era rimasto intriso dal gusto per la letteratura. In questo senso Brentani potrebbe rappresentare l’Es, ossia tutto ciò che Svevo non era ancora riuscito a realizzare (pulsioni amorose e ambizioni di successo). Il narratore, invece, potrebbe simboleggiare il Super Io, oppure uno Svevo più maturo, che inserisce consciamente giudizi morali sull’inettitudine di Brentani (e quindi del suo Io più giovane). Senilità è dunque espressione di un mondo interiore e, per certi versi, auto-biografico, nonostante il suo stile e il suo impianto sembrino quelli di un romanzo tradizionale ottocentesco. In base a questo modello, deduciamo che spesso le situazioni di nevrosi di Emilio, durante le quali egli pensa una cosa e agisce in maniera del tutto opposta, sono dovute all’azione contrastante dell’Es e del Super Io. Quest’ultima istanza pare dominare il protagonista in particolar modo all’inizio del capitolo 1, in cui ci viene detto che Emilio “traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità”. ARTHUR SCHNITZLER (1862-1931) – LA SIGNORINA ELSE (1924) Schnitzler era un medico di origine ebraica che apparteneva all’alta borghesia del XIX secolo, una classe sociale ormai in declino; non è un caso, perciò, che La signorina Else sembri la presentazione di un caso clinico e che la protagonista faccia parte di una famiglia borghese in crisi. Si tratta di un romanzo breve, non di un racconto, anche se i due generi hanno in comune il fatto che la diegesi inizi con una messa a fuoco in medias res del protagonista, senza che venga presentato il suo background. La differenza tra i due è che il racconto normalmente può essere letto tutto d’un fiato, mentre il romanzo di Schnitzler presenta varie digressioni che ne allungano il tempo di lettura: la vicenda e l’analisi della psiche di Else, infatti, sono funzionali al discorso di critica dell’autore nei confronti della borghesia. Anche in questo caso il romanzo non costituisce uno specchio della realtà esterna, bensì una forma di rappresentazione mimetica della psiche di un personaggio. L’INFLUENZA DI FREUD Il pensiero freudiano esercitò una grande influenza sulla stesura del romanzo (Schnitzler era stato allievo di Freud), in particolare per quanto riguarda la forma e il modello: La signorina Else non è un monologo, perché Else non parla da sola ad alta voce, bensì è un flusso di coscienza (forma), basato sull’accostamento disordinato di una serie di pensieri così come si affacciano nella mente della protagonista (modello). Il tutto implica una stretta relazione tra fabula e intreccio, in modo da soddisfare esigenze di carattere clinico (= analizzare gli sconvolgimenti psichici di un soggetto affetto da crisi nevrotica). Sempre a proposito del modello del romanzo, la libera rappresentazione dei pensieri disordinati di Else consente all’autore di riprodurre in letteratura (basata sulla consequenzialità) la simultaneità che in quegli anni caratterizzava la sperimentazione cinematografica, una simultaneità intesa come giustapposizione di scene contrastanti tra loro che però condividono lo stesso spazio (sfondo) o lo stesso tempo. Schnitzler, infatti, traduce questo principio cinematografico accostando una serie di coppie di tematiche o di azioni opposte tra loro, che risultano inconcludenti oppure disturbano la lettura, a partire 40 dalla vita e la morte, che costituiscono il filo conduttore del romanzo: più volte Else ambisce la morte, poi mentre sta morendo ricerca la vita. Altri contrasti sono: gioia/tristezza, amore/odio e lascivia (lussuria)/buone maniere. In ogni caso, la simultaneità serve soprattutto a drammatizzare la contraddittorietà della vita, caratterizzata da passioni e pulsioni ambivalenti che siamo incapaci di gestire (Es), come anche dal conflitto tra le due istanze psichiche (Super Io ed Es). Questa simultaneità appare chiaramente a p. 33, da “mi hanno consegnato proprio adesso una lettera” fino a “Oh Dio”: qui notiamo una successione di pensieri che si susseguono l’un l’altro in maniera illogica e contrastante. Ancora, a p. 28 Else inizia a prendere in considerazione l’idea di un possibile suicidio* (“Quanto mi piacerebbe essere morta”), ma poi smentisce immediatamente il suo proposito (“Macché, non è vero affatto”); subito dopo: “E se scendessi subito e parlassi con Dorsday prima di cena? Oh, che orrore!” *La volontà di suicidarsi di Else si manifesta ripetutamente durante tutto il romanzo: a p. 51 (“Che papà si ammazzi. Mi ammazzerò anch’io”) la protagonista concepisce la morte come una sorta di castigo che vuole infliggere a chi l’ha costretta a mercificare il proprio corpo; a p. 78, in cui Else si immagina un suo eventuale testamento. Ne La signorina Else vengono trattati i temi della crisi del soggetto e della morte; quest’ultimo viene declinato nel motivo del ricorso a un farmaco per suicidarsi (motivo che ricorre anche in Svevo, con Amalia che usa l’etere per togliersi la vita). LA DIMENSIONE ETICA E SOCIALE DEL ROMANZO: L’ISOLAMENTO E LA MASCHERA Schnitzler attraverso il suo romanzo ci descrive una società composta da outsiders, ovvero da gente isolata; lo stesso Hotel Fratazza sembra un microcosmo separato dal resto del mondo: l’unico aggancio con l’esterno è la lettera della madre di Else, che menziona che sono stati commessi degli illeciti, ma per il resto i vari drammi si compiono in forma isolata. Quindi anche lo scenario che fa da sfondo all’intero romanzo è funzionale alla rappresentazione dell’isolamento: le varie scene sembrano una serie di quadretti racchiusi all’interno di un’unica cornice (l’hotel) che però risulta decontestualizzata, come si evince a p. 26: l’Alpenglühen, che è un fenomeno ottico di rifrazione della luce che si genera in alta montagna durante il crepuscolo (e costituisce uno dei pochi riferimenti temporali della storia), è uno scenario che pare sospeso nel vuoto. Anche le varie camere d’albergo e i fatti che avvengono al loro interno risultano isolati (sembrano scene a sé stanti di una rappresentazione teatrale), al pari dei personaggi stessi, che sono maschere* che recitano con cinismo il loro dramma, ovvero vivere una vita imposta dal modello borghese: questo li rende i prototipi perfetti della società in crisi di inizio Novecento. Else, per esempio, è spinta a rispettare i valori borghesi, malgrado non vi si identifichi, e, perciò, deve mostrarsi compiacente con Dorsday, compiendo atti contro la propria volontà (nonostante lei dichiari di essere anche peggiore rispetto alla maschera che dovrebbe indossare: tale maschera, dunque, le permette di scoprire per contrasto la sua vera natura). *Schnitzler era anche autore di teatro. 41 L’idea di finzione e di maschera detta anche il comportamento di Cissy, Paul e della zia della protagonista nel momento in cui scoprono il tentativo di suicidio di quest’ultima: la zia, cui era stata affidata Else, si preoccupa unicamente di proteggere la reputazione della famiglia, disinteressandosi della salute della nipote e dei motivi per cui si è denudata in pubblico. In questo modo, non adempie al suo ruolo di figura materna o comunque protettrice. Questo atteggiamento rientra nella critica dell’autore ai valori borghesi, al pari del comportamento di Dorsday, che è un approfittatore che corrompe i giovani, e dell’atteggiamento della madre e del padre di Else, che dimostra la crisi del concetto di famiglia, uno dei valori cardine del Cristianesimo e della borghesia. Di fatto, il padre è un truffatore che gestisce l’illecito, mentre la madre, oltre a lasciare una giovane adolescente alla deriva, cerca di influenzarla in maniera negativa, invitandola a prostituirsi e a mercificare il proprio corpo pur di preservare la libertà del marito. Una forte critica ai valori borghesi compare anche nella Morte a Venezia di Thomas Mann, in cui le autorità borghesi tentano di celare agli occhi della stampa la diffusione di un’epidemia di colera, in modo da preservare i proventi derivanti dal turismo; qui l’autore attacca soprattutto la logica d’impresa capitalistica, che mercifica l’esperienza del viaggio e punta al profitto a discapito della tutela della salute nella comunità. Significativa, a proposito del tema dell’isolamento e delle maschere, è l’affermazione di Else a p. 9 “Niente male come uscita di scena”, in cui la parola “scena” è polivalente, in quanto indica sia il siparietto che si è compiuto sul campo da tennis, sia il fatto che il comportamento di Else è costruito ad hoc, come se avesse appunto indossato una maschera durante il dialogo; non a caso, poco dopo, Else si gira per salutare Paul e Cissy e si chiede “ho un aspetto garbato, adesso?” Nel romanzo troviamo anche un caso in cui il modello di vita fittizio imposto dalla maschera si antepone alla realtà: a p. 18, infatti, Else si immedesima talmente tanto in sé stessa morta (un’altra maschera) da riuscire addirittura a prefigurarsi cosa potrebbe succedere dopo il suo suicidio, incluso il contenuto di un articolo che potrebbe uscire sulla stampa di Vienna (perché è la figlia di un noto legale). È importante notare che nell’incipit Else dialoga direttamente con Paul e Cissy, mentre nell’explicit (= il finale) abbiamo un tentativo di dialogo non riuscito, poiché Else è in coma farmacologico avanzato, quindi ascolta e comprende, ma non riesce a parlare. Da questo punto di vista, il romanzo presenta una struttura circolare: l’incipit presenta un dialogo vero e, contemporaneamente, un rifiuto di comunicare con Paul e Cissy da parte della protagonista; l’explicit, al contrario, è caratterizzato da uno pseudo-dialogo impossibile, con Else che vorrebbe comunicare con i personaggi, ma non ci riesce. CARATTERISTICHE STILISTICHE La struttura del romanzo oscilla tra la forma rigida della novella e una forma più libera collegata alla psiche del personaggio: generalmente la novella presenta una situazione isolata riguardante un personaggio (di cui non viene descritto il passato), con un setting preciso (es. un campo da tennis o una camera d’albergo). Di fatto, Schnitzler non spiega il motivo per cui Else si trova in vacanza in quel posto, e non accenna alla storia della famiglia (in termini tecnici, non c’è un intreccio che sostenga la storia, ci viene narrato solo 42 quello che accade nel contesto isolato dell’hotel). Rispetto alla novella, però, compare un elemento aggiuntivo, ovvero l’indagine approfondita della psiche del personaggio, che nelle short stories (es. Dubliners di Joyce) non figura. La fabula in sé è semplice e lineare: pur di salvare il padre, una giovane diciannovenne è invitata alla prostituzione da una lettera della madre, ma alla fine si denuda gratuitamente e si suicida, restando fedele ai suoi valori. Con Schnitzler però assume importanza anche la struttura narrativa (come viene narrato qualcosa), che deve essere il più coerente possibile con il contenuto: ne deriva che l’autore, per rappresentare mimeticamente la psiche del personaggio, deve rinunciare al narratore onnisciente dei romanzi ottocenteschi e ricorrere alla tecnica del flusso di coscienza, il che implica la corrispondenza tra fabula e intreccio. La dimensione interiore, dunque, diventa il focus della narrazione e della stesura del romanzo. Tempo della storia, della narrazione e della lettura Tempo della storia: tempo reale in cui si svolgono i fatti. Tempo della narrazione: ordine in cui l’autore ci presenta i fatti; può variare in base all’utilizzo di flashback, flashforward, digressioni… Tempo della lettura: tempo di fruizione del romanzo da parte del lettore. Ne La signorina Else, anche alla luce di quanto appena detto, Schnitzler fa coincidere quasi del tutto questi 3 tempi, in modo da garantire una sovrapposizione tra il tempo cronologico dei fatti e il tempo della psiche di Else: La scena iniziale, sul campo da tennis, si colloca nel pieno pomeriggio Else si riposa in camera prima che venga servita la cena Arriva l’espresso La cena verrà servita tra un’ora Else si reca fuori, davanti all’albergo, per una breve passeggiata con il Sig. Dorsday, che le fa la richiesta di mostrarsi nuda I pensieri di Else si susseguono rapidamente, e qui inizia il suo percorso di totale dissoluzione Else continua a farneticare fin quasi quando fa buio, prefigurandosi la propria morte. Poi torna in sé: la cena è ormai iniziata Nella hall infine si denuda Inizia il delirio finale: sviene e accusa tutti della sua morte Prende il Veronal e si uccide IL DECENTRAMENTO DELL’IO DI ELSE Il romanzo è incentrato sul percorso di sfaldamento dell’Io della protagonista, che rispecchia lo sfaldamento della società novecentesca. La scena iniziale sul campo da tennis è una premessa falsamente realista, in quanto quello che vi succede e i rapporti tra Else, Paul e Cissy sono irrilevanti rispetto al vero punto focale del romanzo, ovvero la dimensione interiore della protagonista. Non è un caso, perciò, che il dialogo iniziale di 43 questa scena venga bruscamente interrotto dalla voce della psiche di Else, che filtra il reale nel corso di tutta la storia. Gli elementi esterni (es. lettera) sono strumentali e hanno lo scopo di introdurre una novità che stimoli la psiche della protagonista, affinché l’autore possa poi mostrare come tale novità venga rielaborata e contribuisca a far progredire il flusso di coscienza. Dunque, a partire da un dato reale si sviluppa una serie di considerazioni mentali che permettono al personaggio di mettersi a nudo e di mostrare la sua vera natura. Come si diceva all’inizio, l’esperienza individuale di Else permette di concretizzare il tema della solitudine e del decentramento della società novecentesca, una società spettrale composta da soggetti che non comunicano tra loro, che costituisce pertanto un doppio di Else. Per esempio, già nell’incipit Else non riesce a integrarsi con Paul e Cissy; a p. 35 la protagonista dichiara che “nessuno può immaginare quanto sia straziante la [sua] solitudine”. Ma il tema della solitudine e dell’isolamento probabilmente raggiunge il suo apogeo nel momento in cui Else cade in coma e non riesce più a comunicare con i presenti. Quanto allo sfaldamento dell’io, esso viene tematizzato in due situazioni specifiche all’interno del romanzo: A p. 67-68-69 Else cade in uno stato di semi-veglia e immagina sé stessa durante il suo funerale: qui il flusso di coscienza dà origine a una dimensione completamente onirica, che in parte presenta i tratti del vagheggiamento (= Else contempla appassionata il suo cadavere nella bara). A p. 108 il flusso di coscienza assume i tratti del delirio: Else si è appena denudata nella hall ed è svenuta dalla vergogna, che continua a perseguitare la sua psiche e la spingerà infine a prendere il farmaco. Da quel momento in poi non sarà più in grado di parlare e disporrà solo dell’udito e della capacità di pensare fino alla sua morte. In questo frammento notiamo la presenza di frasi molto brevi, che sono funzionali a rendere l’eterogeneità dei pensieri che si stanno accavallando in modo discontinuo e, pertanto, delirante nella sua mente. In sintesi, la solitudine ha un valore tematico nel romanzo, in quanto ne rappresenta una delle tematiche principali, concretizzandosi soprattutto nell’incapacità dei personaggi di instaurare un dialogo autentico. In aggiunta, la solitudine ha un valore poetico, nel senso che influenza il modello di scrittura, ovvero la scelta della tecnica del flusso di coscienza, permettendo all’autore di riprodurre per iscritto il dialogo tra le istanze psichiche di Else. Un dialogo da cui spesso emerge un forte contrasto tra Es (che dà sfogo alle pulsioni più remote e censurabili) e Super Io, come a p. 59-60: inizialmente il Super Io smaschera il comportamento teatrale di Else e la rimprovera di essersi mostrata seminuda sul balcone; in seguito, questa istanza viene sostituita prima dall’Io (“sono fatta così. Una vera sgualdrina […] Ma proprio davanti a [Fred] mai e poi mai vorrei mettermi nuda”) e poi dall’Es, che la invita a mostrarsi nuda davanti al filibustiere. Va sottolineato che il momento in cui parla l’Es è l’unico in cui si manifesta la vera personalità di Else, che nel frammento sopracitato decide di non voler mercificare il proprio corpo e scopre di provare piacere solo quando si concede gratis agli altri (“Voglio essere una sgualdrina, non una puttana”). Quindi la protagonista esprime la sua vera identità nel momento in cui, a p. 59, 44 si accarezza il corpo stimolando i desideri morbosi dei pescatori che la stanno osservando da lontano. Un altro esempio di questo contrasto tra le istanze psichiche (che l’Io di Else non riesce a controllare) è a p. 31-32: l’Es spinge la protagonista a comportamenti lascivi e impudichi (“Nessuno si accorgerà del piccolo strappo sotto il ginocchio. Nessuno? Non è detto […] Io non sarò fedele”), ma il Super Io la censura immediatamente e glielo impedisce (“non essere lasciva, Else”). È importante notare che la solitudine non ha una connotazione del tutto negativa, poiché quando Else è sola riesce ad acquisire una migliore consapevolezza dei suoi problemi personali e della sua vera natura, una consapevolezza che il dover indossare una maschera in pubblico (per aderire a determinate regole comportamentali) non le permetteva di conseguire. Tutti questi contrasti irrisolti contribuiscono al decentramento dell’Io di cui si parlava prima. Del resto, come scriveva Freud: “l’Es si riempie di energia, ma non possiede un’organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio di piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dell’Es, [in cui] impulsi contrari sussistono uno accanto all’altro, senza annullarsi o diminuirsi a vicenda”. E ancora: “Se è costretto ad ammettere le sue debolezze, l’Io prorompe in angoscia: angoscia reale dinnanzi al mondo esterno, angoscia nevrotica dinanzi alla forza delle passioni dell’Es, angoscia morale dinnanzi al Super-io [che, senza tener conto delle difficoltà provenienti dall’Es e dal mondo esterno, esige l’ottemperanza a determinate norme di comportamento, e punisce l’Io, in caso di inadempienza, con sentimenti di inferiorità e di colpa]”. Else è aizzata dall’Es a comportarsi come una sgualdrina, è censurata dal Super Io, che le impone di rispettare i valori borghesi di ragazza per bene, ed è respinta dalla realtà (non riesce a integrarsi nel microcosmo dell’hotel). L’INTERPRETAZIONE DI JUNG Per interpretare La signorina Else, oltre al modello riduttivo freudiano, si può applicare anche il modello instaurativo (= che si allarga all’intera comunità) di Jung, il cui concetto chiave è il “processo di individuazione dell’Io”. Ne Gli stadi della vita l’autore descrive la formazione dell’Io nei seguenti termini: il nostro Io è paragonabile a un unico continente che emerge dagli abissi marini; poco dopo, però, alcune regioni di questo continente si inabissano, e spetta a noi, nel corso della nostra vita, collegare e raggruppare i vari isolotti rimasti in superficie (= i vari stati che interessano la nostra psiche: amore, odio, emozioni, norme etiche… che vanno a formare una sorta di arcipelago) per ricomporre l’unitarietà iniziale e dare un senso al nostro Io. Nel romanzo di Schnitzler, Else si dimostra consapevole dei vari problemi che caratterizzano quel periodo della sua vita, lanciando diverse accuse nei confronti di Dorsday e dei genitori, ma si rende conto di non essere in grado di affrontarli. Tutti questi imprevisti fanno sì che lei compia un’accelerazione improvvisa nel suo processo di individuazione dell’Io, un’accelerazione che però si rivela destabilizzante, poiché la ragazza non possiede la lucidità e la responsabilità etica necessarie per unificare i vari contenuti inconsci. Di conseguenza, la protagonista perde il controllo della sua psiche e della sua esistenza e non raggiunge l’equilibrio auspicato da Jung alla fine del percorso. IL RIFERIMENTO MUSICALE AL CARNEVALE 45 A p. 104-105-107 compare un riferimento al Carnaval di Schumann: nel Carnevale le maschere hanno diritto di essere e i personaggi assumono comportamenti non autentici. Paradossalmente la maschera del Carnevale ci permette di esprimere più facilmente la nostra vera natura, perché in qualche modo ci fa sentire protetti e legittima i nostri comportamenti più immorali. In Senilità Emilio indossa una maschera e la fa indossare anche ad Angiolina. Nel caso de La signorina Else, a p. 105-106 la protagonista passa velocemente in rassegna tutti i soggetti presenti nella sala, personaggi che non hanno alcun valore se non quello di recitare il proprio ruolo di signori rispettabili (a partire da Dorsday). Il Carnaval include 21 pezzi musicali brevi per pianoforte, indipendenti l’uno dall’altro e incalzanti, che trasmettono dunque l’idea di un soggetto frammentato in tante unità interne (le 3 istanze psichiche freudiane) all’interno della stessa opera (il romanzo). La musica di Schumann trasporta il pubblico in una dimensione caratterizzata dal dolore (dolore esistenziale e dolore della follia) e, in un certo senso, spinge Else a rinunciare a qualsiasi forma di controllo di sé stessa e a denudarsi. VIRGINIA WOOLF (1882-1941) – GITA AL FARO (1927) CONSIDERAZIONI SUL TEMPO DEL ROMANZO Come osserva Stevenson (p. 191 del manuale), il romanzo è diviso in 3 parti in cui il tempo funge da protagonista e da collante. La diegesi abbraccia un intervallo di tempo di circa 10 anni che include la guerra, simbolo di distruzione e di perdita. Questo destabilizza la continuità e il progetto di stabilità e di ordine di Mrs. Ramsay, che è depositaria di una serie di valori tipici dell’età vittoriana, in base ai quali la famiglia era una piramide al cui vertice si trovava la figura della madre (non a caso, la regina Vittoria era la testimonianza più lampante di questo rigoroso ordine matriarcale: basti pensare che aveva ben 9 figli). In realtà, già diversi romanzi modernisti antecedenti, tra cui La signorina Else o Senilità, testimoniavano il fatto che non era più possibile instaurare quei rapporti duraturi basati sull’ordine e la stabilità auspicati da Mrs. Ramsay: il fidanzamento tra Angiolina ed Emilio si dissolve a causa dei ripetuti tradimenti di lei; Else è la dimostrazione della crisi del rapporto affettivo e autentico tra genitori e figli e, più in generale, della fragilità del modello occidentale borghese e cristiano, fondato appunto sulla famiglia. Dunque Mrs. Ramsay, nel suo tentativo di ricucire e regolare le vicende dei membri della famiglia e degli ospiti, appare anacronistica. Una lettura tripartita simbolica condensa l’arco temporale allargato del romanzo in un giro completo di quadrante di orologio: di fatto, la prima parte avviene nel pomeriggio (un pomeriggio radioso, che prefigura una gita e una serie di considerazioni e di legami affettivi); la seconda parte si svolge di notte (infatti è caratterizzata da un’atmosfera tetra e negativa, dovuta alla presenza di una guerra, di morti e di decadenza); la terza di mattina. Dal punto di vista della compressione e della dilatazione dei fatti: Prima parte: compressione (un unico pomeriggio) Seconda parte: espansione (questa parte abbraccia un arco temporale di dieci anni) e compressione (dieci anni sono compressi in poche pagine e vengono fatti coincidere, simbolicamente, con una sola notte) 46 Terza parte: compressione (un’unica mattina) IL PASSAGGIO DI CONSEGNE TRA MRS RAMSAY E LILY BRISCOE Alla fine della prima parte Woolf sembra chiedersi se questo modello rigido e regolato in ogni minimo dettaglio sia ancora applicabile attualmente, ma la seconda e la terza parte rispondono negativamente. Nella seconda parte si concretizzano i temi della morte e della distruzione, come anche del deterioramento dei rapporti e dei valori in cui Mrs. Ramsay credeva. Nella terza parte si passa dal punto di vista di Mrs. Ramsay a quello di Lily Briscoe, un’artista che, a differenza della prima, non incarna più la forza e la centralità del modello matriarcale, bensì è l’espressione di un vate laico, che crede nella religione dell’arte (non a caso, Lily dichiara più volte di non volersi sposare). Il romanzo sembra dunque un atelier, un laboratorio in cui il narratore-artista cerca di analizzare la realtà con 2 modelli antitetici: il primo è quello tradizione, incentrato sulla visione mimetica e logico-causale professata da Mr. e Mrs. Ramsay; il secondo si basa su una lettura della realtà poco mimetica e, al contrario, intuizionistica (= fondata sull’imponderabilità, ovvero l’imprevedibilità dei fatti e l’impossibilità di stabilire nessi precisi di causa-effetto). Questo secondo modello è quello prediletto dai modernisti (e da Lily) e si fonda sui meccanismi di associazione inconscia (Freud) del reale con esperienze passate (Bergson). L’innovazione della Woolf consiste proprio nel mettere a confronto due modelli antitetici per poi riconoscere la validità di uno di essi (Schnitzler aveva impiegato solo il metodo innovativo del flusso di coscienza; Svevo era più ancorato al metodo tradizionale ottocentesco; James aveva mutuato un genere risalente al Medioevo, che era stato ripreso in epoca romantica). IL FARO E LA POSSIBILITÀ DI ORDINARE LA REALTÀ Anzitutto notiamo che il faro conferisce circolarità al romanzo: esso viene citato indirettamente da Mrs. Ramsay a p. 3 del romanzo (“Sì, di certo, se domani farà bel tempo”) e viene ripreso alla fine del romanzo da Lily Briscoe, p. 226 (“Debbono essere sbarcati”). Il meccanismo d’irradiazione del faro è suddiviso in tre fasi: 1) Viene irradiato un raggio su lunga distanza 2) Segue un breve intervallo di oscurità 3) Viene irradiato un altro raggio di più corta gittata In Gita al faro tale meccanismo viene riprodotto dall’autrice attraverso la suddivisione in tre parti del romanzo: nella prima parte il faro rappresenta la possibilità di decifrare e dotare di un senso la realtà, ma rimane lontano e irraggiungibile; nella seconda parte esso scompare (fase 2: breve intervallo di oscurità); nella terza parte esso costituisce comunque l’obiettivo della gita dei superstiti della famiglia Ramsay, ma, come ci viene detto all’inizio del capitolo 13 (p. 225), “[per Lily] il faro era divenuto quasi invisibile, s’era dissolto in un vapore azzurro”. Questo significa che il potere irradiante del faro ha ormai perso importanza di fronte al potere dell’intuizione dell’artista-vate Lily Briscoe, che le consente di irradiare verità e di interpretare la realtà; fuor di metafora, non ha più senso combattere per l’affermazione di un modello sociale e culturale che non è più compatibile con la realtà contemporanea e che, pertanto, risulta desueto. 47 Poiché il faro in generale simboleggia la possibilità di ordinare tutte le istanze che rendono caotico il mondo (rappresenta il termine del processo d’individuazione junghiano), Lily Briscoe ha la sua illuminazione e completa il suo quadro solo nel momento in cui il faro, un dettaglio che faticava a dipingere, diventa irrilevante nel suo processo di decodificazione della realtà (perché Lily ha capito che non è più possibile restaurare il modello auspicato da Mrs Ramsay). Contemporaneamente, però, la famiglia Ramsay raggiunge concretamente il faro e completa il proprio personale processo di individuazione (Giacomo in parte è deluso dall’aspetto del faro, ma l’autrice scrive: “il Faro che avevano visto oltre la baia per tutti quegli anni […] era una torre nuda su un nudo scoglio. Lo soddisfaceva”). Ci sono 4 dimensioni temporali nel romanzo: Tempo della storia (il tempo entro cui si colloca l’avventura narrata): la prima parte si colloca in un pomeriggio estivo antecedente alla Prima Guerra Mondiale; la seconda parte, della durata di circa 10 anni, si colloca in una dimensione poco definita; la terza parte si svolge in un mattino di un giorno che simbolicamente è successivo a quello della prima parte (cronologicamente, però, il tutto si compie 10 anni dopo). Tempo della narrazione (l’ordine in cui ci vengono comunicati i fatti): nella prima parte il narratore anonimo in terza persona viene spesso affiancato dal flusso di pensieri di Mrs. Ramsay, attraverso la tecnica dello stile indiretto libero (vedi capitolo 5 della prima parte); nella terza parte, invece, viene affiancato dal flusso di pensieri di Lily Briscoe (vedi capitolo 11 della terza parte, p. 212, in cui il flusso dell’inconscio di Lily fa parte del tempo della narrazione, mentre le parentesi tonde indicano i pensieri del narratore in terza persona oppure della stessa Woolf, e hanno una funzione segnaletica dal punto di vista temporale). In tutto il romanzo compaiono spesso digressioni, riassunti, flashback o flashforward, che allontanano dal presente storico: in questi casi, il narratore coincide con uno dei personaggi e si passa dal tempo della storia a quello della narrazione. Altre volte, invece, troviamo riferimenti precisi al tempo cronologico, che ci riportano nel tempo della storia*. Tempo della scrittura (l’epoca in cui lo scrittore scrive la propria opera): Woolf è influenzata da vari modelli poetici di scrittura, non solo da quelli modernisti (derivanti da Bersgon e Freud), bensì anche da quelli tradizionali mimetici (nella prima parte). Quindi il tempo della scrittura fa riferimento alla genesi dell’opera, e può includere modelli ed epoche passate (Mrs. Ramsay è simbolo di un tempo finito, caratterizzato dalla gioia familiare e dalla serenità). Tempo della lettura: in Gita al faro il tempo della storia e il tempo in cui leggiamo e prendiamo atto dei fatti narrati non coincidono (non impieghiamo 10 anni per leggere il libro). *Mrs. Ramsay tesse il calzerotto, ma quando vede passare gli ospiti tende ad associare la loro figura ai fatti che ne hanno caratterizzato la vita (flashback) o si prefigura quello che potrebbe capitare loro in futuro (flashforward): in questo modo si passa a temporalità e spazialità diverse. Tuttavia, in tutto il romanzo tempo della storia e tempo della narrazione 48 coincidono: nonostante i personaggi meditino su eventi passati o futuri rispetto al presente storico, il narratore in terza persona ci espone comunque in maniera cronologica quello che stanno pensando, e noi lettori scopriamo il passato dei personaggi solo nel momento in cui esso viene rievocato dal flusso dei pensieri di uno di loro (non è il narratore terzo ad astrarsi dalla vicenda per esporcelo). Gita al faro non è un romanzo di evasione (= di svago), bensì di impegno, che basa il suo valore proprio nella richiesta di una lettura interpretativa (perché ci sono vari livelli di lettura stratificati). Per farlo è necessario isolarsi dalla propria dimensione temporale, immergendosi nella coscienza e nell’epoca dei vari personaggi. I SIMBOLI Woolf impiega un simbolismo personale, che ricorre in maniera identica in tutta la sua produzione: Il faro è simboleggiato dalla suddivisione in tre parti del romanzo e funge da elemento unificatore, contribuendo alla circolarità di cui si parlava prima. Esso rappresenta la costante aspirazione ai veri valori della vita, valori che permettano di ordinare la realtà dotandola di un significato. Non è dunque un caso che il faro si trovi su un’isola e sia fisicamente separato dal resto del mondo, che è invece il luogo del disordine. Raggiungere il faro significa perciò instaurare relazioni profonde e autentiche con gli altri e attribuire un senso alla propria esperienza di vita e al mondo. Si tratta di un simbolo positivo. Il quadro rappresenta l’arte ed è una sorta di puzzle che permette a Lily Briscoe, alla fine del romanzo, di fissare in modo ordinato la situazione di disordine del Primo dopoguerra. Bisogna tener presente che già dall’inizio del Novecento le arti pittoriche avevano rinunciato a una rappresentazione armonica della realtà, dunque il messaggio che ci consegna il quadro (e il romanzo) è che il compito dell’artista è proprio quello di ricreare le relazioni armoniche nel mondo (in una famiglia, tra amici, tra membri di una società…) che erano andate in fumo all’inizio del secolo. Anch’esso è un simbolo positivo. Il mare è un simbolo sia positivo sia negativo: è costituito da acqua e, dal punto di vista freudiano, dovrebbe rappresentare il liquido amniotico, e quindi costituire un elemento protettivo, calmante e rassicurante; il caos di quel periodo però ha alterato la sua tradizionale connotazione positiva, rendendolo anche il simbolo dell’eterno fluire del reale e, dunque, della furia distruttrice del tempo. Di fatto, il mare avvolge l’isola delle Ebridi in cui si compie la vicenda, separando i personaggi dal resto del mondo, ma si frappone tra questi e il faro, che costituisce l’unico elemento di certezza della storia. Va notato che il faro è una costruzione artificiale dell’uomo e, nel romanzo, resiste stoicamente in mezzo al mare e alla furia distruttrice della natura e del tempo; fuor di metafora, l’autrice vuole sottolineare la continuità dei valori positivi dell’uomo (faro), nonostante essi siano sempre più rarefatti e “imboscati” nel contesto di caos e di crisi di inizio Novecento. 49 TABELLA RIASSUNTIVA DEI NARRATORI LIVELLO narrativo extradiegetico intradiegetico Narratore di 1° livello de Il giro di Voce narrante della seconda parte di Gita al faro (= il tempo) Douglas ne Il giro di metadiegetico RAPPORTO con la storia narrata eterodiegetico vite Narratore di Senilità omodiegetico omoautodiegetico vite Flusso di pensieri di Emilio Brentani Else (coincide con il narratore di primo livello) Mrs. Ramsay e Lily Briscoe di Gita al Istitutrice anonima ne Il giro di vite faro IL MODERNISMO: FORTUNA E CRITICHE Negli anni ‘30 e ‘40 si diffusero severe critiche nei confronti del Modernismo, alla luce del nuovo ritorno all’ordine: De Chirico parlava di “ritorno al mestiere”, in opposizione all’anticonvenzionalità di tutte le avanguardie (Cubismo, Espressionismo…) e dell’esperienza modernista; in poche parole, si auspicava un ritorno al realismo e alla mimesi in ogni ambito artistico. Anche in letteratura si avvertiva la necessità di spostarsi dalla realtà mentale alla realtà concreta e agli avvenimenti sociali e storici contemporanei, nonché il bisogno di un maggiore impegno politico da parte degli scrittori, che erano invitati a prefigurare una possibile soluzione ai problemi dell’epoca. A partire dagli anni ‘30 (tardo Modernismo), perciò, si sgretolarono tutte le innovazioni moderniste, a favore di un ritorno alle tecniche artistiche e narrative tradizionali. 50 Donne al caffè di Marussig (1924) evidenzia la tensione verso la realtà contemporanea appena descritta Le principali critiche nei confronti dei modernisti possono essere riassunte nei seguenti punti: La ricerca del preziosismo e lo stile elitario: i modernisti erano considerati autori poco impegnati (= indifferenti nei confronti della situazione socio-politica a loro contemporanea) a causa del loro modo di scrivere innovativo, raffinato e contorto, basato sulla manipolazione di parole e concetti (ciò rendeva i loro romanzi difficili da leggere e da comprendere sia per i lettori ordinari sia per quelli esperti). A questo proposito, molti critici sostenevano che il letterato modernista vivesse racchiuso in una torre d’avorio. La soggettività e l’isolamento dal mondo esterno dei personaggi: la tecnica del flusso di coscienza era considerata poco curata (dal punto di vista sintattico) e fine a sé stessa, poiché dava origine a romanzi illogici e non apportava benefici etici alla società (si diffuse in merito l’etichetta di “arte per arte”, ovvero di arte intesa come puro esercizio di stile). Di fatto, secondo i critici i personaggi dei romanzi modernisti, al pari dei loro autori, si rinchiudevano e si perdevano all’interno del labirinto della loro psiche, vivendo così distaccati da una realtà che, tra l’altro, la loro mente percepiva in maniera deformata. La concezione interiore e personale di tempo e l’atemporalità: come abbiamo visto, i modernisti si erano opposti al tempo fisico imposto dalla burocrazia e dalle fabbriche e scandito cronologicamente in intervalli netti, professando una nozione di tempo relativo e personale (tempo come durata). Poiché la storia non esisterebbe senza una successione cronologica, diversi critici accusarono il Modernismo di trascurare volutamente la storia, rinunciando così a qualsiasi possibilità di incidere su di essa: gli stessi personaggi dei romanzi modernisti non avevano un background, bensì vivevano congelati in una determinata fase della loro vita (es. non sappiamo niente del passato di Else o della sua famiglia: è come se Schnitzler avesse immortalato un solo istante della vita di Else, isolandolo dal fiume della storia umana). L’assenza di giudizi morali e il pessimismo: questo chiudersi nel privato rendeva i personaggi impotenti, passivi e rassegnati (nel senso che non cercavano di 51 modificare e migliorare la società in cui vivevano). In aggiunta, i modernisti si limitavano a rappresentare l’inconscio e le pulsioni umane, senza inserire i loro pareri (quasi come se fossero degli psicanalisti). Generalmente, la realtà rappresentata era caratterizzata da un alone di pessimismo e appariva come un incubo da cui fuggire. Riassumendo le obiezioni dei critici, il rifiuto modernista di ogni elemento reale esterno aveva asservito l’arte all’inconscio; inoltre, l’uso di un linguaggio colto e per certi versi criptico rendeva il Modernismo un movimento antidemocratico, privo di impegno morale e sociale. L’uso di parole rare e raffinate, che era un’eredità del Decadentismo, era infatti visto come un tentativo di fuga dalla realtà e, dunque, veniva condannato. LE RISPOSTE ALLE CRITICHE Stevenson e altri studiosi hanno risposto a queste accuse sostenendo anzitutto che il mondo interno della mente è comunque condizionato dal mondo esterno; in aggiunta, spesso è solo grazie all’inconscio (es. di Else) che il lettore scopre e capisce com’era realmente la società di inizio Novecento, cogliendone anche le sfaccettature più nascoste (es. l’ipocrisia dei valori borghesi). Dunque, per rappresentare il mondo non era necessario ricorrere ai metodi mimetici ottocenteschi. Quanto alla storia, in Gita al faro troviamo un riferimento alla Prima Guerra Mondiale: Woolf prende posizione contro la guerra, in quanto non esalta affatto le imprese e le conquiste militari, bensì restituisce un’immagine negativa della guerra, mostrandone le conseguenze (morte, distruzione e deterioramento). In aggiunta, per rispondere all’obiezione secondo cui i personaggi modernisti sono esseri senza storia che non incidono sulla realtà (vedi Emilio), i difensori del movimento osservano che, per esempio, Svevo usa spesso l’ironia nei suoi romanzi: prende le distanze dall’oggetto di cui si occupa e, in questo modo, lo condanna in maniera implicita (ritrae un inetto, Emilio, che si mostra pieno di sé in pubblico, ma che in realtà si fa controllare e condizionare da Angiolina). In altre parole, Svevo sorride dei comportamenti dei suoi personaggi, esprimendo così un giudizio negativo implicito nei confronti di un tipo sociale esistente (quindi compaiono considerazioni morali nei romanzi modernisti). Infine, è più adatto parlare di fuga dalla realtà nel caso degli autori del Decadentismo oppure di tutti quei letterati che esaltavano i periodi classici o il Medioevo, scegliendoli come collocazioni temporali delle loro opere: i romanzi modernisti erano comunque ambientati nell’epoca contemporanea agli autori. Per quanto riguarda il pessimismo modernista, sicuramente esso prevale sulle capacità d’azione del personaggio: infatti nelle opere moderniste spesso traspare un senso di impotenza di fronte alla storia. Tuttavia, sempre secondo i difensori del movimento, gli autori sono stati innovativi, poiché hanno proposto una nuova visione della realtà, basata sulla crisi del soggetto, adottando nuove tecniche. Secondo Stevenson proprio la difficoltà dei testi era uno dei punti di forza del Modernismo, dato che essa non implicava una fuga dalla realtà, bensì costituiva una via alternativa per rappresentarla. Roland Bart individuò una differenza tra i testi leggibili e i testi scrivibili: i primi sono simili al romanzo ottocentesco, sono facilmente comprensibili e a volte scontati. I testi scrivibili, invece, sono più impegnati dal punto di vista artistico e, dunque, più complessi da leggere, 52 anche a causa della loro tecnica narrativa più raffinata e della presenza di più livelli di lettura (es. Gita al faro). L’idea della “scrivibilità” richiama un’altra critica che era stata rivolta ai modernisti, ovvero il fatto che si chiudessero in una torre d’avorio e volessero dimenticare il pubblico, comunicando in maniera cifrata tra sé stessi e scrivendo romanzi d’élite al solo scopo di compiere un esercizio stilistico. Bart afferma che in realtà i romanzi modernisti sono molto più democratici di altri testi, poiché richiedono una partecipazione attiva del lettore, il quale è invitato a compiere un’analisi ermeneutica delle opere (perché sono testi polisemici, non c’è un unico modo di interpretarli). Non a caso, infatti, il Modernismo si opponeva alla cultura di massa, che non va confusa con la democrazia: democrazia per i modernisti significava rivolgersi al lettore, interpellandolo attraverso le loro opere, mentre il concetto di cultura di massa faceva riferimento ai testi facili, scritti in modo elementare e accessibili a tutti, che comportavano la passività del lettore e il livellamento e la scomparsa della qualità (erano romanzi volti esclusivamente al consumismo, che causavano la massificazione del lettore). Per concludere, Stevenson osserva che i modernisti non si erano chiusi in una torre d’avorio, bensì avevano scritto opere che stimolavano ed esaltavano l’intelligenza del lettore e che, allo stesso tempo, si occupavano delle problematiche sociali e delle innovazioni culturali del periodo, come la relatività, il tempo come durata opposto al tempo matematico, la scoperta della psiche e dell’inconscio, e via dicendo. Non bisogna dimenticare che l’imposizione burocratica del tempo e l’organizzazione scientifica del lavoro avevano contribuito alla massificazione del soggetto, privandolo della sua identità: la catena di montaggio, per esempio, comportava consumi in serie, non personalizzati. Date queste premesse, è ovvio che cade l’idea del disimpegno sociale e politico dei modernisti: il loro non era un puro esercizio di stile, bensì una maniera di valorizzare ciò che la società borghese voleva negare, ovvero l’individualità del singolo soggetto; in questo modo, essi avevano preso una posizione specifica nei confronti della realtà storica di inizio Novecento, una realtà in crisi che giustificava la sofferenza e il pessimismo che impregnavano i loro romanzi. In questo contesto caotico, l’arte rappresentava l’unica possibilità di salvezza e di ordine, nonché l’unica certezza in grado di dotare il reale di un significato. SEMINARIO – FUTURISMO, MODERNISMO, SURREALISMO Premessa: rispetto alle prime pagine, qui il Modernismo viene considerato un singolo movimento, non un’epoca che ingloba diverse avanguardie, correnti e movimenti, definiti appunto “modernismi”. Quindi il Futurismo e il Surrealismo saranno descritti come avanguardie a sé stanti rispetto al Modernismo. Nel romanzo ottocentesco (es. Promessi sposi) troviamo un narratore ironico e onnisciente che coincide con l’autore. Questo tipo di narratore potrebbe essere paragonato a una sorta di Dio che inserisce i personaggi in un contesto e li manovra, registrandone in seguito i comportamenti in maniera oggettiva e, nel caso del Naturalismo e del Realismo, astenendosi dal descriverne i pensieri o dall’intervenire in prima persona con commenti personali (come se fosse una telecamera). IL FUTURISMO 53 Il primo decennio del Novecento fu un periodo caratterizzato dalla diffusione delle prime centrali elettriche e dal dominio dell’elettricità, che veniva abbinata alla modernità e alla rapidità. Dal canto suo, l’Italia era un paese ancora arretrato culturalmente, almeno finché Filippo Tommaso Marinetti (nato ad Alessandria d’Egitto) si fece promotore dell’energia e dell’innovazione attraverso l’avanguardia da lui creata, ovvero il Futurismo, una corrente caratterizzata dall’odio verso la tradizione del passato (musei, biblioteche…) e dalla volontà di modernizzare l’Italia e di creare un uomo nuovo, una sorta di selvaggio acculturato. A Parigi Marinetti entrò in contatto con vari intellettuali, tra cui la figlia del proprietario di Le Figaro: perciò, dopo aver pubblicato il Manifesto del Futurismo su vari giornali italiani nel 1909 (senza riscuotere un grande successo), lo fece pubblicare anche su Le Figaro, e da quel momento in poi il Futurismo acquistò rilevanza. Nei seguenti punti del Manifesto del Futurismo vengono esposti alcuni dei principi generali dell’avanguardia*: 1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. 7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo. *In generale le avanguardie si distinguono dai movimenti perché sono sempre giovanilistiche, ottimiste, ardite, provocatorie e contro il passato; inoltre, nel caso delle avanguardie viene pubblicato prima il manifesto e poi le opere, che spesso non si dimostrano all’altezza del manifesto. In aggiunta, gli autori del manifesto vengono ritenuti i padri padroni della corrente. Nel caso dei movimenti (es. Modernismo), invece, prima vengono pubblicate le opere e poi segue eventualmente una dichiarazione di poetica. Nel 1912 Marinetti pubblicò il Manifesto tecnico del Futurismo, che proponeva una riforma del modo di scrivere che proiettasse il mondo verso il futuro. Inoltre, la donna (che spesso era madre in una società rurale come quella italiana) veniva vista con sospetto, poiché era ritenuta una creatura seduttrice che avrebbe sviato l’uomo nuovo (dinamico, esuberante e privo di sentimenti e di psiche) dai suoi scopi. Anche in questo secondo manifesto emerge l’adorazione del Futurismo nei confronti dell’elettricità e del mondo moderno (automobile, aeroplano…). Non a caso, i futuristi proponevano di uccidere il chiaro di luna, ovvero l’amore sentimentale e sdolcinato. Ecco le principali proposte letterarie di Marinetti: “Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse: 1. Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono. 2. Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, 54 solo, dare il senso della continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce. 3. Si deve abolire l’aggettivo perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L’aggettivo avendo in se un carattere di sfumatura, è inconcepibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione. 4. Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l’una all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono. 5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomotorpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto.” In pratica, i futuristi non solo volevano creare un uomo nuovo, bensì aspiravano anche a un linguaggio essenziale, basato sulle analogie. Curiosamente, l’analogia fu anche una caratteristica del Modernismo, mentre la scrittura brutalmente essenziale venne trasformata nel monologo interiore o nel flusso di coscienza: lo stesso Pound sosteneva che i modernisti dovevano moltissimo al Futurismo e che autori come lui e Joyce perfezionarono il monologo interiore solo grazie al concetto avanguardista di “parole in libertà”. In realtà, la lingua essenziale e telegrafica dei futuristi figura solo nel Manifesto: nelle sue opere, infatti, Marinetti utilizzava una lingua altisonante, ma ancora piena di elementi retorici e sintattici, come nel caso di Mafarka il futurista (1910), che ha per protagonista un re africano che, dopo aver sconfitto i nemici, si dedica da solo alla “creazione” di un figlio (è un misogino). Mafarka rispecchia molti valori futuristici: è un uomo attivo, rimprovera i suoi luogotenenti e i suoi soldati quando li sorprende nell’atto di abusare delle donne indigene, che detesta, e muore generando dal petto un essere meccanico alato, che rispecchiava l’ideale di uomo nuovo. Ovviamente l’obiettivo di Marinetti era quello di farsi censurare per oscenità, in modo da conferire visibilità al Futurismo (infatti inserì scene violente e un linguaggio indecente e immorale – il primo capitolo si intitola “Lo stupro delle negre”), e in effetti ci riuscì. Non tutti gli artisti che aderirono al Futurismo condividevano i valori di Marinetti: uno di questi era Aldo Palazzeschi, che nel 1911 scrisse il suo romanzo futurista, Il codice di Perelà, dedicato non ai suoi compagni futuristi (come Mafarka), bensì al pubblico, nonostante egli fosse consapevole, come scrisse nella prefazione, che i lettori lo avrebbero ricoperto come sempre di “bucce di vari frutti e ortaggi”. Qui si nota subito una differenza rispetto agli ideali proclamati da Marinetti: mentre i futuristi inserivano ingiurie e insulti diretti al pubblico utilizzando un linguaggio sprezzante, Palazzeschi dichiarò, con un tono autocommiserante, che egli avrebbe cercato di “deliziare” i suoi lettori. Il romanzo tratta la storia di Perelà, un omino di fumo che nasce da un camino in circostanze misteriose e che ripete continuamente “io sono leggero”, il che indica la sua scarsezza psicologica e anche la sua stoltezza. Il primo capitolo, in cui Perelà scende attraverso il camino e approda negli stivali che lo zavorrano, si chiama “L’utero nero”, una chiara allusione provocatoria a “Lo stupro delle negre” di Marinetti (l’utero nero è riferito al tubo del camino e delude così le aspettative del pubblico). Notiamo, tra l’altro, che Perelà è inconsistente e, pertanto, completamente opposto all’uomo possente ed energico di Marinetti, ma anche qui troviamo un personaggio che nasce dal nulla, al pari del figlio di Mafarka (traspare dunque il desiderio di entrambi gli autori di creare un uomo nuovo). 55 In aggiunta, Palazzeschi scrisse anche una poesia, Chi sono?, in cui si descriveva come un clown e un buffone, e un suo manifesto, Il Controdolore, dove dichiarava che bisognava “distruggere il fantasma romantico ossessionante e doloroso delle cose dette in maniera grave, estraendone e sviluppandone il ridicolo”, e che il futurista doveva portare l’allegria ai funerali e negli ospedali. Questa sua passione per lo scherzo e il gioco era beffardamente in contrasto con la pomposità e il sovversivismo di Marinetti. Ad ogni modo, il Futurismo fu un’innovazione italiana che mise in evidenza la necessità percepita a livello nazionale di rivoluzionare i modelli letterari allora in vigore (il Verismo e lo stile di Manzoni non erano più validi per rappresentare la realtà). LE RADICI DEL MODERNISMO Il vero pioniere della tecnica del monologo interiore fu uno scrittore premodernista di nome Édouard Dujardin, con la sua opera I lauri senza fronde (1887). Anche qui c’è un personaggio, Daniel Prince, che nasce dal nulla durante un bel pomeriggio di primavera a Parigi; si tratta di un giovane scapestrato che si innamora di un’attrice, Léa, che gli estorce soldi in cambio di notti felici. È importante sottolineare che in questo romanzo per la prima volta Dujardin elimina del tutto la figura del narratore (che non compare nemmeno nel Futurismo: Perelà, per esempio, è composto da una serie di dialoghi, poiché Palazzeschi da giovane voleva fare l’attore). Daniel Prince è un personaggio scisso, in quanto pensa una cosa e agisce in modo diverso; si può pertanto affermare che ci sono due Daniel Prince: quello che cerca nel suo parlare di essere sicuro di sé e di ingannare il prossimo e quello interiore, insicuro di sé, che pensa in modo ancora articolato, ma in parte slegato dalla normale sintassi (a volte mancano i verbi). Joyce si basò proprio su questo romanzo per creare i suoi monologhi interiori e riconobbe a Dujardin l’invenzione di questa tecnica. Le vicende de I lauri senza fronde durano dalle 18 a mezzanotte, e il tempo della storia corrisponde al tempo della lettura: si trattava di un’altra innovazione assoluta rispetto al modello di Balzac, che scriveva romanzi con un tempo della storia anche intorno ai 10 anni. In generale, il pensiero del protagonista ha più importanza rispetto alle sue azioni, dal momento che egli trascorre le prime 4 ore in attesa di Léa; in seguito, quando lei si presenta, i due fanno una gita al bois de Boulogne (un parco di Parigi dove la donna gli spilla 300 franchi), ma al ritorno lei non lo invita a dormire in casa sua. Alla fine della giornata, in realtà, prima che la sua compagna gli dia forfait Daniel ha un’epifania*, ovvero un’illuminazione effimera durante la quale si rende conto della realtà della situazione: lui capisce di essere uno sciocco che ha sprecato molti soldi per soddisfare i capricci di una donna che gli si è concessa una sola volta (e che magari si concedeva anche ad altri uomini). Ciononostante, nel momento in cui Léa posticipa il loro rapporto intimo, Daniel le risponde “arrivederci”, nonostante si fosse appena ripromesso di lasciarla nel caso lei avesse rimandato (l’epifania perciò non ha conseguenze pratiche sulla vita del protagonista, ma viene ignorata). Rispetto a romanzi modernisti come La signorina Else, I lauri senza fronde contiene anche descrizioni cromatiche e poetiche della città di Parigi (di derivazione simbolista), dunque è assente l’atmosfera claustrofobica che domina invece l’opera di Schnitzler. Anche in quest’ultima, però, scompare del tutto il narratore e ci viene presentato un personaggio scisso, che agisce nel rispetto delle convenzioni della società e dei valori borghesi, ma che pensa in modo anticonformista e immorale. 56 *Anche sotto questo aspetto, Dujardin anticipa il Modernismo. Nel Futurismo e nel Modernismo non abbiamo più un personaggio a tutto tondo (di cui l’autore racconta l’intera storia), bensì un personaggio scisso, inetto o volubile. Emilio, per esempio, è un personaggio nevrotico che, al pari di Prince, si autoinganna e finge di avere una relazione seria con Angiolina pur di possederla; alla fine, nonostante la sua epifania e i ripetuti tradimenti della donna amata, egli si crea una donna ideale con l’aspetto fisico di Angiolina e la moralità di Amalia. IL SURREALISMO Nel 1924 Breton e Aragon pubblicò il Manifesto del Surrealismo, in cui si professava la ricerca di una realtà ulteriore, ovvero la realtà dell’Es, basata sulla trasgressione, sulla libidine e sul sogno. Anche nel Perro andaluz, film che simboleggia meglio di tutti quest’avanguardia, compare la proposta futurista di uccidere il chiaro di luna: in una delle scene iniziali, infatti, la luna viene tagliata da una nuvola e si vede Buñuel nell’atto di cavare l’occhio a una donna. A differenza dei futuristi, però, i surrealisti non vogliono creare un uomo nuovo, vogliono semplicemente invitare l’uomo a guardare la realtà in maniera diversa: il film, del resto, è la storia di un uomo e di una donna che cercano continuamente di incontrarsi e di avere un rapporto carnale (= possibilità di far trionfare l’Es), ma senza riuscirvi, poiché diversi ostacoli si interpongono tra i due (= il Super Io). I surrealisti erano interessati soprattutto all’automatismo psichico, che Breton definiva il meccanismo “psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione [e dalle imposizioni sociali], e al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. Non a caso, tutta la trama del Perro andaluz è basata sui meccanismi irrazionali del sogno. Anche con il Surrealismo, dunque, il modello tradizionale di scrittura fu scardinato, in quanto i membri di quest’avanguardia scrivevano in stato di dormiveglia o sotto l’effetto di droghe (scrittura automatica). SCHEMA RIASSUNTIVO Lettore ideale Obiettivo Vettore Impegno FUTURISMO (avanguardia) Giovane artista contro il passato Celebrazione della modernità, della guerra e dell’energia; tutte le arti e professioni Progresso, metropoli e fabbriche viste dall’alto (possibilmente dall’aeroplano) Contro passato, tradizione e donne; creazione di un uomo nuovo e tecnologico MODERNISMO (movimento) Letterato (lettore d’élite) SURREALISMO (avanguardia) Anarchico/Antiborghese Inconscio, mito (es. Ulisse di Joyce) Automatismo psichico liberatorio, sogno e irrazionalità; letteratura, pittura, cinema Surrealtà, ovvero una realtà alternativa rispetto a quella concreta fatta di energia psichica Anarchico, antiborghese, contro il razionalismo e i doveri sociali; soppressione del Super Io; nichilismo Introspezione, analisi della psiche Nessuno 57 Tecnica Analogia, distruzione della sintassi Effetto Propagandistico, altisonante, aggressivo; ludico nel caso di Palazzeschi Reazione (in primis a Decadentismo e Simbolismo) Rapporto Io Virile e meccanico; di fumo e inconsistente nel caso di Palazzeschi Monologo interiore, flusso di coscienza, epifania Onirico-associativo Scrittura automatica Reazione al Futurismo, ma ne accoglie l’idea di una scrittura diversa da quella realista Scisso tra parola/azione e pensiero Reazione Onirico-irrazionale (parole in libertà) Eversivo, onirico, teso verso una realtà dominata dall’Es 58