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MITI SCANDINAVI - Page
Filologia Germanica
Università degli Studi di Milano
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Miti scandinavi - R.I. Page
INTRODUZIONE
Guida alla mitologia nordica pagana. Libro che tratta dei miti dei grandi dei della Scandinavia.
Stirpe degli Asi:
Odino: il capo, il padre universale, il dio dell’ispirazione poetica, del mistero e della magia, e il
protettore dei guerrieri.
Frigg: sua consorte, dea che conosce il fato di ogni uomo.
Figli di Odino e Frigg:
- Thor: dio guerriero, difensore degli Asi contro i loro nemici naturali, i giganti. La sua
sposa è Sif, ma di lei si sa solo che i suoi capelli sono d’oro.
- Bragi: dio dell’eloquenza e della poesia. Sposato con la potente dea Idunn, che
possiede le mele dell’eterna giovinezza.
- Baldr: bello ma sfortunato, sposo di Nanna, ucciso accidentalmente dal dio cieco Hod;
- Tyr: il dio della guerra, coraggioso e saggio, che perse una mano incatenando il terribile
lupo Fenrir.
- Heimdall: sentinella e annunciatore della battaglia finale che porrà fine alla vita degli
dei in questo mondo.  nemico di Loki.
 Loki: figura ambigua, in parte dio e in parte demone, figlio del gigante Farbauti e sposo
della devota Sigyn. Ha avuto dei figli anche dalla gigantessa Angrboda. Una prole
sinistra la loro: il lupo Fernir, il serpente Iormungand e la creatura soprannaturale Hel,
che comanda il regno dei morti.
Stirpe dei Vani: protettori della fertilità e del benessere.
Niord: dio della navigazione, della pesca e delle ricchezze. Egli ha sposato la gigantessa
Skadi, ma i due non vanno d’accordo.
Figli: i gemelli Freyr e Freyia. I due fratelli controllano la fertilità e la produzione di beni.
- Freyr: ha sposato la gigantessa Gerd
- Freyia: ha sposato un personaggio chiamato Od.
Esistono anche numerose divinità minori (Hoenir, Kvasir, Gefion, Vali, Vili, Vidar, ecc.) nonché
varie altre creature soprannaturali di rango inferiore: gnomi, elfi, norne, streghe, valchirie.
I più grandi nemici degli dei sono gli iǫtnar (singolare, iǫtunn)  termine tradotto solitamente
con «giganti», infatti si tratta di creature enormi, antiche, spaventose e per lo più malvagie,
simili a demoni o a troll.
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LE FONTI DEI MITI SCANDINAVI
Alla parola «scandinavo», si pensa subito ai Vichinghi = popolo intraprendente e spietato che,
dall’800 al 1100, saccheggiarono, colonizzarono, conquistarono e commerciarono con paesi
sviluppati e talvolta anche civilizzati. Popoli di religione pagana e mitologia abbastanza
complessa. Non usavano la scrittura, tranne per le iscrizioni epigrafiche; quindi registrarono
poco delle loro credenze e ancor meno dei loro miti. Molto di ciò che conosciamo di queste
tradizioni furono trascritti da cristiani, che provavano scarsa simpatia per le idee vichinghe, e
pertanto sono frammentari.
Il Cristianesimo si affermò relativamente tardi in Scandinavia:
- Danimarca: verso la metà del X secolo si ebbe una massiccia conversione;
- Norvegia: tra la fine del X secolo e i primi decenni dell’XI;
- Svezia: in epoca ancora più tarda;
- Islanda: si convertirono ufficialmente verso l’anno 1000.
L’avvento del Cristianesimo non cambiò radicalmente le pratiche e le credenze religiose
scandinave: nelle regioni scandinave il culto cristiano, invece di sostituirsi a quello indigeno, vi
si fondeva o vi si affiancava.
Fonti:
- Grande croce, risaliente all’XI secolo, eretta sul sagrato della chiesa di Gosforth, in
Cumbria, sono incise scene della crocifissione accanto a illustrazioni dei miti e degli dei
scandinavi.
- Ad Andreas, sull’isola di Man, c’è il frammento di una croce di pietra che mostra, su uno
dei bracci, la figura di un uomo con una lancia, attaccato da un maiale: probabilmente il
dio Odino assalito dal lupo Fenrir.
Per trovare testimonianze dei miti vichinghi, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, invece
che ai testi, alle incisioni, oppure alle miniature:
Fonti:
- Gli amuleti a forma di martello che dimostrano come i racconti sul dio Thor che portava
il martello fossero già diffusi in epoca vichinga;
- Con meno sicurezza, un piccolo gruppo di statuette, che alcuni considerano figure di dei
con i loro caratteristici attributi. Altri li ritengono essere, più profanamente, i pezzi di
qualche gioco da tavolo.
L’Edda poetica
Le nostre conoscenze si basano su tre fonti principali. La prima è l’Edda poetica, una
raccolta di carmi di breve e media lunghezza, vari e autonomi quanto al contenuto.
*Carme= forma poetica che nel Medioevo indicava i testi di carattere storico e
guerriero.
Il cuore di questa raccolta è un manoscritto detto Codex Regius, così chiamato perché fu
conservato per secoli nella Biblioteca Regia di Copenhagen prima di essere restituito, nel 1971,
al suo paese originario, in virtù di un accordo fra il governo danese e quello islandese. Il Codex
Regius è un manoscritto in pergamena scritto nella seconda metà del XIII secolo. Contiene 29
canti: 11 dedicati ad argomenti mitologici, gli altri 16, più 2 frammenti, dedicati agli eroi e alle
eroine dell’antichità germanica.
È probabilmente impossibile stabilire dove e quando i carmi eddici siano stanti composti in
quanto il codice raccoglie opere di epoche e di terre differenti.
I carmi dell’Edda sono suddivisi in strofe, con un numero limitato di variazioni metriche, e
pertanto appaiono abbastanza omogenee come linguaggio. Invece le poesie mitologiche sono
diverse per contenuto e per struttura. Alcune sono di tipo narrativo, simili a ballate, e
presentano una sequenza di scene che cambiano rapidamente, intervallate da racconti che
narrano le avventure degli dei. Altre sono dialoghi fra esseri soprannaturali. Talvolta alcune
strofe contengono brani di saggezza pratica o proverbi attribuiti a uno degli dei.
Esempi:
1. La poesia narrativa, prymskviða, il «Racconto del re-gigante Thrym».  si apre con Thor
che si sveglia nel suo letto e cerca il potente martello che gli dà forza e sicurezza: gli è stato
rubato. Se non lo ritrovasse i giganti invaderebbero il paese degli dei e li distruggeranno. Il suo
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grande amico Loki è con lui. Insieme si recano a casa della bella dea Freyia e le chiedono delle
penne, in modo che uno di loro possa volare sulla terra a cercare il martello. Freyia acconsente.
Loki vola da Asgard (la terra degli dei) al regno dei giganti. S’imbatte in Thrym, il quale si
vanta di aver nascosto il martello e dichiara che non lo restituirà finché non gli daranno in
sposa Freyia. Loki ritorna da Thor e i due dicono a Freyia di indossare un abito da sposa per
andare a Iotunheim (la terra dei giganti) a sposare Thrym. Il lungimirante Heimdall ha
un’intuizione: far vestire Thor da sposa facendolo passare per Freyia, con Loki travestito da
ancella. Thrym è inorridito dalla voracità della sposa e Loki giustifica “Freyia” dicendo che è
così innamorata da non essere riuscita a mangiare per giorni. Il gigante ordina di portare il
martello sacro con cui benedire la sposa: Thor lo afferra e sottomette tutti i giganti.
 Orrore di Thor a indossare panni femminili fa pensare che i Vichinghi giudicassero con
disprezzo l’effemminatezza in un uomo. Che genere di poeta poteva scrivere versi
simili? Poteva un pagano scherzare così sui propri dei e prendersi gioco di loro, pur
dovendo confidare nel loro sostegno? O forse questa poesia è opera di un cristiano che
disprezzava i falsi dei? E, in quest’ultimo caso, si tratta di un racconto della mitologia
scandinava, o di una composizione più tarda, scritta per denigrare l’antica fede?
2. Il carme intitolato Hávamál, il «Canto dell’Altissimo». Si tratta di un’opera complessa,
costituita da serie di singole strofe raccolte insieme in un periodo ancora imprecisato. Qualcuno
ritiene che si tratti di una raccolta casuale di antichi versi, legati alla figura del grande dio
Odino, l’Altissimo. Altri la considerano una compilazione colta. In entrambi i casi, la maggior
parte degli studiosi ritiene che raccolga materiale molto antico, probabilmente dell’epoca
vichinga: infatti ci fornisce informazioni sull’immaginario nordico.
La maggior parte del canto è costituita da proverbi, massime e consigli di saggezza e vita
pratica: si parla dell’amicizia, dei suoi obblighi e dei suoi benefici, dei doveri dell’ospitalità,
dell’importanza della prudenza, della necessità di stare sempre all’erta, della povertà e dei suoi
problemi, di chi ci si possa fidare o meno, dell’importanza di avere una buona reputazione, ecc.
All’interno si trova una coppia di strofe sconcertanti. Si tratta di un evento misterioso e nella
letteratura scandinava non esiste un’altra versione di questo mito. Sembra essere una specie
di testo sciamanico, utilizzato dallo stesso Odino per apprendere la magia esoterica delle
lettere runiche. È noto che nel sacro tempio di Uppsala, in Svezia, si appendevano animali e
uomini agli alberi del sacro boschetto come sacrifici per gli dei. Si sa che Odino era
soprannominato il “Dio degli impiccati”, che la sua arma particolare era la lancia, che era
esperto di rune e che questa strana scrittura dava accesso, secondo la tradizione, a poteri
soprannaturali. Il racconto mostra analogie con il mito cristiano.
3. Il carme Lokasenna, la «Lite di Loki». In questo canto il dio Loki rappresenta il cattivo ed è
escluso dalla compagnia degli altri dei e dee. Questi ultimi dànno un ricevimento e non lo
invitano. Allora Loki entra a forza e ingaggia un vivace battibecco con ciascuno dei presenti.
Snorri Sturluson ne scrisse un dettagliato riassunto nella sua Edda in prosa.
Snorri racconta l’incontro di Tyr con il feroce lupo Fenrir, uno dei mostruosi figli di Loki. 
gli dei conoscevano una profezia secondo la quale il lupo e i suoi alleati avrebbero un giorno
distrutto il mondo, e così catturarono il mostro per tenerlo sotto controllo. Solo Tyr aveva però
il coraggio di occuparsi di lui. Quando gli dei si accorsero di quanto diventasse grande
crescendo, si impaurirono e decisero di incatenarlo. Cercarono di ingannarlo. Lo persuasero a
farsi legare dicendogli che si trattava di mettere alla prova la sua forza: più forte era la catena,
più grande era il prestigio di chi la spezzava. Sfortunatamente il lupo spezzò tutte le catene.
Allora gli dei fecero costruire dai nani, che erano abili artigiani, una catena speciale, costituita
da sei elementi come la chioma di una donna, una radice di montagna, il respiro di un pesce.
Con questi materiali essi costruirono una catena molto sottile, ma straordinariamente forte.
L’inganno si ritorse contro gli dei: il lupo dichiarò che non c’era onore nello spezzare una
catena così sottile, a meno che non vi fosse un trucco. Alla fine, comunque, temendo che il suo
coraggio potesse essere messo in discussione, consentì, ma ad una condizione: che, a riprova
della loro buona fede, uno degli dei tenesse una mano nelle sue fauci mentre egli era
incatenato. Se ne incaricò il coraggioso Tyr. Gli dei legarono il lupo con la catena. Non
riuscendo a liberarsi strappò a morsi la mano di Tyr. Gli dei presero Fenrir e lo legarono a una
roccia con una spada tra le fauci, in modo che non potesse più mordere.
L’Edda in prosa
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La seconda grande racconta mitologica è l’Edda in prosa.
Snorri Sturluson (1179-1241) era un coltivatore islandese molto ricco, un capo locale, e pare
anche un traditore al servizio dell’imperialista re norvegese Hakon Hakonarson. Era un uomo
colto e un profondo conoscitore delle tradizioni e della letteratura del suo paese. Era anche un
poeta e compilò la sua Edda in prosa verso il 1220.
Il libro è diviso in quattro parti:
- Un prologo;
- La Gylfaginning, l’«Illusione di Gylfi»;
- Gli Skáldskaparmál, i «Discorsi sullo stile poetico»;
- L’Háttatal, l’«Elenco delle forme dei versi»: parte meno utile in questa sede in
quanto riguarda serie di definizioni, con descrizioni ed esempi tecnici, delle varie e
complesse forme dei versi e delle strofe utilizzate dagli antichi poeti di corte scandinavi.
Il libro di Snorri vuole spiegare i riferimenti mitologici comuni nei versi tradizionali, in modo da
aiutare i nuovi poeti che vogliono imparare lo stile poetico, o che vogliono essere in grado di
capire ciò che è espresso ellitticamente nei versi.
Esempio:
Se in una poesia si fosse dovuto menzionare l’oro, vi si sarebbe potuto riferire come al “pasto
di Frodi”. Era utile sapere che il re Frodi di Danimarca aveva una macina che poteva produrre
qualsiasi cosa, e poiché egli desiderava l’oro obbligò i suoi due schiavi, Fenia e Menia, a
macinare giorno e notte.
Oppure ci si poteva riferire all’oro come al “seme di Kraki”, riferimento al re danese Hrolf Kraki,
che, inseguito da un nemico in cerca di vendetta, sparse l’oro rubato dietro di sé, come un
seminatore.
Snorri era un cristiano e non poteva raccontare simili storie come se fossero state delle verità.
Perciò prese le distanze dall’argomento.
Compose un prologo pieno di antiche osservazioni antropologiche: spiegò il modo in cui gli
uomini primitivi compresero che c’era un ordine nell’universo e ne dedussero che doveva
esserci un ordinatore; e il motivo per cui la più splendida delle comunità antiche fosse Troia, in
Turchia, con i suoi dodici regni, ciascuno governato da un principe con qualità sovrumane, e un
unico re sopra tutti. Snorri fece risalire una di queste dinastie regali a un uomo chiamato Tror
(Thor). Questi visse varie avventure, incontro una bella maga chiamata Sibil (Sif) e con lei
diede origine a una stirpe di grandi eroi, fra cui Odino. Egli lasciò l’Asia e si diresse verso nord,
ponendo i suoi figli a capo dei vari regni, organizzati secondo il modello troiano. Da questi
uomini che venivano dall’Asia (e che furono perciò chiamati Asi) discesero i grandi re della
Scandinavia.
 In tal modo Snorri prendeva una posizione cristiano-ortodossa, identificando
gli dei pagani con antichi eroi deificati dai loro ignoranti seguaci.
La prima parte dell’Edda, la Gylfaginning, l’«Illusione di Gylfi», ha una struttura narrativa.
Gylfi era un re svedese, una sorta di filosofo. Aveva delle perplessità sugli Asi e si chiedeva
perché tutto sembrasse andare secondo la loro volontà. Decise di scoprirlo e partì travestito da
vagabondo. Ma gli Asi lo videro arrivare e gli prepararono una sorta di miraggio, da cui il titolo
di questa parte, l’«Illusione di Gylfi». Quando giunse nella terra degli Asi, vide un’enorme sala
che sembrava affollata da persone che si divertivano. A un’estremità c’erano tre troni, ciascuno
occupato da un re: il primo si chiamava Alto, il secondo Proprio-come-Alto e il terzo
semplicemente Terzo. Questi sovrani erano pronti a rispondere alle domande di Gylfi. Egli li
interrogò sugli dei ed ebbe in risposta leggende, racconti folcloristici e materiale enciclopedico.
 Snorri poté raccontare i suoi miti per mezzo di intermediari, senza prendere
posizione sulla loro veridicità. Poté anche scriverli con uno stile distaccato,
spiritoso, ironico e di piacevole lettura.
Snorri derivò certamente parte del suo materiale da carmi come quelli dell’Edda poetica, ma è
chiaro che conosceva anche poesia che non sono sopravvissute autonomamente. Vi sono molti
casi in cui non si sa da dove Snorri abbia tratto le sue storie, benché il gran numero di dettagli
che fornisce dimostri che le sue fonti dovevano essere racconti e tradizioni folcloristiche.
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Esempio: il racconto di come gli dei decisero di costruire un muro attorno al loro
territorio per proteggersi dai giganti.
Il costruttore a cui affidarono l’opera apparteneva alla stirpe dei giganti, ma loro forse non se
ne resero conto immediatamente. Egli acconsentì a costruire il muro in cambio di tre cose: il
sole, la luna e la dea Freyia. L’accordo fu concluso: il gigante non poteva farsi aiutare da
nessuno, tranne che dal suo cavallo Svadilfoeri, e doveva finire l’opera in tre stagioni o avrebbe
perso tutto. L’accordo fu raggiunto quando Thor non era presente; c’era invece Loki, il quale
consigliò gli dei di accettarlo, pensando che il compito fosse impossibile.
Il gigante lavorava tutto il giorno, e di notte utilizzava il cavallo per trasportare le pietre. La
scadenza di avvicinava e il muro era praticamente finito. Gli dei avevano paura di perdere e se
la presero con Loki, che escogitò un piano: si trasformò in giumenta e durante l’ultima notte
disponibile si mostrò al cavallo che si liberò del suo peso e inseguì la giumenta. Il gigante non
poté finire il lavoro. A quel punto la sua ira fu talmente grande che gli dei capirono che era un
nemico. Thor con il suo martello sfondò il cranio del gigante. Alla fine della storia Loki mise al
mondo un mostruoso puledro con otto gambe, che divenne il famoso cavallo Sleipnir, l’animale
preferito di Odino.
 A riprova dell’esistenza di questa storia Snorri cita due versi del carme eddico Vǫluspá,
la «Profezia dell’indovina». Ma essi non spiegano il gran numero di particolari contenuti
nella versione di Snorri.
Anche la seconda parte dell’Edda, gli Skáldskaparmál, i «Discorsi sullo stile poetico», ha
una struttura narrativa. Il protagonista è di nuovo un visitatore degli Asi, che non sono
presentati come dei benché ne abbiano gli stessi nomi. Il visitatore è Aegir, un re esperto in
arti magiche. Di nuovo gli Asi lo avvistano e gli preparano un inganno. Gli danno il benvenuto,
organizzando una festa in suo onore e facendolo sedere vicino a Bragi, il cui nome è quello del
dio della poesia. Bragi racconta le imprese degli Asi.
 In tal modo vengono illustrati i miti tradizionali.
Esempio: uno molto importante per lo scopo di Snorri.
La storia di due nani, Fialar e Galar, che dopo aver ucciso il gigante Kvasir ne mescolarono
il sangue con del miele e prepararono una pozione che trasformava chi la beveva in poeta. Il
gigante Suttong la rubò, e Odino pensò di fare altrettanto. Egli sedusse la figlia del gigante, che
ne rimase talmente infatuata da permettergli di bere tre sorsate della pozione. Odino svuotò i
calderoni dov’era contenuta la pozione, poi si trasformò in aquila e volò sulle montagne.
Quando Suttung scoprì il furto, si lanciò all’inseguimento. Gli Asi videro che il dio era in
pericolo, quindi si affrettarono a portare nei cortili secchi e vasi. Odino vi rigurgitò dentro la
pozione, che da allora è custodita in quei recipienti in attesa di essere distribuita a chiunque
desideri diventare poeta. Così, la poesia può essere chiamata il “bottino di Odino”, la “scoperta
di Odino” o la “bevanda di Odino”.
Snorri raggiunge così lo scopo che si era prefisso nello scrivere l’Edda: discutere del
linguaggio e delle immagini della poesia, e indicare come le metafore possano
essere interpretate nei termini della mitologia scandinava. Questo tipo di metafora
(come usare “bevanda di Odino” per indicare “la poesia”), può costituire la sintesi di un mito,
ed è una figura essenziale della poesia di corte scandinava.
La poesia scaldica
La terza fonte principale dei miti scandinavi: le composizioni dei poeti di corte, gli scaldi. I
versi scaldici sono opera di poeti di mestiere, dalla personalità e dalle idee politiche ben
definite. Le loro poesie celebrano spesso avvenimenti contemporanei, facilmente databili. La
pratica di comporre versi scaldici ebbe inizio forse nel IX secolo e continuò nell’era vichinga
fino al Medioevo; ma, ovviamente, tranne poche strofe in alfabeto runico, ben poco fu scritto
fino all’avvento del Cristianesimo e della scrittura romana.
I versi scaldici erano fortemente manierati e tecnicamente elaborati, come si conveniva a
poesie che dovevano lodare re e nobili scandinavi. Utilizzava un linguaggio complesso fatto di
frasi, parole rare, e kenning. È in queste metafore che si possono nascondere i miti.
Esempio:
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Il poeta Einar Skalaglamm compose verso la fine del X secolo un carme, Vellekla, in onore
del conte Hakon di Lade (Norvegia). Il canto si apre con una formale richiesta al patrono
perché presti la sua attenzione:
Magnanimo protettore del paese,
Ti prego di ascoltare lo schiumoso frangente
Degli abitanti della lisca del fiordo.
Ascolta, conte, il sangue di Kvasir.
Il pubblico sarà rimasto perplesso di fronte a questi versi, almeno finché non in grado di
risolvere le varie perifrasi. Il “sangue di Kvasir” è facile sapendo che si trattava di una speciale
pozione che dava l’ispirazione poetica. Più difficile è l’espressione “lo schiumoso frangente
degli abitanti della lisca del fiordo”. La “lisca del fiordo” è il litorale roccioso e i suoi “abitanti”
sono i nani, poiché tutti sanno che essi vivono sulle rocce e tra i massi. I nani in questione sono
Fialar e Galar. Il loro “schiumoso frangente” dovrebbe essere la pozione; si tratta quindi di una
kenning che indica di nuovo la poesia.
Ciò che il poeta intendeva dire è quindi: «Ti prego, fai silenzio e ascolta quel che sto
recitando». Quindi tutto dipende da quanto conosca il pubblico: se non ricorda il mito
e non decifra la metafora, sarà confuso dai versi.
Fortunatamente non tutte le poesie scaldiche sono così difficili. Alcuni scaldi scrissero versi
relativamente chiari, pur utilizzando materiale mitologico.
Uno scaldo poteva elogiare il suo signore in una forma quasi eddica, scrivendo semplici versi di
scene ambientate fra gli dei.
Esempio:
Quando Eric «Ascia insanguinata», il re esiliato di Norvegia e di York, fu ucciso in battaglia
verso la metà del secolo, la moglie, fieramente pagana, commissionò un’appropriata ode
funebre, di cui sopravvivono solo alcuni versi.
Il dio Odino domanda a Bragi che cosa sia il rumore che ode all’esterno, e Bragi gli risponde
che dev’essere il dio Baldr che sta tornando a casa. Odino gli dice di non essere sciocco: si
tratta di Eric e dell’esercito di guerrieri che sono stati uccisi con lui. Quindi invia due dei suoi
grandi eroi ad accogliere il re. Odino spiega che Eric è un grande guerriero.
In realtà, Eric era un re mediocre, che aveva fallito in parecchie imprese. Il poeta, invece, lo
presenta come un grande guerriero, degno di mescolarsi agli eroi dell’antichità e di far parte
dell’esercito di Odino, che combatterà il lupo Fenrir quando questi si libererà e attaccherà gli
dei.
In alcuni casi i racconti mitologici possono costituire più direttamente l’argomento dei versi
scaldici.
Esempio:
Il carme Haustlǫng, «Autunno lungo», così intitolato perché il suo autore, Thiodolf, impiegò
un intero autunno per scriverlo. Il canto descrive uno scudo che lo scaldo aveva ricevuto in
dono, decorato con scene che rappresentavano storie di dei. Una di esse racconta la vicenda di
Idunn, la dea che teneva in un cesto le mele dell’eterna giovinezza. Snorri, che conosceva,
l’Haustlǫng, ne racconta la storia.
La vicenda di Idunn  Tre degli Asi (Odino, Loki e Hoenir) erano a caccia e catturarono un
bue. Cercarono di cucinarlo, ma la carne risultava sempre cruda. Un’aquila rivelò loro che la
carne sarebbe rimasta cruda finché lei non avesse avuto la sua parte. Gli dei accettarono, ma
l’aquila prese troppa carne e Loki si infuriò: afferrò un bastone e colpì l’aquila. Il bastone, però,
rimase attaccato all’uccello, che volò via, trascinando Loki appeso all’altra estremità. Il dio
pregò l’aquila di lasciarlo andare. L’uccello acconsentì, a condizione che Loki promettesse di far
uscire Idunn, con le sue mele magiche, dalla fortezza degli dei. Il dio mantenne la promessa e
attirò Idunn nei boschi. L’aquila, rivelatasi il gigante Thiazi, piombò su di lei e la portò nella
propria residenza, a Thrymheim. Gli dei, senza le mele, iniziarono a invecchiare e a indebolirsi.
Allora presero Loki e minacciarono di ucciderlo se non avesse riportato indietro la dea. Loki si
trasformò in un falco. Il gigante era uscito a pescare e Idunn era sola in casa. Loki la trasformò
in una noce, l’afferrò con le zampe e volò via. Thiazi, scoperta la fuga, si lanciò
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all’inseguimento. Gli Asi videro il falco in difficoltà, ammucchiarono una catasta di legna e,
dopo che il falco fu entrato, la incendiarono. L’aquila volava tanto velocemente che non riuscì a
fermarsi, finì nel fuoco e si bruciò le ali. Così gli Asi uccisero Thiazi.
Sarebbe difficile capire la vicenda del carme se non si conoscesse la storia, anche perché il
linguaggio è molto complesso.
Quelle illustrate sono le tre fonti principali della mitologia scandinava. Ne esistono molte altre:
alcune sono definite minori per la quantità di informazioni che forniscono, ma sono comunque
importanti.
- Snorri scrisse, oltre all’Edda in prosa, un’opera storica intitolata Heimskringla, l’«Orbe
terrestre». Si tratta di una raccolta di biografie dei re norvegesi a partire dal primo
monarca “storico” Harald, soprannominato “Bellachioma” e vissuto alla fine del IX
secolo.
- Anteriore alla storia di Harald è il libro intitolato Ynglingasaga, la «Storia dei re della
dinastia Yngling», dove si trovano racconti di monarchi leggendari e di alcuni dei.
- Quando Saxo Grammaticus scrisse in latino la sua storia della Danimarca, Gesta
Danorum, all’inizio del XIII secolo, raccolse un patrimonio mitologico e leggendario di
notevoli proporzioni.
Da queste fonti provenienti da periodi e luoghi diversi è improbabile che si possa trarre una
visione coerente della mitologia scandinava. Ed è difficile stabilire che cosa sia originale e che
cosa sia un’invenzione letteraria.
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GLI ASI, I VANI E ALCUNI RE
Nei miti nordici troviamo due stirpi di dei: gli Asi (Aesir, singolare Áss) e i Vani (Vanir, singolare
Vanr). Nonostante la tesi di Snorri, la parola Áss non deriva da ‘Asia’: si tratta di una tipica
etimologia medievale. Deriva da una comunissima parola germanica che vuol dire “dio”: ha un
parallelo nell’inglese antico ōs, ed esiste una forma plurale gotica in un testo latino, ansis, che
è tradotta semideos, “semidei”.
Il termine Vanr è più problematico: esistono varie etimologie per questo termine, ma una delle
più affascinanti lo collega all’antico termine norreno vinr, “amico”, e al latino Venus, Venere, la
“dea dell’amore”.
Il famoso studioso francese di religioni comparate, Georges Dumézil, sosteneva che la
distinzione fra gli Asi e i Vani è tanto antica da ritrovarsi nelle religioni di altri popoli
indoeuropei. Secondo le sue teorie, i Vani erano originariamente dei di rango inferiore,
accettati dal gruppo superiore solo dopo un periodo di conflitti. La cosa si riflette ovviamente
nel rapporto fra le due stirpi di dei, così com’è riferito nell’Heimskringla, benché qui sia
diventato uno scontro fra popoli vicini: Odino raccolse un esercito e attaccò i Vani. -Essi
difesero il loro paese, e ciascuna delle parti riportò delle vittorie. Quando i due popoli ne
ebbero abbastanza, convocarono una conferenza di pace, stabilirono una tregua e si
scambiarono degli ostaggi. I Vani consegnarono i loro migliori uomini, il ricco Niord e suo figlio
Freyr. Gli Asi diedero Hoenir, dicendo che aveva grande autorità. Con lui inviarono Mimir, un
uomo molto saggio, e in cambio i Vani mandarono il più intelligente di loro, Kvasir.
Quando Hoenir giunse nella terra dei Vani, gli fu subito assegnato un ruolo di prestigio. Mimir
gli insegnò tutto ciò che doveva dire. Quando Hoenir non poteva consultarsi con Mimir, dava
sempre la stessa risposta: “Che decida qualcun altro”.
Allora i Vani pensarono che gli Asi li avessero ingannati nello scambio degli ostaggi. Presero
Mimir, gli tagliarono la testa e la inviarono agli Asi. Odino, la prese, la cosparse di erbe in
modo che non si decomponesse e recitò formule magiche: la testa poteva parlare e rivelare
molti segreti occulti.
La figlia di Niord si chiamava Freyia ed era una sacerdotessa. Fu la prima a insegnare agli Asi
la pratica chiamata seiðr (magia), che era comune fra i Vani. Quando Niord viveva tra i Vani
aveva sposato sua sorella, perché tra loro era lecito. I loro figli erano Freyr e Freyia. Ma tra gli
Asi era vietato sposarsi con un parente così stretto.
Per conoscere gli scandali che hanno per protagonisti gli dei, bisogna esaminare la
Lokasenna, dove gli insulti che Loki e i suoi rivali si scambiano rivelano di solito qualche
pratica o qualche atto vergognoso dell’uno o dell’altro.
In questi versi si afferma il carattere distintivo e poco ortodosso dei Vani. La pratica del seiðr
(magia), ad esempio, era utile, ma poteva essere pericolosa. Era una forma di magia che dava
potere a chi la praticava, per colpire gli altri o per acquisire conoscenze esoteriche.
Nel complesso, comunque, i Vani portarono benefici al genere umano. Dumézil li definisce
«dispensatori di salute, di giovinezza, di fecondità e di felicità».
Tacito, lo storico romano del I secolo, scrisse di una dea venerata dalle tribù germaniche delle
coste del Mare del Nord. Era chiamata Nerthus (un nome affine a Niord) e Tacito la definisce
“madre terra”. Ella assicurava pace e fertilità ai suoi devoti.
Secondo le fonti scandinave:
- Niord: dio dell’abbondanza, delle terre ricche, delle imprese mercantili e della pesca.
- Freyr: dio del tempo favorevole, quindi della produzione, della pace e della prosperità;
- Freyia: appassionata di canti d’amore, quindi è bene pregarla per le questioni di cuore.
Data l’importanza centrale di questi temi nella vita quotidiana medievale, dovevano esistere
molti miti sui Vani, ma ne sopravvivono pochi. Di alcuni si ha qualche sparso accenno.
Esempio:
Freyia era sposata con un dio poco noto, Od, il quale se ne andò in cerca di avventure
lasciando la dea in lacrime. Quindi ella decise di cercarlo. Quando Freyia pianse per Od, le sue
lacrime diventarono d’oro: perciò un gruppo di kenning si riferisce all’oro come alle “lacrime di
Freyia”.
Esempio: il mito più dettagliato sui Vani è quello della passione di Freyr per la gigantesca
Gerd, una storia d’amore perfetta per il dio della fertilità e del desiderio. È raccontata nel
carme eddico Fǫr Skírnis, il «Viaggio di Skirnir», ed è parafrasata nell’Edda di Snorri.
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Odino siede su un grande trono, Hlidskialf, da cui può sorvegliare il mondo. Un giorno Freyr vi
sale e viene punito per la sua presunzione. Egli guarda verso nord (tutti sanno che a nord
vivono i giganti), dove vede una bellissima fanciulla con armi splendenti. Se ne innamora subito
e si ammala d’amore. Skirnir, il suo scudiero, gli chiede perché è così abbattuto e si appella alla
loro amicizia perché gli riveli il segreto. Freyr chiede a Skirnir di andare a parlare con la
gigantessa. Poiché il viaggio è pericoloso, Freyr dà all’amico il suo splendido cavallo e uno dei
suoi più grandi tesori, una spada che combatte da sola. Un pastore che sta seduto fuori lo
avverte di non entrare. Skirnir insiste. Gerd, obbedendo alle leggi dell’ospitalità nordica, lo
invita a bere l’idromele e gli chiede perché sia venuto. Skirnir le dichiara l’amore di Freyr e le
offre in regalo undici mele d’oro e un anello che si sarebbe autoriprodotto ogni nove notti. Gerd
li rifiuta, avendo già abbastanza oro. Allora Skirnir ricorre alle minacce, che diventano sempre
più pesanti, finché alla fine ella cede. Dichiara di volersi preparare per nove giorni, al termine
dei quali si darà a Freyr.
Il nome Gerd è stato collegato al termine norreno garðr, “recinto, campo” e l’unione tra Freyr e
Gerd viene intesa come l’espressione del matrimonio sacro tra il dio della fertilità e la terra
coltivata.
Viene poi proposto un altro racconto su Freyr, le cui implicazioni sono invece discutibili. La
storia si trova nell’Heimskringla di Snorri, che tratta Freyr come se fosse un re antico e non un
dio: un altro aspetto dell’approccio evemeristico di Snorri alle divinità norrene.  Niord e
Freyr sono identificati con due re svedesi. Freyr era molto popolare: durante il suo regno i
raccolti erano abbondanti e ci fu una lunga pace, e di questo gli Svedesi ringraziavano il loro re.
Egli fece costruire il grande tempio di Uppsala, e vi portò il denaro proveniente da tasse e
tributi. Quando morì i suoi uomini portarono in segreto il suo corpo in un tumulo con i tributi. Il
periodo di pace e di abbondanza continuò. Dopo tre anni, quando gli Svedesi capirono che il re
era morto conclusero che pace e abbondanza sarebbero continuate finché Freyr fosse rimasto
in Svezia, e così si rifiutarono di cremarlo.
 Si tratta di una celebrazione sia del divino che della regalità. Dopo tutto il termine
Freyr, in origine significava “signore” ed era collegato all’antico termine inglese frea,
usato in riferimento sia ai re terreni che celesti. Dai successivi racconti medievali
sembra emergere che gli antichi re scandinavi erano venerati in proporzione
alla loro capacità di donare al popolo pace e prosperità. Secondo alcune
leggende, i sovrani che non riuscivano in questo compito venivano uccisi.
Esempio:
Uno di questi fu il re svedese Olaf soprannominato «Tagliatore di alberi» perché fuggì a
ovest dove abbatté gli alberi delle foreste e coltivò il terreno. Una marea di persone,
vedendo quanto il suolo fosse fertile, si unirono a lui. La terra non era più sufficiente,
allora vennero carestia e fame, che gli Svedesi imputarono al re. Si riunirono e
assalirono Olaf, lo chiusero nella sua casa e lo bruciarono con essa.
Il racconto di Freyr, oltre ad essere una storia di re, ha anche un significato religioso.
Assomiglia a un aneddoto raccontato da Saxo Grammaticus sul re danese Frothi, anch’egli
famoso per il lungo periodo di pace che assicurò al suo popolo. Quando Frothi morì, i suoi
uomini tennero segreta la notizia in modo che la tranquillità del paese non venisse meno.
Imbalsamarono il corpo e lo trasportarono per il paese su una lettiga, come se fosse troppo
malato per viaggiare in altro modo. Soltanto quando il corpo incominciò a putrefarsi, gli diedero
giusta sepoltura. Il nome Frothi può essere collegato all’aggettivo fróðr, che significa “fertile,
fruttifero”.
La storia del re morto che viene portato attraverso il regno per assicurare prosperità mostra
qualche somiglianza con il racconto della morte accidentale del semileggendario re
norvegese Halfdan il Nero, padre di Harald «Bellachioma». Halfdan, tornando da una festa a
Hadeland, passò su un fiordo ghiacciato. Al suo passaggio, il ghiaccio si ruppe e Halfdan
affondò con il suo seguito. Il re aveva portato fertilità e abbondanza al suo popolo. Gli uomini di
Ringerike riportarono il suo corpo a casa per seppellirlo, ma anche le altre popolazioni del
regno lo volevano. Raggiunsero alla fine un compromesso “politico”: divisero il corpo in quattro
parti e ne seppellirono un pezzo in ogni provincia. Ecco perché in Norvegia ci sono quattro posti
chiamati il «Tumulo di Halfdan».
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La relazione del sostantivo Frothi con l’aggettivo fróðr, “fertile”, fa supporre che il termine sia
stato un soprannome di Freyr. Un capitolo dell’Ynglingasaga dell’Heimskringla di Snorri
chiarisce che i due nomi sono intimamente collegati. Snorri sostiene che Freyr era un re
svedese, successore di Niord.
Nella tradizione norrena pace e fertilità sono strettamente collegate, tanto che è normale
leggere di sacrifici fatti «per i frutti e per la pace».
I toponimi e i primi riferimenti nelle saghe nordiche confermano la connessione tra i Vani e la
pace feconda.
- Il nome Freyr ricorre comunemente nei toponimi norvegesi e svedesi e ha il significato
di “prato”, “campo”, riferendosi ai terreni che producono abbondanti raccolti. Freyr
possiede grandi tesori, come il cinghiale Gullinbursti che illumina l’oscurità con il
bagliore delle sue setole d’oro. Ha inoltre una nave con invidiabili capacità: può fornire a
tutti gli Asi armi e armature, far sì che si alzi un vento favorevole quando la vela è
issata, può essere ripiegata e tenuta in tasca.
- Niord e Freyr erano entrambi dei dell’abbondanza. Snorri dice che Niord «è così ricco e
benedetto da proprietà che può donare abbondanza di terra o di denaro a chiunque lo
invochi con questo scopo».
Nonostante le differenze i racconti di Freyr, Frothi e Halfdan presentano elementi e temi
comuni che si ritrovano in altre antiche storie scandinave e germaniche, fra cui quella di Olaf,
il «Tagliatore di alberi». Tali temi sono i seguenti: un dio/re che dona pace e abbondanza al suo
popolo; i raccolti abbondanti che sono assicurati, nella credenza popolare, dal possesso del
corpo del dio/re defunto, che deve viaggiare su un carro per tutto il regno. All’origine di
leggende simili c’è certamente qualche mito scandinavo comune, o probabilmente germanico.
I Vani erano divinità importanti relativamente agli aspetti più pratici dell’attività
religiosa scandinava. Essi elargivano e controllavano la ricchezza da cui dipendevano la
società, l’agricoltura e il commercio. Pertanto non sorprende il fatto che ad essi si facessero
sacrifici. Paradossalmente proprio questa loro funzione così “pratica” può essere la causa della
scarsa sopravvivenza di miri su dei così importanti.  I rituali pagani turbavano gli scrittori
cristiani, che preferivano non parlarne. Se riguardavano divinità che avevano influenza sulla
vita quotidiana, l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, il successo dei viaggi commerciali o
la pesca, risultavano ancora più pericolosi in una società protocristiana. Era quindi importante
per i cristiani assicurarsi che questi dei della terra e del mare fossero soppressi e
che i loro miti fossero dimenticati o sostituiti dagli equivalenti cristiani.
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ODINO E THOR
Le due divinità degli Asi più famose e più potenti, Odino e Thor, sono figure contrastanti:
- Odino è il dio dei poeti e dei re, dei guerrieri e della magia;
- Thor è il dio dell’uomo comune, vichingo, islandese e norvegese.
Dumézil, nell’assegnare a ciascun dio precisi compiti attribuisce:
- a Odino le funzioni di dio supremo, re, sacerdote, mago;
- a Thor le caratteristiche del dio guerriero, forte e aggressivo.
Certamente però anche Odino ha stretti legami con la guerra: protegge i suoi campioni e li
riunisce, alla fine, presso di sé.
Odino
Odino ha una personalità molto complessa e capricciosa. Tale complessità deriva dal fatto che,
nel corso dei secoli, ha fatto proprie caratteristiche e tipi di attività che prima appartenevano
ad altri dei. La varietà della sua natura si rispecchia nel gran numero di nomi con cui viene
chiamato.
Snorri, ovvero Terzo nella Gylfaginning, dice che Odino è il più antico e il più eminente degli
dei, e che controlla tutte le cose. Gli altri dei obbediscono a lui come dei figli al loro padre.
Terzo lo chiama anche Alfǫðr, «Padre di tutto», ma lo definisce anche «Padre degli uccisi»
(Valfǫðr), «Padre degli impiccati» (Hangaguð), «Padre dei prigionieri» (Haptaguð), e «Padre dei
carghi» (Farmaguð).
È necessario conoscere i fondamenti dell’etimologia norrena, almeno per alcuni nomi. I nomi
mostrano differenti aspetti della personalità di Odino o di qualche sua attività: il dio della
guerra e della vittoria, il dio della magia, il dio minaccioso, il dio terrificante, il dio che controlla
i venti, il dio della cui parola non ci si può fidare. Alcuni nomi alludono a dei miti:
- il fatto che Odino praticasse il seiðr (che metteva in dubbio la sua mascolinità) può
spiegare il nome Iálkr «il castrato»;
- i vari racconti in cui si dice che il dio viaggia mascherato potrebbero spiegare nomi
come Grímr, «il mascherato, l’incappucciato», e Siðhǫttr, «lungo cappuccio»;
- nomi come Bileygr, «occhio debole», e Blindi, «il cieco» ricordano che Odino aveva un
occhio solo, perché egli aveva barattato l’altro in cambio di un sorso al pozzo di
Mimisbrunn, la fonte della saggezza e del buonsenso.
I nomi che evocano la guerra e le armi suggeriscono il dio della battaglia, il protettore dei
grandi guerrieri, colui che sceglie per il suo esercito i migliori campioni, uomini come Eric
«Ascia insanguinata». Ma proprio per questa sua attività, Odino appare anche mutevole,
infido, capriccioso: dopo aver protetto un grande eroe per qualche tempo, lo abbandona,
lasciando che venga ucciso e si unisca a lui nel Walhalla. In effetti l’inaffidabilità è parte della
natura di Odino.
La violazione degli accordi è uno dei temi del carme eddico Hávamál. Qui Odino parla della
sua esperienza del mondo, riflettendo cinicamente su come uomini e donne si tradiscano a
vicenda. Accenna a due avventure che illustrano differenti tradimenti. I miti non sono
raccontati interamente.
Esempio:
Il primo racconta uno degli intrighi d’amore di Odino, finito male. Invaghitosi di una
gigantessa chiamata «figlia di Billing», cercò di sedurla, ma ella lo pregò di tornare di notte
perché non voleva far sapere agli altri della loro passione. Odino ritornò di notte, e trovò tutte
le guardie del palazzo sveglie e munite di torce. Ritentò all’alba e stavolta le guardie
dormivano, ma la gigantessa aveva legato al letto un cane da guardia.
Esempio:
Il secondo riguarda il furto della pozione magica del gigante Suttung. Il poeta
dell’Hávamál si concentra su un aspetto: Odino che seduce Gunnlod, la figlia del gigante,
per rubare la pozione. Si apprende che Odino giurò su un anello sacro ma che violò il
giuramento. Inoltre, da altre fonti, fra cui una appartenente alla storia anglosassone, si
apprende che i Vichinghi avevano un particolare rispetto per i giuramenti fatti su un anello
sacro.
Vi è inoltre l’immagine nuova di un Odino che ubriaco seduce Gunnlod e, da questi versi si
percepisce che Odino rubò la pozione non al gigante Suttung ma a Fialar, uno dei nani che
avevano prodotto la bevanda con il sangue di Kvasir (pp. 69-71).
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Snorri aggiunge un prologo alla storia. Dice che in origine furono i nani Fialar e Galar a
creare la pozione, e che poi Suttung se ne impossessò per vendicare la morte del padre e della
madre, cioè del gigante Gilling e di sua moglie. I nani avevano invitato Gilling a una gita in
barca, ma questa si era capovolta e Gilling era affogato. Sua moglie pianse così tanto che Galar
prese una pietra e le ruppe la testa, uccidendola. Suttung lo seppe e decise di vendicare i
genitori morti: catturò i nani, li portò su un isolotto che sarebbe stato sommerso dall’alta marea
e li minacciò di abbandonarli se non gli avesse dato un risarcimento, ed essi gli diedero la
pozione. Egli la portò a casa e la affidò alla figlia Gunnlod. Odino decise di impadronirsi della
pozione. Sulla strada che conduceva al palazzo di Suttung vide i servi di Baugi (fratello di
Suttung) e ingannandoli raggiunse il palazzo. Baugi era preoccupato per aver perduto tutti i
suoi servi, ma Odino, presentandosi come Bolverk, si offrì di fargli tutti i lavori in cambio di un
sorso della pozione di Suttung. Baugi disse di non possedere la pozione, ma che lo avrebbe
aiutato a soddisfare il suo desiderio. Bolverk lavorò tutta l’estate e chiese a Baugi il suo
compenso. Il gigante andò con lui da Suttung, ma questi rifiutò di dargli anche una sola goccia
di pozione. Baugi e Bolverk studiarono un modo per prenderla: fecero un buco nella parete di
roccia, Bolverk si trasformò in un serpente, entrò nel buco e il resto della storia è noto.
Il racconto illustra alcuni aspetti negativi della personalità di Odino: la sua capacità
d’ingannare, la sua abilità nel cambiare forma, la sua propensione per i travestimenti e per i
falsi nomi, la sua slealtà. Ebbe in dono la saggezza offrendosi in sacrificio appeso a un
albero e dando un occhio in cambio di un sorso al pozzo della conoscenza.
Aveva anche altri poteri: poteva far parlare i morti, interrogare i saggi e utilizzare il potere del
seiðr; aveva due corvi, Hugin e Munin, che volavano per il mondo raccogliendo notizie per lui.
La sua conoscenza della cosmologia, del passato e del futuro è molto importante, poiché se ne
parla nel piccolo gruppo di poesie sapienziali che forniscono gran parte del materiale a
disposizione degli studiosi moderni sulle credenze e sui miti scandinavi.
Esempio:
Una è il VafÞrúðnismál, che descrive una gara di abilità e di conoscenza tra Odino e un
gigante, Vafthrudnir, famoso per la sua saggezza.
La poesia inizia con la volontà di Odino di andare a far visita a Vafthrudnir per sapere quanto
sia vasta la sua conoscenza e con il consiglio di Frigg (moglie di Odino) di andare, convinta che
egli ritornerà sano e salvo. Odino raggiunge la residenza, si presenta come Gagnrad. Il gigante
lo interroga brevemente e, scoprendo che ha il dono della conoscenza, gli suggerisce un
confronto: ciascuno metterà alla prova le capacità dell’altro e chi avrà la peggio perderà la
testa. Gagnrad incomincia a interrogare Vafthrudnir sulle origini del mondo, sulla natura degli
dei e sulla fine di tutte le cose. Il gigante risponde sempre esaurientemente, fino all’ultima
domanda: che cosa ha bisbigliato Odino all’orecchio del figlio Baldr quando il dio morto fu
messo sulla pira funebre? Soltanto Odino conosce la risposta e così il gigante capisce di essere
stato ingannato.
Esempio:
Un’altra poesia sapienziale che ha per protagonista Odino è il Grímnismál, inserita come
introduzione in prosa del Codex Regius.
Racconta di due giovani principi, Agnar, di dieci anni, e Geirrod, di otto, che andarono a
pescare e furono portati via dal vento. Naufragarono su una spiaggia, vicino alla capanna di
un contadino. Rimasero tutto l’inverno con il contadino e con sua moglie, che si occuparono
soprattutto di Geirrod. Quando venne la primavera, si trovò una barca per i due fratelli. Mentre
stavano imbarcandosi il contadino diede alcune istruzioni segrete a Geirrod. Quando giunsero
in patria Geirrod, che stava a prua, saltò sulla spiaggia e spinse di nuovo la barca in mare,
abbandonando il fratello maggiore. Tornato a casa, apprese che il padre era morto; fu
nominato suo successore e divenne un principe potente. L’erede legittimo, Agnar, abbandonato
sulla barca, approdò in terre desolate e fu accolto fra i giganti.
Il conflitto fra i due fratelli provocò uno scontro fra gli dei, perché Odino era il protettore di
Geirrod e Frigg di Agnar. Frigg disse che Geirrod “è un avaro, uno spilorcio, e ai suoi
ricevimenti affama gli ospiti se pensa che ce ne siano troppi”. I due dei litigarono e Odino
scommise con la moglie che sarebbe riuscito a dimostrare la falsità dell’accusa. Il dio si travestì
e si recò al palazzo di Geirrod. Ma Frigg era più astuta e inviò un messaggero a Geirrod,
mettendolo in guardia contro lo straniero che stava entrando le sue terre. Così il re fece
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prigioniero Odino che si era presentato come Grimnir. Il re lo torturò accendendo due grandi
fuochi e mettendolo al centro per otto giorni, tanto che il mantello bruciò. Geirrod aveva un
figlio di dieci anni che aveva chiamato Agnar, come il fratello. Il giovane ebbe pietà di Grimnir e
gli portò da bere. Il dio lo ringraziò e fece una profezia secondo la quale Agnar sarebbe stato
ricompensato con il trono. Poi Grimnir mostra quanto sia vasta la sua conoscenza, tanto che
avrebbe per forza svelato la sua identità. Predice infine la morte di Geirrod, per la ferita di una
spada, e rivela il suo nome. Il re Geirrod saltò in piedi per togliere il prigioniero dal fuoco, la
spada gli scivolò dal grembo, il re inciampò e cadde sulla spada, che lo infilzò, uccidendolo. A
quel punto Odino svanì e Agnar fu re per molti anni.
Thor
Thor è un guerriero e i suoi nemici sono i nemici degli dei: i giganti, i mostri e le forze
primordiali.
Snorri lo descrive: “Thor è il migliore degli dei. È il più forte di tutti gli dei e di tutti gli uomini…
Possiede tre oggetti di grande valore. Il primo è il martello Miollnir che ha colpito i crani
di molti. Il secondo è la cintura di forza: quando è avvolta intorno alla sua vita raddoppia i
poteri divini. Il terzo è di estrema importanza: sono i suoi guanti di ferro. Non può essere
senza quando brandisce il martello.”
Su Thor sopravvivono molti miti. Ad alcuni si fa riferimento nelle prime poesie scaldiche, a
dimostrazione della loro antichità e dell’esistenza del culto del dio in epoca vichinga. È
significativo il fatto che Thor sia l’unico dio invocato nelle iscrizioni funebri vichinghe, dove frasi
lo indicano come una divinità protettrice.
Esempio:
L’incontro di Thor con il gigante Geirrod (non il re Geirrod punito da Odino). Verso la fine
dell’era pagana il poeta islandese Eilif Godrunarson scrisse una poesia oggi conosciuta come
Þórsdrápa, i «versi su Thor». È nota per essere una delle più oscure e difficili poesie della
tradizione scaldica. Snorri ne fornì un’interpretazione raccontandone la trama, ma nessuno può
garantire che sia giusta.
Tutto fu provocato come al solito da Loki che un giorno, provando l’abito da falco di Frigg,
giunse al palazzo di Geirrod, si posò sul davanzale di una finestra e guardò dentro. Al re dava
fastidio quindi un servo iniziò a scalare il muro, e Loki aspettò l’ultimo momento per volare via,
solo per far innervosire il re. Ma il servo gli afferrò i piedi. Geirrod dallo sguardo del falco capì
che si trattava di un uomo e volle sapere chi fosse. Loki non volle parlare e fu quindi chiuso in
una gabbia per tre mesi, senza cibo. Loki confessò chi era. Il re gli disse che non lo avrebbe
ucciso a patto che attirasse Thor nel palazzo, senza il suo potente martello e la sua cintura
della forza.
Non si sa come Loki convinse Thor, ma si sa che il grande dio uscì disarmato. I due giunsero
alla casa di una gigantessa, che rivelò a Thor la verità sulla natura sanguinaria di Geirrod e
diede al dio un’altra cintura della forza, un bastone e dei guanti. Thor incominciò ad
attraversare il corso d’acqua e Loki si teneva aggrappato alla sua cintura. A metà strada,
l’acqua salì fino all’altezza delle sue spalle. Vide la figlia di Geirrod, Gialp: era lei che aveva
fatto crescere l’acqua. Thor le lanciò una grande pietra e uscì dall’acqua aggrappandosi a un
sorbo. Ecco perché, dice Snorri, il sorbo è chiamato «la liberazione di Thor».
Furono alloggiati in una capanna. Thor si sedette sulla sedia che si sollevò, portandolo verso il
soffitto. Premendo contro le travi il bastone ricevuto dalla gigantessa cercò di tornare a terra: si
udirono uno schianto e un grido. Sotto la sedia si trovavano le figlie di Geirrod, Gialp e Greip,
che avevano cercato di schiacciare Thor contro il soffitto, con la schiena spezzata.
Quindi Geirrod convocò Thor nella sua sala. Appena il dio entrò, Geirrod afferrò un pezzo di
ferro incandescente e lo lanciò contro Thor. Fortunatamente questi indossava i guanti di ferro:
raccolse il pezzo di ferro e lo rilanciò verso Geirrod. Il gigante corse a proteggersi dietro un
pilastro di ferro, ma il colpo trapassò il pilastro, Geirrod, il muro e finì sul terreno all’esterno.
Così finisce la storia di Snorri.
La parte finale trova conferma in un curioso passo delle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus.
Raccontando una spedizione dei Danesi nel nord della Scandinavia, Saxo descrive alcune delle
cose terribili che videro. Videro “un pezzo di roccia infranta e, poco lontano, su un piano
rialzato, un vecchio, con il corpo forato, seduto dalla parte opposta dell’ammasso di pietre
rotte”. Il capo danese Thorkell spiegò ai suoi compagni che “una volta il dio Thor, infuriato per
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l’insolenza dei giganti, aveva lanciato un pezzo di ferro rovente contro il ventre dell’ostile
Geruthus; il proiettile lo aveva trapassato, era penetrato nella montagna e l’aveva distrutta”. Lì
vicino si trovavano i corpi di donne con la schiena spezzata.
Esistono altre storie sullo scontro fra Thor e i giganti.
Esempio:
La lite tra Thor e Hrungnir che la Lokasenna definisce un racconto molto noto. Le poesie
scaldiche contengono riferimenti alla distruzione di Hrungnir ad opera di Thor, ma è di nuovo
Snorri che fornisce la versione più ampia.
Hrungnir era una enorme gigante, con la testa e il cuore di pietra. Aveva un immenso scudo di
pietra ed era armato di una cote enorme. Lui e Odino litigarono sulla qualità dei rispettivi
cavalli. Odino se ne andò a cavallo e Hrungnir lo seguì infuriato, galoppando così veloce che
quando giunse ad Asgard non riuscì a fermarsi e fracassò le porte. Gli dei lo invitarono a bere
qualcosa. Lui si ubriacò e incominciò a vantarsi di poter distruggere gli dei e rapire le dee. Gli
Asi mandarono a chiamare Thor, che domandò furioso che aveva invitato un simile nemico e gli
aveva offerto da bere. Hrungnir rispose che era stato Odino, ma accettò di affrontare Thor a
duello su un terreno neutrale, al confine dei loro territori.
I giganti prepararono un’enorme statua d’argilla di un guerriero, cui misero il cuore di una
giumenta. Hrungnir si preparò ad affrontare Thor con il gigante d’argilla come secondo. Mentre
Thor scelse come secondo il suo servo Thialfi che, essendo un campione di corsa, era arrivato
per primo. Questi raccontò a Hrungnir una frottola, facendogli credere che Thor stava arrivando
sottoterra e lo avrebbe colpito dal basso. Così Hrungnir si mise lo scudo sotto i piedi.
Thor lanciò il martello contro Hrungnir, il quale scaglio la cote. I due oggetti si scontrarono e la
cote andò in pezzo: una parte finì sul terreno e il resto s’infilò nella testa di Thor, che cadde a
terra. Il martello proseguì la sua corsa, fracassando il cranio di Hrungnir. Nello stesso momento
Thalfi mandò in frantumi il gigante di argilla.
Thor si trovava a terra, schiacciato dalle gambe del gigante. Nessuno riuscì a muoverlo, finché
arrivò il figlio di Thor, Magni, di tre anni, e lo sollevò con facilità. Il dio tornò a casa, ma aveva le
pietre conficcate nella testa. Gli dei si rivolsero a una strega, Groa, moglie del misterioso
Aurvandil. Ella recitò delle formule magiche e i frammenti si staccarono. Thor intanto le
raccontò che una volta stava portando Aurvandil in un cesto, ma un dito del suo piede era
rimasto fuori dal cesto e si congelò. Thor lo aveva staccato e lanciato in cielo, trasformandolo
in una stella. Il racconto distrasse Groa a tal punto da farle dimenticare le formule, così i
frammenti rimasero nella testa del dio.
Da questo mito derivano kenning come il «distruttore del cranio di Hrungnir» che sta per Thor.
Il dio è anche chiamato «nemico del serpente cosmico», con riferimento alle sue battaglie
contro il grande mostro Iormungand, che si nasconde nelle profondità dell’oceano.
Esempio:
Il mito è illustrato in incisioni dell’era vichinga, ed è trattato, in particolare, nel carme eddico
Hymiskviða. Qui, tuttavia, fa soltanto da sfondo a uno degli scontri fra il terribile gigante
Hymir e il dio Thor, che era andato da lui per rugargli il grande calderone che sarebbe servito
a fare la birra per gli dei. Snorri racconta la storia in modo più piacevole ed elegante. Non
spiega perché Thor si trovasse con il gigante, dice solo che stava viaggiando e che si era
fermato lì per una notte. La mattina successiva Hymir decise di andare a pescare. Thor lo
voleva accompagnare, ma egli rifiutò l’offerta dicendo che gli sembrava troppo debole e che
rischiava di gelare in mare aperto. Il dio si arrabbiò e insistette; allora il gigante gli chiese di
procurarsi le esche. Thor prese il più grosso bue di Hymir, lo fece a pezzi, e, con questo, salì
sulla barca. I due si misero a remare e ben presto raggiunsero il posto dove si pescavano le
sogliole. Ma Thor voleva andare più lontano e continuò a remare e ben presto raggiunsero il
posto dove si pescavano le sogliole. Ma Thor voleva andare più lontano e continuò a remare. A
un certo punto Hymir gli disse che era meglio fermarsi, altrimenti avrebbero potuto incontrare
il terribile serpente, ma con sua grande sorpresa il dio volle continuare. Quindi prese una lunga
lenza con un grande amo, vi mise la testa del bue come esca e la lanciò in acqua. Il serpente
mangiò l’esca e abboccò all’amo. Il serpente cominciò a tirare e Thor dovette aggrapparsi al
parapetto. Presto il dio perse la pazienza e tirò così forte la lenza che con i piedi sfondò la
barca e si puntò contro il fondo del mare. Tirò il serpente fino al parapetto, e i due si
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guardarono negli occhi. Il mostro sputava veleno. Thor stava per colpirlo con il suo martello,
quando Hymir, terrorizzato, tagliò la lenza e lo lasciò fuggire. Il dio gli lanciò contro il martello
e, come dice Snorri, o piuttosto Alto, qualcuno sostiene abbia ucciso il serpente (altri credono
sia ancora vivo). Thor era inoltre così furioso con Hymir che lo scagliò fuori bordo e tornò a riva
camminando sul fondo del mare.
I miti di Thor presentati hanno un tema comune: la lotta del dio contro esseri mostruosi
considerati nemici degli dei e presumibilmente anche degli uomini. Ci sono anche storie che
raccontano di come Thor, assente da Asgard, tornò giusto in tempo per salvare gli dei.
Thor era un dio molto venerato in epoca vichinga. Nel tempio di Uppsala, dice Adamo di
Brema, c’erano tre statue di dei che probabilmente raffigurano Thor, Odino e Freyr. Thor,
“il più potente di loro”, stava in mezzo.
Se c’era pericolo di malattie o di carestie era a Thor che si facevano sacrifici. Questo non
emerge nei miti norvegesi o islandesi, ma lo dimostra la popolarità di cui godeva Thor nelle
comunità agricole o di pescatori. In epoca vichinga il suo era l’unico nome di dio che costituisse
parte di numerosi nomi propri composti, sia maschili (ad esempio, Thorsteinn, Thorfinnr) sia
femminili (ad esempio, Thorgerðr, Thorgunnr). Le saghe islandesi più tarde parlano di uomini
che veneravano Thor come loro dio personale.
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BALDR E LOKI
Un famoso mito norreno ha per protagonisti due dei: Baldr e Loki.
Nelle leggende scandinave Baldr è nominato spesso, ma è poco noto. Snorri dice che è il figlio
di Odino, che è il migliore degli dei, che è bello nell’aspetto e nel cuore, che è saggio,
eloquente e pieno di grazia. Tuttavia, non ha funzioni precise. Potrebbe essere il «dio della
legge», perché suo figlio Forseti presiede la grande corte di giustizia. Ma Snorri sostiene che
nessuna delle decisioni ufficiali del padre si dimostra duratura. Potrebbe essere stato anche un
guerriero, perché il suo nome è invocato in kenning che riguardano combattimenti.
Loki è una figura complessa, metà dio e metà demone. Nella Þrymskviða si rivela
intraprendente, astuto, e sostenitore di Thor, che invece è dipinto come una figura comica.
Nel racconto del gigante-architetto che fortificò Asgard si dimostra furbo, ma non sempre
saggio. Crea problemi agli dei perché non è previdente. Nel mito delle mele di Idunn tradisce
gli dei e recupera il proprio status solo dopo essere stato minacciato di morte. Alla fine del
mondo sarà uno dei capi dell’esercito anarchico che distruggerà gli dei.
Snorri elenca poi i figli illegittimi che Loki ha avuto dalla gigantessa Angrboda. I suoi figli: Fernir
il lupo, Iormungand il serpente e Hel la dea dei morti. Odino decise di catturare i tre fratelli:
fece sprofondare Iormungand nelle profondità dell’oceano; rinchiuse Hel sotto terra, dove
accoglie tutti coloro che muoiono di malattia e di vecchiaia. E ciò che fece a Fenrir è già stato
detto.
Georges Dumézil vede nel dio/demone il riflesso della figura demoniaca Syrdon, protagonista di
numerose leggende caucasiche e quindi ne deduce una probabile origine comune.
Baldr
Per spiegare il mito di Baldr, conviene partire da un’opera relativamente tarda: Baldrs draumar,
i «Sogni di Baldr», un carme che si trova in una raccolta di materiali eddici. Si tratta di un
carme a domande e risposte.
Inizia con la domanda delle divine potenze sul perché Baldr fosse turbato da sogni di cattivi
presagi. Odino convoca una veggente defunta e le chiede spiegazioni, chiedendole perché
siano in atto dei preparativi nel regno dei morti e lei dice che attendono l’arrivo di
Baldr e che morirà perché ucciso da Hod. Una strofa della Lokasenna rivela che Loki fu il
pianificatore dell’uccisione e Hod soltanto l’esecutore.
Frigg cercò di impedire la disgrazia: obbligò tutte le creature a giurarle che non avrebbero
ferito Baldr. Tutti giurarono. Baldr divenne il bersaglio di una sorta di gioco: gli dei gli stavano
intorno e gli tiravano frecce, lance, spade e pietre, dato che niente poteva ferirlo.
Loki studiò un piano malvagio: si travestì, andò da Frigg e le chiese se qualcuno non avesse
giurato e Frigg rivelò che una pianta chiamata ‘vischio’, a quel tempo era troppo giovane per
prestare giuramento. Loki strappò quindi la pianta, ne fece una freccia e la portò dove gli dei
stavano giocando. Loki tentò il dio cieco Hod, dicendogli che sarebbe stato bello dimostrare
l’invulnerabilità di Baldr. Hod lanciò la freccia nella direzione indicatagli da Loki, e Baldr cadde
morto. Costernazione e dolore colpirono gli dei. Il gioco si era svolto nel luogo del consiglio, un
posto sacro. Lì non potevano vendicarsi dell’uccisione di Baldr, benché sapessero bene chi
fosse il colpevole.
Frigg cercò qualcuno che avesse il coraggio di recarsi da Hel per ritrovare Baldr e chiedere se
potesse tornare ad Asgard. Il grande eroe Hermod accettò di compiere questo viaggio insieme
al magnifico cavallo di Odino, Sleipnir. Nel frattempo, gli dei prepararono il corpo di Baldr per la
pira funebre. Decisero di prepararla nella barca di Baldr, Hringhorni. Ma essendo stata tirata in
secco, non riuscivano a rimetterla in mare. Allora chiamarono una strega, Hyrokkin, che con
una sola spinta la fece scivolare così velocemente che i rulli di legno s’incendiarono e l’intera
terra tremò. Portarono a bordo il corpo di Balrd; la sua vedova, Nanna, morì di dolore e così
anche lei fu messa sulla pira. In quel momento un nano passò di lì per caso, e Thor lo gettò a
bordo con un calcio, come portafortuna. Anche i beni di Baldr furono messi sulla pira, compreso
il magico anello d’oro Draupnir.
Intanto Hermod giunse al fiume Gioll, che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. Giunse
alle porte di Hel, spronò il cavallo ed entrò. Lì, in un grande palazzo, trovò Baldr. Hermod
chiede che venisse rilasciato. Hel era scettica: “Se ogni cosa al mondo, vivente e non vivente,
piange per lui, allora potrà tornare dagli Asi”. Hermod portò agli Asi il messaggio. Gli dei
inviarono ambasciatori in tutto il mondo per chiedere che tutti contribuissero alla liberazione di
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Baldr. Sulla via del ritorno i messaggeri trovarono una caverna nella qualche era seduta una
gigantessa che disse di chiamarsi Thokk che disse: “Il figlio dell’uomo non mi ha mai servita,
lasciate quindi che Hel si tenga la sua proprietà”. Snorri aggiunge: “Gli uomini capirono che
doveva trattarsi di Loki sotto mentite spoglie, che aveva compiuto la più grande cattiveria fra
gli Asi”.
Benché questa versione sia tipicamente scandinava, la storia si ritrova in molte altre mitologie.
Il mito del “dio che muore” e che può risorgere è ovviamente un elemento centrale della
religione cristiana. Non sappiano se esistesse un mito archetipo, o si è trattato semplicemente
dell’influenza di una civiltà sulle altre.
La storia di Snorri non finisce qui. Benché gli dei non potessero distruggere l’uccisore di
Baldr, potevano punirlo. Loki si rifugiò in una casa che aveva una porta su ogni parete, in
modo da poter controllare ogni direzione. Di giorno si trasformava in salmone e viveva
nascosto in una cascata vicina e pensava a come gli Asi avrebbero potuto catturarlo. Così
inventò, intrecciando dei fili, la rete da pesca e ne fece un prototipo: da allora le reti sono state
fatte così.
Odino si sedette sul grande trono Hlidskialf. Da lassù vide Loki e mandò gli dei a prenderlo.
Quando Loki vide arrivare gli dei, gettò la rete nel fuoco e si nascose nella cascata. La rete non
bruciò del tutto, il saggio Kvasir la vide e capì a cosa servisse, allora gli dei ne costruirono una
simile. Per due volte il dio sfuggì appiattendosi sul fondo o saltando sopra la rete. La terza volta
Thor si appostò e, quando Loki saltò sopra la rete, lo afferrò.
Gli dei lo legarono a tre rocce e sospesero un serpente velenoso sopra di lui, in modo che in
veleno gli gocciolasse addosso. La sua fedele moglie mise una coppa tra lui e il serpente, ma,
quando doveva svuotarla, il veleno cadeva in faccia a Loki, che si scuoteva violentemente: così
nacquero i terremoti.
Loki si trova ancora saldamente incatenato in quel posto, e vi resterà fino al momento in cui è
scritto che fuggirà e provocherà la fine del mondo.
Questa è la storia di Baldr, così come se ne racconta negli scritti norvegesi e islandesi. In
Danimarca c’era una tradizione diversa. Saxo Grammaticus la ricorda nelle Gesta Danorum.
Egli si considerava uno storico quindi parlava di re, non di dei.
Il suo racconto è ambientato nella Danimarca preamletica, dove Hotherus e Balderus si
contendono il trono, nonché i favori della bella principessa Nanna. Hotherus era un semplice
mortale, benché pieno di talento, abile atleta e musicista. Balderus aveva una parentela più
dubbia, essendo il figlio di un certo Othinus di Uppsala che “era venerato in tutta Europa con il
falso titolo di dio”. Perciò Balderus era un semidio. Nanna aveva scelto Hotherus.
Vi fu dunque uno scontro fra Hotherus e Balderus, in lotta sia per l’amore di Nanna che per il
dominio dei regni di Svezia e di Danimarca. Balderus discendeva da un dio, ma Hotherus era
protetto da un gruppo di donne soprannaturali, le ninfe dei boschi, che gli davano consigli
tattici. Da loro aveva ricevuto un mantello che gli sarebbe stato di aiuto in guerra.
Balderus non poteva essere ferito da lame di acciaio e quindi Hotherus aveva bisogno di una
spada speciale per poter penetrare nella sua stessa pelle: la sottrasse con la forza a una
creatura soprannaturale, un satyrus di nome Mimingus, che aveva anche un bracciale che
aveva il potere di accrescere la ricchezza di chi lo possedeva. Con queste armi, andò in cerca di
avventure.
Nel frattempo Balderus si recò da Nanna e la chiese in sposa. Ma la giovane rispose che non
era conveniente che un dio sposasse una mortale. E così il poveretto si ammalò d’amore.
Hotherus, indignato per il comportamento di Balderus, radunò un esercito, attaccò il rivale e lo
sconfisse, benché questi avesse il sostegno di Othinus, di Thor e di altri dei. Balderus fuggì e
Hotherus sposò Nanna.
Balderus tornò e sconfisse Hotherus in una serie di battaglie. Lo sconsolato Hotherus vagò per
le foreste e di nuovo incontrò le ninfe, che rimproverò. Gli consigliarono di pazientare e gli
suggerirono di rubare il cibo soprannaturale che dava a Balderus una forza speciale.
Rinfrancato, Hotherus attaccò di nuovo Balderus. Hotherus perlustrò il campo nemico, trovò le
tre ninfe che custodivano il cibo di Balderus, e mangiò un po’ del magico alimento. Si
impossessò anche di una cintura che gli avrebbe assicurato la vittoria.
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Nel successivo scontro con Balderus lo ferì gravemente con la sua spada magica. Questi
continuò coraggiosamente la battaglia, il giorno dopo, dalla lettiga, ma la ferita era troppo
grave e così il terzo giorno morì. Molti anni dopo Balderus fu vendicato da Bous, il figlio che
Odino ebbe da Rinda, figlia del re di Ruthenia. Bous si scontrò in battaglia con Hotherus e lo
uccise.
Queste due versioni del mito di Baldr, pur così differenti, hanno alcuni elementi comuni che
probabilmente risalgono a un unico originale:
- i nomi Balrd/Baldeus; Hod/Hotherus; Nanna; l’immunità di Baldr dalle ferite, tranne da
quelle inflitte con un’arma speciale; l’uccisione di Baldr a opera di Hod; l’anello magico
Draupnir.
Tuttavia le differenze tra le due tradizioni sono grandi: per Saxo, Nanna sposa Hotherus, non
Balderus; Balderus è l’aggressore, non una vittima gentile e innocente; Saxo non dà spazio
all’intervento maligno di Loki.
Loki
Nella versione norrena il ruolo di Loki è veramente diabolico. Egli è il nemico degli dei, motivato
solo dal desiderio di distruggere. Svolge la stessa funzione nella battaglia cosmica finale.
Naturalmente esistono analogie con la figura del Demonio del mito cristiano. In altre occasioni
le sue azioni sono più maliziose che diaboliche: compie piccole cattiverie che possono tuttavia
avere gravi conseguenze.
”Perché l’oro è chiamato “i capelli di Sif”?” Un giorno Loki tagliò tutti i capelli di Sif e lo
fece per puro vandalismo. Il marito di Sif, Thor, si arrabbiò e stava per picchiare Loki, ma questi
si affrettò a promettere che si sarebbe recato dagli elfi per far fare una nuova capigliatura per
Sif, tutta d’oro. I capelli le sarebbero cresciuti in testa come se fossero veri. Così i nani
fabbricarono per Loki i capelli, una barca (Skidbladnir) e una lancia (Gungnir). Loki ne rimase
talmente impressionato da fare una sconsiderata scommessa (la posta in gioco era la sua
stessa testa) con il nano Brokk, che aveva un fratello artigiano, Eitri. Scommise che Eitri non
sarebbe stato in grado di fabbricare tre oggetti così belli. Eitri si mise al lavoro e disse a Brokk
di soffiare con il mantice fino a che lui gli avesse detto di smettere. Una mosca si posò sul
braccio di Brokk e incominciò a pungerlo. Brokk la ignorò e quando Eitri tornò e aprì la fornace
ne estrasse un cinghiale con il pelo d’oro, che brillava tanto da rischiarare la notte. La mosca
ritornò e punse Brokk sul collo. Egli non reagì e, poco dopo, il fratello tornò ed estrasse dalla
fornace un anello d’oro chiamato Draupnir, che avrebbe prodotto, ogni nove notti, otto anelli di
peso uguale all’originale. La terza volta la mosca punse Brokk sulle palpebre, con il risultato
che egli, per scacciarla, posò un attimo il mantice. Quando Eitri tornò tolse dalla fornace un
martello. Per colpa della mosca il manico era troppo corto: tuttavia non avrebbe mai mancato il
suo bersaglio e sarebbe tornato nella mano del lanciatore; inoltre poteva rimpicciolirsi ed
essere nascosto sotto la camicia. Come decidere chi aveva vinto? I giudici erano Odino,
Thor e Freyr. Loki diede la lancia a Odino, i capelli d’oro a Thor e la barca a Freyr. Poi Brokk
diede a Odino l’anello, a Freyr il cinghiale e a Thor il mantello. Poiché gli dei volevano un’arma
per difendersi dai giganti, ritennero che il martello fosse l’oggetto più bello. Loki aveva
perduto e doveva farsi tagliare la testa. Loki fuggì, ma Thor lo riprese e lo riportò indietro. Il dio
ebbe un’ispirazione: poteva perdere la testa, ma il collo era suo. Così Brokk si accontentò di
cucirgli la bocca.
La storia, così come viene raccontata da Snorri, ha uno scopo preciso: spiegare l’origine
dei tesori degli dei.
Un altro racconto di Snorri, quello del viaggio di Thor alla corte del re gigante UtgardLoki, dà una diversa versione della figura di Loki.
Thor si recò a far visita al re senza una ragione precisa. I suoi compagni erano Loki e Thialfi.
Raggiunsero il palazzo di Utgard-Loki, dove il gigante li umiliò con la sua astuzia. Utgard-Loki
li sfidò a gareggiare con i suoi uomini in varie prove.
Thialfi scelse la corsa, perché sapeva correre più velocemente di chiunque altro. Ma con il
campione locale, Hugi, fu sconfitto. Hugi significa “pensiero” e il pensiero è più veloce di ogni
altra cosa.
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Thor si cimentò in tre gare. Doveva vuotare, bevendo, un corno, ma non ce la fece. Poi venne a
sapere che l’altra estremità del corno pescava nel mare. La seconda prova: sarebbe riuscito a
sollevare il grosso gatto di Utgard-Loki? Ovviamente fallì, perché in realtà il gatto era il
serpente cosmico, così lungo ce nessuno poteva sollevarlo. Per la terza gara Thor propose un
incontro di lotta, e il gigante lo fece combattere contro una vecchia, Elli, che lo mise in
ginocchio. Infatti, Elli significa “vecchiaia”, che alla fine sconfigge anche i più forti.
La prova di Loki aprì i giochi: egli scommise che avrebbe mangiato più velocemente di
chiunque altro. Utgard-Loki gli oppose un certo Logi. Mentre Loki aveva mangiato solo la carne,
Logi aveva consumato anche le ossa e il tagliere. Soltanto più tardi gli dei capirono che Logi
significa “fuoco”, che è più vorace di tutti gli elementi.
Questa versione di Loki, figura comica senza pretese di divinità, va tenuta in
considerazione.
Sfortunatamente si conosce troppo poco dei miti che devono aver avuto come protagonista
questo dio, e ciò che si sa è incompleto e frammentario. Sopravvivono interessanti riferimenti e
racconti, come quello di una battaglia fra Loki e lo strano dio Heimdall, che aveva per
posta un feudo alla fine della terra. A questo mito accenna il poeta islandese Ulf Uggason
nell’opera Húsdrápa, composta verso l’anno 1000.
Heimdall era il guardiano dei sentieri degli dei: egli è colui che, nell’ultimo giorno, darà il
segnale con il suo corno dell’arrivo delle forze nemiche. Loki e Heimdall si recarono a
Singastein, dove quest’ultimo s’impossessò di un hafnýra, un termine curioso che si trova solo
in questo verso. Letteralmente significa “rene marino”, e tutti si domanderanno che cosa sia.
Snorri spiega negli Skáldskaparmál: “Heimdall è il visitatore di Singastein. Ciò avvenne quando
combatté con Loki per la Brísingamen… Assunsero la forma di delfini”. Singastein era un
isolotto nell’oceano, ed ecco spiegato il motivo del travestimento. La Brísingamen è più nota:
era una famosa e gloriosa collana d’oro, di proprietà per qualche tempo di Freyia . Secondo un
testo più tardo fu fabbricata da quattro nani, e la dea la desiderava talmente che si diede a
ogni nano ed ebbe la collana come compenso. Più di questo non si sa, tranne che, alla fine del
mondo, Loki cercherà Heimdall per combatterlo fino alla morte.
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ALL’INIZIO, A METÁ E ALLA FINE
Molti uomini, forse tutti, riflettono sul passato lontano e sul futuro. Questi interrogativi
costituiscono un’inesauribile fonte di miti, in modo specifico nella mitologia nordica.
Le risposte che gli Scandinavi diedero a tali domande non sono né coerenti né complete. Né si
deve presumere che dovessero esprimere un’unica fede ortodossa.
Un buon punto di partenza è la prima parte del poema eddico Vǫluspá, la «Profezia
dell’indovina». Probabilmente risale all’anno 1000, quando la religione cristiana cominciò ad
affermarsi nel territorio scandinavo: quindi mitologia norrena già influenzata da quella
giudaico-cristiana. Il Codex Regius presenta un testo già mutilato, quindi lacune e probabili
interpolazioni.
Il poema rappresenta le risposte di una vǫlva, «profetessa, sibilla», alle richieste di
Valfodr, uno dei molti nomi di Odino. Egli le ha chiesto di rivelargli gli antichi racconti degli
uomini. Partendo dai ricordi dei tempi primordiali, arriva a parlare di quelli più
recenti, e infine del futuro. Dello stato originario dell’universo dice: “Era in tempi lontani
quando niente era. […] Solo il grande vuoto e niente cresceva”. Poi la storia diventa oscura ed
enigmatica. I figli di Bur crearono le terre e formarono Midgard, il delimitato territorio centrale
della terra abitata. Furono create le piante, ma i cieli non c’erano ancora. Il sole, la luna e le
stelle non avevano né funzioni né posti precisi. Così gli dei stabilirono le ore del giorno e della
notte, nonché la divisione del tempo in anni. Si riunirono in una pianura chiamata Idavoll, dove
costruirono case e templi, fabbricarono degli utensili e lavorarono i metalli preziosi. Vivevano
beati, senza privazioni. Ma poi avvenne una catastrofe. Il problema è che non si sa che cosa
successe: arrivarono tre mostruose gigantesse, ma qui il poema si interrompe; e lo stesso
Snorri Sturluson non sapeva che spiegazioni dare.
La mancanza di informazioni può dipendere da lacune nella trasmissione o nella scrittura.
Anche Snorri si trovò di fronte a queste difficoltà, ma egli cercò di spiegare la creazione,
interpretando soprattutto gli elementi addizionali trovati nel carme dialogato VafÞrúðnismál.
Quando Gangleri/Gylfi interrogò i tre misteriosi re, una delle sue prime domande fu: “Come
incominciarono tutte le cose?”. Alto rispose recitando il verso della Vǫluspá. Ma i re
continuarono il racconto. Descrissero un universo in parte gelato (Nirflheim, «Terra di nebbia»)
e in parte caldo e fiammeggiante (Muspell). Queste due regioni stavano agli estremi del
«Grande Vuoto» (Ginnungagap). Ginnungagap era attraversato da un fiume che a poco a poco
gelò, formando una base solida. Dove il caldo e il freddo si incontravano le gocce formarono un
gigante di ghiaccio, Ymir. Da lui discese la razza dei giganti di ghiaccio.
Successivamente, mentre la brina continuava a gocciolare, si formò una mucca chiamata
Audhumla. Quattro fiumi di latte uscirono dalle sue mammelle e nutrirono Ymir. Essa leccava la
brina sulle rocce, che erano salate. Alla fine del primo giorno dalle rocce apparvero i capelli di
un uomo; il secondo giorno, la testa; e il terzo, l’uomo intero. Fu chiamato Buri. Buri si
accoppiò (Gangleri si dimenticò di chiedere con chi) e generò un figlio chiamato Bor, il quale
sposò una gigantessa da cui ebbe tre figli: Odino, Vili e Ve.
A quei tempi la terra era abitata dai giganti. Odino, Vili e Ve uccisero Ymir, e dalle sue ferite
uscì tanto sangue da far annegare quasi tutta la sua progenie di giganti. Un gigante, Bergelmir,
riuscì a sopravvivere insieme alla sua famiglia rifugiandosi nella sua lúðr, parola che sembra
significare “cassa” o “bara”, ma che Snorri traduce con “arca”.
Il cadavere di Ymir non fu abbandonato. Odino e i suoi fratelli lo trasportarono a Ginnungagap,
e lo misero nel centro. La sua carne diventò la terra, le ossa diventarono le montagne, i denti e
le ossa spezzate ghiaia e ciottoli. Dal sangue derivarono il mare e le altre acque, che
circondarono la terra da ogni lato. Crearono il cielo dal cranio di Ymir, e sotto ogni punto
cardinale della volta celeste posero un nano, presumibilmente per sostenerla. Le scintille e le
particelle fuse sprigionatesi da Muspell le misero nei cieli. Con le sopracciglia di Ymir eressero
un muro di protezione per difendere gli uomini dai giganti; all’interno di questo muro si trovava
Midgard, la terra in cui vivevano gli uomini. Il cervello di Ymir venne sparso in cielo e formò le
nuvole.
In questo mondo vivevano numerose creature: uomini, dei, mostri, giganti ed elfi. La
collocazione geografica dei loro territori non è chiara, ma Snorri cercò di definirla:
- I giganti vivono nell’oceano profondo, al margine estremo del mondo circolare.
- Gli uomini risiedono più vicini al centro, nel territorio protetto di Midgard.
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Gli elfi sono di due tipi: quelli scuri, che si nascondono nella terra, e quelli brillanti che
vivono ad Alfheim.
- Gli dei e le dee risiedono ad Asgard, ciascuno nel proprio santuario. Nel luogo più sacro
di ogni altro, al centro della terra, gli dei tengono i loro consigli giornalieri, sotto il
grande frassino Yggdrasil, i cui rami si estendono su tutto il mondo. Sotto una delle
radici si trova la fonte di Mimir, dove sono conservati la saggezza e il buonsenso.
Quando Odino volle avere la saggezza bevendo un sorso da questa fonte, gli fu chiesto
di lasciare in cambio un occhio: ecco perché è sempre ritratto con un occhio solo.
- In una seconda sorgente sotto le radici dell’albero, chiamata la «Fonte del fato» vivono
tre semidee: Urd, Verdandi e Skuld (rispettivamente “Fato”, “Avvenimento” e
“Destino”). Si tratta delle Norne che determinano il corso della vita umana. Vi è un po’
di confusione in quanto alcune fonti e anche Snorri menzionano le Norne individuali,
assegnate all’uomo alla nascita perché ne controllino il destino, non sempre a buon fine.
Non c’è niente di eterno in questo mondo. Anche il grande frassino è sottoposto ad attacchi di
vario genere  Snorri cita alcuni versi del Grímnismál sui tre nemici dell’albero: il cervo che
bruca la sua corona, i suoi rami che marciscono e il serpente Nidhogg che spezza le sue radici.
Le Norne cercano di difenderlo versando sui suoi rami l’acqua e il fango della Fonte del fato.
Questo liquido magico contribuisce ad arrestarne il decadimento. Ma alla fine l’albero cadrà,
proprio come gli dei, che sono mortali quanto gli uomini.
Un altro mito racconta dell’origine del genere umano. La sua fonte primaria sono un paio
di strofe della Vǫluspá, ma sono poco chiari e confusi: Tre Asi trovarono due esseri deboli, Ask
ed Embla, senza destino. Non avevano respiro, non avevano anima, né sangue, né voce, né
colore. Odino diede loro il respiro, Hoenir l’anima, Lodur diede loro sangue e colore.
Snorri doveva dare un senso a queste strofe per la sua Edda in prosa. E ci riuscì, ma facendo
aggiunte e alterazioni. Egli fa chiedere a Gylfi da dove vengano gli esseri che abitano nel
mondo. Alto risponde: I figli di Bor (Odino, Vili e Ve) si avvicinarono a due tronchi. Li presero e li
modellarono a forma di esseri umani. Il primo dio diede loro il respiro, il secondo la
comprensione e il sentimento, e il terzo la forma, il linguaggio, l’udito e la vista. Diedero loro
vestiti e nomi. L’uomo fu chiamato Ask, la donna Embla. Da loro discendono gli uomini che
abitano Midgard.
Per la nascita delle classi sociali occorre rivolgersi a un altro canto, poco noto, chiamato
RígsÞula o Rígsmál, il «Racconto di Rig». Benché sia un carme eddico, non compare nel Codex
Regius, ma in un manoscritto dell’Edda in prosa di Snorri. La storia racconta le vicende di
Heimdall, un dio dalle caratteristiche piuttosto vaghe, al punto che non è chiaro se
appartenga agli Asi o ai Vani. Egli viaggiava sotto il nome di Rig, che è stato collegato all’antico
termine irlandese ríg, “re”, poiché il carme parla delle origini della regalità. Si suppone
quindi un’influenza celtica.
Heimdall era in viaggio. In una fattoria sedevano due vecchi, Ai e Edda (“Grande nonno” e
“Grande nonna”). Essi accolsero Rig e cenarono con lui, dividendo pane e brodo. Poi andarono
tutti a letto, e Rig giacque fra i due. Dopo nove mesi Edda diede alla luce un bambino che
chiamarono Thrall. Crebbe forte, ma rozzo e brutto, adatto a svolgere i lavori più umili e duri.
Sposò una donna simile a lui e i due diedero alla luce numerosi figli. Essi avrebbero fatto i
lavori pesanti nella fattoria. Così ebbe origine la razza degli schiavi.
Rig proseguì il suo viaggio e giunse in una casa dall’aspetto più prospero. All’interno trovò una
coppia ben vestita. L’uomo era un abile agricoltore e la donna una filatrice. Si chiamavano Afi e
Amma (“Nonno” e “Nonna”). Gli servirono una cena migliore di quella precedente. Poi
andarono a letto, con Rig di nuovo in mezzo alla coppia. Dopo nove mesi Amma diede alla luce
un bambino, con il viso roseo e gli occhi vivaci. Lo chiamarono Karl. Egli divenne un abile
coltivatore e un artigiano. Sua moglie di occupava della casa, della biancheria e custodiva le
chiavi delle credenze. Dalla loro famiglia discese la razza dei proprietari terrieri.
Rig proseguì e giunse in una splendida casa, abitata da un’altra coppia, Fadir e Modir (“Padre”
e “Madre”). Fadir stava controllando le sue armi, per assicurarsi che l’arco e le frecce fossero in
ordine. Modir sembrava occuparsi del suo aspetto: era vestita molto bene. Preparò una cena
sontuosa, servita su piatti d’argento. Poi andarono a letto. Dopo nove mesi Modir diede alla
luce un bambino con bei capelli, la carnagione chiara e occhi intelligenti. Fu chiamato Earl e fu
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allevato per diventare un aristocratico guerriero. Rig riconobbe questo figlio, si interessò alla
sua educazione, gli insegnò la scrittura runica e gli garantì ricchezze e proprietà. Il ragazzo
divenne un grande e ricco guerriero, un principe generoso. Si sposò ed ebbe figli aristocratici. Il
più giovane fu chiamato Konr, e qui il poeta indulge in un gioco di parole: Konr ungr, «il giovane
Konr» diventa konungr, «re». E a questo punto il carme si interrompe.
Il mito è chiaro. Tutti gli esseri umani discendono dagli dei, ma non sono uguali. Le
capacità, l’aspetto, i diritti e i doveri di un uomo o di una donna derivavano dalla sua posizione
sociale. La società norrena era aristocratica.
Molti uomini esitano a concepire la morte come una fine, preferendo pensarla come un
passaggio verso un’altra vita; e hanno inventato molti miti per esprimere questa idea.
Gli Scandinavi avevano molti racconti che parlavano della vita dopo la morte: una vita oscura
in un tumulo sepolcrale, una vita che permette ai morti di camminare ancora, una vita di
festeggiamenti su una montagna sacra, e così via. La loro varietà ci suggerisce che, nella
Scandinavia pagana, non esisteva una concezione chiara e coerente della morte. Le storie e i
riferimenti mitologici confermano questa molteplicità di atteggiamenti.
Esempio:
Una strofa del carme eddico Hárnarðslióð parla di una divisione dei compiti, tra gli dei, per
quanto riguardava i morti: Odino si occupa dei guerrieri che sono morti in battaglia e Thor si
interessa degli schiavi.
Una suddivisione diversa appare nel Grímnismál: Si chiama Folkvang il luogo in cui Freyia |
sceglie i sedili nel suo palazzo. |Ogni giorno ella sceglie metà degli uccisi, | l’altra metà la
prende Odino.
Per gli orgogliosi guerrieri vichinghi il mito più appassionante era quello di Odino che prendeva
presso di sé coloro che morivano in guerra. Di solito il ruolo di Freyia non viene menzionato. Le
assistenti di Odino sono delle semidee, le valchirie.
Quando il re norvegese Hakon il Buono morì per le ferite riportate in battaglia, verso il 960, il
suo poeta di corte, Eyvind, compose in suo onore un’ode funebre. Benché Hakon fosse
cristiano, essa incomincia con due valchirie, Gondul e Skogul, che vengono convocate per una
missione: scegliere fra i re chi della razza di Yngvi dovesse andare da Odino. Le valchirie,
riconoscendone il valore, scelgono Hakon, che dovrà unirsi alle schiere di Odino. Hakon non è
molto convinto, soprattutto perché non si fida di Odino, che è notoriamente illúðigr, un dio
dall’”anima nera”.
Gli dei accolgono Hakon nella loro terra, ma il carme si conclude con un verso sinistro, che
spiega perché Odino voglia uomini come Hakon nel suo esercito: Liberatosi dalle catene, il lupo
Fenrir occuperà le case degli uomini prima che un re così buono ritorni su queste desolate vie.
Poiché, nel corso dei secoli, i morti in battaglia si sono riuniti nel Walhalla (e Snorri intende
tutti, non solo una parte) deve trattarsi di un edificio enorme. Ma, Snorri dice, anche quando vi
si saranno aggiunti tutti coloro che saranno morti nelle nuove guerre, non saranno abbastanza
quando Fenrir attaccherà.
Esempio:
In letteratura è menzionato un altro luogo oscuro quale dimora dei morti. Si chiama Hel ed è
governato da una dea con lo stesso nome: un posto infelice, diviso dal mondo degli uomini dal
fiume Gioll.
Di tanto in tanto si fa menzione della fine del mondo, la grande calamità che Odino cerca di
evitare radunando il suo esercito di guerrieri scelti e di veterani. Si tratta del Ragnarǫk  la
parola è composta da due elementi: il primo, ragna-, indica gli dei in quanto “poteri
organizzanti”; il secondo, -rǫk, significa letteralmente “meraviglie, fato, destino”. Quindi la
parola vuol dire “fato/meraviglie degli dei”, ma ben presto il secondo elemento fu confuso con
il termine røkkr, “crepuscolo”; da qui il Götterdämmerung, il “crepuscolo degli dei”.
È ancora la Vǫluspá la fonte primaria che fornisce particolari di questa battaglia, benché molte
altre poesie vi alludano.
Ci sarà uno spaventoso inverno. Il mondo sarà distrutto dai conflitti, anche familiari, e ciò
colpirà al cuore la struttura sociale norrena, i legami etici si dissolveranno. Nei versi si avverte
l’eco della mitologia apocalittica giudaico-cristiana che preannunciava l’arrivo dell’Anticristo.
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Ci saranno catastrofi naturali. Alto aveva spiegato a Gangleri che il sole e la luna avrebbero
solcato i cieli inseguiti da lupi famelici. E, a Ragnarok, i lupi li avrebbero presi: Un lupo ingoierà
il sole. L’altro lupo prenderà la luna. Le stelle cadranno dal cielo. La terra e le montagne
tremeranno tanto da sradicare gli alberi. E allora si libererà il lupo Fenrir.
L’attacco agli dei è confusamente raccontato nelle fonti poetiche e nella versione in prosa di
Snorri. Qui vi è un tentativo di ricostruire una storia coerente.
Tre sono le principali forze d’invasione:
- Dal mare striscia fuori il grande serpente cosmico Iormungand, pronto alla battaglia.
Egli crea mareggiate che liberano la nave Naglfar (imbarcazione costruita con le unghie
non tagliate dei morti). Su questa nave si trova il gigante Hrym, e pare anche i figli di
Muspell, chiunque essi siano. Il timoniere è Loki, anch’egli liberato dalla sua prigionia.
- Dal sud avanza il demone del fuoco, Surt, con il suo esercito.
- Più terribile di tutti, avanza il feroce Fenrir, le cui fauci spalancate sono così grandi che,
dice Snorri, quella superiore tocca il cielo e quella inferiore la terra.
Heimdall suona il corno chiamando gli dei alla battaglia. Odino consulta la testa di Mimir, ma
ormai è troppo tardi. Gli dei si armano.
- Freyr combatte contro Surt, ma non è armato a sufficienza e viene ucciso.
- Thor cerca di distruggere Iormungand, ma viene colpito dal suo veleno e muore.
- Fenrir inghiotte Odino.
- Il figlio di Odino, Vidar, vendica il padre: secondo la Vǫluspá, pugnalando Fenrir al cuore
o, secondo Snorri e il VafÞrúðnismál, saltando sulla mascella inferiore del lupo e
divaricandogli le fauci fino a spezzarle.
- Garma, un cane mostruoso, e Tyr si uccidono a vicenda.
- Lo stesso fanno i due tradizionali nemici, Loki e Heimdall.
- Quindi Surt soffia fiamme su tutta la terra e la brucia.
Il racconto ha una trama piacevole, ma non è soddisfacente, perché dice ben poco. Che cosa
succede agli altri dei di cui conosciamo i nomi? Che cosa capita alle dee? Dove sono i guerrieri
scelti di Odino?
Comunque, Ragnarok segna la fine del dominio degli antichi dei. Benché abbia usato
l’espressione “fine del mondo”, non si tratta in realtà della fine di tutto. La Vǫluspá e Snorri
parlano di un nuovo inizio, intendendo forse un nuovo mondo, purificato dal male o almeno
punito per esso.
Esempio:
Terzo spiega che esistono molte forme di vita buone e molte cattive:
- Se si è stati virtuosi, si può vivere in luoghi piacevoli: si può bere a volontà in un palazzo
chiamato Brimir o avere una vita di piaceri nel palazzo d’oro di Sindri.
- Se si è stati cattivi, esiste un altro palazzo in un luogo chiamato Nástrǫnd, «spiaggia dei
cadaveri». È fatto di serpenti intrecciati, il cui veleno scorre attraverso l’edificio. Coloro
che risiedono qui sono gli uomini che hanno infranto i patti e gli assassini.
Ma, c’è un nuovo inizio: o semplicemente verrà un’età dell’oro, i campi fioriranno senza essere
seminati e tutte le malattie saranno curate, Baldr ritornerà e i figli degli antichi dei
raccoglieranno la loro eredità. Secondo Snorri, due uomini sopravviveranno alla
catastrofe, nutriti dalla rugiada mattutina. Da essi nascerà la nuova stirpe di uomini.
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DEI ED EROI
Odino nutriva un forte interesse per i guerrieri, e li aiutava prima di tradirli. Nei racconti sulla
creazione e sulla distruzione del cosmo il destino degli dei è inevitabilmente legato a quello
dell’umanità. Ma, nei miti illustrati, troviamo scarse connessioni tra dei e uomini.
Esiste tuttavia un mito potente che illustra il modo in cui un’azione degli Asi poteva
influenzare i destini degli uomini, un mito che connette un’avventura degli dei a un ciclo di
leggende su re eroici e grandi guerrieri. La storia è raccontata nel carme eddico, Reginsmál, il
«Racconto di Regin», che si trova, insieme con la sua introduzione in prosa, nel Codex Regius,
Snorri ne dà una versione nell’Edda in prosa, ed essa è anche presente, per lo più legata a
gesta eroiche, nella saga islandese tardomedievale Vǫlsunga saga, la «storia di Volsung».
Il racconto incomincia con un ricco agricoltore, Hreidmar. Egli aveva poteri magici, e anche i
suoi tre figli avevano doti particolari. Due di loro, Fafnir e Otr, potevano cambiare forma. Il
terzo, Regin, era un nano e come tutti i nani era un abile artigiano, in particolare un fabbro.
Inoltre, egli era intelligente, crudele ed esperto in arti magiche. Otr aveva la curiosa abitudine
di trasformarsi in lontra e di vivere in un torrente, mangiando il pesce che catturava. Questa fu
la sua rovina.
Un giorno tre dei, Odino, Hoenir e Loki, uscirono per una delle loro spedizioni e, come al solito,
Loki procurò loro dei guai. Giunsero a una cascata e, sulla riva, videro una lontra che mangiava
un salmone. La lontra non vide gli dei che si avvicinavano. Loki le lanciò una pietra, la uccise e
così, con un colpo solo, ottenne una pelle di lontra e un salmone.
Gli dei erano convinti di essere stati fortunati, finché non giunsero alla casa di Hreidmar e
chiesero alloggio per una notte. Si vantarono della loro preda e mostrarono a Hreidmar la pelle
della lontra. L’agricoltore e i suoi figli la riconobbero, imprigionarono i tre dei e chiesero un
risarcimento. Gli Asi acconsentirono a riempire la pelle d’oro e quindi a ricoprirla con il metallo
prezioso. Loki fu mandato a cercare l’occorrente.
Fortunatamente egli conosceva un nano, Andvari: di solito i nani, essendo abili artigiani,
avevano molto oro. Ma anche questo nano era uno strano personaggio: amava assumere la
forma di un luccio e vivere in una cascata nutrendosi di pesce. Loki prese a prestito una rete
della dea del mare, Ran, e catturò il luccio. Come riscatto Loki domandò tutto l’oro di Andvari. Il
nano glielo diede, ma cercò di tenersi un anello, poiché aveva proprietà magiche che gli
avrebbero permesso di recuperare le sue ricchezze. Loki volle anche l’anello. Allora il nano,
rifugiandosi in una roccia per proteggersi, maledì chiunque avesse posseduto il suo tesoro.
Loki ritornò con il tesoro rubato e Odino, visto l’anello, volle tenerselo. Il resto dell’oro servì agli
Asi per riempire e ricoprire la pelle della lontra. Controllando la loro opera, Hreidmar trovò un
pelo scoperto. Allora Odino, riluttante, tirò fuori l’anello e coprì il pelo. Quando gli dei
ripartirono dalla casa di Hreidmar, Loki svelò la maledizione del nano. Così fu. Fafnir e Regin
chiesero la loro parte di oro, ma Hreidmar non volle darla. Allora Fafnir uccise il padre, portò il
tesoro nel deserto e lo nascose. Poi si trasformò in un drago, e visse nel deserto finché Regin
non lo uccise.
George Bernard Shaw, nel Wagneriano perfetto, riprenderà alcuni di questi elementi, almeno a
grandi linee. Nel prologo dell’Anello del Nibelungo, L’oro del Reno vi sono tracce anche dei miti
raccontati precedentemente in questo libro. Chiaramente Wagner attinse gran parte di questo
materiale dai miti norreni, adattandolo ai suoi propositi. Tuttavia la sua opera musicale è
incentrata sulle avventure di due eroi, padre e figlio, Siegmund e Siegfried, i cui ambigui
rapporti con gli dei, e in particolare con Odino, portano alla rovina.
Anche nella tradizione norrena emerge questa connessione tra il mito dell’anello maledetto e
una famiglia di re-eroi. In realtà il materiale proviene essenzialmente dall’Europa centrale,
benché sia conservato in modo più completo nella letteratura della Scandinavia medievale.
Dietro i nomi leggendari citati dagli scrittori norreni, si possono individuare personaggi storici. Il
re chiamato Gunnar è probabilmente il Gundahar del regno dei Burgundi del V secolo, mentre il
malvagio Atli ricorda il feroce capo unno Attila, che morì nel 453. Il re Iǫrminrekr rappresenta
Ermanarico, il re degli Ostrogoti del IV secolo, mentre Hiálprekr può essere il merovingio
Chilperico del VI secolo.
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Le leggende norrene sono raccontate in un gruppo di poesie eroiche dell’Edda poetica. Esse
sono estremamente varie per data di composizione e forma. Alcune risalgono probabilmente
agli inizi dell’era vichinga, altre sono databili attorno al XII secolo. Alcune sono costituite da
versi di tipo narrativo, intervallati da strofe di dialoghi. Altre sono costituite da versi e dialoghi
intervallati da brani esplicativi in prosa.
Nonostante la grande varietà, i contenuti e i temi presentano molte somiglianze: si parla per lo
più di feroci contese, provocate da re crudeli, spesso con l’aiuto di donne altrettanto spietate. I
re sono arroganti, spesso avidi, bramosi di gloria o codardi. L’atmosfera generale è pagana.
Per ricostruire la struttura narrativa completa è interessante la versione della Vǫlsunga saga,
una rielaborazione in prosa del XIII secolo, conservata in un unico manoscritto del 1400 circa.
Quest’opera essenzialmente riproduce le poesie eddiche, collegandole in un’unica storia
continua e conservando anche materiali di fonti che non esistono più. L’effetto è talvolta
frammentario, perché le poesie non raccontano sempre storie identiche.
La versione scandinava incomincia con un re chiamato Volsung, il capostipite di una grande
dinastia nella terra degli Unni, ritenuto un discendente di Odino. Egli aveva dieci figli e una
figlia, benché siano dati i nomi solo di un figlio, Sigmund, e della sua sorella gemella, Signy.
Volsung era un grande re e un forte guerriero, e possedeva uno splendido palazzo, al cui centro
cresceva un albero. Un potente re, Siggeir di Gautland (Svezia), corteggiò Signy e la chiese in
sposa. Mentre tutti erano seduti intorno ai fuochi, entrò uno sconosciuto, un vecchio con un
occhio solo, che indossava un mantello e un cappuccio. Benché nessuno lo avesse riconosciuto,
chi poteva essere se non Odino? Portava una spada, che infisse nel tronco dell’albero, dicendo
che l’uomo che l’avesse estratta l’avrebbe avuta in regalo. Solo Sigmund riuscì. Era la più bella
spada che avessero mai visto. Siggeir voleva comprarla, ma Sigmund rifiutò, e così nacque un
conflitto fra le due famiglie.
Siggeir interruppe la festa e ritornò a casa, portandosi dietro Signy, che lo seguì contro la
propria volontà. Comunque egli aveva invitato Volsung e i suoi figli a fargli visita tre mesi dopo.
Quando Volsung arrivò, trovò Siggeir ad attenderlo con un esercito. Così iniziò la battaglia:
Volsung e tutti i suoi uomini furono uccisi; solo i suoi dieci figli sopravvissero e furono fatti
prigionieri.
Su suggerimento di Signy essi furono incatenati a un tronco in mezzo al bosco e abbandonati.
Ogni notte una lupa usciva dalla tana e si mangiava uno dei figli, finché non rimase che
Sigmund. A questo punto Signy ebbe un’idea. Mandò un’ancella a spalmare del miele sulla
faccia e sulla bocca di Sigmund. Quando giunse la lupa, annusò il miele e incominciò a leccare
il viso del prigioniero, e, alla fine, gli mise la lingua in bocca. Sigmund morsicò la lingua: essa
fece un balzo indietro e colpì con le zampe il tronco, che andò in pezzi. Sigmund le staccò
completamente la lingua, e fu così che la lupa morì.
Ormai libero, Sigmund si nascose nel bosco con la complicità di Signy. Qui i due prepararono la
vendetta. Signy inviò due dei suoi figli per veder se potevano aiutare il fratello, ma i due si
dimostrarono così deboli che Sigmund li uccise. Signy decise che doveva avere un figlio dal
fratello, perché solo così sarebbe stato forte abbastanza da poterli aiutare nella vendetta.
Quindi assunse la forma di una bella strega, visitò il fratello e giacque con lui. Da questa unione
nacque un figlio, Sinfiotli.
Padre e figlio si prepararono alla battaglia e quindi penetrarono nel castello di Siggeir,
nascondendosi all’ingresso. Dopo la solita valorosa resistenza, i due furono presi e sepolti vivi
in un tumulo, perché morissero lentamente. Ma Signy gettò un pezzo di carne nel tumulo prima
che fosse chiuso. Quando i due lo esaminarono, scoprirono che vi era nascosta una spada.
Riuscirono così a uscire da tumulo, diedero fuoco al castello di Siggeir e bruciarono vivo il re.
Signy si rifiutò di abbandonare il marito, comprendendo che non poteva sottrarsi al suo
destino. E così morì con lui.
Sigmund e suo figlio/nipote tornarono nella loro terra natia. Qui il re salì al trono e sposò una
donna, Borghild, da cui ebbe due figli, uno dei quali, Helgi, divenne famoso. Così finisce il primo
episodio della saga dei Volsung.
 L’autore della Vǫlsunga saga ha trasformato una poesia che conosceva (ma che non ci è
pervenuta) in un racconto in prosa alquanto pedestre.
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La seconda parte racconta le avventure di Helgi e di suo zio Sinfiotli, e deriva
parzialmente da una poesia eddica, La prima ballata di Helgi, l’uccisore di Hunding, che può
essere integrata con il materiale più complesso di una seconda ballata dedicata a questo eroe.
Da giovane Helgi partì per una spedizione piratesca con Sinfiotli, durante la quale attaccò e
uccise il re Hunding. I figli di Hunding pretesero un risarcimento che fu negato, quindi i figli
raccolsero un esercito e attaccarono Helgi e i suoi. Ma i figli di Hunding furono battuti.
Ritornando dalla battaglia Helgi incontrò un gruppo di donne, una delle quali era la figlia di un
re: era la valchiria Sigrum. Ella si lamentò di dover sposare un debole, il re Hoddbrodd, e Helgi
si offrì di salvarla dal suo triste destino. Helgi attaccò e distrusse il nemico, quindi si sposò con
Sigrun. Mentre la Vǫlsunga saga non ne dà più notizie, la seconda ballata racconta della sua
morte per mano di un vendicatore.
Sinfiotli continuò le sue spedizioni piratesche e incontrò una donna attraente che era
corteggiata dal fratello di Borghild (figlia di Sigmund, madre di Helgi). Egli uccise il rivale
(fratello di Borghild). Ritornando a casa, si meravigliò di non essere bene accolto da Borghild.
Sigmund volle che Sinfiotli rimanesse con lui. Borghild preparò la veglia funebre per il fratello
con una splendida festa. Come era d’uso, servì da bere e offrì un corso ricolmo a Sinfiotli. Ma
egli disse che il liquore era torbido e non volle bere: così lo bevve Sigmund che, a quel tempo,
poteva bere il veleno senza esserne danneggiato. Allora Borghild preparò una seconda
bevanda. “Il liquore è adulterato” disse Sinfiotli. E di nuovo lo bevve Sigmund. Borghild tentò
una terza volta. “Qui c’è del veleno” disse Sinfiotli. Ormai Sigmund era ubriaco e incapace di
giudizio; perciò commento: “Sei tu che hai il veleno sotto i baffi”. Sinfiotli bevve e morì.
Sigmund, disperato, portò il corpo sulla riva di un fiordo, dove incontrò un uomo con una barca
così piccola da poter trasportare solo un passeggero. Sigmund vi depositò il corpo e si accinse
a fare i piedi il giro del fiordo; ma la barca sparì. Allora tornò a casa e scacciò la vendicativa
regina, che morì poco dopo.
Sigmund si sposò di nuovo con Hiordis, la figlia di un re. Suo rivale in amore era uno dei figli di
Hunding, Lyngi, che decise di distruggere Sigmund. Invase la terra del nemico e lo costrinse
alla battaglia. Ci fu uno scontro violento e Sigmund, benché vecchio, si difese
coraggiosamente. A un certo punto apparve un uomo con un occhio solo, un mantello nero, un
cappello floscio e una lancia e si mise di fronte a Sigmund con la lancia in resta. La spada di
Sigmund cozzò contro la lancia, si spezzò e, da quel momento, i suoi uomini incominciarono a
perdere: Sigmund fu ferito mortalmente.
Hiordis, che era incinta, era stata nascosta nei boschi, insieme al tesoro reali. Ella andò a
cercare tra i feriti e alla fine trovò Sigmund, ormai in punto di morte. Sigmund profetizzò il
futuro grandioso del nascituro e disse a Hiordis di conservare i frammenti della spada per il
bene del bambino. Quindi morì, e Hiordis fu accolta da un gruppo di Vichinghi di passaggio
guidati dal figlio del re di Danimarca.
La terza parte della Vǫlsunga saga racconta le imprese del figlio Hiordis e di Sigmund,
Sigurd (il Siegfried di Wagner), che fu uno dei più grandi eroi germanici. È qui che l’eroica
leggenda dei discendenti dei Volsung si lega al mito divino del grande tesoro e del suo anello
fatale.
Sigurd fu allevato alla corte del re di Danimarca. Il suo tutore fu il fabbro Regin, fratello di
Fafnir, il quale era diventato un drago e faceva la guardia al tesoro rubato. Regin educò Sigurd
come un principe, ma lo rese consapevole di quanto la sua posizione a corte fosse subalterna.
Sigurd andò a prendere il miglior cavallo e qui incontrò un vecchio sconosciuto: ovviamente, si
trattava di Odino. Lo straniero insegnò a Sigurd come scegliere un cavallo, e, alla fine, essi
presero un animale che era il figlio di Sleipnir. Lo chiamarono Grani.
Poi Regin fece nascere in Sigurd il desiderio di denaro, dicendogli che sapeva dove si trovava
un tesoro. L’oro era custodito dal drago Fafnir. Sigurd aveva bisogno di una spada per uccidere
il mostro. Allora Regin forgiò una spada, che però si ruppe quando l'eroe la batté contro
un’incudine. Il fabbro gliene fabbrico una seconda, ma anche questa si spezzò. Perciò Sigurd si
recò da sua madre e le chiese i pezzi della spada del padre, che ella aveva conservato per tutti
quelli anni. Con questo metallo Regin fabbricò una nuova spada dura e affilata. Prima di
attaccare il drago, Sigurd mosse contro gli assassini del padre e li distrusse. Ora era pronto per
Fafnir.
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In compagnia di Regin si recò nella brughiera e trovò le impronte che il mostro aveva lasciato
entrando nello stagno. Erano così enormi che Sigurd si spaventò. Regin gli consigliò di scavare
una fossa lungo il sentiero, cosicché, quando il mostro fosse andato a nuotare nello stagno, egli
avrebbe potuto nascondersi e colpirlo nella pancia. Sigurd si mise a scavare la fossa, ma fu
interrotto da un vecchio che gli disse di scavare varie fosse, il modo che il sangue del drago vi
si potesse raccogliere senza nuocergli. Egli fece così e colpì a morte Fafnir.
Il carme eddico, Fáfnismál, il «Racconto di Fafnir», descrive il dialogo tra Fafnir morente e
il vincitore. E troviamo la profezia secondo la quale il tesoro avrebbe causato la morte
dell’eroe. Quando il mostro fu sicuramente morto, Regin si avvicinò, gli tolse il cuore e ne
bevve un po' di sangue. Poi chiese a Sigurd di arrostire il cuore. L'eroe lo infilò su un bastone e
lo mise sul fuoco. Quando gli sembrò cotto, vi infilò un dito per provare la carne; e, poiché era
rovente, si mise il dito in bocca per raffreddarlo. Nel momento in cui il sangue di Fafnir gli toccò
la lingua, egli scoprì che poteva comprendere il linguaggio degli uccelli. Uno stormo di picchi
cinguettava e rivelarono il tradimento di Regin. Suggerirono quindi a Sigurd di tagliare la testa
al fabbro, prendersi il tesoro e andare a cercare la valchiria Brunilde, che giaceva
addormentata su un letto incantato nella brughiera di Hind. Sigurd accettò il consiglio.
Seguendo le orme di Fafnir, trovò la sua tana e qui scoprì un tesoro.
A questo punto le imprese di Sigurd, fin qui lineari, incominciano a complicarsi: egli infatti si
trova impegnato con due donne forti, Brunilde e Gudrun, la sua futura sposa. Vi è anche
confusione fra le tradizioni: non è facile ricostruire un'unica storia dalle varie fonti. La Vǫlsunga
saga racconta che Sigurd cavalcò fino alla brughiera di Hind e scorse in lontananza un fuoco
acceso. Quando si avvicinò, scoprì che circondava una fortezza. Al suo interno si trovava una
persona addormentata, chiusa in un’armatura. Sigurd aprì l’armatura con la spada, che
tagliava il metallo come fosse stoffa, e scoprì una donna, la valchiria Brunilde che Odino aveva
fatto addormentare per punirla di una disobbedienza. La svegliò e fu colpito dalla sua bellezza
e dalla sua intelligenza. I due si innamorarono e si giurarono eterna fedeltà.
Poi il racconto si fa confuso. Sigurd si allontanò a cavallo e giunse alla casa di Heimir, il padre
adottivo di Brunilde, dove la sua splendida figura suscitò ammirazione. Ora Brunilde abitava
con Heimir, e di nuovo Sigurd le promise amore eterno. Questa volta ella ebbe paura, perché
era una valchiria ed era felice solo quando combatteva. Inoltre, l'eroe era predestinato a
sposare Gudrun, la figlia di Giuki. Sigurd negò che questo potesse accadere, e di nuovo lui e
Brunilde si giurarono fedeltà. L'eroe le diede un anello d'oro: il fatidico anello d'oro.
Ora la scena si sposta nel palazzo di Giuki, a sud del Reno. Il re aveva una moglie (la maga
Grimilde), tre figli (Gunnar, Hogni e Guttorm) e una figlia, Gudrun. Brunilde era amica di
gudrun, e le due giovani si consultarono sul futuro. Brunilde interpretò i sogni di Gudrun,
predicendole un destino infelice: avrebbe sposato e poi perduto Sigurd.
L'eroe raggiunse il castello di Giuki con tutto il suo tesoro. Il re gli diede il benvenuto, e
Grimilde capì subito che Sigurd avrebbe portato un grande patrimonio alla famiglia… se solo
non fosse stato innamorato di Brunilde. Grimilde risolse il problema dando a Sigurd una
bevanda magica che gli fece dimenticare il suo antico amore. Giuki gli offrì la mano della figlia
Gudrun, e l'eroe, ormai dimenticatosi di Brunilde, accettò. Per suggellare l'alleanza, Gunnar e
Hogni strinsero con Sigurd un patto di sangue. Quindi gli uomini della famiglia partirono in
cerca di bottino e ritornarono ricchi. Sigurd diede da mangiare a Gudrun un po' del cuore di
Fafnir, “dopodiché ella diventò molto più crudele di prima, oltre che più saggia”.
Intanto Gunnar, in cerca di moglie, decise di corteggiare Brunilde, e Sigurd promise di aiutarlo.
Brunilde avrebbe sposato soltanto l'uomo che avesse attraversato il cerchio di fuoco che
circondava il suo castello, e Gunnar cercò di farlo. Ma il suo cavallo si rifiutò di entrare nel
fuoco. Allora egli chiese in prestito Grani, il quale, però, si sarebbe rifiutato di farlo se montato
da Gunnar. Quindi Sigurd e Gunnar assunsero l'uno l'aspetto dell'altro: Sigurd, con l'aspetto di
Gunnar, montò Grani e attraversò le fiamme. Sigurd/Gunnar annunciò che aveva attraversato
le fiamme e che quindi aveva diritto alla sua mano. Brunilde accettò, dandogli il benvenuto
nella sua casa e nel suo letto. Sigurd/Gunnar mise sul letto, fra loro due, la spada sguainata.
Poi si riprese il grande anello d'oro scambiandolo con un altro. Infine riattraversò le fiamme e i
due amici ripresero ciascuno il proprio aspetto. Fu preparata una grande festa di nozze per
Brunilde e Gunnar, e solo allora, quando era ormai troppo tardi, Sigurd si ricordò del suo
precedente incontro con la donna. Ma non ne fece parola.
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Poco tempo dopo Gudrun e Brunilde ebbero una discussione sul valore dei rispettivi mariti.
Gudrun rivelo ciò che era realmente accaduto, ossia che era stato Sigurd, assumendo l'aspetto
di Gunnar, ad attraversare il muro di fuoco, ed ella aveva il grande anello che lo dimostrava.
Bruni in preda a una grande rabbia decise di vendicarsi di Sigurd e di Gudrun, l'uomo e la
donna che lo avevano umiliata, nonché di Gunnar, il marito che l’aveva presa con l’inganno. Le
timide giustificazioni di Sigurd non riuscirono a placarla.
Brunilde parlò al marito, dicendogli quanto fosse pericoloso avere nella sua casa un guerriero
forte come Sigurd. Gunner si trovava ora in una difficile posizione. Non poteva colpire Sigurd
perché erano fratelli di sangue, e tuttavia desiderava impossessarsi del suo tesoro. Nemmeno
Hogni poteva attaccare Sigurd. Allora Gunnar ebbe una brillante idea: perché non servirsi del
loro fratello minore, Guttorm, che non aveva fatto nessun giuramento? I due fratelli spinsero
Guttorm all’omicidio, offrendogli denaro e potere. Gli diedero del cibo magico per indurlo
all’azione. Anche Grimilde diede il suo contributo, e il poveretto cadde nella trappola.
Sigurd era a letto, tranquillo. Sigurd dormiva, e Guttorm lo trafisse con la spada. Sigurd si
svegliò, afferrò la spada e la lanciò contro Guttorm, che stava scappando dalla porta. La lama
l'ho divisa in due, all’altezza della vita. Gudrun, che dormiva fra le braccia di Sigurd, si svegliò
inzuppata di sangue, e il suo dolore fu incontenibile. Sigurd morì, accusando Brunilde della sua
morte, ma riconoscendo che questo era il suo destino. Quando Brunilde udì le grida di dolore di
Gudrun, scoppiò in una risata sonora. Poi rivelò a Gunnar le conseguenze di quell’omicidio: in
battaglia lui e i suoi fratelli non avrebbero più avuto il sostegno di Sigurd. Mentre si
preparavano i funerali, Brunilde si suicidò e chiese di essere messa sulla pira di Sigurd, con la
spada in mezzo a loro due, così com’era successo tanto tempo prima. Così terminò la vita del
grande eroe, dopo tanti pericoli, tanta gloria e tanti inganni.
Le ultime parti della Vǫlsunga saga raccontano il terribile destino di Gudrun dopo la
morte del marito.
Per qualche tempo e si nascose in una regione desertica e poi andò in esilio in Danimarca. Là i
suoi fratelli la trovarono, e le diedero un rimedio per la sofferenza: Grimilde preparò un’altra
delle sue pozioni magiche, che fece dimenticare a Gudrun ciò che aveva fatto. Quindi, poco
cautamente, la fecero fidanzare con Atli, il fratello di Brunilde, contro la sua volontà. Atli
desiderava il tesoro che Sigurd aveva lasciato e di cui ora disponevano i fratelli. Egli invitò
Gunnar e Hogni a fargli visita e preparò una trappola. Gudrun cercò di avvertirli, ma non ci
riuscì: i fratelli erano anche attratti dalla possibilità di ereditare il regno di Atli, perciò andarono
in visita. Ingaggiarono un combattimento all'ultimo sangue con gli uomini di Atli. quando la
sorella vide che stavano per soccombere, indossò l'armatura, prese la spada e si unì a lor. Ci fu
una terribile carneficina, ma alla fine Gunnar e Hogni furono catturati incatenati.
A Gunnar fu fatta un'offerta: poteva salvarsi la vita se avesse rivelato dov’era nascosto il
tesoro. “Prima, fatemi vedere il cuore strappato dal petto di mio fratello.” Gli uomini di Atli
estrassero il cuore di uno schiavo codardo e glielo diedero come se fosse quello di Hogni.
Gunnar non si fece ingannare: il cuore batteva per paura, mentre quello del fratello non lo
avrebbe mai fatto. Allora strapparono il cuore a Hogni, che continuò a ridere sdegnosamente
durante l'operazione. Lo portarono a Gunnar e questi lo riconobbe. “Ora solo io so dove si trova
l’oro. Il Reno si terrà l’oro prima che gli Unni lo possano portare sulle loro braccia.”
Atli mise Gunnar in una fossa piena di serpenti velenosi. Aveva le mani legate, ma Gudrun
riuscì a gettare dentro un'arpa, ed egli incantò i serpenti suonando con le dita dei piedi.
Tuttavia, alla fine, una vipera velenosa lo morsicò ed egli morì.
Fu preparata una grande veglia funebre di riconciliazioni… o, almeno, così Atli pensava. Ma,
come pranzo, Gudrun servì i cuori dei figli avuti da Atli, mescolò il loro sangue al vino e portò i
loro crani come coppe. Poi, insieme a uno dei figli di Hogni, pugnalò Atli e diede fuoco al suo
castello. È indubbio che se una donna mangia il cuore di un drago emergerà il suo lato
peggiore.
Tuttavia le sofferenze di Gudrun non erano ancora finite. La sua amata figlia Svanhild si fidanzò
con l'anziano re Iormunrek. Ma costui, sospettando che lo tradisse, la fece calpestare dagli
zoccoli dei suoi cavalli. Per vendicarla, i figli sopravvissuti di Gudrun catturarono Iormunrek e
gli tagliarono braccia e gambe. Prima che potessero ucciderlo, egli gridò ai suoi uomini di
lapidare gli assalitori, e così anch’essi morirono. Da quel giorno, secondo Snorri, l'eredità di
Fafnir, l'oro maledetto, rimase nascosta nel fiume Reno. “E non è più stata ritrovata”.
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