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L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
e il linguaggio della preghiera*
di
Lorenzo Perrone
Ζήτησόν με, εὗρέ με, ἀνάλαβέ με, ἐπάνελθε ἔχων με.
FrPs 118,176
Prolegomeni all’interpretazione di Sal 27(28):
un salmo di supplica
Il commento di Origene al Salmo 27(28) può dirsi, in un certo senso, un caso relativamente fortunato
nella tradizione catenaria dei suoi Selecta in Psalmos (= FrPs), per larghi tratti così discontinua e
diseguale. Benché gli excerpta tramandatici dalle catene (in primo luogo la Catena Palestinese) coprano
solo una porzione assai ridotta del salmo e siano prevedibilmente frutto di tagli più o meno ampi sul
testo dell’Alessandrino, nell’insieme risultano abbastanza significativi al fine di ricavare un’immagine
non troppo sfocata della sua esegesi1. Né mancano ulteriori elementi per valutare l’interesse particolare
che questo salmo dovette destare nel resto dei suoi scritti, sebbene le citazioni tratte da esso risultino
anch’esse alquanto esigue. Naturalmente, nonostante tali aspetti parzialmente incoraggianti, è facile
comprendere come anche nel nostro caso si sia tentati di colmare, sia pure in via cautamente ipotetica,
le lacune della documentazione in nostro possesso, a cominciare dai prolegomeni all’interpretazione
vera e propria del salmo.
Considerando infatti la prassi esegetica frequentemente attestata da Origene, anche alla luce dei
frammenti che ci sono pervenuti, è lecito presumere che riflettesse anzitutto sull’attribuzione di Sal
27(28) a Davide (τοῦ Δαυιδ), senza ulteriori specificazioni, e specialmente sull’assenza di un titolo o
iscrizione2. Del resto, egli si è posto espressamente il problema dei salmi privi di titolo o forniti del solo
titolo ma senza indicazione di autore, come ci testimonia un prologo al salterio riconducibile
all’Alessandrino. A suo avviso, in casi simili (adottando un’indicazione raccolta presso i dotti ebrei)
occorre risalire al salmo precedente che contenga entrambi gli elementi – autore e titolo – ed
individuare così l’autore del salmo in questione3. Questo criterio però non vale a rigore per il nostro
salmo, che pone invece il problema dell’assenza di titolo, se non anche quello di una mancata
designazione del genere del salmo sotto il profilo letterario o musicale, un aspetto sul quale forse
* Ringrazio Barbara Villani Hanus, per il suo generoso riscontro sulla tradizione manoscritta di FrPs 27, e Antonio
Cacciari, per avermi aiutato nel reperire i materiali dell’indagine.
1
Per la situazione più favorevole della Catena Palestinese, limitatamente a Sal 1-50, si veda il quadro offerto da
Carmelo Curti in C. CURTI – M.A. BARBÀRA, Catene esegetiche greche, in Patrologia V: Dal Concilio di Calcedonia
(451) a Giovanni Damasceno († 750), a cura di A. DI BERARDINO, Roma 2000, 623, 626. Ci si basa in sostanza sul
testimone poziore della catena sui Salmi classificata come ‘tipo VI’ da G. KARO – I. LIETZMANN, Catenarum
Graecarum Catalogus, Göttingen 1902, 29-30, cioè il Codex Baroccianus 235, da integrare però per il nostro salmo
con altri testimoni della stessa catena.
2
A. RAHLFS, Psalmi cum Odis, Göttingen 19793, 119 indica in apparato la variante τῷ Δαυιδ e l’aggiunta di ψαλμός,
prima o dopo il nome dell’autore. Per cenni sui titoli si veda FrPs 3,2: ὡς καὶ ἐν τοῖς εἰς τὴν ἐπιγραφὴν
παρεστήσαμεν (PG 12,1120B,10-11); FrPs 38 (= Fr. 49 Prinzivalli [J.-B. PITRA, Analecta Sacra, Parisiis 1888, III, 28;
cf. H38PsL I, 2 = II, 13-18 Prinzivalli]); FrPs 48,1: δύναται εἰς τὴν ἑκάστου νίκην τῶν ἐν ἀγωνίζεσθαι νικώντων
ἀναφέρεσθαι ἡ ἐπιγραφή (PG 12, 1441 C 3-5). Le omelie del Cod. Graec. 314 (Bayerische Staatsbibliothek, München)
confermano adesso ampiamente l’interesse di Origene per la spiegazione dei titoli: cf. H15Ps I,1 (ff. 1r-2v); H73Ps I,1
(ff. 115v-116r); H74Ps 1 (f. 154v); H76Ps I,1 (f. 171r); H77Ps I,1 (f. 214r); H80Ps I,1 (f. 329v).
3
PG 12, 1056 B 7-10: οἱ παρ’ ̔Εβραίοις ἀνεπίγραφοι ἢ ἐπιγραφὴν μὲν ἔχοντες, οὐχὶ δὲ τὸ ὄνομα τοῦ γράψαντος,
ἐκείνου εἰσὶν οὗ τὸ ὄνομα φέρεται ἐν τῷ πρὸ τούτων ἐπιγραφὴν ἔχοντι ψαλμῷ. Cf. P. NAUTIN, Origène. Sa vie et son
œuvre, Paris 1977, 278.
84
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
Origene ha avuto ugualmente occasione di riflettere in sede proemiale (sempre che la nostra
testimonianza non risalga invece ad Eusebio)4.
In seguito, altri esegeti nel commentare il nostro salmo hanno sentito il bisogno di affrontare il
problema dell’assenza di titolo, al di là della mera attribuzione davidica, che peraltro non ha mancato
neppure essa di suscitare osservazioni. Per farcene un’idea, pur senza rivendicare con ciò una filiazione
diretta dall’Alessandrino (ma presumendo, tuttavia, ragionevolmente più di un punto di contatto con la
sua esegesi), possiamo richiamarci alla testimonianza di un suo discepolo, ad un tempo fedele ed
indipendente, come Eusebio di Cesarea. Di fatto, benché calibrata più precisamente sulle caratteristiche
del nostro salmo, essa è accostabile al contenuto del luogo origeniano appena richiamato.
Ricordando quanto abbiamo detto in precedenza a proposito dei salmi che, senza altra indicazione,
portano l’iscrizione: A Davide o Di Davide (περὶ τῶν ἄνευ τινὸς προσθήκης ἐπιγεγραμμένων τῷ Δαυιδ ἢ τοῦ
Δαυιδ), applichiamo qui come a quelli la tradizione che ci è pervenuta. Dicono dunque gli ebrei, a
proposito dei salmi di questo genere, che bisogna ricorrere ai salmi precedenti, e osservare quale sia il
salmo posto all’inizio di quelli che non hanno nessuna iscrizione oppure che hanno l’iscrizione: Di
Davide (ἤτοι παντελῶς ἀνεπιγράφων, ἢ τῷ Δαυιδ ἐπιγεγραμμένων). Da quel salmo posto a capo della serie
che segue si dovrà prendere l’iscrizione e intendere in conformità con quella anche il senso dei salmi che
seguono.
Questo salmo 27 ha dunque questa iscrizione: Di Davide, e così pure i salmi 26, 25 e 24, mentre il 23
porta la scritta: Salmo di Davide, come pure il 22. Perciò, stando alla tradizione ebraica, anche tutti i
successivi sono da prendersi come salmi, sicché per questo motivo, anche quello che ora consideriamo è
da ritenersi un salmo contenente una supplica (καὶ τὸν μετὰ χεῖρας ἡγεῖσθαι εἶναι ψαλμὸν περιέχοντα
δέησιν)5.
La formulazione del commento di Eusebio chiarisce e precisa il senso presumibile del passo di Origene
a proposito dei salmi privi di titolo o indicazione d’autore e ci aiuta a capire come questa riflessione
fosse funzionale all’individuazione del genere del salmo. Il vescovo di Cesarea ne offre in tal modo una
caratterizzazione che corrisponde senz’altro all’interpretazione sviluppata da Origene su Sal 27(28) quale
espressione essenzialmente di una preghiera di domanda o supplica (δέησις). Eusebio peraltro l’aveva già
qualificato in questi termini, nel prospetto introduttivo al suo commentario, dove elenca l’‘argomento’
(ὑπόθεσις) dei singoli salmi, aggiungendo tuttavia un ulteriore elemento all’individuazione del salmo come
preghiera di domanda. Per lui, infatti, Sal 27(28) è da considerarsi una ‘supplica con profezia’6, come
Eusebio spiegherà in riferimento specialmente all’‘Unto’ del v. 8 (κύριος κραταίωμα τοῦ λαοῦ αὐτοῦ καὶ
ὑπερασπιστὴς τῶν σωτηρίων τοῦ χριστοῦ αὐτοῦ ἐστιν [«Il Signore è la fortezza del popolo suo e il
protettore delle salvezze del suo Cristo»])7.
4
Si veda il fr. posto sotto la dicitura ὑπόμνημα ̓Ωριγένους εἰς τοὺς ψαλμούς in PG 12,1069A,8-13, dove si formula il
criterio per cui tutti i salmi privi di indicazioni come ᾠδή, ὕμνος, ψαλμός, μηλώδημα, αἴνεσις, προσευχή, o simili –
come avviene, almeno in parte, nella tradizione del nostro salmo – contengono «insegnamenti (διδασκαλίαι)» o
«discorsi parenetici e protrettici (λόγους παραινετικοὺς καὶ προτρεπτικούς)». Su tale ὑπόμνημα si veda P. NAUTIN,
Origène, cit., 276 e F.X. RISCH, Die Prologe des Origenes zum Psalter, in Orig. X, 475-489. Per R. DEVREESSE, Les
anciens commentateurs grecs des Psaumes, Roma 1970, 2, esso avrebbe costituito la prefazione agli Esapla dei Salmi.
Tuttavia, secondo la recentissima analisi di Cordula Bandt e Franz Xaver Risch il testo sarebbe da restituire a
Eusebio. Cf. C. BANDT – F.X. RISCH, Das Hypomnema des Origenes zu den Psalmen – eine unerkannte Schrift des
Eusebius, Adamantius 19 (2013) 395-436.
5
Eus. Ps 27 (PG 23,245C,6-D,9; trad.: Eusebio di Cesarea, Commento ai Salmi, a cura di M.B. ARTIOLI, Roma 2004,
190-191). Nell’avviare l’esegesi egli invita a riconoscere τίνα δὲ διάνοιαν περιέχει ὁ τῆς δεήσεως λόγος (248A,1-2).
Anche la breve premessa di CPs 24 (PG 23,223B,2-4) può essere accostata ad una spiegazione analoga di Origene
(supra, n. 3). Sui frr. del commentario eusebiano al nostro salmo, cf. R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs grecs
des Psaumes, cit., 102s.
6
PG 23,68C,11: δέησις μετὰ προφητείας.
7
Per la traduzione italiana mi servirò de Il Salterio della Tradizione. Versione del Salterio greco dei LXX a cura di L.
MORTARI della Comunità di Monteveglio, Torino 1983 (qui cit. a p. 129), apportando modifiche ove necessario.
Terrò altresì conto de I canti di lode dei Padri. Esapla dei Salmi, a cura della Piccola Famiglia dell’Annunziata,
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ADAMANTIUS 20 (2014)
L’aggiunta eusebiana della componente profetica non sembra trovare riscontro nei frr. origeniani a nostra
disposizione e nemmeno nell’ampia classificazione dei diversi generi dei salmi ad opera di un autore, che
pure si è ispirato al commento ai Salmi del vescovo di Cesarea, come quella fornitaci da Atanasio di
Alessandria nella Lettera a Marcellino. Sal 27(28) vi figura nel lungo elenco di salmi che «hanno forma di
dialogo, di preghiera, di supplica (ὡς ἐν ἐντυχίᾳ καὶ εὐχῇ καὶ δεήσει)»8.
L’aspetto della supplica appare rafforzato anche dalle considerazioni di ordine storico che affiorano in
alcuni testimoni dell’antica esegesi cristiana di ambiente sia alessandrino sia antiocheno, a partire dal
dato dell’attribuzione davidica. Benché le lezioni di Didimo il Cieco sul Salterio non ne abbiano
conservato una su Sal 27(28) – diversamente dalle catene, dove troviamo alcuni suoi excerpta9 –, quella
condotta dal maestro alessandrino su Sal 26(27) fa riferimento al nostro salmo per illustrare di riflesso
le sue circostanze storiche. Alla domanda di un allievo, che deve aver chiesto se «il salmo successivo –
cioè il nostro – non fosse precedente dal punto di vista cronologico», Didimo risponde rievocando la
storia di Davide e la sua persecuzione ad opera di Saul, condotta in particolare col sostegno di Doeg il
Siro (o l’Idumeo)10. L’individuazione di tale Sitz im Leben è condivisa da Teodoreto di Cirro che coglie
perciò in Sal 27(28), al pari dei salmi precedenti, il paradigma per coloro che si trovano a vivere
esperienze analoghe di difficoltà ed oppressione, volgendosi a Dio onde invocare il suo aiuto11.
Non tutti gli interpreti antichi sono disposti a sottoscrivere questa ambientazione storica del nostro
salmo e l’incertezza al riguardo si lega anche al problema classico dell’interpretazione cristiana dei salmi
dalle sue origini fino alle soglie dell’età moderna: quello cioè della ‘persona del locutore’ di Sal 27(28).
Per la lettura patristica più diffusa esso non può essere risolto unicamente col rinvio alla figura storica
di Davide, dal momento che i Salmi hanno valore di testo profetico. Incontriamo perciò in autori come
Atanasio, Gerolamo e Agostino l’esito più consolidato della spiegazione prosopologica in senso
cristologico, per cui la situazione descritta da Sal 27(28) non trova spiegazione soddisfacente né nella
vicenda di Davide precedentemente al suo regno, né tantomeno quando egli è ormai divenuto re.
Piuttosto, Davide dà voce a questo salmo «nella persona di Cristo»12.
Bologna – Reggio Emilia 2009 (che rende il v. 8 come segue: «Il Signore è la fortezza del popolo suo e il protettore
delle salvezze del suo Unto»).
8
Ath. Ep. Marcell. 14: «hanno forma di dialogo, di preghiera, di supplica i salmi 5, 6, 7, 11, 12, 15, 24, 27, 30, 34, 37,
42, 53, 54, 55, 56, 58, 59, 60, 63, 82, 85, 87, 137, 139, 142» (Atanasio di Alessandria, L’interpretazione dei Salmi. Ad
Marcellinum in interpretationem psalmorum, a cura di L. CREMASCHI, Magnano 1995, 22).
9
Sugli excerpta didimiani si veda R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs grecs des Psaumes, cit., 161s.; E.
MÜHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Katenenüberlieferung, I, Berlin 1975, 256-259.
10
Didimo il Cieco. Lezioni sui Salmi. Il Commento ai Salmi scoperto a Tura, Introd. trad. e note di E. PRINZIVALLI,
Milano 2005, 348: « ‹Domanda: Il Salmo successivo dal punto di vista cronologico non è precedente?›». La domanda,
ricostruita da Gronewald per congettura, suscita una risposta che ricollega il nostro salmo alla fase della vita di David
precedente il regno, sia pure ridimensionando il fattore cronologico nella disposizione del Salterio: «Il Salmo che dici
è quello che biasima Doeg il siro. Il re Saul era ancora al potere e in posizione così salda che Davide, accusato,
dovette fuggire (cf. 1 Sam 22,9). {Molto tempo dopo ci fu l’unione con la moglie di Uria}. E solo molto tempo dopo
accadde la sua intronizzazione su tutto il regno dopo l’ultima unzione – quella era la terza –, ‹molto tempo dopo› ci
fu l’unione con la moglie di Uria. Non era ancora re quando Doeg lo calunniò come se avesse preso i pani e la spada
di Golia (cf. 1 Sam 22,10). La successione dei Salmi non dipende dalla cronologia, ma da un ordinamento morale e
fattuale» (ibid., 348s.).
11
Thdt. Ps 27 (PG 80,1056C,13-1057A,4): εἴρηται μὲν ὁ Ψαλμὸς ὑπὸ τοῦ Δαυίδ, ἡνίκα ὑπὸ τοῦ Σαοὺλ ἐδιώκετο, καὶ
τῶν δοκούντων εἶναι φίλων ἐπεβουλεύετο, καὶ μηνυόντων, καὶ κατάδηλον αὐτὸν τῷ Σαοὺλ πειρωμένων ποιεῖν·
τοιοῦτος ἦν ὁ Δωήκ, τοιοῦτοι οἱ Ζιφαῖοι καὶ ἕτεροι πρὸς τούτοις πολλοί. Ἀρμόττει δὲ καὶ οὗτος καὶ μέντοι καὶ οἱ
πρὸ τούτου ψαλμοὶ παντὶ τ οιαύταις περιπίπτοντι συμφοραῖς. Teodoreto ribadisce questo contesto anche a
commento del v. 9. Anche Eutimio Zigabeno, Ps 27 fa propria tale indicazione: “Psalmus ipsi Dauid”: hunc psalmum
etiam conscripsit beatus Dauid, eo tempore quo persequebatur eum Saul (Euthymii monachi Zigaboni Commentarii in
omnes Psalmos e Graeco in Latinum conversi, per R.D. Philippum Saulum Episc. Brugnatensem, Parisiis 1547, 78).
12
Un estratto attribuito ad Atanasio (D. BARBARO, Aurea in quinquaginta Davidicos psalmos doctorum graecorum
catena, Venezia 1569, 244) propone la spiegazione cristologica con implicazioni antigiudaiche: Ex persona
credentium in Christum canit hunc psalmum, Dei curam et providentiam sui implorat, continet etiam Iudaeorum
contumaciae detestationem [...] a pessima illorum societate liberari postulat. Agostino, En. Ps. 27,1 (ed. DEKKERSFRAIPONT, 168): Ipsius mediatoris vox est, manu fortis in conflictu passionis. Quae autem videtur optare inimicis, non
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LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
Di tali sviluppi ulteriori non troviamo cenni o premesse nei frammenti residui dell’esegesi origeniana su
Sal 27(28), benché la preoccupazione dell’ambientazione storica non sia affatto sconosciuta
all’Alessandrino, anche nel contesto del Salterio13, come non lo è evidentemente (e a fortiori) la
spiegazione prosopologica, sia questa di segno più direttamente cristologico oppure venga rapportata
all’uomo nell’ottica di un’antropologia spirituale. Di tale tipo di esegesi, con i suoi tecnicismi più
ricorrenti, troviamo diverse tracce in FrPs. Esse ci danno a pensare che tale prospettiva accompagnasse
molto probabilmente in maniera non occasionale o saltuaria il commento dei singoli salmi, incluso il
nostro, anche se allo stato attuale siamo in grado di verificarlo solo in un numero limitato di casi14. In
via provvisoria, cercando di ricavare un primo orientamento dai disiecta membra del commentario
origeniano, si sarebbe tentati di dire che l’interpretazione prosopologica punta qui non tanto sulla
persona di Cristo come tale quanto su quella del ‘santo’ o del ‘giusto’. In termini agostiniani, potremmo
dire che emerge la visione del corpus di Cristo anziché del Cristo caput15.
Per concludere queste riflessioni introduttive bisognerebbe ancora interrogarsi sull’approccio di
Origene al testo biblico a partire dallo strumento degli Esapla. Com’è noto, per il testo dei salmi
l’Alessandrino non s’è accontentato della traduzione dei LXX e delle altre versioni greche più note
(Aquila, Simmaco e Teodozione) – che insieme al testo ebraico componevano la grande sinossi della
Bibbia di Origene –, ma ha cercato di procurarsi anche altre ‘edizioni’ in greco, come ci attesta un suo
malevolentiae votum est, sed enuntiatio poenae illorum: sicut in Evangelio civitatibus in quibus miracula cum fecisset,
neque credidissent ei, non malevolentia optat quae dicit, sed quid eis immineat praedicit. La critica alla tentata
contestualizzazione storica in rapporto a Davide è così ricapitolata nel commento di Bellarmino che arriva a
considerare Sal 27(28) come un compendio di Sal 21(22): hunc Psalmum de Davide fugiente Saulis persecutionem
exponunt Theodoretus, & Euthymius. Sed repugnant multa: primo quod in titulo id non indicetur, sicut alias fere
semper fieri solet, cum ad historiam Psalmus respicit. Secundo, quod in hoc Psalmo, is, qui loquitur, appellat se
Regem... [ubi? – l’unica possibile allusione è nei vv. 8 e/o 9, ma non è affatto esplicita] Tertio, quod in eodem Psalmo
dicit is qui loquitur, se exauditum [...] quod certe Davidi pro eo tempore, quo Saulem fugiebat, convenire non potest.
Né si può attribuirlo a David ormai re, come vorrebbero i recentiores (uso del futuro clamabo invece del perfetto
clamavi). Bellarmino ripiega così sull’interpretazione cristologica dei Padri: videtur igitur praeferenda S. Augustini, &
S. Hieronymi expositio, qui in persona Christi Psalmum a Dauide cantatum fuisse volunt: David enim qui simul
praevidebat passionem & glorificationem Christi, convenienter ea coniungere potuit, sicut etiam fecit in Psalmo 21,
cuius Psalmi longissimi et pulcherrimi, hic [...] videtur esse quasi compendium (Explanatio in Psalmos auctore Roberto
BELLARMINO ex Societate Iesu, Romae 1611, 155s.).
13
Lo vediamo bene in FrPs 118, 113, probabilmente il passaggio più ricco sulla figura di Davide, dove Origene,
assumendolo come modello di orante, afferma che egli non odia le persone di Saul e Assalonne, «ἀλλ’ ὡς ἅγιος αὐχεῖ
ὅτι μισεῖ τὰ μίσους ἄξια» (La chaîne palestinienne sur le Psaume 118 [Origène, Eusèbe, Didyme, Apollinaire,
Athanase, Théodoret], a cura di M. HARL, Paris 1972, 372)
14
Tra le varie tracce possiamo segnalare una riflessione preliminare sul dicitore del salmo in FrPs 29,2, identificabile
con la persona di Cristo ma anche con la persona del ‘santo’ o del ‘giusto’: ὅτι ἐκ προσώπου τοῦ Χριστοῦ λέγεται ὁ
ψαλμός […] Δύναται δὲ καὶ ἐκ προσώπου τοῦ ἁγίου ταῦτα λέγεσθαι (PG 12,1292B,3-4). Tuttavia, come mostra FrPs
29,3, l’identificazione del locutore non si restringe all’inizio del salmo: Ταῦτα μὲν οὖν ἐκ προσώπου τοῦ δικαίου
λέγεται. Ἐὰν δὲ ὁ Σωτὴρ λέγῃ ταῦτα, ὅρα εἰ καὶ τοῦτο δύναται τῆς πρεπούσης τυχεῖν διηγήσεως (1292D,9-12). In
questo fr. Origene propone l’idea, poi ampiamente sviluppata da Agostino, di Cristo e il suo corpo. Così Sal 29(30),3
è una supplica per la propria ‘guarigione’ e non c’è nulla di ‘assurdo’ (ἄτοπον) nell’indirizzarla al Signore: ἐπὶ τῇ
ἡμετέρᾳ τοίνυν θεραπείᾳ οὐδὲν ἄτοπον λέγειν πρὸς αὐτόν· Κύριε ὁ Θεός μου, ἐκέκραξα πρός σε κτλ. (1293A,4-6). Si
veda anche l’indicazione sul dicitore di Sal 21(22) e Sal 68(69): ἐκ προσώπου δὲ τοῦ Χριστοῦ ἀμφότεροι εἵρηνται οἱ
ψαλμοί (1293A,12-13). Per un tratto ulteriore di esegesi prosopologica, si veda FrPs 54, 3: ἐξομολογεῖται οὖν
διδάσκων ἡμᾶς ἐξομολογεῖσθαι, τὸ πρόσωπον ἡμῶν ἀναλαβών (1464C,3-5); FrPs 118, 25, dove il santo interpreta il
personaggio del peccatore che si converte: λέγει δὲ ταῦτα ὁ ἅγιος [καὶ] προσωποποιῶν τὸν μετανοοῦντα (HARL,
230); cf. anche FrPs 118, 139: περὶ τούτου τοῦ ζήλου ἐμνήσθησαν οἱ μαθηταὶ ἐκ προσώπου τοῦ Κυρίου ἐν ψαλμοῖς
εἰρημένου ὅτι ὁ ζῆλος τοῦ οἴκου σου κατέφαγέ με (Sal 68[69], 10; Gv 2, 17) (410). Nelle nuove omelie di Monaco si
veda, in particolare, H15Ps I,2 (f. 2v); H15Ps II,1 (f. 16v).
15
Simonetti ha sottolineato l’originalità di questo tratto dell’esegesi origeniana dei Salmi, anche in relazione agli
sviluppi successivi: «rispetto alla tendenza, già operante in Ippolito e altri, a interpretare i Salmi in riferimento
specifico ai fatti del Cristo incarnato, egli fissò un criterio destinato ad avere la più grande fortuna. Ciò che dice il
testo dei Salmi si può riferire, oltre che direttamente al Cristo incarnato, anche ai santi che hanno assunto la sua
immagine» (Sant’Agostino. Commento ai Salmi, a cura di M. SIMONETTI, Milano 1989, xiv).
87
ADAMANTIUS 20 (2014)
prologo premesso a numerose catene sui salmi16. Stando ad Eusebio di Cesarea si tratterebbe di ben tre
versioni aggiuntive: non solo le cosiddette Quinta e Sesta, testimoniate dal prologo, ma anche una
Settima17. Di questo imponente apparato testuale a supporto dell’esegesi sono rimaste solo pallide tracce
sparse in FrPs18, ma esse possono essere ripercorse più ampiamente alla luce del testo esaplare in nostro
possesso. Vi si può infatti notare ancora la frequente menzione della Quinta e della Sesta, che attestano
(perlopiù insieme ad Aquila e a Simmaco) varianti di traduzione più o meno significative, rispetto ai
LXX, anche per il nostro salmo19. A sua volta, la tradizione interpretativa successiva, specie in quegli
interpreti filologicamente più consapevoli ed attrezzati come Eusebio o Gerolamo, si presta anch’essa
ad una verifica. Nei frammenti su Sal 27(28) posti sotto il nome del vescovo di Cesarea troviamo
annotazioni interessanti sotto il profilo testuale, che presumibilmente costituiscono una ripresa se non
un corrispettivo di quelle formulate da Origene. Così il vescovo di Cesarea annota a Sal 27(28), 1b la
diversa resa di Simmaco rispetto a quella dei LXX20. Altrettanto fa per Sal 27(28), 7c (καὶ ἀνέθαλεν ἡ
σάρξ μου [«è rifiorita la mia carne»]), a proposito della resa ‘carne’ (σάρξ) nei LXX a fronte di ‘cuore’
(καρδία) in Simmaco, Aquila, Teodozione e nella Quinta 21 , come anche Gerolamo segnalerà nei
Commentarioli in Psalmos, pur adducendo quale testimone solo Teodozione22. Eusebio, inoltre, nota
anche la traduzione alternativa di Sal 27(28), 7d (καὶ ἐκ θελήματός μου ἐξομολογήσομαι α ὐτῷ [«e dal
mio volere lo confesserò»]), a proposito del termine θ έλημα nei LXX, a fronte delle rese ᾠδαῖς in
Simmaco e ᾄσμα in Aquila più fedeli all’ebraico (WNd<(Aha] yrIïyVimiW)23.
Le citazioni di Sal 27(28)
e il linguaggio della preghiera
Come si è accennato all’inizio, le citazioni di Sal 27(28) nel resto degli scritti di Origene sono piuttosto
scarse, ma due di esse ci indirizzano già significativamente verso la problematica di cui troviamo traccia
in FrPs. La prima compare nel Trattato sulla preghiera (Orat 33,5), dove l’Alessandrino cita Sal
27(28),3a-b: «Non trascinarmi coi peccatori e non perdermi con gli operatori di ingiustizia (μὴ
συνελκύσῃς με μετὰ ἁμαρτωλῶν, καὶ μετὰ ἐργαζομένων ἀδικίαν μὴ συναπολέσῃς με)»24. Al termine della
16
Cf. P. NAUTIN, Origène, cit., 309s., che riprende il testo da G. MERCATI, Note di letteratura biblica e cristiana
antica, Roma 1901, 29.
17
Eus. H.e. VI 16,3 (ed. SCHWARTZ, 554,9-13): ἔν γε μὴν τοῖς Ἑξαπλοῖς τῶν Ψαλμῶν μετὰ τὰς ἐπισήμους τέσσαρας
ἐκδόσεις οὐ μόνον πέμπτην, ἀλλὰ καὶ ἕκτην καὶ ἑβδόμην παραθεὶς ἑρμηνείαν, ἐπὶ μιᾶς αὖθις σεσημείωται ὡς ἐν
Ἱεριχοῖ εὑρημένης ἐν πίθῳ κατὰ τοὺς χρόνους Ἀντωνίνου τοῦ υἱοῦ Σευήρου.
18
Ad es. in FrPs 118, 28 (234), dove si fa menzione della V e della VI edizione con un breve saggio di critica testuale:
ἡ πέμπτη καὶ ἕκτη ἔκδοσις τὸ ἔσταξεν ἡ ψυχή μου περιέχει· παρὰ δὲ τῷ Συμμάχῳ κατέσταξεν ἡ ψυχή μου. Καὶ δοκεῖ
μοι, μὴ νοήσας τις τὸ ἔσταξεν ἀλλ’ ὑπολαβὼν ἡμαρτῆσθαι τὸ ἀντίγραφον, πεποιηκέναι ἐνύσταξεν ἡ ψυχή μου, τῆς ἐπὶ
τὸ ἔσταξεν ἡ ψυχή μου ζητήσεως ἀπαλλαγῆναι βουλόμενος. Nel Cod. Mon. Gr. 314 sono numerosi i riferimenti alle
‘edizioni’ e occasionalmente anche all’ebraico: cf. H15Ps II,7 (f. 25v); H77Ps I,1 (ff. 215r-v); H77Ps V,3 (f. 266v); H77Ps
VII,4 (f. 292r); H77Ps VIII,9 (f. 313v); H77Ps IX,6 (ff. 326v, 328v); H80Ps I,6 (f. 339r).
19
Ad es., in Sal 27(28), 1a per ὁ Θεός μου (LXX) si registra per Aquila e la V: στερεέ μου, mentre Simmaco ha: ὁ
φύλαξ μου. Di particolare interesse, sotto il profilo del linguaggio della preghiera, sono le traduzioni del v. 2a: ἐν τῷ
δέεσθαί με πρὸς σέ (LXX); ἐν τῷ ἀναβοῆσαί με πρὸς σέ (Ἀ.); λιτανεύοντός σε (Σ.); ἐν τῷ κεκραγέναι με πρὸς σέ (V e
VI). Al v. 2 – di particolare rilievo storico-dottrinale per la menzione del rybiD>: – abbiamo solo i LXX e i Tre: ναόν
(Ο´); χρηματιστήριον ( ̓Α. Σ.); δαβείρ (Θ.). Traduzioni alternative della V e della VI figurano inoltre al v. 3 (μετὰ
ἀσεβῶν καὶ μετὰ ἐργαζομένων τὴν ἀνομίαν). Da notare al v. 7 la resa di yBili: σάρξ (Ο´); καρδία (Ἀ. Σ. Θ. V).
20
Eus. Ps 27,1: ἀντὶ δὲ τοῦ· Μὴ παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ, ὁ Σύμμαχος, μὴ σιγήσῃς ἐξ ἐμοῦ, φησί (PG 23, 248 C 12-13);
«Anziché: Non startene in silenzio con me, Simmaco dice: Non tacere [distogliendoti] da me» (tr. cit., 192).
21
Eus. Ps 27,7c (PG 23,249B,12-C,3): ἀντὶ δὲ τοῦ καὶ ἀνέθαλεν ἡ σὰρξ μου, ὁ μὲν Σύμμαχος, ἄνθησαι, φησίν, ἡ καρδία
μου· ὁ δὲ ̓Ακύλας, ἐγαυριάσατο ἡ καρδία μου· ὁ δὲ Θεοδοτίων, καὶ ἀνέθαλεν ἡ καρδία μου · ἡ δὲ πέμπτη ἔ κδοσις,
ἐκρατύνθη ἡ καρδία μου. Καὶ πάλιν ἀντὶ τοῦ, ἐκ θελήματός μου ἐξομολογήσομαι αὐτῷ, ὁ μὲν Σύμμαχος· καὶ ἐν ᾠδαῖς
μου ὑμνήσω αὐτόν, ἐξέδωκεν· ὁ δὲ ̓Ακύλας, καὶ ἀπὸ ᾄσματός μου ἐξομολογήσομαι αὐτῷ.
22
Hier. In psalm. 27 (Hieronymus. Commentarioli in Psalmos, ed. G. MORIN [CCL 72], Turnhout 1959, 202): Et
refloruit caro mea. Pro carne, Theodotion ‘cor’ interpretatus est.
23
Cf. supra, n. 21.
24
Il v. 3a LXX (Rahlfs) porge un testo leggermente diverso: μὴ συνελκύσῃς μετὰ ἁμαρτωλῶν τὴν ψυχήν μου.
88
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
sua esposizione, Origene si sofferma sulla ‘retorica della preghiera’, sviscerando la struttura
paradigmatica dell’orazione con le sue diverse ‘componenti’ (τόποι). Il passo del nostro salmo serve
appunto ad esemplificare l’aspetto della domanda, che viene enucleato come quarto momento della
manifestazione orante, di seguito a: 1) la ‘dossologia’ (δοξολογία) iniziale, 2) il ‘ringraziamento’
(εὐχαριστία) per i benefici ottenuti, 3) la ‘confessione’ (ἐξομολόγησις) delle colpe. Solo a questo punto
interviene la ‘domanda’ (αἴτησις), esemplificata col richiamo a Sal 27(28),3a-b e seguita dal
ringraziamento finale25. Da notare che nella premessa all’elencazione dei τόποι dell’orazione (Orat
XXXIII, 1), Origene aveva ribadito ancora una volta la sua natura di ‘preghiera spirituale’, rivolta in
quanto tale ai beni ‘grandi e celesti’, ma precisando in aggiunta che la domanda innalzata a Dio
riguarda i bisogni individuali e collettivi come le necessità dei propri familiari e delle persone più care26.
Si tratta di un dettaglio non irrilevante, dal momento che l’assioma delle ‘cose grandi e celesti’ quale
criterio regolatore del modello di orazione al centro del trattato sembrerebbe, in un certo senso,
rimodulato più concretamente dai bisogni e necessità che innescano le manifestazioni della prassi
orante.
Il passo di Orat 33, imperniato in particolare sul termine αἴτησις, merita di essere posto a confronto con
il cap. 14, nel quale l’Alessandrino si sforza di classificare i diversi tipi di preghiera a partire da 1 Tm 2,
1, distinguendo così: 1) la ‘domanda’ o ‘supplica’ (δέησις), 2) l’‘orazione’ (προσευχή), 3) l’‘intercessione’
(ἔντευξις) e 4) il ‘ringraziamento’ (εὐχαριστία). Come si vede da questo elenco, il linguaggio della
preghiera si sovrappone solo parzialmente con Orat 33, dato che l’unico elemento comune fra i due
luoghi del trattato è il termine εὐχαριστία, laddove αἴτησις sembra cumulare le nozioni di δέησις e
προσευχή, se non anche quella di ἔντευξις27. Ci troviamo così di fronte a tensioni non del tutto risolte
negli schemi adoperati da Origene e nelle relative terminologie con cui elabora il proprio modello di
preghiera in base ai riferimenti scritturistici, quantunque tale modello sia tracciato in maniera
sostanzialmente nitida e coerente in relazione al termine προσευχή28. Queste considerazioni, d’altra
parte, non sono prive d’interesse per l’interpretazione del salmo in esame. Infatti Sal 27(28),2a contiene
il termine δέησις che – insieme all’uso del verbo δέομαι (v. 2b) e al gesto collegato di ‘levare le mani’ (v.
2c) – concorre qui a dare un’espressione paradigmatica all’atto orante: «Esaudisci la voce della mia
supplica quando ti supplico, quando levo le mie mani verso il tuo tempio santo (εἰσάκουσον τῆς φωνῆς
τῆς δεήσεώς μου ἐν τῷ δέεσθαί με πρὸς σέ, ἐν τῷ αἴρειν με χεῖράς μου εἰς ναὸν ἅγιόν σου)»29.
Successivamente, il salmista attesta nuovamente lo stesso termine al v. 6, dove ringrazia Dio per
l’esaudimento della sua supplica: «Benedetto il Signore, perché ha esaudito la voce della mia supplica
(εὐλογητὸς Κύριος, ὅτι εἰσήκουσεν τῆς φωνῆς τῆς δεήσεώς μου)»30.
La dissonanza registrata fra Orat 14 e 33, per quanto riguarda il linguaggio della preghiera, trova un
riscontro interessante nella distinta argomentazione scritturistica addotta da Origene nei due diversi
passi. Un po’ sorprendentemente, la classificazione dei tipi di preghiere ignora il Salterio, laddove la
retorica della preghiera viene illustrata quasi esclusivamente con riferimenti tratti dai salmi. Come
mostra la tavola sinottica che segue, l’Alessandrino procede con evidente elasticità terminologica
25
Orat 33,5 (402,29-31 KOETSCHAU): τῶν δὲ αἰτήσεων ἐν εἰκοστῷ ἑβδόμῳ ψαλμῷ· μὴ συνελκύσῃς με μετὰ
ἁμαρτωλῶν, καὶ μετὰ ἐργαζομένων ἀδικίαν μὴ συναπολέσῃς με, καὶ εἴ τι τούτοις ὅμοιον.
26
Orat 33,1 (401,22-24): μετὰ δὲ τὴν ἐξομολόγησιν τέταρτόν μοι συνάπτειν φαίνεται δεῖν τὴν περὶ τῶν μεγάλων καὶ
ἐπουρανίων αἴ[τησιν, ἰδίων τε καὶ καθολικῶν, καὶ περί τε οἰκείων καὶ φιλτάτων. Koetschau traduce: «Nach dem
Sündenbekenntnis soll man viertens, wie mir scheint, die Bitte um „die großen und himmlischen“, teils
persönlichen, teils allgemeinen Gaben, auch für die Angehörige und Freunde, anknüpfen» (Des Origenes Schriften
vom Gebet und Ermahnung zum Martyrium, übs. von P. KOETSCHAU, München 1926, 121s.). Egli propone qui di
migliorare il testo del codice T: «401, 24 ist wohl besser καὶ περὶ τῶν οἰκείων καὶ φιλτάτων zu schreiben» (ibid., 122
n. 2).
27
Ciò avviene invece in FrPs 3,5 (PG 12,1123A-B), dove si discute il profilo dei vv. 2-5 come preghiera, alla luce del
binomio ‘richiesta (esaudita) – ringraziamento’, cioè mediante la coppia terminologica ἔντευξις – εὐχαριστία. In
questo caso il termine ἔντευξις cumula le espressioni della domanda.
28
Rimando in proposito al mio La preghiera secondo Origene: l’impossibilità donata, Brescia 2011, 51-239.
29
LXX e ̓Α. rendono l’ebraico yn:Wnx]T; con δεήσεώς μου, mentre Σ. ha ἱκεσία.
30
Qui è Θ. ad attestare ἱκεσία.
89
ADAMANTIUS 20 (2014)
nell’illustrare i tipi di preghiera: non solo si serve di espressioni verbali a fronte dei vocaboli presenti in
1 Tm 2,1 (ad es., δ έομαι per δ έησις; προσε ύχομαι per προσευχή; ecc.) ma ricorre anche del tutto
liberamente ad espressioni affini, non connotabili neppure in seconda istanza come termini technici (ad
es., ἐλάλησε o εἶπεν per ἔντευξις).
Orat 14,2
Orat 33,2-5
δέησις
δοξολογία
Lc 1,13 (δέησις)
Es 32,11 (δέομαι)
Dt 9,18 (δέομαι)
Est 4,17a k (δέομαι)
Sal 103(104),1-731
προσευχή
εὐχαριστία
Dn 3,25 (προσεύχομαι)
Tb 3,1-2 (προσεύχομαι)
1 Sam 1,10-11 (προσηύξατο... ηὔξατο εὐχὴν κυρίῳ)
Ab 3,1-2 (προσευχή)
Gio 2,2-4 (προσεύχομαι)
2 Sam 7,18-2232
ἔντευξις
ἐξομολόγησις
Rm 8,26-27 (ὑπερεντυγχάνω / ἐντυγχάνω)
Gs 10,12 (ἐλάλησε / εἶπεν)
Gdc 16,30 (εἶπεν)
Sal 38(39),9
Sal 37(38),6-733
εὐχαριστία
αἴτησις
Mt 11,25 par. Lc 10,21 (ἐξομολογοῦμαι)
Sal 27(28),334
δοξολογία35
31
Orat 33,2 (401,27-402,11) indico fra parentesi quadre i vv. non citati da Origene): τούτους δὲ τοὺς τόπους, ὡς
προείπομεν, διεσπαρμένους εὕρομεν ἐν ταῖς γραφαῖς, τὸν μὲν τῆς δοξολογίας διὰ τούτων ἐν ἑκατοστῷ τρίτῳ ψαλμῷ·
[1Ευλόγει, ἡ ψυχή μου, τὸν Κύριον] κύριε, ὁ θεός μου , ὡς ἐμεγαλύνθης σφόδρα· ἐξομολόγησιν καὶ μεγαλοπρέπειαν
ἐνεδύσω, 2ὁ ἀναβαλλόμενος φῶς ὡς ἱμάτιον, ὁ ἐκτείνων τὸν οὐρανὸν ὡσεὶ δέριν, 3ὁ στεγάζων ἐν ὕδασι τὰ ὑπερῷα
αὐτοῦ, ὁ τιθεὶς νέφη τὴν ἐπίβασιν αὐτοῦ, ὁ περιπατῶν ἐπὶ πτερύγων ἀνέμων, 4ὁ ποιῶν τοὺς ἀγγέλους αὐτοῦ πνεύματα
καὶ τοὺς λειτουργοὺς αὐτοῦ πυρὸς φλόγα, 5ὁ θεμελιῶν τὴν γῆν ἐπὶ τὴν ἀσφάλειαν αὐτῆς, οὐ κλιθήσεται εἰς τὸν αἰῶνα
τοῦ αἰῶνος· 6ἄβυσσος ὡς ἱμάτιον τὸ περιβόλαιον αὐτοῦ, ἐπὶ τῶν ὀρέων στήσονται ὕδατα· 7ἀπὸ ἐπιτιμήσεώς σου
φεύξονται, ἀπὸ φωνῆς βροντῆς σου δειλιάσουσι· καὶ τὰ πλεῖστα δὲ τούτου τοῦ ψαλμοῦ δοξολογίαν περιέχει τοῦ
πατρός. ἔνεστι δέ τινα ἑαυτῷ πλείονα ἀναλεγόμενον ὁρᾶν, ὡς ὁ τόπος τῆς δοξολογίας πολλαχοῦ διέσπαρται. Orat 1
(297,8) cita Sal 103(104),24.
32
Orat 33,3 (402,12-15): τῆς δὲ εὐχαριστίας ἐκκείσθω τοῦτο παράδειγμα ἐν τῇ δευτέρᾳ τῶν Βασιλειῶν κείμενον,
μετὰ τὰς διὰ τοῦ Νάθαν πρὸς τὸν Δαυῒδ ἐπαγγελίας ὑπὸ τοῦ Δαυῒδ ἀπαγγελλόμενον, ἐκπλαγέντος τὰς τοῦ θεοῦ
δωρεὰς καὶ εὐχαριστοῦντος ἐπ’ αὐταῖς διὰ τούτων. Cf. 2 Sam 7,18-22: «[Allora il re Davide andò a presentarsi al
Signore e disse:] Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo
punto? ecc.».
33
Orat 33,4 (402,24-28): τῶν δὲ ἐξομολογήσεων παράδειγμα· ἀπὸ πασῶν τῶν ἀνομιῶν μου ῥῦσαί με, καὶ ἐν ἄλλοις·
προσώζεσαν καὶ ἐσάπησαν οἱ μώλωπές μου ἀπὸ προσώπου τῆς ἀφροσύνης μου· ἐταλαιπώρησα καὶ κατεκάμφθην ἕως
τέλους, ὅλην τὴν ἡμέραν σκυθρωπάζων ἐπορευόμην. Sono i due Salmi della confessione, commentati da Origene in
H37Ps I,4-6 (276,20-283,2) e H38PsI,4 (380,1-382, 26). Sal 37,6 è ripreso anche da H67Ps II,5 (f. 108r): προσώζεσαν
γὰρ καὶ ἐσάπησάν μοι οἱ μώλωπες (Sal 37, 6), λέγεται περὶ τῆς φύσεως τῶν ἁμαρτημάτων. Si veda inoltre CIo XX
44,414 (387,31-388,1); FrIer 68 (231,16-18); Dial 19 (2-8).
34
Orat 33,5 (supra, n. 25).
35
Orat 33,6 (402,32-35): εὔλογον δὲ ἀρξάμενον ἀπὸ δοξολογίας εἰς δοξολογίαν καταλήγοντα καταπαύειν τὴν εὐχὴν,
ὑμνοῦντα καὶ δοξάζοντα τὸν τῶν ὅλων πατέρα διὰ Ίησοῦ Χριστοῦ ἐν ἁγίῳ πνεύματι, ᾧ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας.
90
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
Da questo confronto si può in ogni caso dedurre che se il Salterio non interviene in alcun modo a
fissare la terminologia tecnica della preghiera – benché proprio Sal 27(28),2a.6 si prestasse ad
esemplificarla per δέησις –, esso sostanzia però il modello di preghiera strutturata che l’atto orante è
chiamato a formulare. L’intervento di un luogo, a prima vista un poco anomalo come 2 Sam 7,18-22 per
illustrare la componente ‘eucaristica’ dell’orazione, non modifica in sostanza il quadro: le parole della
preghiera, in altri termini i loro contenuti, trovano l’alimento e la fonte ispiratrice per eccellenza nel
libro dei salmi.
La seconda citazione si configura tendenzialmente come un’allusione o reminiscenza suscitata da un
passo parallelo; ma è comunque di un certo rilievo perché interviene nel contesto di una riflessione sulle
modalità dell’orazione e sul suo esaudimento, sviluppata dalla II Omelia sul Salmo 38 a commento di
Sal 38(39),13a-c, luogo anch’esso assai significativo per il linguaggio della preghiera: «Esaudisci la mia
preghiera, Signore, e la mia supplica, porgi l’orecchio alle mie lacrime, non stare in silenzio
(Εἰσάκουσον τῆς προσευχῆς μου, Κύριε, καὶ τῆς δεήσεώς μου, ἐνώτισαι τῶν δακρύων μου. Μὴ
παρασιωπῄσης)». Come si vede, il primo stico contiene due dei termini presenti in 1 Tm 2,1 e utilizzati
da Origene in Orat 14 per definire i tipi di preghiere: προσευχή e δέησις. Nel suo commento
l’Alessandrino, oltre ad associare i due termini sulla falsariga del lemma, inserisce anche un richiamo
alla ἐξομολόγησις, inculcando così la necessità di accompagnare la supplica con la confessione delle
proprie colpe, come aveva indicato in Orat 3336. Proseguendo nella spiegazione, Origene sembrerebbe
sovrapporre una reminiscenza di Sal 27(28),1b al richiamo di Sal 38(39),13c. L’orante teme che Dio non
ascolti la sua supplica e rimanga in silenzio, ma l’Alessandrino vuole rassicurarlo con la convinzione
che, pregando tra le lacrime nel modo che si è detto, egli potrà ricevere invece un ascolto immediato,
conformemente al passo di Is 58,9, più volte addotto da lui a sostegno di ciò:
Auribus ergo percipe lacrimas meas (v. 13b) et ne sileas – inquit – a me (v. 13c; cf. Sal 27[28],1b), id est orante
me ne sileas. Sed quid? Adhuc loquente me dic: ecce adsum (Is 58,9)37.
La forma in cui si presenta il salmo nel testo latino di Rufino parrebbe rinviare ad una Vorlage greca che
aggiungeva al verbo μὴ παρασιωπήσῃς (= ne sileas) di Sal 38(39), 13c le parole ἀπ’ ἐμοῦ (= a me) che
accompagnano in Sal 27(28), 1b l’identica espressione verbale38.
Una ulteriore citazione del nostro salmo compare nella V Omelia su Giosuè ed è tratta dal v. 3c-d:
«parlano di pace col prossimo, mentre c’è il male nel loro cuore (τῶν λαλούντων εἰρήνην μετὰ τῶν
πλησίον αὐτῶν, κακὰ δὲ ἐν ταῖς καρδίαις αὐτῶν)». Origene l’introduce a commento dell’espressione
«davanti al Signore» in Gs 4,13, che egli riporta così: «Quarantamila uomini cinti – oppure armati
leggeri – passarono per il combattimento davanti al Signore, per espugnare la città di Gerico».
L’Alessandrino, sfruttando il consueto procedimento intertestuale dei luoghi paralleli ai fini dell’esegesi
spirituale, l’accosta a Ef 6, 14 («Siano dunque cinti i vostri fianchi con la verità») per raccomandare un
atteggiamento di veracità interiore; si tratta di coltivare la verità non solo a parole bensì anche nel
cuore:
«Non basta infatti che tu dia l’impressione di salvare la verità davanti agli uomini. Perché è possibile ingannarli e
sembrare verace; non per questo sei cinto nella verità, se non salverai la verità davanti al Signore, nel senso di
salvare non solo quello che gli uomini ascoltano dalla voce, ma anche quello che Dio vede nel cuore. Niente di
36
H38Ps II,10 (398,2-9): Oportet iterum et cum lacrimis offerre orationem Deo et ex intimis viscerum penetralibus in
precem Domini commoveri, ut mens credens de iudicio futuro, recordationem delictorum suorum non absque lacrimis
et lamentatione recenseat, cum quis resolutus in lacrimis dicit ad Dominum: effundo in conspectu tuo orationem
meam (Sal 141[142], 3). Rufino rende qui «δέησιν» nel testo dei LXX con oratio, diversamente da Sal 38(39),13a,
dove troviamo le corrispondenze προσευχή = oratio, δέησις = deprecatio.
37
H38Ps II,10 (398,9-12). Sul frequente ricorso a Is 58,9 cf. L. PERRONE, La preghiera secondo Origene, cit., 446ss.
38
Sal 27(28),1b ricorre anche in FrPro 12 (PG 17,192D,1-7), un testo di attribuzione origeniana non sicura: μήποτε
παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ, φησὶν ὁ Δαυΐδ, καὶ ὁμοιωθήσομαι τοῖς καταβαίνουσιν εἰς λάκκον. Ἀνὴρ παράνομος
παρασιωπηθήσεται ὑπὸ τοῦ Θεοῦ, τουτέστι μισηθήσεται, καὶ οὐκ ἐλεηθήσεται, ὅταν τὰ γέρα τοῖς τὴν χάριν τῆς
ἐνσάρκου οἰκονομίας αὐτοῦ δεξαμένοις ἀπονέμῃ, καθά φησιν ἐν Εὐαγγελίοις, καὶ χάριν ἀντὶ χάριτος.
91
ADAMANTIUS 20 (2014)
falso ci sia sulla lingua, nulla di finto nel cuore, secondo ciò che dice in merito il profeta: parlano di pace al loro
prossimo, ma nel cuore c’è malizia»39.
In questo caso, l’interesse non è dettato però dal motivo della preghiera bensì dalla lezione morale
ricavabile dal salmo.
I frammenti catenari su Sal 27(28)
A compensare le poche, seppure non irrilevanti, citazioni del nostro salmo nell’opera di Origene
contribuiscono i frammenti pervenutici attraverso le catene. L’attestazione più cospicua è quella
trasmessa dalla Catena Palestinese sui Salmi, il cui primo tomo su Sal 1-50 risulta essere il meglio
conservato e il più attendibile, essendo gli excerpta ricavati direttamente sul testo originale40. A questo
proposito, prima di esaminarli nel dettaglio conviene porsi ancora una questione preliminare: da quale
scritto provengono i testi di sicura attribuzione origeniana o presumibili come tali? Si tratta di
frammenti tratti da un commento ai salmi o invece da uno scritto non equiparabile ad un
commentario? Naturalmente, non è possibile rispondere con precisione a queste domande, anche alla
luce del dibattito che ha diviso gli studiosi in merito alla tesi di Pierre Nautin, la più circostanziata che
sia stata formulata sull’argomento. Nautin ha infatti sostenuto l’esistenza di ben tre commentari sul
Salterio, il primo dei quali venne composto quando Origene si trovava ancora ad Alessandria (il
Commento sui Salmi 1-25 menzionato da Eusebio); passato a Cesarea, egli ne avrebbe redatti altri due, il
primo essendo incompleto e il secondo spiegando invece piuttosto sinteticamente, in forma di scolî,
l’intero Salterio. I Commentarioli in Psalmos di Gerolamo, anche per ammissione dell’autore,
rispecchierebbero da vicino l’ultimo di tali commentari origeniani. Questa ricostruzione, però, come
anche la restituzione ad Origene da parte di Vittorio Peri dei Tractatus in Psalmos di Gerolamo
continuano a restare controverse41.
L’incertezza perdurante sul profilo specifico degli scritti consacrati da Origene al Salterio dipende in
particolare dalle diverse interpretazioni che sono state date al catalogo delle sue opere nell’Epistola 33 di
Gerolamo. Ora, l’elenco degli scritti sui salmi comprende tomi e omelie: se nella lista dei tomi non
troviamo nessun commentario specificamente dedicato al nostro salmo, abbiamo invece l’indicazione
di un’omelia (In Psalmum XXVII homilia una) 42 . Può dunque essere che i frammenti a nostra
conoscenza derivino da essa, né mancano nel corso dell’esegesi – come osserveremo fra breve – tratti
suscettibili di corroborare l’idea che ci troviamo davanti ad un testo omiletico. Tuttavia, non è detto che
l’elenco di Gerolamo sia completo. Il salto nella lista dei commentari da Sal 24(25) a Sal 38(39) potrebbe
anche essere frutto di una lacuna della tradizione, tanto più facile a prodursi in un corpus di così vaste
proporzioni come dovette essere quello dei tomi origeniani sul Salterio43. A giudizio di Devreesse, gli
autori di catene avrebbero operato in genere le loro selezioni a partire dai commenti, anziché dalle
39
HIos V,2 (trad. Origene. Omelie su Giosuè, a cura di R. SCOGNAMIGLIO e M.I. DANIELI, Roma 1993, 96).
Sul valore del nostro testimone migliore, il Cod. Baroccianus 235, si veda da ultimo B. VILLANI, Zur
Psalmenauslegung des Origenes: Einige Beobachtungen am Beispiel von Psalm 2, in Orig. X, 491-506. Come rilevato da
Carmelo Curti, «questo eccellente testimonio è viziato da parecchie lacune che interessano Pss 7-8; 27-28; 32-33; 3538 e che fortunatamente sono sanate dagli altri mss., grazie ai quali è dato ricostituire la totalità del testo perduto»
(C. CURTI – M. A. BARBÀRA, Catene esegetiche greche, cit., 623).
41
P. NAUTIN, Origène, cit., 261-292 (Cap. VII: «Les trois commentaires du Psautier»). Critiche a questa ipotesi sono
state espresse da M.-J. RONDEAU, Les commentaires patristiques du Psautier (IIIe-Ve siècles). I: Les travaux des Pères
grecs et latins sur le Psautier. Recherches et bilan, Roma 1982, che propende alla fine per un non liquet (51). Per una
visione sintetica della posta in gioco, anche a fronte degli studi di Peri sui Tractatus in Psalmos di Gerolamo e sulla
loro ascendenza origeniana (V. PERI, Omelie origeniane sui Salmi. Contributo all’identificazione del testo latino, Città
del Vaticano 1980), cf. E. PRINZIVALLI, Salmi (scritti esegetici su), in Origene: Dizionario. La cultura, il pensiero, le
opere, a cura di A. MONACI CASTAGNO, Roma 2000, 422ss.
42
Si veda rispettivamente P. NAUTIN, Origène, cit., 249 e 258.
43
Ad es., in CRm IV 1 (HAMMOND BAMMEL, 281) Origene afferma di aver già fornito un’interpretazione di Sal 31
(32), cum de psalmis per ordinem dictaremus, il che farebbe pensare ad un commentario sistematico. A sua volta, CC
VII 31 (KOETSCHAU, 182,3-9) rimanda ad un tomus su Sal 47.
40
92
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
omelie44. Ma è un’affermazione che sembra presumere una diversità di profilo troppo pronunciata fra
commentari ed omelie, mentre nel caso dell’Alessandrino può risultare talvolta piuttosto labile e
problematica. Lo dimostra del resto, senza più ombra di dubbio, la scoperta delle omelie sui Salmi nel
Cod. Monac. Graec. 314, che hanno fornito abbondanti materiali ai catenisti.
In assenza di un’edizione critica dei frammenti catenari, l’analisi che segue non può che considerarsi
parziale e provvisoria, se non avventurosa. Essa si basa infatti sui testi delle edizioni attualmente
accessibili (in primis, i frammenti origeniani preservati da PG 12 e PG 17, oltre che dagli Analecta Sacra
di Pitra), limitandosi per il momento ai testi considerati autentici dai repertori che si sono sforzati di
classificare e vagliare criticamente le nostre testimonianze. Grazie ai riscontri effettuati, in particolare,
da Devreesse e Mühlenberg, possiamo fornire il seguente prospetto di FrPs 27. Di ciascun frammento
diamo per comodità una numerazione progressiva (che combacia tendenzialmente con la
classificazione di Mühlenberg, in parte diversa da Devreesse), indicando successivamente l’incipit e
l’explicit, la tradizione manoscritta, le edizioni a stampa e i riferimenti nei repertori, e disponendo
l’insieme dei dati secondo gli stichi del salmo. Le occasionali diversità coi testi a stampa sono il frutto di
una collazione ancora parziale dei manoscritti, grazie all’aiuto di Barbara Villani Hanus.
Sal 27(28),1
Fr. 1:
Τῶν πρὸς τὸν Θεὸν βοώντων – καὶ τυφλοῖς ἀνάβλεψιν.
Barocc. 235, ff. 255-256
Vat. gr. 1789, ff. 143-144
BARBARO, 244
CORDIER, 482
PG 12,1284A,4-1285A,2
PG 17,116C,2-117A,1445
DEVREESSE, 13
MÜHLENBERG III, 166 (1)
Sal 27(28),2a
Fr. 2:
̓Εμοὶ δοκεῖ διαφέρειν – τότε εὐχαριστῶ τῷ Θεῷ.
Barocc. 235, f. 257r.v
Vat. gr. 1789, ff. 144v-145
BARBARO, 245-246
PG 12,1285A,10-B,3
PG 17,117B,10-15
DEVREESSE, 1346
MÜHLENBERG III, 167 (4)
Sal 27(28),2b
Fr. 3:
Πολλάκις ἐλέγομεν – ὁ ναὸς τοῦ Θεοῦ δόξα ἐστὶ τοῦ
Θεοῦ.
Barocc. 235, f. 257r.v
44
R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs grecs des Psaumes, cit., 2: «Eusèbe excepté, ce n’est pas aux homélies
qu’ont puisé les plus anciens auteurs qui nous ont transmis quelques fragments de l’œuvre d’Origène sur le Psautier,
mais bien aux ‘tomes’». E. MÜHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Katenenüberlieferung, III, Berlin 1978, 44, lo
ritiene più prudentemente come «wahrscheinlich».
45
Fr. parziale rispetto al testo corrispondente di PG 12. Come ricorda R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs
grecs des Psaumes, cit., 6, esso è tratto dal codice Marc. 17 (= Venet. 17 in G. KARO – H. LIETZMANN, cit., 27: Typus
3).
46
R. DEVREESSE considera i frr. 2-3 come un unico frammento.
93
ADAMANTIUS 20 (2014)
Vat. gr. 1789, ff. 144v-145
BARBARO, 245-246
PG 12,1285B,4-C,4
PG 17,117B,11-C,1
DEVREESSE, 13
MÜHLENBERG III, 167 (4)
Sal 27(28),3a-b
Fr. 4:
Τίς χρεία ταῦτα λέγεσθαι – προσέθηκεν.
Vat. gr. 1789, f. 145r.v
Bucur. Acad. 931, f. 212
Athon. Iber. 597, ff. 164v-165
CORDIER, 482-483
PG 12,1285D,3-1288B,2
DEVREESSE, 1347
MÜHLENBERG III, 167 (9)
Sal 27(28),3c-d
Fr. 5:
Σφόδρα γὰρ ἀσεβεῖς – ἐν τῇ καρδίᾳ ἑαυτῆς.
Mss.: cf. Fr. 4
CORDIER, 483
PG 12,1288B,4-11
DEVREESSE, 13
MÜHLENBERG III, 167 (10)
Sal 27(28),4
Fr. 6:
Διδασκόμεθα ὑπὸ τοῦ λόγου – ἀνταπόδομα α ὐτῶν
αὐτοῖς.
Vat. gr. 1789, f. 145v
Bucur. Acad. 931, f. 212v
Athon. Iber. 597, f. 165
CORDIER, 48348
PG 12,1288C,8-13
Sal 27(28),5
DEVREESSE, 13
MÜHLENBERG III, 167 (12)
Fr. 7:
Οὐδεὶς γὰρ μὴ νοήσας – κολαζέσθωσαν.
Vat. gr. 1789, f. 146
Bucur. Acad. 931, f. 213
Athon. Iber. 597, f. 165v
PITRA III, 2, 9-17
DEVREESSE, 13
47
R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs grecs des Psaumes, cit., 13: «Le passage reproduit dans P.G. (XII, 1285 D
4-1288 B 11) vient de Cordier, le Barocc. étant mutilé dès les premiers mots. L’ensemble est à compléter et à corriger
d’après Vat. 1789, f. 145r.v; Bucurest. Acad. 931, f. 212; Athon. Iber. 597, ff. 164v-165. Sur les vv. 2 et 3, cf. MERCATI,
Note, cit., 52s. 4-5». Anche in questo caso, diversamente da Mühlenberg, Devreesse considera i frr. 4-5 come un unico
fr.
48
Fr. anonimo.
94
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
MÜHLENBERG III, 167 (17)
Sal 27(28),6-7
Fr. 8:
Εὐξάμενος κακὰ – σωτήριον τοῦ Θεοῦ.
Vat. 1789, f. 146 v
Bucur. Acad. 931, f. 213 v
Athon. Iber. 597, f. 165v
PITRA III, 2, 23-29
DEVREESSE, 13
MÜHLENBERG III, 167 (20)
Sal 27(28),1
Il Fr. 1 del nostro elenco si presenta come il più cospicuo di tutti. Esso consente di verificare
l’attribuzione a Origene su una base più ampia e di confermarla in sostanza per il contenuto se non per
la lettera del testo. Vi ritroviamo infatti motivi e accenti che sono ben noti e familiari dal resto della sua
opera. Il commento affronta in tre tempi l’esegesi di Sal 27(28),1 enucleando senza soluzione di
continuità tre motivi collegati fra loro: a) la preghiera come ‘grido’; b) l’ascolto di Dio; c) la ‘fossa’ dei
peccatori. Il lemma, riportato in apertura per il v. 1a-b, e completato al momento di passare al
commento del v. 1d con la ripresa di v. 1c – che ripete in parte v. 1b –, si può ricomporre come segue,
senza volere con ciò dirimere la questione in qual misura risalga ad Origene stesso o sia invece frutto
delle inserzioni del catenista:
1a
Πρὸς σέ, Κύριε, κεκράξομαι [ἐκέκραξα Ο’]49,
ὁ Θεός μου, μὴ παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ
1c
μήποτε παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ
1d
καὶ ὁμοιωθήσομαι τοῖς καταβαίνουσιν εἰς λάκκον.
1b
A te, Signore, griderò [ho gridato LXX]:
Dio mio, non stare in silenzio con me,
che tu non stia in silenzio con me!
Perché diventerei simile a quelli che scendono nella fossa.
Il testo del frammento, edito sia in PG 12 che in PG 17, si presenta nel secondo caso in una forma
abbreviata, che depone a favore dell’autenticità del testo lungo tratto dalla Catena palestinese. Ma
neppure per quest’ultimo è possibile escludere che abbia subito dei tagli o degli adattamenti. Il
confronto sinottico evidenzia in ogni caso gli elementi di continuità fra le due versioni (i luoghi paralleli
nel testo breve sono evidenziati in grassetto). Essa è manifesta per gran parte del commento a Sal
27(28),1d, dove le diversità fra le due versioni appaiono minime, mentre la parte iniziale è
maggiormente caratterizzata dalle differenze. Si noterà così l’assenza del brevissimo preambolo che
introduce, nel frammento lungo, la distinzione sulla richiesta dei beni terreni o di quelli celesti (τῶν
πρὸς τὸν Θεὸν βοώντων καὶ ἀναφερόντων τὰς εὐχάς) e l’enunciazione più sommaria circa l’uso
scritturistico del termine ‘gridare’ per la preghiera dei santi ([PG 12] ὅθεν πολλάκις λέγεται ἐν ταῖς
Γραφαῖς περὶ τῶν ἁγίων, ὅτι πρὸς τὸν Θεὸν ἐκέκραξαν // [PG 17] ὅθεν ἐν ταῖς Γραφαῖς οἱ ἄγιοι πρὸς
τὸν Θεὸν ἐκέκραξαν). Manca inoltre nel secondo l’esortazione dal sapore ‘omiletico’, contenente
l’invito a far proprio il paradosso della preghiera ‘urlata’ (πειράσθω τοίνυν ἕκαστος εὔχεσθαι τῷ Θεῷ
κεκραγὼς καὶ παραδοξότερον ἐρῶ πῶς κεκραγώς). Il testo breve tralascia poi, almeno in parte, di
precisare le condizioni spirituali alle quali Dio ‘parla’ ai santi dell’Antico Testamento come Mosè,
49
Il futuro perfetto κεκράξομαι è la lezione del Codex Sinaiticus e del Codex Alexandrinus. Si noti il ricorso
dell’aoristo forte ἐκέκραξα nel commento (1284A,10). L’alternanza di futuro perfetto e aoristo forte di κράζω figura
anche nel luogo parallelo di Sal 29(30),3: Κύριε ὁ Θεός μου, ἐκέκραξα πρὸς σέ»; 9: «Πρὸς σέ, Κύριε, κεκράξομαι καὶ
πρὸς τὸν Θεόν μου δεηθήσομαι.
95
ADAMANTIUS 20 (2014)
Aronne e Giosuè (τοιοῦτοι γὰρ ἦσαν ἵνα λαλῇ πρὸς αὐτοὺς ὁ Θεός). Ancora, il sostegno scritturistico
per l’idea dell’‘ascolto’ interiore di Dio è prodotto nella versione ampia tramite un lemma introduttivo
che sembra più consono allo stile argomentativo di Origene e potrebbe rinviare ulteriormente ad uno
sfondo omiletico (οὕτως ἄκουε τοῦ, Ἐλάλησεν ὁ Θεὸς πρὸς τὸν δεῖνα. Ὅτι δὲ τοῦθ’ οὕτως ἔχει, ἄκουε
τῆς Γραφῆς α ὐτῆς μαρτυρούσης). Infine, anche la specificazione di tale ‘udito’ quale “senso divino”
interviene come esplicitazione coerente, anziché sdoppiarsi in due termini, associati per semplificazione
dalla versione breve ([PG 12]ἔχομεν ἄλλην ἀκοὴν ἀκούουσαν λόγον Θεοῦ. Θεία ἐστὶν ἡ αἴσθησις ἐκείνη
ἡ οὕτω παρὰ Σολομῶντι ὀνομαζομένη // [PG 17] ἔχομεν δ ὲ ἄλλην ἀκοὴν κα ὶ θείαν α ἴσθησιν, κατ ὰ
Σολομῶντι, λόγου Θεοῦ ἀκούουσαν).
C’è ancora da dire che tra i frammenti ricondotti da Barbaro e Pitra ad Origene figura una definizione
del significato di λάκκος, ‘fossa’ (Sal 27[28],1d): nel frammento più ampio di PG 12 fa da raccordo fra la
prima e la seconda parte del commento al v. 1, laddove essa introduce le succinte glosse edite da Pitra.
Benché la definizione non sia priva di possibili agganci con l’esegesi dell’Alessandrino, essa si presenta
slegata rispetto al contesto dell’argomentazione origeniana e ai temi accennati in essa50. Del resto,
Marie-Josèphe Rondeau ha segnalato che si tratta di un testo estrapolato da un excerptum più ampio
degli Scolî sui Salmi di Evagrio Pontico51.
PG 12 (1284 A 4-1285 A 2)
Τῶν πρὸς τὸν Θεὸν βοώντων καὶ ἀναφερόντων τὰς
εὐχάς, εἰ μὲν τὰ ἐπίγειά τις αἰτεῖ, ἐστὶν ἡ φωνὴ αὐτοῦ
βραχεῖα· εἰ δὲ τὰ ἐπουράνιά τις αἰτεῖ, βοᾷ. Ὅθεν
πολλάκις λέγεται ἐν ταῖς Γραφαῖς περὶ τῶν ἁγίων, ὅτι
πρὸς τὸν Θεὸν ἐκέκραξαν.
Πειράσθω τοίνυν ἕκαστος εὔχεσθαι τῷ Θεῷ κεκραγὼς
καὶ παραδοξότερον ἐρῶ πῶς κεκραγώς.
Εἰσελθὼν εἰς τὸ ταμεῖον αὐτοῦ κλείει τὴν θύραν (cf. Mt
6,6), καὶ οὕτως κέκραγε πρὸς τὸν Θεόν· μὴ
παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ (Sal 27[28],1b).
Θεὸς ἀναγέγραπται λελαληκέναι πρὸς Μωϋσέα, κα ὶ
πρὸς Ἀαρὼν, καὶ πρὸς ̓Ιησοῦν τοῦ Ναυῆ. Τοιοῦτοι γὰρ
ἦσαν ἵνα λαλῇ πρὸς αὐτοὺς ὁ Θεός.
Καὶ διὰ τῶν προφητῶν, ὅτε ὁ λαὸς ἦν το ῦ Θεοῦ, ο ὐκ
ἐσιώπα.
Καὶ μὴ νομίσωμεν ἔξωθεν ἡμῖν λαλεῖν τ ὸν Θεόν· ἀλλὰ
γὰρ τὰ ἀναβαίνοντα ἡμῶν ἐπὶ τὴν καρδίαν ἅγια ἐκεῖνά
ἐστιν ἃ λαλεῖ ἡμῖν ὁ Θεός. Οὕτως ἄκουε τοῦ, ̓Ελάλησεν
ὁ Θεὸς πρὸς τὸν δεῖνα. Ὅτι δὲ τοῦθ’ οὕτως ἔχει, ἄκουε
τῆς Γραφῆς αὐτῆς μαρτυρούσης· μακάριος ἀνὴρ οὗ ἐστιν
ἀντίληψις α ὐτοῦ παρὰ σου, Κ ύριε, ἀναβάσεις ε ἰς τ ὴν
καρδίαν αὐτοῦ (Sal 83[84], 6).
PG 17 (116 C 2-117 A 14)
Εἰ μὲν ἐπίγειά τις αἰτεῖται παρὰ Θεοῦ, βραχείᾳ χρῆται
φωνῇ· εἰ δὲ τὰ ἐπουράνια, κράζει τε καὶ βοᾷ. Ὅθεν ἐν
ταῖς Γραφαῖς οἱ ἄγιοι πρὸς τὸν Θεὸν ἐκέκραξαν.
Κράζει δέ τις εἰσελθὼν εἰς τὸ ταμεῖον ἑαυτοῦ,
καὶ κλείσας τὴν θύραν (cf. Mt 6,6).
Οὐ παρασιωπᾷ δὲ τοῖς ἁγίοις ὁ Θεός. ̓Ελάλει γοῦν
Μωσῇ, καὶ ̓Ααρών, καὶ ̓Ιησοῦ τῷ τοῦ Ναυῆ. ̓Ελάλει καὶ
διὰ προφητῶν, ἡνίκα ἦν ὁ λαὸς αὐτοῦ.
Ἃ δὲ λαλεῖ ὁ Θεός, οὐκ ἔξωθέν ἐστιν, ἀλλὰ τὰ ἅγια, τὰ
ἐπὶ τὴν καρδίαν ἡμῶν ἀναβαίνοντα, κατὰ τό·
μακάριος ἀνὴρ ο ὗ ἐστιν ἀντίληψις α ὐτοῦ παρὰ σου,
Κύριε, ἀναβάσεις εἰς τὴν καρδίαν αὐτοῦ (Sal 83[84], 6).
Ἔχομεν ἄλλην ἀκοὴν ἀκούουσαν λ όγον Θεοῦ. Θεία
ἐστὶν ἡ αἴσθησις ἐκείνη ἡ οὕτω παρὰ Σολομῶντι
ὀνομαζομένη (cf. Pr 2,5), ἡ ἀκούουσα λ όγου Θεοῦ,
ἀνακεκραμένη αὐτῷ καὶ ἡνωμένη.
Ἔχομεν δὲ ἄλλην ἀκοὴν καὶ θείαν α ἴσθησιν, κατὰ
Σολομῶντι (cf. Pr 2,5), λ όγου Θεοῦ ἀκούουσαν,
ἡνωμένην αὐτῷ.
ὁ Θεός οὖν μου, φησίν, μὴ παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ καὶ
ὁμοιωθήσομαι, φησίν, τοῖς καταβαίνουσιν ε ἰς λ άκκον
ᾯ δὲ παρασιωπᾷ Θεός, ὁμοιοῦται τοῖς καταβαίνουσιν εἰς
λάκκον (Sal 27[28],1d).
50
BARBARO 244 inserisce una definizione che non figura nel greco di PG 12, ma corrisponde in parte a PITRA III,2,2:
lachi mentis ignorantia est, in quam ille incidit, cui Dei sapientia tacet, nec dicit: Ecce adsum (Is 58, 9). Animae uero
lacum est uitium. Sulla definizione di Eusebio, che collega Sal 27(28), 1d con Sal 29(30),4 (ἔσωσάς με ἀ πὸ τῶν
καταβαινόντων εἰς λάκκον), si veda infra, n. 79. La citazione di Is 58, 9 figura anche nel commento eusebiano al v. 6.
51
M.-J. RONDEAU, Le commentaire sur les Psaumes d’Évagre le Pontique, OCP 26 (1960) 307-348, 331. L’Autrice si
basa sulla testimonianza del Vat. gr. 754.
96
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
(Sal 27[28],1b.d).
[Τοῦ νοῦ λάκκος ἡ ἄγνοιά ἐστιν, εἰς ἣν ἐμπίπτει,
παρασιωπησάσης αὐτῷ τῆς τοῦ Θεοῦ σοφίας, καὶ μὴ
λεγούσης τό· ἰδοῦ πάρειμι (Is 58, 9)]52.
Οὐδένα τῶν ἁγίων οἴδαμεν λάκκον ὀρύξαντα·
ἀλλ’ εἴποτε ἅγιος χρείαν ἔσχεν ὕδατος, φρέαρ ὤρυξε.
Καὶ Σολομὼν ἐντέλλεται ἀπὸ φρεάτων πίνειν· ὁ δὲ
προφήτης ἀπειλεῖ τοῖς πίνουσιν ἐκ λάκκου, λέγων ὡς ἐκ
προσώπου τοῦ Θεοῦ· ἐμὲ ἐγκατέλιπον πηγὴν ὕδατος
ζῶντος, καὶ ὤρυξαν ἑαυτοῖς λάκκους συντετριμμένους
(Ger 2,13).
Οὐδένα γὰρ τῶν ἁγίων ἴσμεν λάκκον ὀρύξαντα· φρέαρ
δὲ ὤρυττεν ὁ δεόμενος ὕδατος. ̓Εντέλλεται καὶ ὁ
Σολομῶν ἀπὸ φρεάτων πίνειν. Θεὸς δὲ διὰ τοῦ
προφήτου τοῖς ἐκ λάκκων πίνουσιν ἀπειλεῖ, λέγων· ἐμὲ
ἐγκατέλιπον πηγὴν ὕδατος ζῶντος, καὶ ὤρυξαν ἑαυτοῖς
λάκκους συντετριμμένους (Ger 2,13).
Μήποτε παρασιωπήσῃς ἀπ’ ἐμοῦ καὶ ὁμοιωθήσομαι τοῖς
καταβαίνουσιν εἰς λάκκον (Sal 27[28],1 d).
Ἀλλ’ ὅπως ἴδωμεν τίνες οἱ καταβαίνοντες εἰς λάκκον, ἡ
ἱερὰ Γραφὴ τὰ θεῖα λέγει εἶναι θερμά, τὰ δὲ τῆς
ἁμαρτίας καὶ τῆς ὕλης πράγματα ψυχρά. Ἐκεῖ οἰκεῖ καὶ ὁ
πολέμιος τῶν ἀνθρώπων δράκων, ὃς ὠνομάσθη ψυχρός.
Οὐδὲν γὰρ τῶν ἐπὶ γῆς ζῶόν ἐστι ψυχρόν, ὡς ὁ δράκων.
Πᾶσα οὖν ἁμαρτία ψυχρά ἐστι· τὰ δὲ θεῖα, ὡς ἔοικε,
θερμά.
Ὁ ποιῶν τοὺς ἀγγέλους αὐτοῦ πνεύματα καὶ τοὺς
λειτουργοὺς αὐτοῦ πυρὸς φλόγα (Sal 103[104],4)· καὶ,
Πῦρ ἦλθον βαλεῖν ἐπὶ τὴν γῆν (Lc 12,49)· καὶ, Τῷ
πνεύματι ζέοντες (Rm 12,11).
Πῶς δὲ οἱ ἁμαρτωλοὶ παρὰ λάκκοις εἰσίν, ἄκουε. Ἐν τῇ
Ἐξόδῳ γέγραπται· ἀπέκτεινεν ὁ Θεὸς ἀπὸ πρωτοτόκου
Φαραώ, ὃς κάθηται ἐπὶ τοῦ θρόνου ἕως πρωτοτόκου τῆς
αἰχμαλωτίδος τῆς ἐν τῷ λάκκῳ (Es 12,29). Οὕτως οἱ
καταβαίνοντες εἰς λάκκον ἁμαρτωλοί εἰσι καὶ
αἰχμάλωτοι. Ἀλλ’ ὁ ἀγαθὸς Θεὸς καὶ τούτους καλεῖ, καὶ
κηρύσσει αὐτοῖς ἄφεσιν· πνεῦμα γὰρ Κυρίου ἐπ’ ἐμέ, οὗ
ἕνεκεν ἔχρισέ με, εὐαγγελίσασθαι πτωχοῖς· ἀπέσταλκέ με,
κηρύξαι αἰχμαλωτοις ἄφεσιν καὶ τυφλοῖς ἀνάβλεψιν (Is
61,1 = Lc 4,18).
Καταβαίνουσι εἰς λάκκον οἱ τὰ ψυχρὰ τῆς ὕλης
περιέποντες πράγματα· ἔνθα καὶ τῶν ἀνθρώπων ὁ
πολέμιος δράκων, ὃς καὶ ψυχρὸς ὠνόμασται, κατοικεῖ.
Πάντων γὰρ ζώων, τῶν ἐπὶ γῆς, ὁ δράκων ψυχρότερος.
Πᾶσα οὖν ἁμαρτία ψυχρά· τὰ δὲ θεῖα, ὡς ἔοικε, θερμά.
Ὁ ποιῶν τοὺς ἀγγέλους αὐτοῦ πνεύματα καὶ τοὺς
λειτουργοὺς αὐτοῦ πυρὸς φλόγα (Sal 103[104],4)· καὶ,
Πῦρ ἦλθον βαλεῖν ἐπὶ τὴν γῆν (Lc 12,49)· καὶ, Τῷ
πνεύματι ζέοντες (Rm 12,11). Ὅτι δὲ οἱ ἁμαρτωλοὶ
παρὰ λάκκοις εἰσίν, ἐν τῇ Ἐξόδῳ φησίν· ἀπέκτεινεν ὁ
Θεὸς ἀπὸ πρωτοτόκου Φαραώ, ὃς κάθηται ἐπὶ τοῦ
θρόνου ἕως πρωτοτόκου τῆς ἀιχμαλωτίδος τῆς ἐν
λάκκῳ (Es 12,29). Οὕτως οἱ καταβαίνοντες εἰς λάκκον
ἁμαρτωλοί εἰσι καὶ αἰχμάλωτοι. Ἀλλ’ ὁ ἀγαθὸς Θεὸς
καὶ τούτους καλεῖ, καὶ δίδωσιν ἄφεσιν· πνεῦμα γὰρ
Κυρίου ἐπ’ ἐμέ, οὗ ἕνεκεν ἔχρισέ με, εὐαγγελίσασθαι
πτωχοῖς ἀπέσταλκέ με, κηρύξαι αἰχμαλωτοις ἄφεσιν καὶ
τυφλοῖς ἀνάβλεψιν (Is 61,1 = Lc 4,18).
a) Il ‘grido’, ovvero la preghiera dei santi
Di fronte ad un salmo riconosciuto essenzialmente dall’esegesi antica come salmo di supplica (ma
comprensivo, in realtà, anche di elementi diversi agli occhi dell’esegesi odierna)53, l’interpretazione di
Origene si sviluppa a partire dal motivo del ‘grido’ (v. 1a: Πρὸς σέ, Κύριε, κεκράξομαι). Egli lo pone in
relazione con un detto extracanonico sul primato della richiesta delle ‘cose celesti’ (ἐπουράνια) rispetto
alle ‘terrene’ (ἐπίγεια). È un agraphon al quale si richiama in diverse occasioni, allorché costruisce il suo
modello di preghiera. Nel nostro frammento si limita ad alludervi, ma commentando Sal 4,4 lo cita per
52
Cf. PITRA III,2.
A titolo di esempio si veda la presentazione di L. ALONSO SCHÖKEL – C. CARNITI, I Salmi, ed. it. a cura di A. NEPI,
I, Roma 1992, 515: «In questa lirica, quasi tutto suona come convenzionale, ma è difficile inserire il salmo in un
genere determinato. A dominare sono i temi e le espressioni della supplica, con le motivazioni già note e il
ringraziamento anticipato; però, i vv. 8-9 escono fuori dallo schema». Già G. CASTELLINO, Libro dei Salmi, Torino
1955, 96, dopo aver segnalato il dibattito tra gli studiosi, divisi sull’«interpretazione del salmo come preghiera della
comunità» e favorevoli in prevalenza ad ascriverlo al genere della «lamentazione privata», ne proponeva una
divisione che contemplava elementi diversi: «1) v. 1, introduzione: invocazione e motivi di persuasione. 2) v. 2,
presentazione... 3) v. 3-5, preghiera contro i nemici... 4) v. 6-7, canto di ringraziamento... 5) v. 8-9, conclusione
liturgica (aggiunta)».
53
97
ADAMANTIUS 20 (2014)
intero come precetto del Signore sul giusto modo di pregare: «Chiedete le cose grandi e le piccole vi
saranno date in aggiunta; chiedete le cose celesti e le terrene vi saranno date in aggiunta»54. Solo se si
domandano i beni celesti, ci si pone nella condizione di colui che è capace di ‘gridare’ a Dio, come è
l’orante del nostro salmo, mentre supplicando per i beni terreni la voce resta ‘piccola’ (βραχεῖα). Pur
senza interrogarsi sulla persona del locutore, Origene dà indirettamente la risposta: questo modo di
pregare – il ‘grido’ che esprime la supplica per i beni spirituali – è proprio dei ‘santi’. Analogamente al
Trattato sulla preghiera, il protagonista orante di Sal 27(28) rimanda alla figura ideale del ‘santo’ o del
‘giusto’ come il soggetto capace di dare piena attuazione alla preghiera spirituale. Nel seguito del fr. 1
questa identificazione del locutore nei ‘santi’ viene ribadita attraverso le figure dei profeti e del popolo
che parlano con Dio, a patto di partecipare di una condizione di santità, ed è riproposta al v. 1d per
contrasto con la sorte di «coloro che cadono nella fossa», cioè i peccatori (οὐδένα τῶν ἁγίων οἴδαμεν
λάκκον ὀρύξαντα).
Diversamente da altri luoghi di FrPs (sempre che non abbiamo a che fare con una versione abbreviata),
il nostro testo non si dà premura di approfondire il tema biblico del ‘grido’. Esso accenna soltanto alla
consuetudine delle Scritture di designare con tali espressioni la preghiera dei santi, senza fornire esempi
al riguardo. Origene, che tratta l’argomento in varî scritti, l’affronta in particolare nei commenti ai
salmi, dove il motivo è spesso suggerito dal tenore stesso dei testi. Tuttavia, egli ne estende la portata in
senso volutamente paradossale facendo di tale ‘grido’ la manifestazione più alta della preghiera
silenziosa, per contrasto con quella vocale. L’applicazione più inconsueta ed estensiva dell’immagine
compare in apertura, a commento di Sal 1,2b (καὶ ἐν τῷ νόμῳ αὐτοῦ μελετήσει ἡμέρας καὶ νυκτός [«e
nella sua legge mediterà giorno e notte»]), dove la costante ‘meditazione’ della legge significa la
trasformazione dell’intera esistenza in una ‘preghiera ininterrotta’, conformemente alla
raccomandazione di Paolo in 1 Ts 5,17; così facendo, il perfetto ‘grida’ a Dio con tutta la sua vita55. In
generale, però (come avviene nel seguito del frammento), introducendo questo motivo l’Alessandrino si
sofferma sul manifestarsi della preghiera silenziosa, sulle modalità e i fattori che la determinano e la
sorreggono. Egli sfrutta nuovamente in questo senso Mt 6,6, luogo-chiave per l’illustrazione dell’atto
orante, leggendovi un invito a ritirarsi nella ‘cameretta’ della propria interiorità e a disporsi in tal modo
al colloquio con Dio, argomento del secondo tratto dell’esegesi origeniana di Sal 27(28),1.
Ben più ricca ed approfondita ci appare l’interpretazione attestata altrove dai commenti a diversi salmi
che ci consente di meglio apprezzare il rilievo del breve spunto introdotto dal nostro frammento. Così,
la spiegazione di Sal 3,5 (φωνῇ μου πρὸς Κύριον ἐκέκραξα [«Con la mia voce ho gridato al Signore»])
porta Origene a riflettere sulla preghiera come ‘grido’, in quanto essa è animata interiormente dallo
Spirito. Distinguendo qui tra la ‘voce’ (φωνή) e il ‘grido’ (κραυγή) dell’anima, egli indica nel secondo
l’innalzamento di questa stessa voce ‘intelligibile’ (νοητή), che si rivolge a Dio presentandogli la
richiesta dei beni «più grandi»56. L’Alessandrino accosta dapprima le parole pronunciate da Gesù «ad
alta voce» in Gv 7,37 («Chi ha sete venga a me e beva») ai luoghi paolini di Rm 8,15 e Gal 4,8, secondo
cui è lo Spirito che «grida in noi: “Abbà, Padre!”»57. Con tale associazione Origene vuol fare intendere
54
FrPs 4,4: βραχεῖα δὲ πᾶσα φωνὴ ἡ περὶ τῶν ἐπιγείων καὶ μικρῶν καὶ ταπεινῶν διέξοδος καὶ αἴτησις ἀπὸ Θεοῦ· ἣν
ἀπαγορεύων ὁ Σωτὴρ προσφέρειν τῷ Πατρί φησιν· αἰτεῖτε τὰ μεγάλα, καὶ τὰ μικρὰ ὑμῖν προστεθήσεται· αἰτεῖτε τὰ
ἐπουράνια, καὶ τὰ ἐπίγεια προστεθήσεται ὑμῖν (PG 12,1141C,9-15). Cf. A. RESCH, Agrapha. Ausserkanonische
Schriftfragmente, Leipzig 1906, 111s., nr. 86; M. PESCE, Le parole dimenticate di Gesù, Milano 2004, 326-329.
Sull’importanza dell’agraphon nella riflessione dell’Alessandrino (Orat 2,2 e passim), si veda L. PERRONE, La
preghiera secondo Origene, cit., 60 e n. 169.
55
FrPs 1,2 (PG 12,1088B,11-14): ἀλλὰ καὶ ἐπὶ τούτου φαμέν· ὅτι κέκραγε πρὸς Θεόν. Καὶ αἰτεῖ αὐτὸν τὰ κάλλιστα
προκαλούμενος ἐπὶ τὸ παρασχεῖν ὁ τέλειος, πάντα κατὰ τὸν λόγον ποιῶν, ὥστε πᾶσαν αὐτοῦ πρᾶξιν εὐχὴν εἶναι.
56
FrPs 3,5 (PG 12,1124B,14-C,3): κατανοήσωμεν δὲ πρὸς λέξιν τὸ Φωνῇ μου πρὸς Κύριον ἐκέκραξα, καὶ τὸ ἑξῆς κατὰ
τὴν συνήθειαν τῆς Γραφῆς, καὶ τί τὸ πολλάκις γεγονέναι τοῖς ἁγίοις πρὸς τὸν Θεὸν εὐχὴν μετὰ κραυγῆς.
57
Ibid. (PG 12,1124C,3-15): ἐπιστησάτω δέ τις κατ’ αὐτὸ καὶ περὶ τοῦ ἑστῶτα κεκραγέναι τὸν Ἰησοῦν καὶ λέγειν· ἐάν
τις διψᾷ, ἐρχέσθω πρὸς μὲ καὶ πινέτω. Δίδωσι τοίνυν ἡμῖν ὁ ̓Απόστολος ἀφορμάς, εἰπὼν τὸ πνεῦμα καθολικῶς ἐν ταῖς
καρδίαις τῶν ἁγίων κράζειν Ἀββᾶ ὁ Πατήρ, ὡς ἔστι νοητὴ κραυγὴ ἐπιτεταμένη, ἥτις δή ἐστι φωνὴ ψυχῆς, ᾗ τάχα
χρῆται ἀποθεμένη τὸ ὄργανον δι’ οὗ τοιαῦτα φωνεῖ. Καὶ οἰόμεθά γε τὴν λογικὴν διέξοδον τὴν ἐν τῷ ἡγεμονικῷ κατ’
αὐτὸ γινομένην τὴν τῆς ψυχῆς εἶναι φωνήν· ἣ ἐὰν δὲ ᾖ πραγματικωτέρα καὶ περὶ μειζόνων τινῶν καὶ μὴ κάτω
98
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
che il primo modello di colui che prega è sempre Gesù orante, come afferma espressamente poco dopo,
asserendo che il Logos divino permane in questo ‘grido’, perché si trattiene costantemente a
comunicare «le dottrine più elevate». Egli rafforza l’idea col sostegno di Pr 9,4, dove la Sapienza – da
identificarsi «secondo l’ipostasi» al Logos di Dio – invita anch’essa a gran voce ad attingere alla coppa
dei suoi insegnamenti58. In tal modo, come precisa da parte sua il Commento a Giovanni a proposito
dello «stare in piedi» che accompagna il grido di Gesù in Gv 7,37, egli «‘sta’ […] nella sua funzione di
maestro»59.
L’accezione più prettamente ‘discorsiva’ della preghiera (espressa ripetutamente con l’ausilio del
termine διέξοδος) sembrerebbe costituire un tratto peculiare di FrPs diversamente dal ritegno
percepibile altrove in Origene a caratterizzarne il momento colloquiale tramite l’utilizzo della
definizione tradizionale di preghiera come ὁμιλία, ‘colloquio’ con Dio. Infatti, tornando sull’idea della
‘grande voce’ nel commento a Sal 4, 4b (κύριος εἰσακούσεταί μου ἐν τῷ κεκραγέναι με πρὸς αὐτόν [«il
Signore mi esaudirà, quando griderò a lui»]), l’Alessandrino, dopo averne escluso l’accezione fisica,
designa una orazione siffatta come «l’espressione (διέξοδος) pura e limpida delle parole innalzate a
Dio» dall’ ‘egemonico’, cioè dalla mente di colui che prega60. Tali spunti confluiscono nella trattazione
più diffusa della tradizione catenaria di FrPs, che incontriamo nel commentario a Sal 118(119). Origene
vi riprende il suo discorso sulla preghiera commentando il v. 145 (ἐκέκραξα ἐν ὅλῃ καρδίᾳ μου,
ἐπάκουσόν μου, Κύριε [«Ho gridato con tutto il mio cuore: “Esaudiscimi, Signore!»]), dove ribadisce
anzitutto che non di voce sonora si tratta, bensì ancora una volta della richiesta ispirata dal detto sui
beni ‘celesti e grandi’61. L’argomentazione scritturistica, oltre a rifarsi di nuovo a Gv 7,37, include
l’esempio di Abele (inusuale nella paradigmatica degli oranti biblici, ma proposto in termini analoghi
nell’Esortazione al martirio), il cui sangue ‘grida’ a Dio ‘dalla terra’ (Gn 4,10: «φωνὴ αἵματος τοῦ
ἀδελφοῦ σου βοᾷ πρός με ἐκ τῆς γῆς»). A parte il sinonimo verbale (βοᾶν) in comune col luogo
giovanneo, sfruttato ugualmente dall’Alessandrino per chiarire la semantica scritturistica del ‘grido’, è
la figura di Abele in quanto ‘giusto’ ad attirare qui il nesso col modello di orazione che ha come
soggetto precisamente colui che è δίκαιος62. Sulla stessa linea del nesso verbale segue l’esempio di Mosè
orante in Es 14,15 (τί βοᾶς πρός με; [«Perché gridi a me?»]), evocato ampiamente nei commentari e nei
trattati, soprattutto per l’episodio della battaglia fra Israele e Amalek (Es 17,11). Questo ricorso al
paradigma di Mosè conduce sempre Origene a riformulare il modello della preghiera spirituale come
constatiamo pure dal commento a Sal 118(119),145. Infatti, «quando diventiamo santi, abbiamo il grido
dentro» di noi: è la voce dello Spirito «che grida nei nostri cuori: “Abbà, Padre!”»63.
κειμένων καὶ ταπεινῶν διεξοδεύουσα, ἡ νοητὴ ἂν εἴη κραυγή. Anche CIo VI 18,100-101 associa il grido di Gesù in
Gv 7,37 alla «voce intelligibile di coloro che pregano» (tr. E. CORSINI, 318).
58
FrPs 3,5 (PG 12,1124C,15-1125A,7): Ταύτην δὲ τὴν κραυγὴν ἐν μεγάλοις δόγμασιν ἀεὶ διεξοδεύει καὶ ὁ Σωτήρ·
οὕτω δὲ ἔστηκεν ὁ Λόγος τοῦ Θεοῦ ἀεὶ κεκραγώς, ὡς καὶ παρὰ τῷ Σολομῶντι ἡ σοφία, ἥτις ἡ αὐτὴ ὑπάρχει τῷ Λόγῳ
τοῦ Θεοῦ κατὰ τὴν ὑπόστασιν, καλοῦσα μετὰ ὑψηλοῦ κηρύγματος ἐπὶ κρατῆρα, λέγουσα· ὅς ἐστιν ὑμῶν ἄφρων,
ἐκκλινάτω πρός με· ἐνδέεσι δὲ φρενῶν παρακελεύομαι λέγουσα· Ἔλθετε, φάγετε τῶν ἐμῶν ἄρτων, καὶ πίετε οἶνον ὃν
κεκέρακα ὑμῖν (Pr 9, 4-5). Sul ‘grido’ del maestro si soffermano anche FrIo 10 e 115.
59
CIo VI 38,193: ἕστηκεν δὲ καὶ διδάσκων, προκαλούμενος πάντας ἐπὶ τὸ πίνειν ἀπὸ τῆς ἀφθόνου πηγῆς αὐτοῦ (tr.
E. CORSINI, 346). Anche FrPs 118,145 fa rientrare Gv 7,37 nel discorso sulla preghiera.
60
FrPs 4,4 (PG 12,1141B,9-13): μεγάλη φωνὴ ἡ φθάνουσα πρὸς Θεὸν οὐχ ἡ παρὰ τοῖς ἀνθρώποις ἐστὶ γεγωνυῖα καὶ
ἐπιτεταμένη κατὰ τὴν μείζονα πληγὴν τοῦ ἀέρος, ἀλλ’ ἡ τοῦ ἡγεμονικοῦ καθαρὰ καὶ ἀθώλοτος διέξοδος τῶν πρὸς
Θεὸν ἀναπεμπομένων λόγων. Cf. anche l’uso del verbo διεξοδεύεω in FrPs 3,5 (n. 58). Per un approfondimento su
questi passi e il tema della preghiera silenziosa si veda L. PERRONE, La preghiera secondo Origene, cit., 466-475. Si
rammenti che διέξοδος è assente dal vocabolario di Orat.
61
FrPs 118,145 (420): οὐκ ἡ κραυγὴ μεγάλη ἐστὶ φωνή, ἀλλ’ ἡ διὰ τὸ μέγεθος τῶν σημαινομένων ὑπ’ αὐτῆς τῷ
Θεῷ. ̔Ο γὰρ δίκαιος μεγάλην ἀποτελεῖ πρὸς Θεὸν φωνήν, αἰτῶν ἐπουράνια καὶ μεγάλα.
62
Ibid. (420): οὕτω καὶ ὁ δίκαιος Ἄβελ ἀποθανῶν λαλεῖ· φωνὴ γὰρ αἵματος τοῦ ἀδελφοῦ σου βοᾷ πρός με ἐκ τῆς γῆς,
ἵνα δηλωθῇ ὅτι δίκαιος πρὸς τὸν Θεὸν μεγάλῃ κέκραγε φωνῇ.
63
Ibid.: καὶ ἡμεῖς δέ, ἂν ἅγιοι γενώμεθα, ἔνδον ἔχομεν τὴν κραυγήν· τὸ γὰρ Πνεῦμα ἐν ταῖς καρδίαις ἡμῶν κράζει
Ἀββὰ ὁ πατήρ (Rm 8,15; Gal 4,6). In FrPs 118,146, l’identificazione dell’orante con lo Spirito trova una formulazione
inedita: πρότερον μὲν ἐκέκραξα ἐν ὅλῃ καρδίᾳ μου (v. 145), δεύτερον δὲ ἐκέκραξά σε· καὶ αὐτὸ ὃ ἐλάλουν κατὰ τὸ
ἡγεμονικόν οὐκ ἄλλο τι ἦν ἢ ὁ Θεός (422, con la traduzione a p. 423: «[…] et ce que je disais en mon esprit, c’était
99
ADAMANTIUS 20 (2014)
Con ciò ritroviamo il tema della preghiera silenziosa come preghiera del cuore che ritorna nel commento
ai vv. 145 (ἐκέκραξα ἐν ὅλῃ καρδίᾳ μου [«Ho gridato con tutto il mio cuore»]) e 169a (ἐγγισάτω ἡ δέησίς
μου, ἐνώπιόν σου, Κύριε [«Si accosti la mia supplica alla tua presenza, Signore»]). Colui che è perfetto si
avvicina direttamente a Dio, come avviene per Mosè (Es 24,2); chi invece si trova in una condizione
spirituale inferiore gli si avvicina mediante la preghiera64. L’avvicinamento non è da intendere in senso
spaziale, poiché è nell’intimo del cuore dell’«uomo interiore» (Rm 7,22) che ci si accosta a Lui. Ma per
avvicinarsi pregando è richiesta la mediazione di Gesù, della quale siamo in grado di giovarci solo se
partecipiamo delle virtù e dei beni riepilogati dagli ‘attributi’ (ἐπίνοιαι) propri di Cristo: «Giustizia, Verità,
Sapienza, Risurrezione, Luce vera» e «Pace». Com’è noto, le epinoiai di Cristo sono oggetto di ampia
riflessione, in particolare, nel I Libro del Commento a Giovanni, senza che compaia lì un legame
ravvicinato con le manifestazioni oranti65. Si osservi adesso l’inclusione di ‘Pace’ come ulteriore attributo
di Cristo rispetto all’elenco di CIo. Esso contribuisce a tracciare con maggior precisione la ‘disposizione’
(διάθεσις) spirituale dell’orante, ricuperando un motivo che di solito l’Alessandrino introduce ‘in negativo’
con 1 Tm 2,8, dove l’Apostolo raccomanda di pregare «senza ira e senza contesa (χωρὶς ὀργῆς καὶ
διαλογισμοῦ)». Ora, le epinoiai in quanto beni o virtù di Cristo sono anche quei tesori che l’orante deve
accumulare nella ‘cameretta’ (ταμιεῖον), in cui si ritira a pregare secondo Mt 6,6, allo stesso modo della
sposa di Ct 1,4 nel suo cubicolo66. Inoltre, condizione indispensabile perché la preghiera possa innalzarsi a
Dio è lo stato di astrazione mentale dal mondo dei sensi e la pacificazione interiore del cuore e dei pensieri,
sempre raccomandata da Origene mediante il richiamo all’ ‘assenza di rancore’ (ἀμνησικακία)67. Con tali
disposizioni spirituali la preghiera ‘ascende’ a Dio, facendo proprie le parole di Sal 118(119),169b (κατὰ τὸ
λόγιόν σου συνέτισόν με [«secondo la tua parola fammi comprendere»]), quale domanda indirizzata al
Logos-Maestro per acquisire una comprensione più intima degli oracoli divini68. Come appare anche
dall’ultimo cenno al nostro tema – a commento del De profundis (Sal 129 [130],1) –, le ‘profondità’ da cui
sale il grido di preghiera sono per l’Alessandrino quelle dello Spirito che abita nel cuore dell’orante e gli dà
voce con ‘gemiti inenarrabili’ (Rm 8,26)69.
b) L’ascolto di Dio: un processo di comunione spirituale
Il secondo tratto del fr. 1 verte sul v. 1b, approfondito in sostanziale continuità tematica col primo,
come si evince anche dalla mancata riflessione sul ‘silenzio’ divino che il salmista chiede gli venga
tout justement ‘Dieu’»; e il commento a p. 733: «le psalmiste ‘crie Dieu’, c’est-à-dire ne fait rien d’autre que de dire
en son cœur le nom de Dieu»).
64
FrPs 118,169 (456): ὁ μὲν τελειότερος αὐτὸς ἐγγίζει τῷ Θεῷ, ὁ δὲ ὑποδεέστερος καὶ ἐγγὺς τούτου, αὐτὸς μὲν οὐκ
ἐγγίζει τῷ Θεῷ, εὐχὴν δὲ ἔχει ἐγγίζουσαν αὐτῷ.
65
Ibid. (456-458): ἔστι δὲ ἐγγίσαι διὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ, καὶ μάλιστα ἐὰν νοήσωμεν τὸν Χριστόν, ὅτι ἐστὶ δικαιοσύνη,
ὅτι ἐστὶν ἀλήθεια καὶ σοφία καὶ ἀνάστασις καὶ φῶς ἀληθινόν. Ἄνευ γὰρ τούτων οὐκ ἔστιν ἐγγίζειν Θεῷ, ἀλλ’ οὐδὲ
χωρὶς εἰρήνης τῆς φρουρούσης τὴν καρδίαν καὶ τὰ νοήματα (Fil 4,7), ἥτις ἐστὶν ὁ Χριστός, ἐγγίζει τῷ Θεῷ. Sulle liste
di ἐπίνοιαι in CIo rimando al mio contributo Il profilo letterario del Commento a Giovanni: operazione esegetica e
costruzione del testo, in Il Commento a Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti. Atti dell’VIII Convegno di Studi
del Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina, a cura di E. PRINZIVALLI, Verucchio/Rimini
2005, 74s.
66
CCt I 5,10 (SCh 375,246) unisce a Mt 6,6 la ‘camera’ di Ct 1,4: sicut rex habet cubiculum quoddam in quod reginam
sive sponsam suam introducit, ita habet et sponsa suum cubiculum, in quod monetur per Verbum Dei ingressa
claudere ostium et ita conclusis illis omnibus divitiis suis intra illud cubiculum orare Patrem qui videt in abscondito
(Mt 6,6) et perspicit quantas opes, animi scilicet virtutes, intra cubiculum suum sponsa condiderit, ut videns eius
divitias det ei petitiones suas.
67
L. PERRONE, La preghiera secondo Origene, cit., 500.
68
FrPs 118,169 (458): οὕτως ὁ βουλόμενος συνετὸς γενέσθαι οὐκ ἐν τῷ αἰῶνι τούτῳ ἀλλ’ ἐν τοῖς λόγοις τοῦ Θεοῦ
καὶ τῇ σοφίᾳ αὐτοῦ, εὔχοιτο ἂν τῷ μόνῳ διδασκάλῳ ὑπὲρ τοῦ τῆς τοιαύτης συνέσεως τυχεῖν.
69
FrPs 129,1 (R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs grecs des Psaumes, cit., 86): ἐν τούτοις δὲ ὁ Χριστοῦ λαὸς
διδάσκεται λέγειν· ἐκ βαθέων ἐκέκραξά σε, Κύριε διὰ τὸ μετέχειν Πνεύματος, περὶ οὗ λέλεκται τὸ πνεῦμα πάντα ἐρευνᾶ,
καὶ τὰ βάθη τοῦ Θεοῦ (1 Cor 2,10) […] Ὁ δὲ βαθὺς τῇ διανοίᾳ λαός, οὗτος δὲ ἦν ὁ τὴν πρό ταύτης ᾠδὴν εἰπὼν οὐ τοῖς
χείλεσιν οὐδὲ τῇ φωνῇ, ἀλλ’ ἐκ στέρνων καὶ μυελῶν, στεναγμοῖς ἀλαλήτοις ὑπερεντυγχάνων βοᾷ πρὸς τὸν Θεόν (cf. Eb
4,12; Rm 8,26). Ὁ μηδὲν μηδὲ λαλήσας ἀκούει τοῦ Θεοῦ λέγοντος αὐτῷ· Τί βοᾷς πρός με (Es 14,15).
100
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
risparmiato. Se il ‘grido’ di preghiera istituisce il ‘colloquio’ dell’orante con Dio, ora vengono messe a
fuoco condizioni e modalità dell’ ‘ascolto’. Anche in questo caso non bisogna intenderlo in senso fisico:
la voce di Dio non giunge all’uomo dall’esterno, bensì gli arriva attraverso il cuore, purché si trovi nelle
disposizioni spirituali atte a riceverla. A conforto dell’idea di una ‘voce interiore’ Origene si rifà a Sal
83(84),6 (μακάριος ὁ ἀνὴρ οὗ ἐστιν ἀντίληψις αὐτοῦ παρὰ σοῦ, Κύριε, ἀναβάσεις εἰς τὴν καρδίαν αὐτοῦ
[διέθετο] [«Beato l’uomo il cui soccorso viene da te, Signore: ha disposto nel suo cuore ascensioni»]).
L’uso di questo passo è abbastanza raro nell’Alessandrino, ma tutte le occorrenze lasciano intravedere
come suo significato l’idea dell’inabitazione divina nell’uomo per contrasto con l’azione demoniaca: se
questa cerca di prendere possesso della mente (cf. Ef 4,27) dell’uomo, si tratta invece di ‘fare posto a
Dio’, a colui che è per eccellenza l’‘ispiratore’ dei buoni pensieri nell’animo e che così facendo lo rende
beato70. Il nostro frammento è apparentemente l’unico luogo in cui Origene sfrutta Sal 83(84),6 in
positivo, cioè senza fare ricorso alle implicazioni demonologiche, semplicemente per illustrare il modo
in cui Dio parla all’uomo dal di dentro.
A questo punto il testo accenna brevemente all’organo umano capace di ascoltare la voce divina. Viene
così evocato il ben noto discorso origeniano sui sensi spirituali, qualificando l’‘udito’ interiore come un
‘senso divino’ (θεία αἴσθησις)71. Origene rinvia a Pr 2,5 nella lezione che gli è consueta (αἴσθησιν
[ἐπίγνωσιν LXX] θείαν εὑρήσεις) 72 , ma senza apportare quegli approfondimenti concettuali che
leggiamo, ad esempio, nel commento a Sal 118(119)73. Vi è comunque una precisazione che si rivela di
qualche interesse, nella misura in cui tale ‘senso divino’ è detto ‘compenetrarsi’ e ‘unirsi’ a Dio
(ἀνακεκραμένη αὐτῷ καὶ ἡνωμένη). Siamo quindi in continuità, se si vuole, con l’identificazione
dell’orante con lo Spirito, evocata precedentemente, che sembra adesso sfociare in un esito
potenzialmente ‘mistico’, strettamente collegato alla prospettiva della deificazione. Sembra deporre in
tal senso l’uso dei due verbi indicanti la fusione o unione con Dio (ἀνακεράννυμι ed ἑνόω), binomio
attestato regolarmente pure altrove nell’Alessandrino, specie in riferimento al modello dell’unione di
70
CIo X 46,322-323 (PREUSCHEN, 225,5-10): εἰ μὲν γὰρ δίδωσίν τις τόπον τῷ διαβόλῳ, εἰσέρχεται εἰς αὐτὸν ὁ
σατανᾶς, ὥσπερ ἔδωκεν Ἰούδας, τοῦ διαβόλου βεβληκότος εἰς τὴν καρδίαν αὐτοῦ, ἵνα παραδῷ τὸν Ἰησοῦν· διὸ καὶ
μετὰ τὸ ψωμίον εἰσῆλθεν εἰς αὐτὸν ὁ σατανᾶς (Gv 13,27). Εἰ δὲ δίδωσιν τόπον τῷ θεῷ, μακάριος γίνεται· μακάριος
γὰρ οὗ ἐστιν ἀντίλημψις αὐτῷ παρὰ τοῦ θεοῦ καὶ ἀνάβασις ἐν τῇ καρδίᾳ αὐτοῦ ἀπὸ τοῦ θεοῦ. CCt III 13,26 (SC
376,638), dopo aver illustrato ugualmente l’azione dei demoni che insinuano i pensieri malvagi con l’esempio di
Giuda, aggiunge: sed et bonarum cogitationum est aliquis auctor; propter quod et in psalmis puto scriptum: beatus
homo cuius est auxilium abs te, Domine; ascensus in cordis eius disposuit. Analogo è il contesto di Prin III 2,4
(GÖRGEMANNS-KARPP, 574).
71
FrPs 27,1b (PG 12,1284C,12-15): ἔχομεν ἄλλην ἀκοὴν ἀκούουσαν λόγον Θεοῦ. Θεία ἐστὶν ἡ αἴσθησις ἐκείνη ἡ
οὕτω παρὰ Σολομῶντι ὀνομαζομένη (cf. Pr 2,5), ἡ ἀκούουσα λόγου Θεοῦ, ἀνακεκραμένη αὐτῷ καὶ ἡνωμένη.
72
Circa l’uso di Pr 2,5, si veda anzitutto Prin I 1,9 (Görgemanns-Karpp, 120), a proposito di vista e udito interiori:
similiter et ceteris uti membrorum officiis dicitur, quae ex corporali appellatione translata virtutibus animae
coaptantur, sicut et Salomon dicit: Sensum divinum invenies. Cf. anche Prin IV 4,10 (820): verum ne cui indecenter
dictum videatur [in]sensibilia esse quae intellectualia sunt, utemur exemplo sententiae Salomonis dicentis: sensum
quoque divinum invenies. In quo ostendit non corporali sensu, sed alio quodam, quem ‘divinum’ nominat, ea, quae
intellectualia sunt, requirenda. La stessa prospettiva ricompare in CC I 48 (98,9-12): ὁ δὲ βαθύτερον τὸ τοιοῦτον
ἐξετάζων ἐρεῖ ὅτι οὔσης, ὡς ἡ γραφὴ ὠνόμασε, θείας τινὰς γενικῆς αἰσθήσεως, ἢν μόνος ὁ μακάριος εὑρίσκει ἤδη
κατὰ τὸ λεγόμενον καὶ παρὰ τῷ Σολομῶντι· ὅτι αἴσθησιν θείαν εὑρήσεις; VII 34 (185,13-16): Εἰ δὲ καὶ περὶ τῆς
κρείττονος αἰσθήσεως καὶ οὐ σωματικῶς βούλει ἀπὸ τῶν ἱερῶν γραμμάτων μαθεῖν, ἄκουσον Σολομῶντος ἐν ταῖς
Παροιμίαις λέγοντος· αἴσθησιν θείαν εὑρήσεις. Altre occorrenze conformi si danno in CCt I 4,16; CMtS 63,66.
Ritroviamo αἴσθησις, senza nesso diretto con Pr 2,5, in H37Ps I,4 (= Fr. 33 PRINZIVALLI, 484): ἐὰν δέ που ἀποθῆται ὁ
ἁμαρτωλός, ἵν’ οὕτως οὐ νομίζων τὴν χοίρων αἵσθησιν, ἀναλαμβάνῃ ἐκ τοῦ λόγου τοῦ Θεοῦ αἴσθησιν, ὡς
αἰσθάνεσθαι τῆς δυσωδίας τῶν ἰδίων ἁμαρτημάτων.
73
In FrPs 118,103 (354-356) l’Alessandrino si serve del termine αἰσθητήριον: ὥσπερ γὰρ τὸ ὑγιαῖνον αἰσθητήριον
ἀντιλαμβάνεται τῆς τοῦ μέλιτος γλυκύτητος [...] τὸν αὐτὸν τρόπον, ἐὰν ὑγιαίνῃ σου τὸ θεῖον τῆς γεύσεως
αἰσθητήριον, γλυκάζεται τῷ λόγῳ τοῦ Θεοῦ. Il fr. contiene un’ampia trattazione sui sensi spirituali, a partire dalla
nozione di ‘uomo interiore’: ἐπεὶ τοίνυν τὰ τοῦ Κυρίου λόγια οὐ μόνον εἰσὶν ὁρατὰ καὶ ἀκουστὰ τῷ φῶς καὶ λόγοι
εἶναι, ἔτι μὴν ὀσφραντὰ εὐωδίαν Χριστοῦ ἔχοντα, ἀλλὰ καὶ ἁπτὰ τῷ δι’ ἐξετάσεως καὶ γυμναστικῆς βασάνου
ψηλαψᾶσθαι, οὕτω καὶ γευστὰ τυγχάνει ὄντα γλυκέα διὰ τὴν ἐπ’ αὐτοῖς λογικὴν τέρψιν (ibid.).
101
ADAMANTIUS 20 (2014)
Dio e uomo in Cristo, a riprova di una linea di pensiero consolidata74. Essa si applica sia all’esperienza
del conoscere, sottolineando così l’accesso ad una comunione più intima e profonda con ciò che è
conosciuto, sia anche alla prassi di preghiera. In questo secondo caso – come Origene ha chiarito nel
Trattato sulla preghiera – l’orante è chiamato a unirsi allo Spirito, deponendo sempre più l’elemento
della psychè per divenire interamente pneuma75.
c) La ‘fossa’: il ‘gelo’ del peccato e il ‘calore’ divino
Anche il terzo tratto si caratterizza per annotazioni molto succinte, suscettibili peraltro di evocare vaste
risonanze negli scritti dell’Alessandrino. Il sospetto di un testo scorciato, che grava fin dall’inizio sul
frammento, si ripresenta ugualmente nella sua ultima parte. Manca infatti una precisazione circa il
significato del termine λάκκος, ‘fossa’, di v. 1d, che sembrerebbe richiesta dall’inserimento del lemma di
Sal 27(28),1c-d, ed è riscontrabile solitamente negli interpreti posteriori. Si può nondimeno inferire tale
significato in forma implicita, dal momento che Origene oppone fra loro i due termini ‘fossa’ e ‘pozzo’
(φρέαρ) nella quaestio che avvia il commento: se l’orante del salmo è il ‘santo’, nessuno di coloro che
sono santi, quando ha bisogno d’acqua, scava una ‘fossa’, bensì un ‘pozzo’ al quale attingere.
L’immagine del ‘pozzo’ è tra quelle predilette dall’Alessandrino ad indicare i frutti sempre nuovi
prodotti dalla comprensione spirituale delle Scritture. Egli lo ricorda rapidamente alludendo da un lato
al ‘comando’ di Salomone di «bere dai pozzi» (Pr 5,15-17) e citando dall’altro Ger 2,13, un luogo
sfruttato ripetutamente onde assimilare il ‘pozzo’ alla ‘fonte di acqua viva’, sulla falsariga di Gn 26,19
LXX (φρέαρ ὕδατος ζ ῶντος), primo testimone di tale espressione76. Tra i molti testi che possono
contare sul riferimento alla simbologia dei pozzi, nell’AT e nel NT, quello più prossimo è CC IV 44,
dove notiamo entrambi i riferimenti biblici del fr. 1. L’Alessandrino vi rileva che
«(Celso) non ha osservato come i giusti non costruiscano fosse, ma scavino pozzi, cercando di scoprire la
sorgente all’interno e il principio delle acque potabili, dal momento che essi ricevono il comandamento espresso
in forma allegorica: “Bevi le acque dalla tua cisterna e dai tuoi pozzi di fonte. Le acque non si versino fuori della
tua fonte e le tue acque non scorrano nelle piazze. Esse siano per te soltanto e nessun estraneo ne partecipi con
te” (Pr 5,15-17)»77.
74
CIo XIX 4,22: «Vedi però se la Scrittura non parli di conoscere anche in altro senso: nel senso cioè che chi si
mescola o si unisce a qualcosa (τοὺς ἀνακεκραμένους τινὶ καὶ ἑνωθέντας) conosce questo qualcosa con cui si
mescola o stabilisce una comunione, mentre prima di tale unione e comunione (ἑνώσεως καὶ κοινωνίας), per quanto
ne comprenda le ragioni, non la conosce veramente» (tr. E. CORSINI, 568); 25: «A parer nostro, il Signore conosce
quelli che sono suoi, in quanto si è mescolato con essi (ἀνακραθεὶς αὐτοῖς) e ha comunicato loro la propria divinità e
li ha presi, per dirla con il vangelo, nella sua mano (cf. Gv 10,28-29)» (ibid., 569). Si veda inoltre CC VIII 75 (292,2125): οὕτω θεὸν ἀληθῶς σέβοντες καὶ πολλοὺς ὅση δύναμις παιδεύοντες ἀνακραθῶσι τῷ τοῦ θεοῦ λόγῳ καὶ τῷ θείῳ
νόμῳ καὶ οὕτως ἑνωθῶσι τῷ ἐπὶ πᾶσι θεῷ διὰ τοῦ ἑνοῦντος αὐτῷ υἱοῦ θεοῦ λόγου καὶ σοφίας καὶ ἀληθείας καὶ
δικαιοσύνης πάντα τὸν προτετραμμένον ἐπὶ τὸ κατὰ θεὸν ἐν πᾶσι ζῆν. Per un approfondimento del vocabolario
origeniano della ‘fusione’, cf. L. PERRONE, La preghiera secondo Origene, cit., 183 n. 556.
75
Orat 10,2 (320,12-14): ὁ τοίνυν οὕτως εὐχόμενος τοσαῦτα προωφεληθεὶς ἐπιτηδειότερος γίνεται ἀνακραθῆναι τῷ
πεπληρωκότι τὴν πᾶσαν οἰκουμένην τοῦ κυρίου πνεύματι; CIo I 28,197 (36,10-14): πεποίηκε γὰρ ὁ σωτὴρ τὰ
ἀμφότερα ἕν (cf. Ef 2,14), τάχα τὴν ἀπαρχὴν τῶν γινομένων ἀμφοτέρων ‹ἓν› ἐν ἑαυτῷ πρὸ πάντων ποιήσας·
ἀμφοτέρων δὲ λέγω καὶ ἐπὶ τῶν ἀνθρώπων, ἐφ’ ὧν ἀνακέκραται τῷ ἁγίῳ πνεύματι ἡ ἑκάστου ψυχὴ καὶ γέγονεν
ἕκαστος τῶν σῳζομένων πνευματικός.
76
FrPs 27,1 (PG 12,1284C,6-12): καὶ Σολομὼν ἐντέλλεται ἀπὸ φρεάτων πίνειν· ὁ δὲ προφήτης ἀπειλεῖ τοῖς πίνουσιν
ἐκ λ άκκου, λ έγων ὡς ἐκ προσ ώπου τοῦ Θεοῦ, con citazione di Ger 2,13 (ἐμὲ ἐγκατέλιπον, πηγ ὴν ὕδατος ζ ῶντος
[ζωῆς LXX], καὶ ὤρυξαν ἑαυτοῖς λάκκους συντετριμμένους). HIer XVII,4 riporta solo la prima parte del versetto: καὶ
ἐν τῇ ἀρχῇ ὁ αὐτὸς προφήτης ἔλεγεν ἐκ προσώπου τοῦ Θεοῦ· ἐμὲ ἐγκατέλιπον πηγὴν ὕδατος ζωῆς (cf. anche HIer
XVIII,9; H15Ps I,8 [f. 13v]; H77Ps VI,3 [f. 281r]). Solo in FrLam 93 (KLOSTERMANN-NAUTIN, 269,17-19) ritroviamo
la citazione in parte corrispondente al nostro frammento: καταλιπόντες μ ὲν τὴν πηγὴν το ῦ ζῶντος ὕδατος,
γεγονότες δ ὲ λάκκοι συντετριμμένοι ο ἳ οὐ δύνανται στ έγειν. Per la simbolica origeniana del ‘pozzo’ si veda
M. SIMONETTI, Omelia XIII: Isacco e i pozzi d’Israele, in Mosè ci viene letto nella Chiesa. Lettura delle Omelie di
Origene sulla Genesi, a cura di E. DAL COVOLO e L. PERRONE, Roma 1999, 127-139.
77
CC IV 44 (316,19-26): οὐ γὰρ ἐτήρησεν ὅτι οἱ δίκαιοι λάκκους μὲν οὐ κατασκευάζουσι φρέατα δὲ ὀρύσσουσι, τὴν
ἐνυπάρχουσαν πηγὴν καὶ ἀρχὴν τῶν ποτίμων ἀγαθῶν ἐξευρεῖν ζητοῦντες, ἅτε καὶ τροπικὴν λαμβάνοντες ἐντολὴν
102
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
Al di là della contrapposizione tra ‘fossa’ e ‘pozzo’ non abbiamo di primo acchito l’accezione infernale
di λάκκος, con la valorizzazione del termine in senso spaziale prima ancora che morale. Quest’ultima è
rinvenibile invece in uno scolio attribuito ad Evagrio Pontico, ma di sapore almeno in parte origeniano,
secondo cui «la fossa dell’intelletto è l’ignoranza nella quale esso cade, allorché la Sapienza di Dio resta
in silenzio e non pronuncia le parole: “Eccomi!” (Is 58,9)»78. Viceversa, l’identificazione della fossa con
il luogo infernale è attestata in esegeti di tradizione origeniana come Eusebio, Didimo o Gerolamo.
Quella del vescovo di Cesarea è la spiegazione più approfondita:
«Le sacre Scritture usano definire fossa la dimora delle anime nel luogo detto ‘ade’ (λάκκον δὲ εἰώθασιν οἱ θεῖοι
λόγοι ὀνομάζειν τὸ τῶν ψυχῶν οἰκητήριον τὸ ἐν τῷ καλουμένῳ ᾅδῃ). Questo lo mostra Davide stesso poco più
avanti, nel salmo 29, dove dice: Signore, mio Dio, a te ho gridato, e tu mi hai risanato. Signore, hai tratto dall’ade
l’anima mia. Mi hai salvato di tra quelli che scendono nella fossa (Sal 29[30], 3-4). Vedi che qui parla di ade e
fossa come di un unico luogo (ὁρᾶς ὅπως τὸν ᾅδην καὶ τὸν λάκκον ἐν ταὐτῷ διὰ τούτων συνῆψε)? Ma nel salmo
che stiamo considerando eleva grida a Dio, implorandolo di non essere simile a quanti scendono nella fossa,
mentre nel salmo 29 dichiara di aver ottenuto quanto aveva chiesto (κατωρθῶσθαι αὐτῷ τὰ τῆς εὐχῆς διδάσκει),
perché dice: Signore, a te ho gridato, e tu mi hai risanato. Mi hai salvato di tra quelli che scendono nella fossa.
Opportunamente si dà il nome di fossa alla dimora delle anime nell’ade (προσφυῶς δὲ λάκκος ὠνόμασται τὸ ἐν
τῷ ἅδῃ τῶν ψυχῶν οἰκητήριον). Come infatti la fossa è il serbatoio delle acque che dall’alto vi scendono dentro,
allo stesso modo anche la regione della morte, che è detta ade, accoglie le anime che dall’alto, dalla vita umana,
vengono portate giù, e dunque è opportunamente definita fossa. Il salmista supplica pertanto di non venire
trascinato con gli altri nella fossa suddetta. Questo mi accadrà, dice, se diventerò simile agli uomini che tu non
esaudisci, cosa che è segno dell’essere da te respinti» 79.
Didimo e Gerolamo confermano a loro volta la corrispondenza simbolica ‘fossa’ = ‘inferno’, sebbene il
primo sembri aggiungerla ad una precedente interpretazione, non riportata dalla catena, forse da
ritenersi prossima a quella di Evagrio 80 . Tuttavia, al pari di Eusebio, Didimo è influenzato dal
parallelismo fra l’ ‘ade’ e la ‘fossa’ che figura in Sal 29(30),4, come mostrano le sue lezioni sui salmi. Qui
non solo riecheggia l’esegesi della ‘fossa’ in Eusebio, ma sviluppando l’identificazione del locutore in
Cristo, tocca una problematica soteriologica sorretta dalla dottrina della discesa del Salvatore agli inferi,
che non è priva di nessi con la riflessione di Origene in FrPs81. Questi per un verso non ignora affatto
l’equivalenza ‘fossa’ = ‘Ade’, se teniamo presente il suo commento a Sal 29(30), quantunque le
conferisca una valenza morale senza pensarla immediatamente in termini di luogo. Per l’Alessandrino
‘Ade’, inteso in senso allegorico, indica la condizione del santo «nel tempo del peccato» oppure lo stato
τὴν φάσκουσαν· πῖνε ὕδατα ἀπὸ σῶν ἀγγείων καὶ ἀπὸ σῶν φρεάτων πηγῆς. Μὴ ὑπερεκχείσθω σοι ὕδατα ἔξω τῆς σῆς
πηγῆς, εἰς δὲ σὰς πλατείας διαπορευέσθω τὰ σὰ ὕδατα. Ἔστω σοι μόνῳ ὑπάρχοντα, καὶ μηδεὶς ἀλλότριος μετασχέτω
σοι (la traduzione, leggermente modificata, è tratta da Origene. Contro Celso, a cura di P. RESSA, Brescia 2000, 324)».
78
Evagr. Pont. Ps. 27,1 (PITRA III,2,4-6): τοῦ νοῦ λάκκος ἡ ἄγνοιά ἐστιν, εἰς ἣν ἐμπίπτει, παρασιωπησάσης αὐτῷ τῆς τοῦ
Θεοῦ σοφίας, καὶ μὴ λεγούσης τό· ἰδοῦ πάρειμι. La citazione di Is 58,9 è inconsueta nel Pontico, mentre è una delle
coordinate scritturistiche per il discorso origeniano sulla preghiera. In Sch. Pr. 133, Evagrio accosta il nostro v. a Pr 12,2
(κρείσσων ὁ εὑρὼν χάριν παρὰ κυρίῳ· ἀνὴρ δὲ παράνομος παρασιωπηθήσεται). Géhin annota: «Cf. schol. 1 ad Ps. 27, 1,
où il est dit que la ‘fosse’ de l’intellect, c’est l’ignorance, et celle de l’âme, la malice» (Évagre le Pontique. Scholies aux
Proverbes, ed. P. GÉHIN, Paris 1987, 231).
79
PG 23,248B,3-C,11 (Eusebio di Cesarea, Commento ai Salmi, cit., 192).
80
Didimo: σημαίνει δὲ τὸ ὄνομα τοῦ λάκκου καὶ τὸν τόπον τὸν φυλάττοντα τοὺς κατακρίτους (E. MÜHLENBERG,
Psalmenkommentare aus der Katenenüberlieferung, cit., 256 nr. 244). Quanto a Gerolamo, nei Commentarioli in
Psalmos 27 (MORIN, 201) propone immediatamente l’equivalenza: Lacus significat infernum, locum videlicet eorum
qui sub custodia retinentur, con riferimento a Es 12,29 (ἕως πρωτοτόκου τῆς αἰχμαλωτίδος τῆς ἐν τῷ λάκκῳ = usque
ad captiuam, quae erat in lacu), citato anche nel nostro fr. Egli la ribadisce In Ezech. 10,32 (GLORIE, 461,861-863):
quod autem lacus uocetur infernus, perspicue psalmus ille demonstrat, in quo paenitens loquitur: Assimilatus sum
cum descendentibus in lacum.
81
«[…] Coloro che scendono nella fossa sono quelli caduti dall’alto, poiché le fosse non sono fonti: {non} hanno
acqua che è provvista dall’alto. Per questo anche l’Ade di continuo nelle Scritture è chiamata ‘fossa’, perché le anime
cadute giù vanno a finire lì. Mi hai salvato dal novero di coloro che scendono nella fossa, poiché, se anche sono caduto
nell’Ade, tuttavia non sono stato preso nel pozzo come acque che cadono, ma sono stato salvato, perciò non mi è
toccato di subire danno, il che accade ad alcuni di quelli che cadono nell’Ade» (Didimo il Cieco. Lezioni sui Salmi,
cit., 374 – traduzione leggermente modificata per evitare la sovrapposizione tra ‘fossa’ e ‘pozzo’).
103
ADAMANTIUS 20 (2014)
di colui che, rivestito dell’«immagine del terrestre» (1 Cor 15,49) si trova «nella carne anziché nello
spirito»82. Dall’altra parte, la discesa nella ‘fossa’, cioè nell’‘Ade’, che è il destino dei peccatori, spinge
Origene a riflettere sulla dimora del diavolo e a collegare questo motivo con la discesa di Cristo agli
inferi ai fini di salvare quanti vi erano trattenuti prigionieri83.
L’accezione infernale della ‘fossa’ emerge in pratica da tali considerazioni, che vengono introdotte
mediante una nuova antitesi, quella tra freddo e caldo. Il primo di questi due elementi qualifica la sfera
del peccato, mentre il secondo è una caratteristica del mondo divino. Il dominio del freddo, in quanto
regno del peccato, è la dimora del «serpente», il demonio, che non a caso è più freddo rispetto a tutti gli
animali della terra84. L’enunciazione è di tipo assiomatico, tanto che l’argomentazione scritturistica a
sostegno si limita ad un mero dossier di passi, tradizionalmente addotti dall’Alessandrino quando
sviluppa la tematica del fuoco o dell’ardore che connota costitutivamente, sia pure con diversa intensità,
l’essere di Dio e le creature spirituali, siano esse gli angeli o gli uomini avviati sul cammino della
salvezza (Sal 103[104],4; Lc 12,49; Rm 12,11)85. Ora, l’implicazione soteriologica del discorso su ‘freddo
e caldo’ viene alla luce nella conclusione del nostro frammento. Dal momento che coloro che si trovano
presso le ‘fosse’ sono i peccatori, i prigionieri del diavolo (con un rinvio a Es 12,29), anche a costoro «il
Dio buono» rivolge il proprio appello, chiamandoli a sé ed annunciando loro il riscatto (Lc 4,18)86. Pur
con un’esegesi che ha tutta l’aria di essere sintetizzata, è lecito intravedere qui il nesso con la discesa di
Cristo all’Ade, come rileviamo dall’interpretazione proposta da Didimo, sia pure grazie soprattutto a Sal
29(30),4. Ad ogni modo, concludendo l’analisi del fr. 1, possiamo ancora osservare come il nostro testo
non chiarisca il trapasso dalla condizione di ‘santi’ (= oranti) a quella di ‘peccatori’, sebbene sia evidente
che questo è l’esito paventato dal salmista e che lo spinge a formulare la sua supplica. Tuttavia, questo
insieme tematico può essere ricomposto abbastanza facilmente, pur scontando la natura frammentaria
del testo, e troverà qualche riscontro nel seguito, a commento del v. 3.
Sal 27(28),2
Il commento a Sal 27(28),2a-b è quello che si è attirato la maggiore notorietà, perché è stato assunto da
Walther Völker a testimone di un’evoluzione ritenuta da lui particolarmente significativa nel discorso
origeniano sulla preghiera87. In effetti, il testo del v. 2 si presta ad approfondire la terminologia e i gesti
della preghiera, in quanto, da un lato, al v. 2a contiene il sostantivo δ έησις, ‘supplica’ o ‘domanda’
(insieme al verbo δ έομαι, ‘supplicare’ o ‘domandare’ al v. 2b); dall’altro, richiama il gesto tipico
dell’orante attraverso l’immagine delle mani sollevate verso il ‘tempio santo’ di Dio. C’è da dire,
tuttavia, che l’Alessandrino – come abbiamo notato a proposito delle citazioni di Sal 27(28) nel resto
della sua opera – non lo ha mai annoverato fra i nuclei scritturistici che tramano la sua riflessione,
preferendo rinviare ad altri passi per lui più consueti, in merito a linguaggio e prassi di preghiera (quali,
in primo luogo, 1 Tm 2,1.8, addotti non a caso entrambi nell’esegesi del v. 2).
2a
Εἰσάκουσον, Κύριε88, [τῆς φωνῆς]89 τῆς δεήσεώς μου,
82
FrPs 29,2 (PG 12,1292B,6-8): δύναται δὲ καὶ ἐκ προσώπου τοῦ ἁγίου ταῦτα λέγεσθαι, τροπικώτερον παντὸς ἁγίου
ὡς ἐν ᾁδου γεγεννημένου κατὰ τὸν τῆς κακίας καιρόν. Cf. anche il commento al v. 13 (1297A,10-12): ὁ γὰρ ἔχων
τὴν εἰκόνα τοῦ χοϊκοῦ, τῷ εἶναι ἐν σαρκὶ καὶ μὴ πνεύματι, χοῦς ἐστι, καὶ ἐν ᾅδῃ ἐστί.
83
Sulla discesa di Cristo all’Ade si vedano adesso le H15Ps I-II e il mio contributo Abstieg und Aufstieg Christi nach
Origenes: Zur Auslegung von Psalm 15 in den Homilien von Cod. Graec. 314, ThPh 89 (2014) 321-340.
84
FrPs 27,1d (PG 12,1284C,12-D,3): ἀλλ’ ὅπως ἴδωμεν τίνες οἱ καταβαίνοντες εἰς λάκκον, ἡ ἱερὰ Γραφὴ τὰ θεῖα λέγει
εἶναι θερμά, τὰ δὲ τῆς ἁμαρτίας καὶ τῆς ὕλης πράγματα ψυχρά. ̓Εκεῖ οἰκεῖ καὶ ὁ πολέμιος τῶν ἀνθρώπων δράκων, ὃς
ὠνομάσθη ψυχρός. Οὐδὲν γὰρ τῶν ἐπὶ γῆς ζῶόν ἐστι ψυχρόν, ὡς ὁ δράκων. Πᾶσα οὖν ἁμαρτία ψυχρά ἐστι· τὰ δὲ
θεῖα, ὡς ἔοικε, θερμά.
85
E. PRINZIVALLI, Fuoco, in Origene. Dizionario, cit., 177-181.
86
FrPs 27,1d (PG 12,1284D,6-1285A,2): οὕτως οἱ καταβαίνοντες εἰς λάκκον ἁμαρτωλοί εἰσι καὶ αἰχμάλωτοι. ̓Αλλ’ ὁ
ἀγαθὸς Θεὸς καὶ τούτους καλεῖ, καὶ κηρύσσει αὐτοῖς ἄφεσιν.
87
W. VÖLKER, Das Vollkommenheitsideal des Origenes. Eine Untersuchung zur Geschichte der Frömmigkeit und zu
den Anfängen christlicher Mystik, Münster 1931, 201ss.
88
Hier. Epist. 106,16 (Ad Sunniam et Fretelam) considera Κύριε una glossa esplicativa. Nell’apparato di Rahlfs, +
κύριε è attestato da Bo Vulg Aug e altri testimoni.
104
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
2b
2c
ἐν τῷ δέεσθαί με πρὸς σέ,
ἐν τῷ αἴρειν με χεῖράς μου πρὸς ναὸν ἅγιόν σου.
Esaudisci, Signore, la voce della mia supplica,
quando io ti supplico,
quando io levo le mie mani verso il tuo tempio santo.
Il breve commento si dispone in due tratti di dimensioni analoghe, dedicati rispettivamente al v. 2a-b
(= fr. 2) e 2c (= fr. 3), aderendo in sostanza al tenore del lemma, peraltro caratterizzato nell’edizione
catenaria da alcune particolarità rispetto alla versione più comune dei LXX, come l’aggiunta del
vocativo Κύριε e l’omissione di τῆς φωνῆς al v. 2a. Anche qui non è dato sapere se tali varianti risalgano
al testo dell’Alessandrino, o siano semplicemente un intervento del catenista, perché Origene non
riprende o parafrasa altrimenti il versetto. Sotto il profilo stilistico, si noterà il ricorso dell’identica
espressione «ἐμοὶ δοκεῖ» per ben tre volte nel giro di poche righe, che forse potrebbe offrire un nuovo
indizio dell’‘oralità’ propria di un testo omiletico, insieme ad altre ridondanze (quali la ripetizione «ὅτι
τοῦ ἔτι ἐνδεοῦς, καὶ οἷς ἔτι ἐνδεῖ τινα»). Infine, occorre segnalare la diversità tra la forma lunga del fr. 2
(PG 12) e la sua forma breve (PG 17): quest’ultima, oltre a risultare meno ridondante e sintatticamente
più felice (come mostra la coordinazione con i due ὅτε, invece della triplice successione di ὅτι, ὅτε,
ὅταν nella versione lunga), pospone la citazione di 1 Tm 2,1, invocando la testimonianza dell’Apostolo
a suggello della distinzione dei tipi di preghiera e della loro gerarchia ascendente (ἐπεὶ καὶ Παῦλος, ἀπὸ
τῶν ἡττόνων ἐπὶ τὰ μείζω προβαίνων)90. Solo una migliore conoscenza delle tecniche dell’excerptum
nelle due diverse catene può qui decidere a favore dell’una o dell’altra versione, pur ritenendo che la
versione lunga abbia maggiori chances di risalire all’originale.
a) Una gerarchia delle preghiere: le tappe del progresso spirituale
Il fr. 2 porge dunque un inedito commento di 1 Tm 2,1, suscitato dall’occorrenza del termine δέησις.
Come già sappiamo, Origene considera questo luogo paolino il testo chiave per distinguere i diversi tipi
di preghiera con la relativa terminologia. Senza ritornare sul suo utilizzo nel Trattato sulla preghiera –
dove corrobora il primato della προσευχή, cioè l’orazione indirizzata al Padre –, conviene esaminare,
per quanto possibile allo stato attuale del frammento, la natura della gerarchizzazione tra le varie forme
di preghiera sviscerata adesso dall’Alessandrino. Egli le dispone infatti su una scala ascendente in cui la
δέησις (‘supplica’ o ‘domanda’) costituisce il primo gradino, essendo seguita dalla προσευχή
(‘invocazione’ o ‘orazione’) e infine dall’ εὐχαριστία (‘ringraziamento’). In questo brano, la riflessione di
Origene non è più dettata dalla preoccupazione di connotare la diversità delle preghiere in relazione al
89
Lo stico della catena riportata da PG 17 comprende anche τῆς φωνῆς. Didimo include l’espressione nella sua
parafrasi del v. 2a (E. MÜHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Katenenüberlieferung, cit., I,256 nr. 245): πρὸς σὲ
βοῶν ἀξιῶ εἰσακοῦσαί σε τῆς φωνῆς τῆς δεήσεώς μου. Essa ritorna d’altronde in Sal 27(28),6.
90
Mentre l’argomentazione nelle due versioni di fatto non cambia, i lemmi introduttivi della stessa citazione hanno
un profilo diverso: la versione breve insiste così sull’idea di una progressione (in grassetto i passi identici).
PG 12 (1285A,10-20)
PG 17 (117B,10-15)
Ἐμοὶ δοκεῖ διαφέρειν εὐχὴ δεήσεως, καὶ δοκεῖ μοι ὁ
Ἀπόστολος πλείονα ὀνόματα εἰς ταύτην τὴν διαφορὰν
διαθέσθαι λέγων· παρακαλῶ πρῶτον πάντων ποιεῖσθαι
δεήσεις, προσευχάς, ἐντεύξεις, εὐχαριστίας (1 Tm 2,1),
μείζονα λέγων, ὡς ἐμοὶ δοκεῖ, τῆς δεήσεως τὴν
προσευχήν, καὶ τούτων τὴν ἔντευξιν, πάντων δὲ τὴν
εὐχαριστίαν. Εἴποιμ’ ἂν οὖν, ὅτι τοῦ ἔτι ἐνδεοῦς, καὶ οἷς
ἔτι ἐνδεῖ τινα, τούτων ἐστὶν ἡ δέησις. Ὅτε δὲ τὸ ἀξίωμα
τοῦ Θεοῦ νοήσας αἰτῶ τι παρὰ τοῦ Θεοῦ, τότε
προσεύχομαι· ὅταν δὲ φίλος ἐπὶ πλεῖον γένωμαι, τότε
εὐχαριστῶ τῷ Θεῷ.
Οἷς ἔτι ἐνδεῖ τινα, τούτων ἐστὶν ἡ δέησις. Ὅτε δὲ τὸ
ἀξίωμα τοῦ Θεοῦ νοήσας αἰτῶ τι παρὰ τοῦ Θεοῦ, τότε
προσεύχομαι. Ὅτε δὲ φίλος ἐπὶ πλεῖον γένωμαι, τότε
εὐχαριστῶ τῷ Θεῷ. Ἐπεὶ καὶ Παῦλος, ἀπὸ τῶν ἡττόνων
ἐπὶ τὰ μείζω προβαίνων, φησί· Παρακαλῶ πρῶτον
πάντων ποιεῖσθαι δεήσεις, προσευχάς, ἐντεύξεις,
εὐχαριστίας (1 Tm 2,1).
105
ADAMANTIUS 20 (2014)
destinatario, come avveniva in Orat. L’aspetto che determina la loro progressione gerarchica consiste
ora nelle condizioni spirituali dell’orante. Al livello più basso, la δέησις esprime la domanda in presenza
di un bisogno, non altrimenti precisato (τοῦ ἔτι ἐνδεοῦς, καὶ οἷς ἔτι ἐνδεῖ τινα, τούτων ἐστὶν ἡ δέησις)91.
La tappa superiore è rappresentata dalla προσευχή, che si conferma come preghiera di domanda, sia
pure formulando una richiesta che si confà maggiormente alla ‘dignità di Dio’ (ὅτε δὲ τὸ ἀξίωμα τοῦ
Θεοῦ νοήσας α ἰτῶ τι παρὰ τοῦ Θεοῦ, τ ότε προσεύχομαι). Da ultimo, il terzo gradino consiste nell’
εὐχαριστία, cioè nella preghiera di ringraziamento espressa da colui che è avanzato di molto nel
progresso spirituale divenendo ‘amico’ di Dio (ὅταν δ ὲ φίλος ἐπὶ πλεῖον γ ένωμαι, τ ότε ε ὐχαριστῶ τῷ
Θεῷ). Sorprendentemente Origene tralascia di inserire l’ἔντευξις, il terzo termine di 1 Tm 2,1, nel suo
modello progressivo, confermando ancora una volta la difficoltà ad attenersi ad incasellamenti
terminologici costanti e rigidi (o forse la fa rientrare praticamente nella προσευχή). In aggiunta a tale
incongruenza, è possibile avvertire un’ulteriore tensione tra le giustificazioni fornite rispettivamente per
il secondo e il terzo gradino della scala. Il cenno alla ‘dignità di Dio’ (ἀξίωμα τοῦ Θεοῦ) sembra infatti
evocare la condizione di ‘figli di Dio’, che partecipano di Lui attraverso l’adozione filiale e manifestano
tale condizione rivolgendosi al Padre con la Preghiera del Signore. Non a caso, la prima petizione del
Padrenostro consiste per Origene proprio nella domanda per pervenire il più possibile ad un concetto
di Dio conforme alla sua natura e al suo agire, in altri termini al suo ἀξίωμα92. Tuttavia, l’implicito
richiamo alla condizione di figli per quanti si rivolgono al Padre con la προσευχή, corrispondente al
modello di Orat, pare qui superato se non contraddetto dalla menzione degli oranti che, divenuti ‘amici
di Dio’, non gli indirizzano più le loro richieste ma si limitano unicamente a ringraziarlo.
Alla luce di questo esito integralmente ‘eucaristico’ della visione origeniana della preghiera non si può
non notare la diversità del fr. 2 rispetto al discorso non solo di Orat, ma più in generale degli altri scritti,
dal momento che in essi non viene mai meno il regime della preghiera come domanda93. Semmai,
l’obiettivo perseguito è sempre quello di pervenire ad attuare pienamente il modello della «preghiera
spirituale». Potremmo allora tentare di risolvere l’apparente contraddizione del commento al v. 2a-b
con due ordini di considerazioni. Da una parte, l’Alessandrino ha riconosciuto, in determinate
condizioni spirituali, la simultaneità della preghiera di domanda con quella di ringraziamento, se non
l’espressione immediata di εὐχαριστία per una richiesta esaudita all’istante e che come tale rimane del
tutto implicita o inespressa. È il caso, ad esempio, delle parole di ringraziamento di Gesù per la
risurrezione di Lazzaro in Gv 11,41-42 («Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre
mi dai ascolto, ma l’ho detto per la folla che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato»).
Come Origene spiega nel Commento a Giovanni, questa scena prospetta il ringraziamento come il
segno dell’esaudimento da parte di Dio: esso viene concesso ai ‘giusti (ἄξιοι)’ nell’atto stesso in cui
formulano la loro richiesta, mentre con colui che è ‘giusto’ e ‘santo’ per eccellenza, come è appunto il
Figlio, il Padre stesso lo previene (ἀντὶ τῆς κατὰ πρόθεσιν ἂν λεχθείσης ε ὐχῆς λ έγει τ ὴν ἐπὶ τῷ
91
L’interpretazione di Didimo pare riecheggiare quella di Origene, se non altro per l’accento posto sulla supplica nel
bisogno, mediante una prosopopea dell’orante (E. MÜHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Katenenüberlieferung,
cit., I,256 nr. 245): ἐπεὶ οὖν πολλῶν ἐνδεὴς ὢν ἔγνων πρὸς σοῦ ταῦτα ἀναπληροῦσθαι δύνασθαι, πρὸς σὲ βοῶν ἀξιῶ
εἰσακοῦσαί σε τῆς φωνῆς τῆς δεήσεώς μου ἐν τῷ δέεσθαι οὐ πρὸς ἄλλον τινὰ ἢ σέ· οὐδὲ γὰρ ἄλλος ἀναπληρῶσαι δύναται
τὰ ὧν ἐλλειπής εἰμι.
92
È rivelatrice la precisazione contenuta in FrLc 174 (RAUER 300,13-14), su Lc 11,2, a proposito della condizione di ‘figli
di Dio’ e della preghiera rivolta a lui come Padre: οὐκ εἰς φύσιν ἡμᾶς ἀνάγων θεοῦ, ἀλλὰ χάριτος μεταδιδοὺς καὶ τὸ
ἑαυτοῦ ἀξίωμα ἡμῖν χαριζόμενος. Sulla prima petizione come richiesta di un’ ἔννοια di Dio sempre più pura e degna di
Lui si veda Orat 34,2 e la mia analisi in La preghiera secondo Origene, cit., 212-215. FrPs 118,170 (460) mette in rapporto
fra loro δέησις e ἀξίωμα, considerando la semantica di questo termine sia come sinonimo del primo, sia come indicatore
della ‘dignità’ dell’orante virtuoso: ἀξιώματα δὲ ψυχῆς καὶ τὸ ἔχειν τὰς ἀρετάς, ἢ μίαν τινὰ ἐξ αὐτῶν. Ἐὰν οὖν ἔχοι τις
τοιούτον ἀξίωμα, ὃ κυρίως καὶ ἀληθῶς ἐστιν ἀξίωμα, εὔχεται τῷ Θεῷ.
93
Esso viene confermato anche da H15Ps I,3 (f. 4r), a proposito di Sal 15,1b-2a, nella stessa dinamica intratrinitaria della
relazione di dipendenza tra il Figlio e il Padre: ἐὰν οὖν λέγω· ὁ σωτὴρ ἐνδεής ἐστι καὶ ἡ σοφία ὁ Χριστός, μὴ προσκόψῃς
τῷ λεγομένῳ. Οὐχ ὁμοίως αὐτὸν λέγω εἶναι ἐνδεῆ σοι ἤ τινι τῶν δεομένων βοηθείας τῆς ἀπὸ τῶν ὑπὸ τὸν θεόν, ἀλλὰ
λέγω ἐνδεῆ αὐτὸν εἶναι ἑνὸς τοῦ θεοῦ καὶ Πατρός.
106
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
προλαβόντι τὴν εὐχὴν εὐχαριστίαν)94. In altri termini, gli ‘amici di Dio’ del nostro frammento che
ringraziano soltanto sono coloro che si sono resi simili al Figlio di Dio.
Dall’altra parte, la formulazione sembra rinviare, per così dire, ad una situazione-limite o ideale ultimo,
nel senso cioè che l’orizzonte dell’esistenza spirituale resta sempre caratterizzato per l’Alessandrino
dalla dimensione agonica. Pertanto, anche colui che si sforza di assimilarsi quanto più possibile al Figlio
di Dio, essendo perennemente impegnato nel combattimento per la perfezione, non può fare a meno di
domandare l’aiuto divino. È lecito insomma presumere piuttosto uno schema che articola domanda e
ringraziamento come quello che emerge nel commentario origeniano a Sal 118(119). Qui non solo
ringraziamento e domanda si susseguono vicendevolmente 95 , ma l’Alessandrino sembra voler
riformulare l’invito di 1 Ts 5,17 a «pregare senza posa», dichiarando la necessità della domanda di aiuto
a Dio lungo tutto l’arco della vita. Egli parafrasa infatti così l’invocazione di Sal 118(119),117
(«βοήθησόν μοι, καὶ σωθήσομαι, καὶ μελετήσω ἐν τοῖς δικαιώμασί σου διαπαντός [Aiutami e sarò salvato
e mediterò sui tuoi decreti sempre]»): «Non basta l’aiuto con cui sono stato aiutato, domando ancora
aiuto: Aiutami senza posa. L’essere salvato non può essere ancora perfetto fintantoché siamo qui»96.
b) Le mani sollevate dell’orante: l’incremento delle virtù
Non presenta invece sorprese l’esegesi del v. 2c contenuta nel fr. 3. Il testo riprende in forma assai
sommaria (anche se non scorciata quanto lo è la versione breve di PG 17)97 un motivo che ricorre
spesso in Origene, come del resto tiene a sottolineare egli stesso98: il gesto delle mani levate in alto, al
momento di pregare, simboleggia per lui la condotta virtuosa dell’orante, costantemente impegnato nel
proprio miglioramento morale, in modo da disporsi nelle condizioni spiritualmente più adatte ad
assicurargli l’ascolto di Dio. La convenzionalità di questo spunto è evidenziata dal dossier scritturistico
prodotto dall’Alessandrino che racchiude i suoi testi ‘canonici’ al riguardo: Es 17,11 (la preghiera di
Mosè nella battaglia di Israele contro Amalek); 1 Tm 2,8; e Sal 140 (141),299. Solo il primo dei tre,
l’unico peraltro alluso nella versione breve, viene sfruttato ai fini dell’esegesi: partendo dall’equivalenza
94
Si veda CIo XXVIII 6,39-42 (395,9-23) e il mio commento in La preghiera secondo Origene, cit., 296s.
Cf. FrPs 118,12 (208): ὁ αἰσθόμενος τῆς ἑαυτοῦ προκοπῆς, ἀπὸ τοῦ ἐν ὅλῃ καρδίᾳ ἐκζητῆσαι τὸν Θεόν, εὐλογεῖ
αὐτὸν εὐχαριστῶν ἤδη ἐφ’ οἷς ἠξιώθη· ἔχων γὰρ λόγια ἀπόρρητα καὶ κρύψεως ἄξια, εὐλογεῖ ἐπὶ τούτοις τὸν Κύριον·
καὶ ἀξιοῖ αὐτοῦ διδασκάλου τυχεῖν τοῦ Κυρίου, βουλόμενος αὐτοῦ μαθεῖν τὰ δικαιώματα ποίον ἔχειν νοῦν.
96
FrPs 118,117 (378): οὐκ ἀρκεῖ ἡ βοήθεια, ἣν βεβοήθημαι, δέομαι βοηθείας ἔτι, ἀδιαλείπτως μοι βοήθησον. Τὸ
σωθήσομαι οὐδέπω τέλειον δύναται γενέσθαι ὅσον ἐσμὲν ἐνθάδε.
97
Il confronto sinottico fa propendere chiaramente in questo caso per la versione lunga.
95
PG 12 (B,4-C,4)
PG 17 (B,11-C,1)
Πολλάκις ἐλέγομεν περὶ τῆς ἐπάρσεως τῶν χειρῶν.
Ἐπῆρε Μωϋσῆς τὰς χεῖρας, καὶ κατίσχυσεν ὁ Ἰσραήλ·
ὅτε δὲ καθῆκε τὰς χεῖρας, κατίσχυσεν ὁ Ἀμαλήκ (Es
17,11)· καὶ ἐπαίροντες ὁσίους χεῖρας χωρὶς ὀργῆς καὶ
διαλογισμοῦ (1 Tm 2,8), καὶ ἔπαρσις τῶν χειρῶν μου
θυσία ἑσπερινή (Sal 140[141],2). Εἵποιμι ἂν οὖν, ὅτι αἱ
χεῖρες ἡμῶν εἰσιν αἱ κατὰ θεοσέβειαν πρᾶξις. Ἐὰν
θησαυρίζωμεν ἐν οὐρανοῖς, ἔχομεν τὰς χεῖρας
ἐπηρμένας πρὸς τὸν Θεὸν καὶ νικῶμεν τὸν ἐχθρόν· ὅταν
δὲ ἡμῶν αἱ χεῖρες κάτω γένωνται, ἀνάγκη ἡμᾶς
νικᾶσθαι. Ὅταν οὖν ἐπαίρω τὰς χεῖράς μου πρὸς τὸν
Θεὸν καὶ διὰ τῶν χειρῶν τῆς ψυχῆς ὑψῶμαι πρὸς αὐτὸν,
νικᾶται ὑπ’ ἐμοῦ ὁ Ἀμαλὴκ καὶ οὐδαμοῦ ἐστιν. Οὐκοῦν
δεῖ ἐπαίρειν χεῖρας πρὸς ναὸν ἅγιον τοῦ Θεοῦ. Ὁ ναὸς
δὲ τοῦ Θεοῦ δόξα ἐστὶ τοῦ Θεοῦ.
Ἐπαιρόμεναι χεῖρες πρὸς πράξεις θεοσεβεῖς, ἐν οὐρανῷ
θησαυριζόμεναί εἰσι· δι’ ὧν νικᾷ τις τὸν νοητὸν Ἀμαλήκ·
ὡς ὁ Μωσῆς, ἡνίκα τὰς χεῖρας ἀνέφερεν, ὁ λαὸς ἐνίκα· ὅτε
δὲ κατέσπα, ὁ Ἀμαλήκ. Μὴ κατενέγκωμεν οὖν τὰς χεῖρας,
ἐπεὶ νικηθησόμεθα.
98
FrPs 27,2 (PG 12,1285B,4-5): πολλάκις ἐλέγομεν περὶ τῶν ἐπάρσεως τῶν χειρῶν.
Sul rilievo specifico di ciascuno di questi nuclei scritturistici si veda L. PERRONE, La preghiera secondo Origene, cit.,
451ss. (Es 17,11); 430-435 (1 Tm 2,8); 438-441 (Sal 140[141],2).
99
107
ADAMANTIUS 20 (2014)
simbolica ‘mani alzate’ = ‘azioni conformi al culto di Dio’, Origene ne deduce che «quando
accumuliamo tesori nei cieli (cf. Mt 6,19-20), teniamo le mani sollevate verso Dio e vinciamo il
nemico». L’accento batte dunque, da un lato, sulla prassi morale ispirata dalle virtù e, dall’altro, sulla
prospettiva del combattimento spirituale il cui esito vittorioso dipende strettamente dalla prima, senza
che si notino spunti inediti o più originali come li ritroviamo nel commento ad altri salmi 100 .
Comunque, tali indicazioni convergono con l’immagine dell’orante come ‘santo’ tracciata fin dal
commento al v. 1a.
Sal 27(28),3
Il commento al v. 3 è senza dubbio il punto più alto dell’esegesi origeniana di Sal 27(28), poiché rilegge
le parole della supplica, rovesciandone paradossalmente il senso immediato per ricomprenderle
all’interno della visuale soteriologica dell’Alessandrino. Si rammenti, a questo proposito, come proprio
il v. 3a-b venga assunto dal Trattato sulla preghiera ad esemplificazione della ‘richiesta’ dell’orante
(αἴτησις)101. La divisione del commento in due frammenti, indotta dall’inserimento successivo dei
lemmi (v. 3a-b = Fr. 4; v. 3c-d = Fr. 5), non comporta uno sviluppo distinto dell’argomentazione, dato
che pure il Fr. 5 rimane nella stessa orbita tematica. Riguardo poi al tenore dei lemmi che sono oggetto
di commento, il v. 3a presenta un profilo testuale leggermente diverso, perché fa propria la lezione del
Sinaitico sostituendo all’‘anima’ il pronome di prima persona (μὴ συνελκύσῃς με in luogo di τὴν ψυχήν
μου). L’adozione di una forma più fedele all’ebraico (ynIkEåv.m.Ti-la;) non solo pare confermata dall’assenza
di ogni riferimento all’anima nel corpo del frammento, ma soprattutto dal fatto che anche Orat 33,5
adotta la medesima lezione.
3a
Μὴ συνελκύσῃς με μετὰ ἁμαρτωλῶν [σ. μ. ἁ. τὴν ψυχήν μου LXX]
καὶ μετὰ ἐργαζομένων ἀδικίαν μὴ συναπολέσῃς με
3c
τῶν λαλούντων εἰρήνην μετὰ τῶν πλησίον αὐτῶν,
3d
κακὰ δὲ ἐν ταῖς καρδίαις αὐτῶν.
3b
Non trascinarmi coi peccatori
e non perdermi con gli operatori di ingiustizia,
che parlano di pace col prossimo,
mentre c’è il male nel loro cuore.
a) In mezzo ai peccatori: il modello di Gesù e le limitazioni del giusto
100
Ad es., in FrPs 118,47-48 (268) il gesto di ‘sollevare le mani’, inteso sempre in rapporto all’agire, è visto come il
secondo di tre tempi che comprendono a) meditazione dei precetti divini, b) azione, c) contemplazione: μετὰ γὰρ
τὴν μελέτην καὶ ἀνάληψιν τοῦ τῶν ἐντολῶν λόγου, καλὸν τὸ ἐπᾶραι τὰς χεῖρας ἐπὶ τὰς κατὰ τὰς ἐντολὰς ‹ἐνεργείας›
καὶ πράξεις […] μετὰ τὴν μελέτην καὶ τὴν ποίησιν τῶν ἐντολῶν, περὶ τούτων διαλέγεσθαι δεῖ. Secondo FrPs 119 (PG
12,1629,11-14), il XV salmo graduale (con riferimento a Sal 133[134], 2) ha per tema: περὶ τοῦ δεῖν αὐτούς,
φθάσαντας εἰς τὸν οἶκον τοῦ Θεοῦ, ἑστάναι ἐν αὐτῷ, καὶ εὐλογεῖν αὐτόν, ἐπαίροντας τὰς χείρας εἰς τὰ ἅγια, ἵνα καὶ
αὐτοὶ εὐλογηθῶσιν ἀπὸ Κυρίου. Se Ilario di Poitiers dipende da Origene, questi doveva aver dato del gesto di
sollevare le mani un’interpretazione morale, pratica: «In questa notte dell’ignoranza, delle insidie, delle debolezze,
delle concupiscenze, dei vizi, bisogna elevare le mani verso il santuario, non solo per chiedere e pregare, ma anche
per operare. Le preghiere da sole non giovano; bisogna elevare le nostre opere verso il santuario di Dio: vestire gli
ignudi, saziare gli affamati, dissetare gli assetati, consolare gli afflitti, aiutare gli oppressi, amare tutti. Queste sono le
opere che ci santificano nel nostro stato attuale di debolezza fisica» (Ilario di Poitiers. I salmi delle ascensioni. Cantico
del pellegrino, Intr., trad. e note a cura di A. ORAZZO, Roma 1996, 221-222). Invece FrPs 133,2 (R. DEVREESSE, Les
anciens commentateurs grecs des Psaumes, cit., 87) sottolinea il sollevare le mani opponendolo allo stendere: καλῶς δὲ
τὸ ἐπάρατε καὶ οὐ τὸ ἐκτείνατε. Καὶ γὰρ ἔπαρσίς φησι τῶν χειρῶν μου, οὐχὶ ἔκτασις, θυσία ἐσπερινὴ καὶ βουλόμαι
προσεύχεσθαι κτλ. H76Ps I,4 (ff. 175r-v) intende l’atto di sollevare le mani come la ricerca di Dio e ritrova questo
significato anche nelle braccia distese del Cristo crocifisso: μέλλει τι λέγειν ὁ λόγος, καὶ λέγω ὅτι Χριστὸς ταῖς χερσὶν
ἐζήτει τὸν θεόν, ὑπὲρ ὅλου τοῦ κόσμου ἐκτείνας αὐτὰς ἐπὶ τοῦ ξύλου καὶ στηρίξας αὐτὰς ἵνα τότε εὔξηται, μετὰ
ἐκτάσεως χειρῶν καὶ ὅλου τοῦ σώματος καὶ τῆς ψυχῆς αὐτῷ συνεκτεινομένης οὐκ ἐπὶ τὸ σῶμα ἀλλ᾽ ἐπὶ ὅλον τὸν
κόσμον, ὑπὲρ ὅλου τοῦ κόσμου.
101
Orat 33,5 (supra, n. 25).
108
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
Un indizio di trasparente marca origeniana è l’avvio in forma aporetica del commento al v. 3a-b. Una
migliore conoscenza della tradizione catenaria ci aiuterà sperabilmente a ricostruire il testo in maniera più
precisa e fedele, ma anche dal frammento tràdito si coglie bene l’introduzione di una quaestio: che bisogno
c’è – si domanda Origene – di supplicare Dio per non essere trascinati con i peccatori? L’interrogativo si
spiega nella prospettiva del libero arbitrio, in forza del quale l’uomo è responsabile delle proprie azioni:
dipende da esse che si finisca insieme ai peccatori, senza che Dio ci abbandoni di sua iniziativa ad un
destino di perdizione, compiendo ingiustizia nei nostri confronti. Dunque, l’orante supplica invano di non
perdersi insieme ai peccatori102? Secondo un modulo argomentativo caro all’Alessandrino, l’accentuazione
dell’aspetto aporetico prelude ad una soluzione paradossale. Questa riporta, da un lato, alla lettera del testo
assumendola, per così dire, in tutta la sua pregnanza; dall’altro, stabilisce in forza di ciò un nesso col
‘mistero’ stesso della redenzione. Proprio richiamandosi ‘arditamente’ (τολμῶμεν) alla testimonianza dei
vangeli Origene afferma che in realtà «Dio trascina il giusto coi peccatori, trascina il giusto a motivo dei
peccatori e degli operatori di ingiustizia, affinché essi siano salvati»103. La solidarietà salvifica del giusto con
il peccatore tocca il cuore stesso dell’economia redentiva e misconoscere ciò significa non comprendere
l’azione del Salvatore, come quelli che stando ai vangeli accusavano Gesù per il fatto di «mangiare e bere
con i peccatori» (Mc 2,16) e avere contatti con le prostitute.
A prima vista, insomma, l’orante del salmo rischia di fraintendere un tratto essenziale del messaggio
evangelico, allo stesso modo di colui che, non comprendendo il vero intento della sesta petizione del
Padrenostro (Mt 6,13), pregasse Dio di ‘non sottoporlo alla tentazione’104. Infatti, il discepolo di Cristo,
colui che si fa suo ‘imitatore’, agisce sull’esempio di Gesù, frequentando al pari di lui i peccatori. Non
può quindi essere che il salmista – un profeta, un autore ispirato – domandi qualcosa di palesemente
contrario alla volontà di Cristo. Però non tutti i discepoli sono in grado d’imitare fino in fondo il
Maestro, che sta in mezzo ai peccatori senza riceverne alcun danno, ma anzi giovando loro ai fini della
salvezza105. Lo può fare solo chi è preparato a tale compito, pena l’essere trascinato dai peccatori sulla
loro strada. Pertanto, il senso della supplica al v. 3a-b non è da vedere come un sottrarsi alla
condivisione con i peccatori, nell’esclusiva preoccupazione della propria salute spirituale106, bensì come
la richiesta di essere adeguatamente preparati a fare ciò, senza essere travolti con gli empî,
nell’incapacità di aiutarli efficacemente107.
Passando all’esegesi di v. 3c-d Origene tende a ridimensionare la portata della sua interpretazione,
avanzando sia pure in forma dubitativa (ἴσως) una seconda, per cui l’orante mirerebbe ad evitare coloro
che «commettono peccati inguaribili»108. Si rendono colpevoli di essi, alla luce del lemma commentato,
102
FrPs 27,3: Τίς χρεία ταῦτα λέγεσθαι; ἤτοι γὰρ ποιεῖς τὴν ἀνομίαν, καὶ συναπολλύει σε, καὶ μάτην λέγεις ταῦτα
πρὸς [+ τὸν V. gr.] Θεόν· ἢ οὐδὲν ποιεῖς ἄνομον, καὶ οὐκ ἀπολλύει ὁ Θεός. Ὁ Θεὸς γὰρ οὐχ οὕτως ἄδικός ἐστι (PG
12,1285D,2-6, col riscontro di Vat. gr. 1789 e Bucur. Acad. 931). L’uso di μάτην riporta alla mente le aporie di Orat
5,4-5. Un estratto in BARBARO, 246, riprodotto in PG 12 prima del nostro fr., fa emergere ancor più direttamente la
nozione di libero arbitrio e l’interrogativo sollevato dalle parole del salmo alla luce di essa: εἰ ἐφ’ ἡμῖν ἑκάτερον, τί
τῶν ἀγαθῶν Θεῷ τὴν αἰτίαν ἀνέθηκεν; (PG 12,1285C,7-8).
103
FrPs 27,3 (PG 12,1285D,7-1288A,3): τολμῶμεν οὖν ἀπὸ τοῦ Εὐαγγελίου καὶ λέγομεν ὅτι ὁ Θεὸς συνέλκει τὸν
δίκαιον μετὰ ἁμαρτωλῶν, συνέλκει τὸν δίκαιον διὰ τοὺς ἁμαρτωλοὺς καὶ τοὺς ἐργαζομένους τὴν ἀνομίαν, ἵνα
σωθῶσι.
104
Origene ha sviluppato l’aspetto paradossale della sesta domanda nel suo commento del Padrenostro: non si tratta
di pregare per non essere tentati, bensì per non cadere preda della tentazione (Orat 29).
105
FrPs 27,3 (PG 12,1288A,6-8): αὐτὸς δὲ μακρὰν ἦν τῆς ἀπ" αὐτῶν βλάβης, πρὸς τὸ καὶ ὠφελεῖν αὐτούς. Οὕτω καὶ
εἴ τις Χριστοῦ μιμητής, τοῦτο ποιεῖ.
106
Come traspare invece da un fr. attribuito a Didimo: ἢ εὔχεται λέγων· Ἐπεὶ πάντως τῷ ἀδικοῦντι ἀπώλεια ἕπεται,
δικαιοσύνην παρέχων μοι, μὴ ἐάσῃς με ἐν ἀδικίᾳ γενέσθαι, ὅπως μὴ ἀπόλωμαι μετὰ τῶν ἐργαζομένων αὐτήν (E.
MÜHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Katenenüberlieferung, cit., 257 nr. 247).
107
FrPs 27,3 (PG 12,1288A,12-15): τοιγαροῦν [μήποτε οὖν Vat. gr. 1789] καὶ ἐνθάδε [+ ἐπεὶ V. gr.] ὁ προφήτης
παρασκευάζειν ἑαυτὸν βούλεται, ὥστε δύνασθαι μὲν [om. V. gr.] εἶναι μετὰ ἁμαρτωλῶν καὶ ἑργαζομένων [+ τὴν V.
gr.] ἀνομίαν [πρὸς τῆς τοιαύτης ἕξεως δέεται V. gr.], μὴ συνελκυσθῆναι δὲ αὐτοῖς.
108
Sui peccati ‘inguaribili’ (ἀνίατα) Origene si è soffermato in Orat 28,8. Ma, come mostra 29,13, nel piano
provvidenziale di Dio l’‘inguaribilità’ non è affatto definitiva. Rimando in proposito alla mia voce Peccato, in
Origene: Dizionario, cit., 347s.
109
ADAMANTIUS 20 (2014)
quanti si comportano ipocritamente nascondendo l’odio del loro cuore dietro parole di pace. Il giusto
perciò si astiene dal frequentare coloro che agiscono in tale maniera e può farsi forte in questo
dell’esempio di Gesù, il quale dialoga sì «con i peccatori e con la prostituta», ma senza che quest’ultima
agisca nei suoi confronti con la doppiezza deprecata nel salmo. È singolare che l’esemplificazione si
focalizzi sulla donna protagonista di un episodio non facilmente identificabile tra le varie scene
evangeliche che ci mostrano dialoghi di Gesù con donne. Ma guardando al commento di Mc 2,16 (Lc
7,34) nel Commento a Giovanni ritroviamo lo stesso spunto del nostro frammento, sia pure sotto
diversa angolatura: qui la condotta di Gesù è posta in evidenza per distinzione dall’agire degli angeli, i
quali prima della venuta del Salvatore si astengono dal visitare gli uomini, non essendo questi ancora
preparati e purificati per fruire del loro aiuto:
«Solo Gesù infatti, nel suo amore per gli uomini, poteva mangiare e bere con i peccatori e i pubblicani e offrire i
suoi piedi alle lacrime della peccatrice convertita e abbassarsi fino a morire per gli empi»109.
A ben vedere, la donna peccatrice di Lc 7,37-38 non intrattiene alcun dialogo con Gesù, se non con i
suoi gesti e le sue lacrime. Ma forse non è fuori luogo pensare che l’incontro del peccatore con Gesù,
anche nell’esemplificazione più negativa del Fr. 5, non sia mai privo, in linea di principio, dei benefici
apportati dal Salvatore agli uomini, pur commisurati sempre alla loro disponibilità e apertura110 .
Potremmo inoltre addurre, a rinforzo di tali considerazioni, l’estratto che ci ha conservato un
brevissimo commento di Sal 27(28), 6-7 (= Fr. 8), dove si osserva che l’orante, avendo prima
«domandato cose cattive» per i peccatori (con riferimento ai vv. 4-5), si volge adesso a benedire Dio per
essere stato esaudito. Ma Origene soggiunge: «Si deve intendere ciò che (l’orante) ha detto, cioè che egli
prega per la loro conversione e correzione»111.
Conclusione
Gli scarni frustoli del commento ai vv. 4, 5, 6-7, non consentono di ricostruire ulteriormente
l’interpretazione origeniana112. Del resto, anche i frammenti più estesi permettono di realizzare questo
obiettivo solo in piccola parte. Tanto più notevole è la ricchezza di spunti a cui possiamo comunque
accedere grazie ad essi. Sarebbe ovviamente un’altra prova di temerarietà (oltre a quelle già fornite
abbondantemente nel nostro contributo) tentare di offrire, in conclusione, una chiave di lettura complessiva
dell’esegesi di Sal 27(28) da parte dell’Alessandrino. Certo intravediamo un orante che dall’iniziale
presentazione paradigmatica – conformemente al modello del ‘santo’ come soggetto dell’orazione – si apre
nella sua vicenda spirituale ad altre manifestazioni e dimensioni che ne rendono il profilo più complesso. In
particolare, se la figura di questo orante ‘santo’ è declinata di seguito anche nei termini del ‘giusto’, le
implicazioni del rapporto, auspicato ma rischioso, con i peccatori ne fanno intravedere le limitazioni nel
cammino della perfezione, venendo così a rinforzare l’elemento della supplica, dominante nel tono
complessivo del salmo, almeno per quel che resta della grande esegesi di Origene.
Lorenzo Perrone
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica
Via Zamboni 32, I-40126 Bologna
lorenzo.perrone@unibo.it
109
CIo VI 57,294 (165,33-166,2): τῆς γὰρ Ἰησοῦ μόνου φιλανθρωπίας ἦν μετὰ ἁμαρτωλῶν καὶ τελωνῶν ἐσθίειν καὶ
πίνειν, καὶ παρέχειν ἑαυτοῦ τοὺς πόδας τοῖς δακρύοις τῆς μετανοούσης ἁμαρτωλοῦ, καὶ μέχρι θανάτου καταβαίνειν
ὑπὲρ ἀσεβῶν (tr. E. CORSINI, 374).
110
Questo punto sembra aver creato problemi, come vediamo dal contrasto tra la formulazione del nostro
frammento (μετὰ πόρνης, οὐ μέντοι λαλούσης μὲν εἰρηνικὰ, κακὰ δὲ ἐχούσης ἐν τῇ καρδίᾳ ἑαυτῆς [PG 12,1288B,1011] e quella riportata da BARBARO, 246 (εἰ γὰρ καὶ μετὰ πόρνης γέγονεν ὁ Σωτήρ, μηδὲν ἐξ ἐκείνων βλαπτόμενος
[PG 12,1285C,13-D,2]).
111
FrPs 27,6-7 (PITRA III,2): εὐξάμενος κακὰ ἀνθρώποις, εὐλογεῖ τὸν Θεόν, ὅτι εἰσήκουσεν αὐτοῦ· ἀλλὰ τὰ εἰρημένα
νοείσθω, ὅτι εὔχεται μετάνοιαν καὶ διόρθωσιν τοῖς ἡμαρτηκοσι.
112
A differenza dei più ampi frr. attribuiti ad Eusebio e Didimo, che potrebbero conservare elementi origeniani.
110
LORENZO PERRONE – L’interpretazione origeniana del Salmo 27(28)
Abstract
The few occurrences of Ps. 27(28) in Origen’s writings, together with the fragments trasmitted by the catenae under
his name, provide an interesting case for the study of the origenian exegesis of the Psalms. To obtain a less
fragmentary picture of it, we can first of all view Ps. 27(28) in the context of the Alexandrian exegetical tradition. It is
reasonable to suppose that authors like Eusebius of Caesarea or Didymus adopted an approach to our psalm
presumably comparable to what we have lost of Origen’s commentary. We may thus tentatively reconstruct a
preliminary agenda of topics concerning both the distinctive profile of Ps. 27(27) as a prayer of supplication and the
prosopological interpretation of its protagonist or the form of the text in the Greek versions.
A further step leads us to examine the occurrences of Ps. 27(28) in Origen’s works, more specifically in the Treatise
on Prayer, ch. 33, where v. 3a-b is taken as the paradigmatic expression for a prayer of ‘demand’ (αἴτησις).
Nevertheless Origen, instead of clinging to a definite and coherent terminology for the different forms of prayer,
prefers to stress the idea that the language of those who pray should be inspired and nourished by the words of the
Psalms.
Subsequently, an analysis of the most important fragments attempts to reconstruct the main lines of Origen’s
interpretation of Ps. 27(28). For the Alexandrian it is an opportunity to rethink his model of the ‘spiritual prayer’ as
a demand addressed to God for the ‘great and heavenly things’ by those who are expected to be ‘saint’ or ‘righteous’.
Yet, according to Walther Völker, Origen seems to revise such a model by positing the pure prayer of thanksgiving
as the highest expression of prayer, adopted by those who are truly ‘friends of God’. This unique vindication of a
‘eucharistic’ spirituality indeed demands to be appreciated against the background of Origen’s ideas of the spiritual
existence, as impressively traced by him also in the commentaries on the Psalms. As shown, for instance, by the
fragments on Ps. 118(119), the Alexandrian continues to propose, as the normal rule, a pattern made by the
alternance between prayer of demand and thanksgiving. Such a conclusion is finally corroborated by the significant
exegesis of Ps. 27(28), 3, where the ‘saint’ or ‘righteous’ of our psalm confronts himself with the paradigm of Christ
and with his own limitations.
111
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