Subido por José G.

[Ingegneria] N. Bachschmid, S. Bruni, A. Collina, B. Pizzigoni, F. Resta - Fondamenti di Meccanica Teorica e Applicata

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re del testo sono disponibili per
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www.mcgraw-hill.it
www.ateneonline.it
www.hyperbook.it
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Fondamenti di metanica
teorica e applicata
Nicolò Bachschmid
Stefano Bruni
Andrea Collina
Bruno Pizzigoni
Ferruccio Resta
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ISBN 88-386-6083-2
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Indice
Prefazione
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1 Introduzione
i
2 Cinematica del punto e del corpo rigido
2.1 Cinematica del punto nel piano
2.2 Cinematica del corpo rigido nel piano
2.2.1 Definizioni relative al movimento in un corpo
2.2.2 Definizione di corpo rigido
2.2.3 Gradi di libertà del corpo rigido nel piano e classificazione
dei moti rigidi
2.2.4 Atto di moto rigido piano
2.2.5 Velocità e accelerazioni dei punti di un corpo rigido
2.2.6 Vincoli
2.3 Cinematica del punto: studio mediante i moti relativi
2.3. 1 Cinematica del punto: metodo cartesiano con moti relativi
2.3.2 Confronto con l’approccio con i numeri complessi
2.4 Esercizi
5
3 Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
3.1 Introduzione
3.1.1 Meccanismi e strutture
3.1.2 Computo dei gradi di libertà di un sistema di coipi rigidi
3.1.3 Catene cinematiche aperte e chiuse
3.2 Manipolatore piano R-R
3.3 Manovellismo ordinario centrato
3.3.1 Approssimazioni del primo e secondo ordine del molo
del piede di biella
3.3.2 Un esempio numerico: il motore della vettura
Alfa Romeo GTV2000 (1971)
3.4 Altri sistemi articolati
3.4.1 Quadrilatero articolato
3.4.2 Cinematica del glifo oscillante
3.5 Esercizi
5
13
13
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25
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37
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49
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51
51
54
61
Vili
Indice
Indice
4 Geometria delle masse
4. 1 Introduzione
4.2 Baricentro di massa
4.2.1 II baricentro come centro delle forze peso
4.3 Momento di inerzia di massa
4.4 Esercizi
69
5 Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
5.1 Equazioni cardinali della statica
79
69
69
71
72
76
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1
84
88
89
91
92
93
94
98
99
6 Azioni mutue tra elementi di macchine
107
6.1 Introduzione
107
6.2 II contatto tra solidi
6.2.1 Attrito nei solidi a contatto
6.2.2 Attrito statico (condizione di aderenza)
6.2.3 Attrito dinamico
6.2.4 Contatto di rotolamento
6.2.5 Resistenza al rotolamento (attrito volvente)
6.3 Critica ai modelli elementari di attrito
6.4 Usura nel contatto tra solidi
6.4.1 Un modello elementare di usura
6.5 Azioni tra solido e fluido
6.5.1 Azioni fluidodinamiche in condizioni stazionarie
6.5.2 Azioni fluidodinamiche in condizioni non stazionarie
6.5.3 Distacco di vortici
6.5.4 Cenni alla lubrificazione
6.5.5 La lubrificazione mediata idrodinamica
6.6 Esercizi
i
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t
79
80
81
82
83
83
5.2 II principio dei lavori virtuali
5.2.1 Applicazione: asta su guide rettilinee
5.2.2 Applicazione: statica del manovellismo
5.3 Principio di D’Alémbert ed equazioni della dinamica
5.3.1 Punto materiale
5.3.2 Corpo rigido
5.3.3 Sistema composto da corpi rigidi
5.4 Equazione del bilancio delle potenze
5.4.1 Eneibia cinetica di un corpo rigido
5.4.2 Teorema dell’energia cinetica
5.5 Cinetostatica e dinamica dei sistemi meccanici
5.5.1 Analisi cinetostatica di un motore a combustione interna
5.5.2 Cinetostatica del glifo oscillante
5.6 Esercizi
ri
f
.
।
t
(
7.10 La macchina in regime periodico
7.10.1 Condizioni di funzionamento in regime periodico
107
109
109
110
112
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117
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119
120
120
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127
128
131
.
I
t
7 Dinamica della macchina a un grado di libertà
7.1 Considerazioni generali
7.2 II motore
7.2.1 Caratteristica meccanica di un motore
a combustione interna
7.2.2 Caratteristica meccanica di un motore asincrono trifase
7.2.3 Motore asincrono trifase azionato da inverter
7.3 L’ utilizzatore
7.4 La trasmissione
7.4.1 Espressione della potenza persa in condizioni
di moto diretto
7.4.2 Espressione della potenza persa in condizioni
di moto retrogrado
7.4.3 Determinazione del flusso di potenza attraverso
la trasmissione
7.4.4 Trasmissioni in serie
7.5 Condizioni di funzionamento della macchina
7.6 Dinamica della macchina a regime e in moto vario
7.6.1 Condizioni di funzionamento in regime assoluto
7.7 Moto di un impianto di sollevamento carichi
7.7.1 Funzionamento in salita dell’impianto
7.7.2 Funzionamento in discesa dell’impianto
7.8 Dinamica longitudinale di un autoveicolo
7.8.1 Verifica dell’aderenza tra pneumatici e strada
7.8.2 Determinazione delle condizioni di regime
7.8.3 Studio numerico del transitorio di accelerazione
7.9 Dinamica longitudinale di un convoglio ferroviario
7.10.2 Irregolarità periodica della macchina
7.10.3 Un esempio applicativo
7.11 Esercizi
8 Dinamica delia macchina alternativa
8.1 Riduzione delle inerzie della biella a un sistema
di masse concentrate
8.2 Equazione di moto di un motore alternativo
8.2.1 La macchina alternativa come esempio di macchina
a regime periodico
8.2.2 Un esempio applicativo: il motore Moto Guzzi Ippogrifo
8.3 Cenni sull’equilibramento dei motori alternativi
8.3.1 Rappresentazione delle forze inerziali sul piede di biella
mediante vettori contro-rotanti
8.3.2 Equilibramento della macchina monocilindrica
8.3.3 Equilibramento della macchina pluricilindrica
:
IX
139
139
140
143
144
145
145
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200
203
204
206
208
209
209
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X
Indice
9 Stabilità e regolazione
9.1 Stabilità del moto a un grado di libertà
9.1.1 Moto di un punto su una traiettoria rettilinea liscia
9.1.2 Moto di un punto su un profilo circolare liscio
9.2 Stabilità e regolazione di una macchina
9.2.1 Regolazione della velocità angolare di una macchina
9.2.2 Regolazione ad anello chiuso
211
10 Gli elementi delle macchine
10.1 Sistemi per la trasmissione di potenza
10.2 Sistemi a rapporto di trasmissione costante
10.2.1 Ruote di frizione
237
10.2.2 Ruote dentate
10.2.3 Considerazioni sui riduttori a ingranaggi
10.2.4 Cinghie piane e trapezoidali
10.2.5 Cinghie dentate
10.2.6 Catene
10.2.7 Funi
10.2.8 Confronto tra alcuni tipi di trasmissione
10.3 Giunti
10.4 Sistemi d’arresto delle macchine
1 0.5 I cuscinetti
Prefazione
214
220
220
222
224
232
237
239
239
241
248
250
256
257
260
261
263
264
265
Bibliografia
269
Indice analitico
271
Questo libro si rivolge a chi intende avvicinarsi, a un livello non specialistico, allo
studio della Meccanica applicata e, in particolare, agli studenti dei primi anni di
corso delle Facoltà d’Ingegneria.
Nella prima parte del testo (Capitoli da 2 a 6) si forniscono gli elementi fon¬
damentali di cinematica e dinamica del punto, del corpo rigido e di sistemi di
corpi rigidi, limitatamente al caso di moti piani, e una descrizione elementare del¬
le forze di interazione tra solidi (attrito statico, radente, resistenze di rotolamento)
e tra solido e fluido.
Nella seconda parte, (Capitoli da 7 a 10) tali concetti di base sono utilizzati
per studiare la dinamica di una macchina, qui intesa in generale come sistema
a un grado di libertà che trasforma energia di vario tipo in energia meccanica.
Dopo una parte introduttiva finalizzata alla scrittura dell’equazione di moto e allo
studio delle condizioni tipiche di funzionamento (regime assoluto, regime vario e,
in particolare, periodico) si illustra l’analisi della stabilità e della regolazione della
macchina, e se ne descrivono, da un punto di vista prevalentemente morfologico
e funzionale, i principali organi di trasmissione del moto.
Al fine di favorire una migliore comprensione, tutti gli argomenti trattati so¬
no corredati da esempi applicativi che fanno riferimento a macchine di comune
utilizzo (veicoli, macchine di sollevamento, robot ecc.). Inoltre, la maggior parte
dei capitoli è completata da una sezione di esercizi di tipo numerico compietamente svolti, con lo scopo di permettere al lettore di familiarizzare con le tecniche
risolutive introdotte.
Il presente testo riassume un’esperienza pluridecennale acquisita dal gruppo
di docenti che fanno parte della Sezione di Meccanica dei Sistemi del Dipartimen¬
to di Meccanica del Politecnico di Milano e in tale ottica si vogliono ringraziare
tutti i docenti afferenti alla sezione.
Un ringraziamento particolare va al Prof. Diana, la cui impostazione didattica
ha ispirato il testo, e ai Proff. Fabio Fossati e Alberto Zasso e all’Ing. Marco
Belloli per gli amichevoli consigli e il prezioso aiuto fornitici durante la stesura.
Gli autori saranno lieti di ricevere eventuali suggerimenti e commenti sul
testo.
Gli Autori
Milano, maggio 2003
Introduzione
Oggetto della Meccanica sono le leggi che regolano il moto e l’equilibrio dei si¬
stemi costituiti da corpi materiali, denominati anche sistemi meccanici: tra questi
un posto importante è occupato dalle macchine, che costituiranno l’argomento
principale di questo testo. Con il termine macchina s’intenderà un sistema mec¬
canico atto a trasformare energie di diversa origine (chimica, idraulica, elettrica,
eolica) in energia meccanica. L’energia meccanica resa disponibile da una mac¬
china può a sua volta essere utilizzata per generare energia sotto altra forma, per
esempio elettrica (come nel caso di un motogeneratore), idraulica (pompa), aeraulica (ventilatori), o compiere lavoro su un gas (compressore). Ancora, l’energia
meccanica può essere utilizzata per realizzare una funzione o un movimento as¬
segnato. Nel primo caso si può parlale di macchine energetiche, nel secondo di
macchine operatrici.
La modellazione di un sistema meccanico Premessa fondamentale per effet¬
tuare lo studio di un qualunque sistema fisico è la realizzazione di una rappre¬
sentazione per poterne poi descrivere, in termini matematici, il comportamento:
tale procedimento prende il nome di modellazione. Quanto detto vale anche per i
sistemi meccanici.
Come primo passo, il sistema reale deve essere ridotto a un sistema fisico
ideale di riferimento che ne rappresenti le caratteristiche principali, in funzione
dell’analisi da compiere; successivamente, dal sistema fisico ideale si trae il mo¬
dello matematico, che consiste nell’insieme di equazioni che legano le diverse
grandezze utilizzate per descrivere il sistema. Nella procedura di modellazione,
per poter giungere alla formulazione di un modello efficace devono essere effet¬
tuate delle semplificazioni: la complessità del modello sarà pertanto adeguata al
problema che si intende studiare. Infatti, se da una parte un modello incompleto
non consente di ottenere risultati tecnicamente validi, dall’altra un modello ecces¬
sivamente complesso, oltre a essere più impegnativo dal punto di vista computa¬
zionale, risulta inutile ove non siano disponibili i valori dei parametri (o almeno
una loro stima ragionevole) da inserire nel modello stesso.
!
2
i
Capitolo 1
-
1
I
l
o
e
o
La cinematica studia il movimento di un sistema meccanico in base ai vincoli
(ossia alle connessioni tra gli elementi che compongono il sistema), indipen¬
dentemente dalle azioni (forze e coppie) agenti su di esso.
La statica studia l’equilibrio del sistema meccanico nella condizione di quiete,
per effetto delle forze agenti.
La dinamica studia il movimento del sistema meccanico in relazione alle azioni
agenti sul sistema.
A ciascuno dei tre argomenti ora citati, corrisponde un diverso livello di studio del
sistema meccanico. 11 primo livello può riguardare la sola cinematica: rientrano
in questo ambito le analisi di mobilità legate alla funzionalità dei meccanismi, lo
studio dello spazio di lavoro di robot c manipolatori, o il funzionamento di una
sospensione. Dalla sola analisi cinematica non si traggono però indicazioni per
il dimensionamento o la verilìca di resistenza di un sistema. A tale scopo è ne¬
cessario effettuare analisi in cui si includano le forze agenti sul sistema. A questo
livello si colloca inizialmente l’analisi statica o quasi-statica, nella quale si consi¬
dera assegnato il movimento del sistema, e si valuta l’effetto delle forze agenti, in
diverse configurazioni del sistema, trascurando la presenza delle azioni di inerzia
derivanti dalle accelerazioni agenti sui componenti del sistema meccanico (analisi
statica): questo tipo di analisi può essere esauriente nel caso di movimenti lenti.
Successivamente è possibile includere nell’analisi precedente anche l’effetto
delle azioni di inerzia derivanti dalle accelerazioni del sistema, e in questo ca¬
so si parla di analisi cinetostatica, nella quale però si assume ancora imposto il
movimento del sistema.
Nell’analisi dinamica vera e propria sono assegnate le forze agenti sul siste¬
ma, mentre viene ricavato come risultato dell’analisi il moto del sistema. Nell’a¬
nalisi dinamica è possibile includere, se presente, anche il controllo del sistema.
In quest’ultimo caso si affiancano sottosistemi (elettrici, idraulici, pneumatici) a
loro volta descritti da opportuni modelli, ottenendo un modello complessivo in
cui, oltre a grandezze di tipo meccanico, compaiono grandezze derivanti dal tipo
di sensori e attuatoti utilizzati nel controllo.
Organizzazione del testo Gli argomenti esposti seguono le linee generali di un
insegnamento di base di Meccanica. 11 secondo capitolo è dedicato a richiami di
cinematica del punto e del corpo rigido nel piano: si introduce la notazione dei
numeri complessi come ausilio per la risoluzione dei problemi di cinematica.
Nel terzo capitolo viene trattata la cinematica dei sistemi di corpi rigidi nel
piano, ponendo l’accento sulla descrizione di tipo sintetico consentita dal metodo
dei numeri complessi. Il quarto capitolo, che tratta della geometria delle masse,
ossia lo studio della distribuzione della massa nei corpi, è propedeutico al quinto,
Introduzione
3
:
?
Contenuto del testo Nell’ordinario iter progettuale di un sistema meccanico si
possono distinguere differenti livelli di approfondimento per quanto riguarda sia
la modellazione, sia il tipo di analisi. Lo studio della Meccanica, in senso classico,
comprende tre argomenti principali: cinematica, statica e dinamica.
I
in cui si tratta della statica e della dinamica dei sistemi di corpi rigidi; equazio¬
ni cardinali della statica, poste a fondamento dello studio dei sistemi in quiete,
vengono estese, mediante il “principio di D’Alembert”, al caso dinamico, attra¬
verso il concetto di forza di inerzia. Alternativamente alla formulazione basata
sull’equilibrio di forze, viene sviluppata l’interpretazione dell’equilibrio statico e
dinamico dal punto di vista energetico, attraverso il “principio dei lavori virtuali”,
e l’equazione di “bilancio delle potenze”.
Nel sesto capitolo vengono introdotti i modelli per rappresentare le azioni di
contatto tra corpi solidi e tra corpo e fluido, finalizzati allo studio dinamico delle
macchine. Tali concetti trovano applicazione, nel settimo capitolo, nello studio
della dinamica delle macchine riconducibile allo schema di motore, trasmissio¬
ne e utilizzatore. Con riferimento a tale schema interpretativo, viene introdotto
il concetto di rendimento della trasmissione, e sono studiate le diverse fasi del
funzionamento della macchina: transitorio di avviamento, regime, transitorio di
arresto. L’ottavo capitolo tratta di alcuni ulteriori aspetti applicativi della dinami¬
ca delle macchine a un grado di libertà, quali il moto periodico e l’equilibramento
delle azioni di inerzia nelle macchine alternative.
Nel nono capitolo si espongono i concetti introduttivi allo studio della sta¬
bilità e della regolazione dei sistemi meccanici, con riferimento particolare alle
macchine.
Infine nell’ ultimo capitolo si descrivono alcuni aspetti morfologici e funzio¬
nali riguardanti la trasmissione del moto nelle macchine, e il funzionamento dei
principali organi di macchina.
I
Cinematica del punto e del corpo rigido
La cinematica è quella palle della meccanica che studia il movimento di un punto,
di un coipo o di un insieme di corpi interconnessi tra loro (meccanismi), intenden¬
do con il termine movimento la descrizione matematica dell’evoluzione temporale
della posizione del sistema. Nel caso più generale, la cinematica si occupa di de¬
scrivere il movimento nello spazio; nel seguito lo studio sarà invece circoscritto
ai moti che avvengono nel piano. A tale scopo si introdurrà la tecnica dei numeri
complessi, il cui utilizzo risulta vantaggioso per lo studio e la descrizione sintetica
dei meccanismi piani.
2.1 Cinematica del punto nel piano
Posizione Sia dato (vedi Figura 2.1) un sistema di riferimento di assi coordinati
ortogonali (x-v): la direzione e il verso di ciascun asse è dato dai versori (vettori
di modulo unitario) i e j relativi rispettivamente agli assi x e y. Si consideri un
punto P, appartenente al piano individuato dagli assi coordinati, la cui posizione
può essere trovata mediante la coppia di coordinate (x, )’) (funzioni del tempo), o
mediante il vettore P:
P(r) = (P-O)
= ix(f)+jy(0
(2.1)
espresso attraverso le componenti sui due assi coordinati, in generale costituite da
funzioni del tempo (x(r), )’(t)). Esse descrivono la successione delle posizioni
occupate dal punto nel piano in funzione del parametro tempo:
Le (2.2) esprimono in forma parametrica la traiettoria del punto, ossia la linea
descritta dal punto durante il suo moto. Eliminando il tempo t ed esprimendo una
coordinata in funzione dell’altra, si ottiene l’espressione esplicita y = /(x) della
traiettoria:
I l=gM
I y = y(s(')) =
li
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1
t
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.
fM
i
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)(
6
Capitolo 2
Figura 2.1 —Significato del vettore posizione P e sua corrispondenza con il numero
complesso P.
Lungo la traiettoria può essere definita l’ascissa curvilinea come spazio percorso
dal punto, misurato lungo la traiettoria a partire da un’origine assegnata.
Il vettore posizione P nel piano può essere posto in corrispondenza con un nu¬
mero complesso P [4] facendo corrispondere le componenti del vettore secondo
gli assi coordinati alla parte reale e alla parte immaginaria del numero complesso
P. La descrizione, in termini di numero complesso, della posizione del punto,
può essere fatta in forma cartesiana, attraverso le componenti lungo gli assi reale
e immaginario:
(2.4)
P = x + iy
oppure in forma polare, cioè in termini di modulo P e anomalia 0, come mostrato
nella Figura 2.lb:
P = Pe10 con
P
= -/x2 + y2
e 9
—
= arctan x
(2.5)
In questa seconda forma il modulo rappresenta la distanza del punto dall’origine,
e l’anomalia l’angolo che il vettore forma con l’asse reale, che è identificato con
l’asse x del sistema di riferimento scelto.
Velocità Si definisce velocità la derivata rispetto al tempo del vettore posizione
che, considerando che i versori degli assi coordinati non si modificano nel tempo
(né in modulo, né in direzione), risulta:
—=
dP
(2.6)
ix(t) +jy(z)
dt
La velocità è quindi un vettore le cui componenti cartesiane sono le derivate ri¬
spetto al tempo delle componenti cartesiane del vettore posizione P. Utilizzando
il formalismo basato sui numeri complessi si ottiene:
V=
V=x + i>
=
(2.7)
Figura 2.2 -Significato del vettore velocità
complesso V.
V
e sua corrispondenza con il numero
o, in alternativa, derivando rispetto al tempo l’espressione della posizione in forma
polare si ricava:
V = Pew + iÒPe'" = Ve'u
(2.8)
dove a rappresenta l’anomalia e quindi l’inclinazione del vettore velocità. La
Figura 2.2 rappresenta il significato dei termini della (2.6) e della (2.8). Poiché
la derivata del numero complesso in forma polare segue le regole di derivazione
del prodotto di funzioni, compare sia la derivata del modulo di P, sia la deriva¬
ta dell’argomento dell’esponenziale. In particolare il primo termine della (2.8)
rappresenta un vettore di modulo P con direzione indicata dall’angolo 9, mentre
il secondo termine della (2.8) rappresenta un vettore di modulo P9 e direzione
perpendicolare alla precedente. Si ha infatti:
(2.9)
i9Pe'0 = e^ÒPe10 = ÒPe^0^
Il modulo V e l’anomalia a della velocità si possono calcolare come:
|V|=V=yViFV2=y(p)2+^^
a=arctg^=0+arctg^
(2.10)
Risulta interessante osservare che, come mostrato nella Figura 2.2, il vettore ve¬
locità V risulta tangente alla traiettoria seguita dal punto P. Infatti si ha:
tan(a)
dove, in base alla (2.3), y
punto.
—
——
dy
y
dy
V,.
= Xt = -x = dz dx = —
dx =
dt
f
(2.11)
= /(x) è la funzione che descrive la traiettoria del
8
Cinematica del punto e del corpo rigido
Capitolo 2
9
la velocità con cui varia l’inclinazione della tangente alla traiettoria percorsa dal
punto P. Considerando l’intervallo tra l’istante di tempo t e l’istante di tempo
t + dt, il raggio del cerchio osculatore ha descritto l’angolo da = àdt e corri¬
spondentemente il punto P ha percorso sul cerchio osculatore il tratto dr = gda,
per cui il modulo della velocità risulta:
V
—
di
da
= dt =Q—=Qa
dt
(2.14)
inserendo la (2.14) nella (2.13), l’espressione dell’accelerazione diviene:
Figura 2.3 Significato del vettore accelerazione
complesso a.
Accelerazione Derivando rispetto al tempo il vettore velocità, si ottiene il
vettore accelerazione:
a
=
——
dV
dt
à=
a e corrispondenza con il numero
ix(t) + j5>(r)
a = Veia +iàVeia
(2.13)
che risulta composto dalla somma di due termini, di cui il primo (vedi Figura 2.3b)
è diretto secondo la tangente alla traiettoria, mentre il secondo ha una direzione
perpendicolare alla precedente, indicata come direzione normale. Il vettore ac¬
celerazione può essere espresso in una forma significativa riferendosi alla Figura
2.4. La forma della traiettoria, nell’intorno del punto P, può essere sostituita lo¬
calmente dal cerchio osculatore, costituito dalla circonferenza avente in comune
con la traiettoria il punto P, la derivata prima e seconda. Il cerchio osculatore,
che vaila da punto a punto della traiettoria, rappresenta il cerchio che meglio ap¬
prossima la traiettoria nell’intorno del punto considerato. Il termine à rappresenta
V2
dt
g
e'a + i
.
e‘a
(2.15)
in cui il primo termine è denominato componente tangente alt e indica la variazio¬
ne del modulo del vettore velocità, mentre il secondo è denominato componente
normale a„, e indica la variazione di direzione del vettore velocità:
a,
(2.12)
Derivando invece l’espressione (2.8), si ottiene:
— —
dV .
=
—
dV
dt
an =
—V2
(2.16)
q
Relazioni tra posizione, velocità e accelerazione Indicando con s l’ascissa
curvilinea del punto P lungo la traiettoria, si possono definire le seguenti relazio¬
ni, di uso comune nello studio delle leggi di moto, tra l’andamento temporale di
s(t), la velocità V (t) e la componente tangente dell’accelerazione a,(t):
V(0 =
dr(r)
dt
o<(0 =
dV(t)
(2.17)
dt
e, all’inverso, avendo indicato con to l’istante iniziale di riferimento:
V(t)
= Vo+ 2<0/ a,(t)dt;
j(t)=^o+
/
7/0
V(f)dt
(2.18)
Applicazione: moto rettilineo Si consideri un punto P che si muove con legge
x(t) lungo una traiettoria rettilinea, come mostrato nella Figura 2.5a. Essendo
la traiettoria rettilinea, e ponendo l’asse reale lungo la traiettoria stessa, risulta
y(t) = 0, per ogni istante di tempo t . Si ha quindi:
P = x(t)
V =x^
(2.19)
a =x(t)
Figura 2.4 Rappresentazione del cerchio osculatore alla traiettoria nel punto P.
Essendo infinito il raggio del cerchio osculatore, per la (2.15) la componente nor¬
male dell’accelerazione risulta nulla: ciò significa che la direzione del vettore
velocità non varia nel tempo.
{((((<({
10
Cinematica del punto e del corpo rigido
Capitolo 2
I
11
Figura 2.5 Moto di un punto su traiettoria rettilinea a), moto su traiettoria circola¬
re b).
Applicazione: moto lungo una circonferenza Sia ora P, vincolato a muoversi
lungo una circonferenza di raggio R e centro O. Nel caso di moto su una traietto¬
ria circolare, risulta semplice scrivere il vettore posizione (P-O) direttamente in
forma polare, ed eseguire le derivazioni per ottenere velocità e accelerazione, in
tale forma:
P
=
R cos 0H- i R sin 0
iÒRe'°
V =
a =idRe'e - R92eie
= Re10
(2.20)
Nelle (2.20) si deve tenere conto, nelle derivazioni, che il raggio R è costante.
Si può osservare che dalla derivazione emergono direttamente le componenti tan¬
gente e normale dell’accelerazione: la prima è tangente alla traiettoria, mentre la
seconda è diretta radialmente, ed è rivolta verso il centro di curvatura della traiet¬
toria, che nel caso in esame coincide con il centro della circonferenza. Si osserva
inoltre che, anche nel caso in cui il modulo della velocità non vari nel tempo, il
punto è comunque soggetto a un’accelerazione, in quanto la direzione del vettore
velocità cambia nel tempo: ciò è indicato dal valore non nullo della componen¬
te normale dell’ accelerazione. L’andamento temporale di 0 e delle sue derivate
è ancora definito dalle (2.17) e (2.18), previa sostituzione di 5 con G, V con 0,
a con 0.
Applicazione: leggi del moto Nel campo delle macchine automatiche, e della
movimentazione in generale, è necessario compiere dei movimenti che prevedono
lo spostamento o la rotazione con partenza da fermo e arresto al termine del mo¬
vimento stesso, oppure un moto alternato tra due posizioni estreme: in ogni caso
sono presenti delle fasi di accelerazione e di decelerazione.
Tra le leggi più semplici per effettuare questi movimenti vi sono quelle denomninate ad accelerazione costante e ad accelerazione costante raccordata. Nel-
Figura 2.6 Confronto tra leggi del moto ad accelerazione costante (linea continua)
e trapezoidale (linea tratto-punto).
la prima si hanno intervalli temporali di accelerazione costante a tratti, una fase
di accelerazione e una di decelerazione, tra le quali può esservi anche un tratto
ad accelerazione nulla (ossia con velocità costante). L’andamento nel tempo della
velocità e lo spazio percorso riflettono ovviamente i legami espressi dalle (2.17)(2.18). La Figura 2.6 mostra un esempio di legge del moto per accelerazione
costante a tratti (linea continua).
L’applicazione della legge ad accelerazione costante non è adatta al caso di
movimenti veloci, per i quali le variazioni di accelerazione possono indurre feno¬
meni dinamici importanti. In alternativa si può modificare l’andamento dell’ac¬
celerazione raccordando linearmente i tratti ad accelerazione costante. In tal caso
(vedi la linea tratto-punto di figura 2.6), l’andamento della velocità risulta del tipo
trapezoidale raccordato, e l’accelerazione non presenta più discontinuità.
Applicazione: Moto di un punto lungo una traiettoria generica In questo
esempio, volto allo studio del moto di un punto lungo una traiettoria generica,
si considera un punto P che si muove lungo un’asta rettilinea OB (Figura 2.7),
dotata a sua volta di moto rotatorio attorno al punto O. Questo schema cinema¬
tico riproduce, per esempio, il moto del carrello in una gru da cantiere. Sia 0(t)
l’angolo che l’asta AB forma con l’asse reale, e s(t) la distanza tra il punto P e
l’estremo O dell’asta. Riprendendo la (2.4), si ha:
P=
Pe'e = s(t)eie(,)
(2.21)
12
Capitolo 2
Cinematica del punto e del corpo rigido
Figura 2.7 Applicazione per lo studio di una traiettoria generica di un punto
scorre su un'asta OB rotante attorno a O.
13
P che
Inserendo la dipendenza dal tempo delle due coordinate s^t) e 0(t), è possibile
tracciare la traiettoria descritta dal punto P. Considerando la derivata rispetto al
tempo della (2.21), si ottiene la velocità del punto P:
VP = seie + i0se'°
(2.22)
in cui si è omessa per brevità l’indicazione esplicita della dipendenza dal tempo.
I due termini che compaiono a secondo membro della (2.22) sono mostrati nella
Figura 2.8, con direzioni e versi dettati dalle loro stesse espressioni: l’anomalia
è l’argomento delle funzioni esponenziali, mentre il prodotto per l’unità immagi¬
naria i comporta una rotazione di rr/2 in verso antiorario, come già ricordato in
precedenza. Infine l’espressione vettoriale dell’accelerazione del punto P risulta:
aP = se® + Ì2s0eio + Ì0seìo
- ÀW'
(2.23)
con componenti indicate anch’esse nella Figura 2.8.
Come si vedrà nel Paragrafo 2.3.2, alle componenti delle (2.21-2.23) si può
dare l’interpretazione fisica in termini di moto relativo del punto rispetto all’asta
e del moto di trascinamento che l’asta, per effetto del suo moto rotatorio, imprime
al punto. Nel caso in esame, nella (2.22) se10, rappresenta la velocità con cui P
si muove lungo l’asta, mentre i0se's indica la velocità che l’asta, per effetto del
suo moto rotatorio, imprime al punto P. E possibile, tramite la (2.21) tracciare
nel piano x-y la traiettoria descritta dal punto P, note le leggi del moto delle due
Figura 2.9 Leggi del moto ad accelerazione costante della variabile j (linea continua)
e 0 (linea tratto-punto).
variabili s(t) e 0(t) (Figura 2.9). Nella Figura 2.10 si riportano, in corrispondenza
di due punti della traiettoria, i vettori velocità e accelerazione, quest’ultimo nelle
sue componenti tangente e normale.
2.2 Cinematica del corpo rigido nel piano
Nel paragrafo precedente si è studiata la cinematica di un sistema puntiforme,
ossia dotato di dimensioni trascurabili rispetto al campo di movimento. Molto
spesso però nello studio della meccanica occorre considerare corpi di dimensioni
finite. In questo ambito, un modello particolarmente importante è quello del corpo
rigido, che sarà tr attato in questo paragrafo.
In particolare, si fornirà la definizione di corpo rigido e si descriveranno i
particolari tipi di movimento che esso può compiere, evidenziando le relazioni
cinematiche fondamentali che ne governano il moto, limitandosi al moto piano.
2.2.1 Definizioni relative al movimento in un corpo
Figura 2.8 Indicazione dei termini che compongono la Velocità e l'accelerazione del
punto P che scorre sull'asta.
Si premettono innanzitutto alcune definizioni che si applicano in generale alla
cinematica di un corpo dotato di dimensioni finite (non necessariamente rigido).
Come posizione del corpo, intenderemo l’insieme dei vettori che definiscono la
posizione di ciascun punto componente il corpo. Diremo poi movimento del corpo
la descrizione di come la posizione di questo varia nel tempo, ossia la dipendenza
di tutti i vettori posizione relativi ai punti del corpo in funzione del tempo. In
<(1(111
14
Cinematica del punto e del corpo rigido
Capitolo?
15
Diremo poi atto di moto l’insieme delle velocità di tutti i punti del sistema nel¬
l’istante considerato. L’atto di moto corrisponde quindi a una “fotografia” della
condizione istantanea di moto del corpo, ossia del suo campo di velocità. Le
due definizioni di posizione e movimento del corpo ricalcano da vicino le corri¬
spondenti definizioni fornite per il moto del punto; la definizione di atto di moto,
viceversa, è specifica della cinematica di corpi non puntiformi. La ragione per
cui si rende necessario introdurre la definizione di atto di moto è che, come si
vedrà nel seguito, risulta spesso particolarmente importantejjefinire la condizione
istantanea di movimento del sistema (per esempio per calcolare l’energia cine¬
tica di un corpo in movimento). Inoltre, come si mostrerà in questo capitolo,
mentre la descrizione del movimento di un corpo (anche nel caso di un corpo
rigido) risulta in genere complessa, per l’atto di moto di un corpo rigido è possi¬
bile definire alcune relazioni cinematiche che consentono di studiarlo con relativa
semplicità.
Vale la pena fin d’ora di introdurre anche la nozione di spostamento infini¬
tesimo di un corpo: si tratta di uno spostamento in cui ciascun punto del corpo
varia la propria posizione di una quantità infinitesima, pertanto, lo spostamento
infinitesimo viene valutato rispetto alla configurazione indeformata del corpo. La
necessità di introdurre un concetto così astratto nasce dal fatto che nello studio del¬
la dinamica utilizzeremo estesamente il Principio dei lavori virtuali (Capitolo 5),
che richiede per la sua applicazione di calcolare lo spostamento infinitesimo del
sistema (punto, corpo, insieme di corpi) studialo. Per il momento, ci limiteremo
a osservare che esiste un’importante analogia tra l’atto di moto e lo spostamento
infinitesimo: infatti, poiché la velocità di ciascun punto può essere definita co¬
me rapporto tra lo spostamento infinitesimo del punto e il tempo d/ in cui questo
avviene, l’atto di moto può essere inteso anche come una descrizione dello spo¬
stamento infinitesimo del corpo, rapportato al tempo infinitesimo di in cui questo
avviene. Ne consegue che le stesse regole cinematiche che definiremo per l'atto
di moto valgono anche per lo spostamento infinitesimo di un corpo rigido; que¬
sta considerazione sarà di grande importanza nel momento in cui affronteremo lo
studio della dinamica dei sistemi meccanici.
2.2.2 Definizione di corpo rigido
Possiamo definire rigido un corpo (insieme di punti dotato di dimensioni) che nei
suoi spostamenti, rispetta le seguenti regole (o, più precisamente, vincoli):
5
?
la distanza tra qualunque coppia di punti si mantiene immutata;
formato da due segmenti congiungenti due coppie di punti a piacere
l’angolo
•
nel corpo si mantiene immutato.
o
Figura 2.10 Traiettoria del punto P con indicazione, agli istanti t
della velocità (in alto) e dell'accelerazione (in basso).
= 1.5 set = 2.5s,
particolare, diremo moto piano una condizione di movimento in cui le traiettorie,
le velocità e le accelerazioni di tutti i punti del sistema sono parallele a un piano
detto piano direttore.
Cercando di sintetizzare questa definizione, si può affermare che un coipo rigido
è un sistema che si posta senza cambiare la propria forma. Si osservi, a titolo di
esempio, il rettangolo di Figura 2.11: lo spostamento rappresentato in linea con¬
tinua è rigido: la forma del corpo non è cambiata, anche se la posizione dei punti
che lo compongono è diversa, per esempio il lato AB e il lato BC per effetto dello
16
Capitolo 2
Cinematica del punto e del corpo rigido
17
i
;
f
D
C
D
C
s
z
4
K
Posizione iniziale
11
A
/
z
/
K
Spostamento non rigido
Spostamento non rigido
Figura 2.11 Esempi di spostamento rigido e di spostamento non rigido.
spostamento hanno assunto direzioni diverse, ma mantengono la stessa lunghezza
e continuano a formare un angolo retto. Al contrario, i due spostamenti rappre¬
sentati in linea tratteggiata non sono rigidi. In un caso il rettangolo si deforma in
un parallelogramma: i lati mantengono ancora la stessa lunghezza, ma l’angolo
fra loro risulta diverso rispetto alla posizione originale. Nel secondo caso, uno dei
lati risulta incurvato: se si considera un qualunque punto interno a tale lato (per
esempio il punto K), la sua distanza da ciascuno dei due vertici è cambiata, così
come è cambiato, per esempio, l’angolo DAK.
Come si può notare dalla figura, quando un corpo subisce uno spostamento
rigido è sempre possibile trovare una nuova posizione da cui osservare il corpo
(ossia cambiare il sistema di riferimento) nella quale vedremo il sistema in modo
identico a come ci appariva prima che avvenisse lo spostamento.
Se però il corpo è rigido, allora sono sufficienti tre sole coordinate per definirne
la posizione: si pensi per esempio di definire la posizione di un punto qualsia¬
si del corpo (per esempio il punto A nel corpo rappresentato nella Figura 2.11),
mediante una coppia di coordinate (x, y) riferite a un sistema di assi cartesiani
assegnato. Potremo ora individuare la posizione di un secondo punto del corpo
con una sola coordinata: infatti, conoscendo già la distanza tra i due punti, basterà
utilizzare una coordinata angolare per descrivere l’orientamento della congiun¬
gente i due punti. Per esempio, nella Figura 2.11 in alto a destra, potremmo usare
l’angolo formato dal lato AB con la direzione orizzontale per individuare il pun¬
to B. Così facendo, la posizione di qualunque altro punto P del corpo rigido
è univocamente definita dal fatto che la distanza AP è nota, ed è noto l’angolo
formato dalla congiungente AP con AB. È importante sottolineare che, pro¬
prio per la seconda delle condizioni che definiscono il moto rigido, qualunque
segmento appartenente al corpo ruoterà della stessa quantità. In altre parole la
rotazione è una proprietà dell’intero corpo rigido e non dei singoli punti che lo
compongono.
In conclusione, per individuare la posizione di un corpo rigido nel piano sono
necessarie e sufficienti tre coordinate: le due coordinate che individuano la posi¬
zione di un punto appartenente al corpo, e un angolo che esprime la rotazione del
coipo. Da quanto detto consegue, per lo meno intuitivamente, che un corpo rigido
può compiere tre soli tipi di moto, di seguito elencati.
Moto traslatorio 11 corpo si sposta mantenendo costante il suo orientamento,
cambiano le coordinate x e y del punto A, ma non la rotazione fi (vedi Figu¬
ra 2.12). Ne consegue che tutti i punti del corpo possiedono, a ogni generico
istante, la stessa velocità e la stessa accelerazione, e che le traiettorie di tutti i
punti sono parallele. Si osservi che, come mostrato nella Figura 2.12, questa
traiettoria può essere una linea qualsiasi, e non necessariamente una retta: il mo¬
to rettilineo costituisce solo un caso particolare del caso più generale di moto
traslatorio.
2.2.3 Gradi di libertà del corpo rigido nel piano e classificazione
dei moti rigidi
Se consideriamo un corpo dotato di dimensioni non trascurabili, e se ipotizziamo
che esso possa compiere qualunque tipo di spostamento nel piano, anche non
rigido, allora in generale dovremo attribuire al corpo oo2 gradi di libertà, ossia due
possibilità indipendenti di movimento (per esempio lungo le direzioni orizzontale
e verticale) per ciascuno degli infiniti punti che compongono il corpo.
Figura 2.12 Esempi di moto traslatorio nel piano a) lungo una traiettoria curvilinea,
b) lungo una traiettoria rettilinea.
(
18
i
Capitolo 2
!
I
(
(
I
(
(
I
(
I
Cinematica del punto e del corpo rigido
I
19
2.2.4 Atto di moto rigido piano
Se invece della condizione di movimento in grande ci limitiamo a considerare l’at¬
to di moto, ossia la “fotografia” istantanea delle velocità del corpo rigido, allora
per il corpo rigido che si muove di moto piano vale una proprietà estremamente
importante: l'atto di moto rigido piano può essere esclusivamente traslatorio o
rotatorio. Questo significa che, in qualsiasi istante del moto di un corpo rigido,
purché nel piano, dovrà valere una sola delle seguenti due condizioni:
Figura 2.13 Moto rotatorio nel piano: il punto P compie un movimento lungo la
circonferenza di raggio AB e centro A.
Moto rotatorio II corpo si sposta mantenendo costante la posizione di uno
dei suoi punti (che prende il nome di centro di rotazione) e cambia invece la sua
posizione angolare. Indicando con A tale punto, le traiettorie di tutti gli altri punti
del corpo sono delle circonferenze, con centro in A e raggio pari alla distanza tra
A e il punto considerato, il cui moto è descritto come moto su traiettoria circolare
(Figura 2. 1 3), e può essere espresso utilizzando le (2.20).
Moto rototraslatorio E la condizione di moto più generale, in cui non è possi¬
bile individuare un punto che rimanga sempre fisso e, nel contempo, varia anche
la posizione angolare del corpo.
velocità di tutti i punti sono uguali in modulo, direzione e verso: l’atto di
moto è traslatorio;
esiste un punto del corpo (o collegato rigidamente a esso) che ha, nell’ istante
considerato, velocità nulla: tale punto prende il nome di centro di istantanea
rotazione (c.i.r.) del corpo, e l’atto di moto è rotatorio.
» le
®
Nel secondo dei due casi si osservi che il punto del corpo che diviene centro
di istantanea rotazione cambia da un’istante all’altro, ne consegue che il centro di
istantanea rotazione, a meno di casi particolari, ha velociti) nulla ma accelerazione
diversa da zero.
2.2.5 Velocità e accelerazioni dei punti di un corpo rigido
In questo paragrafo ricaveremo le espressioni che definiscono le velocità e le ac¬
celerazioni dei diversi punti di un corpo rigido. Per farlo, consideriamo il caso più
generale di moto rototraslatorio: i due casi particolari di moto traslatorio e rotato¬
rio potranno poi essere ottenuti annullando rispettivamente i termini di rotazione
e di traslazione.
Descriviamo il moto del corpo utilizzando due coordinate xa e yA di un suo
punto A qualsiasi e la rotazione p del corpo stesso. La posizione di un altro punto
B qualsiasi appartenente al corpo potrà essere scritta in base al formalismo dei
numeri complessi come:
B
= X/) + iya = 4'4 + iyA + ABe’^
(2.24)
in cui si è utilizzata la notazione polare per il vettore che unisce A con B. Deri¬
vando la (2.24) rispetto al tempo si ha:
VB = VAv + i VAy + ipABeip = VA 4- pABe^”'2'1 = Va + Vba
Figura 2.14 Moto rototraslatorio nel piano, interpretato come combinazione di un
moto traslatorio e di uno rotatorio attrono ad
A.
(2.25)
in cui si è tenuto conto che del fatto che, essendo il corpo rigido, la distanza AB
non varia nel tempo. La (2.25) consente di esprimere la velocità di un punto
qualsiasi del corpo rigido, come composizione della velocità di un punto scelto
e un termine V ba perpendicolare alla con¬
arbitrariamente sullo stesso corpo
giungente AB, il cui modulo dipende dalla distanza AB e dalla derivata temporale
dell’angolo del corpo, che nel moto piano ne rappresenta la velocità angolare. Si
ricorda come quest’ ultima grandezza sia una proprietà cinematica dell’intero cor¬
po, che non dipende in alcun modo dal punto A scelto. L’espressione (2.25),
20
Capitolo 2
Cinematica del punto e del corpo rigido
21
Figura 2.15 Descrizione del moto rototraslatorio nel piano (posizione).
scritta in termini complessi, trova corrispondenza nel teorema di Rivals per le
velocità, espresso invece in termini vettoriali:
V« = Va+«a(B-A)
(2.26)
che interpreta il moto rototraslatorio di un corpo nel piano come composto dal
moto del punto A, scelto ad arbitrio, e la rotazione del corpo attorno al punto A
stesso. Nella (2.26) viene introdotta la velocità angolare co che è un vettore, per i
moti piani, perpendicolare al piano stesso del moto, e di modulo pari alla derivata
rispetto al tempo della posizione angolare, co = pie. Se, in particolare, nella
(2.26) si utilizza in luogo di un generico punto A il centro di istantanea rotazione
(in seguito abbreviato come c.i.r.) del corpo (indicato con C) si ottiene:
VB = co A (B - C)
Figura 2.16 Descrizione del moto rototraslatorio nel piano (velocità e accelerazione).
ovvero:
= aa + « A (B
per definizione, Ve = 0. Lti (2.27) indica che la velocità di ciascun
punto del corpo rigido risulta sempre perpendicolare alla congiungente il punto
con il centro di istantanea rotazione.
In base a quanto detto sopra, si ottiene un metodo grafico estremamente utile
per determinare il c.i.r. di un corpo in un dato istante: se si conosce la direzione del
vettore velocità di almeno due punti del corpo, il c.i.r. si trova all’intersezione tra
le perpendicolari alle due direzioni delle velocità portate dai due punti. Per otte¬
nere l’espressione dell’accelerazione di un punto del corpo (in termini complessi)
si può derivare ulteriormente la (2.25), ottenendo l’espressione:
essendo,
i
«a = aAx + iaAy + pABei(t'+nm - f^ABe^
(2.29)
i
che corrisponde alla relazione vettoriale:
aB
= + co A (B
—
A) 4- co a (co /\ (B
—
A))
(2.30)
A)
(2.3 1)
2.2.6 Vincoli
(2.28)
esprimibile anche come:
A)
detta teorema di Rivals per le accelerazioni. Negli ultimi due termini a secondo
membro della (2.28) si riconoscono le espressioni delle componenti tangente e
normale dell’accelerazione del punto nel moto circolare, riferito al movimento
relativo del punto B attorno al punto A. La Figura 2.16 mostra graficamente i
termini di velocità e accelerazione relativi alle (2.25) e (2.28).
(2.27)
«« = aAx + iaAy + ifÌA Be^ - prABe^
— — co2(B —
I vincoli sono dispositivi che limitano i gradi di libertà (GdL) del corpo rigido, col¬
legandolo a un sistema di riferimento fisso (telaio) o ad altri corpi. Una possibile
classificazione dei vincoli può essere fatta in base ai GdL che essi sopprimono: a
ogni GdL soppresso corrisponde una componente di reazione vincolare, che è co¬
stituita da una componente di forza, nel caso si sopprima un GdL di spostamento,
o da una componente di coppia, nel caso venga soppresso un GdL di rotazione.
Dato che si considerano sistemi di corpi nel piano, le forze appartengono al piano
stesso, mentre le coppie sono rappresentabili come vettori momento perpendico¬
lari al piano nel quale si svolge il moto, o come archi orientati appartenenti al
piano. Nella Figura 2.17 sono riportati i simboli grafici dei tipi di vincolo più
utilizzati, le reazioni vincolali e i movimenti permessi nei riguardi del riferimento
fisso:
22
Cinematica del punto e del corpo rigido
Capitolo 2
Rappresentazione del vincolo
Reazioni vincolari
GdL permessi
H, V, M
—
• Incastro. Si tratta di un vincolo triplo, in quanto sopprime tutti e tre i gradi di
libertà del corpo. 11 sistema delle reazioni vincolari è costituito da un momento
(indicato con M), e una forza comunque diretta, scomponibile secondo due
componenti aventi direzione nota c valore incognito (per esempio He V).
e Cerniera. Sopprime qualsiasi spostamento del punto su cui è applicata, la rea¬
zione vincolare è perciò costituita da una forza di modulo e direzione qualsiasi,
scomponibile in due componenti di direzione nota c modulo incognito. Poi¬
ché il vincolo non impedisce la rotazione 0, non è presente alcun momento nel
sistema delle reazioni vincolari.
® Pattino o manicotto. Come per la cerniera, si tratta di un vincolo doppio, in
quanto sopprime due gradi di libertà. Impedisce la rotazione del corpo, e lo
Incastro
—(
M
V
Cerniera
I
Il
II. v
0
I
!i
;
i
I
V
Pallino
" Il
M
.V
H. M
s
23
o
spostamento in direzione perpendicolare al vincolo. Il sistema delle reazioni
vincolari è quindi costituito da un momento e da una forza di modulo qualsia¬
si, c direzione perpendicolare alla direzione dello scorrimento s concesso dal
vincolo (Figura 2.17).
Carrello. Si tratta di un vincolo semplice, in quanto sopprime solo la com¬
ponente di spostamento in direzione ortogonale al vincolo. L’unica reazione
vincolare sviluppata è una forza di modulo qualsiasi e direzione perpendicola¬
re a quelle dello scorrimento concesso. Può essere interpretato anche come la
disposizione in serie di una cerniera e di un pattino.
I vincoli ora esaminati, come visto, impongono direttamente una condizione su
ciascun GdL soppresso, altri tipi di vincolo invece riguardano l’accoppiamento di
superfici.
:
'
Manicotto
V
V, M
s
V
s, 0
M
Contatto tra superfici non conformi A questo proposito si consideri dapprima
il vincolo di “contatto tra superfici non conformi”, intendendo con il termine “non
conformi” il fatto che le due superfici presentino curvature contrapposte nel punto
di contatto. Tale tipo di contatto è rappresentato nella Figura 2.18. Il contatto av¬
viene in modo che i due corpi presentino la stessa tangente in corrispondenza del
punto di contatto P, la componente normale al contatto della velocità di ciascun
punto di contatto dei due corpi, è la stessa. Pertanto, la differenza delle velocità
risulta nulla in direzione normale al contatto, e in genere non nulla nella direzio-
Carrello
v
Figura 2.17 Schema dei principali tipi di vincolo nel piano.
Figura 2.18 Esempio di contatto tra superfici non conformi: le componenti normali
delle velocità dei due corpi in corrispondenza del punto di contatto sono uguali.
24
Capitolo 2
Cinematica del punto e del corpo rigido
25
ne tangente: tale componente costituisce la velocità di strisciamento relativo tra
i due corpi a contatto. Nello studio dei fenomeni legati all’attrito e all’usura, co¬
me verrà mostrato nel Capitolo 6, risulta indispensabile la conoscenza di questa
componente.
Figura 2.19 Esempio di contatto di rotolamento: disco su guida rettilinea.
Figura 2.20 Esempio di contatto di rotolamento: due dischi a contatto.
Contatto di puro rotolamento Nel caso in cui al vincolo di contatto tra superfici si aggiunga l’ulteriore condizione di velocità di strisciamento nulla, si ottiene
il vincolo di puro rotolamento. Si consideri come primo esempio (Figura 2.19)
un disco che rotola senza strisciare su una guida rettilinea fissa. Indicando con
A il punto di contatto nella posizione iniziale, con li l’estremo dell’arco sotteso
dall’angolo <p, la condizione di rotolamento senza strisciamento, al termine del
quale il punto lì diviene il nuovo punto di contatto, impone che lo spostamento s
del centro del disco sia paia alla lunghezza dell’arco di circonferenza AB sotteso
dall’angolo <p, ossia il prodotto R<p. Derivando rispetto al tempo si ottengono le
espressioni per la velocità e l’accelerazione del centro del disco:
s = Ru>\
—=
ds
dr
V.
= R<p\
—Vc = ac =
Da cui, derivando l’espressione precedente, si ottiene:
I
i moti relativi
j
L
r
= V2R2
~ (P2
2.3 Cinematica del punto: studio mediante
Rio
dr
Si osservi che, essendo la traiettoria del punto C una retta parallela alla guida, la
velocità e l’accelerazione sono parallele alla guida. Ne segue che la componenente
normale dell’accelerazione del centro del disco risulta nulla.
Il vincolo di puro rotolamento può essere applicato anche a due corpi in con¬
tatto in movimento tra loro, come mostrato nella Figura 2.20, dove due profili
circolari sono dotati di moto rotatorio con versi di rotazione opposti e vengono te¬
nuti a contatto nel punto P. Si considerino due punti P' e P", aventi la medesima
distanza dal punto P, misurata lungo le rispettive circonferenze di appartenenza.
In assenza di strisciamento, i due punti P’ e P", vengono a contatto tra loro, nel
punto P, dopo che i due dischi hanno compiuto una rotazione rispettivamente pa¬
ri a <pi e <pz. Poiché, la lunghezza dell’arco sotteso dall’angolo 951 sul disco 1 è
uguale a quella dell’arco sotteso dall’angolo 992 sul disco 2, il legame tra i valori
assoluti delle rotazioni diviene:
<P\ R]
essendo <pi e 902 le velocità angolari dei due dischi a contatto. La velocità calcolata
pensando il punto P appartenente rispettivamente al disco 1 e al disco 2 è la
medesima, in quanto non vi è strisciamento nel punto di contatto.
Pi
(
(
Sinora il movimento di un punto nel piano è stato analizzato uilizzando un unico
sistema di riferimento. A volte invece può rivelarsi utile considerare più sistemi
di riferimento contemporaneamente. L’idea di utilizzare diversi sistemi di rife¬
rimento prende spunto dal concetto di composizione dei moti. Se si considera,
per esempio, la Figura 2.2 1 , si può osservare che il movimento del punto P può
essere visto come sovrapposizione di più movimenti elementari: P scorre all’in¬
terno della guida che a sua volta può ruotare attorno al perno Oi, che si muo¬
ve solidalmente al carrello. Ciascuno di questi movimenti può essere osservato
considerando differenti sistemi di riferimento.
Nella Figura 2.21 sono indicati, con £-17 il sistema di riferimento rotante con
l’asta, che consente di analizzare il moto del punto P nella guida, con Xj-Fi la
terna solidale con il carrello che osserva il moto di relazione dell’asta e con Xy-fo
il sistema di riferimento assoluto. Nel seguito verrà illustrato come sia possibi¬
le procedere utilizzando più sistemi di riferimento nell'analisi di un movimento
complesso.
2.3.1 Cinematica del punto: metodo cartesiano
con moti relativi
Si analizza ora il generico movimento di un punto P nel piano, considerando
due diversi sistemi di riferimento (Figura 2.22). P è in moto rispetto al sistema
OiXiFi, che a sua volta si muove di moto generico rototraslatorio rispetto al
sistema di riferimento fisso OXqYq-
I
2G
I
(
Capitolo 2
111(1
Cinematica del punto e del corpo rigido
27
Calcolando le derivate dei versori che compaiono nella (2.33) e ricordando che
il e‘e, si ha:
=
—=
ie'°Ò
? fi
-
= j।li
(2.34)
essendo:
j,
=
=
(2 35)
Analogamente:
= -e^Ò = -i^
Figura 2.21 Esempio di composizione dei moti.
essendo 0 la velocità angolare della terna 0 X| P, . Nel seguito porremo è = w. In
sintesi si ha:
Il vettore P individua la posizione del punto P nel sistema di riferimento assoluto
c può essere scritto come:
P = (P
—
O)
= (P
—
O]) + (<?i
—
O) = (i|X|
dii .
d7=J|W
+ jiji) + (io-to + joyo)
(2.32)
—
il
= df (P
—
„
....
0) = ia.ro +jojo +
— .—
di,
ci/
-ti -I- 1|
da'!
ci/
+
—
dji
7— J'i
ci/
,
. dyi
+ Ji -j—
ci/
di|
d7 = -""
(2’37)
Le (2.37) costituiscono le cosiddette formule di Poisson (per moti piani) [4J. Esse
indicano che la derivata di un versore ha una direzione perpendicolare al ver¬
sore stesso, e in modulo è pari alla velocità angolare della terna cui il versore
appartiene.
Sostituendo la (2.37) nell’espressione della velocità di P (2.33), si ottiene:
Per calcolare la velocità del punto P si deriva il vettore posizione:
vp
(2.36)
(2.33)
vp
1 primi due termini dell’equazione (2.33) rappresentano la velocità dell’origine
O della terna mobile rispetto alla terna fìssa, mentre il quarto e il sesto termine
rappresentano le componenti della velocità di P rispetto al sistema di riferimento
mobile OiX|L|.
= i0À0 + jojo + i|.i| +ji.vi +a>(— ii.Yi +ji.i|)
(2.38)
—
Si dimostra che il termine w(—i|yi +j|X|) è uguale a wa(P 0|). Infatti definito
« = kco un vettore di modulo co = Ò, diretto perpendicolare al piano:
kwA(P-0|)
= kw a (i|.ri + ji.)>i) =
= wk a i| JC] 4-cuk Aj, Vi = <w(j|.Vi - i|j|)
Jl
f
-i|
Dall’equazione (2.38) si vede che la velocità assoluta del punto P c data dalla
composizione dei seguenti termini:
trascinamento dovuto al moto dell’origine 0| ;
W'o + jo)’o
(— iUt + ji-Vi)w trascinamento dovuto al molo rotatorio della terna mobile;
i|ii
Figura 2.22 Composizione dei moti nel piano.
+ jt?!
velocità relativa del moto di P rispetto alla terna mobile.
I primi due termini rappresentano il molo di trascinamento, ossia il molo che
viene impartito al punto P per effetto del moto della terna mobile, come se il
punto fosse rigidamente collegato a essa. In particolare il primo è dovuto alla
Cinematica del punto e del corpo rigido
28
29
Capitolo 2
componente traslatoria del moto della terna mobile (assimilata a un corpo rigido),
mentre il secondo è dovuto alla rotazione della tenia.
11 terzo termine descrive il moto del punto P rispetto al sistema di riferimento
mobile (vedi Figura 2.22). Ponendo quindi:
>o-Vo + jo5’0
= VO,
+j|.t|)to = W A (P
= Vpo,
+ jl5l
(-Ì|Y|
Ì1X|
— Oi)
=
= V01 + W A (P — O|) + Vpo{ = ^tr + Vrcl
—— =
dv/>
dr
U-Vo + jo)’u
+
(2.39)
—
djj
<UA1+
dt
+ jiwii
di| .
. ..
+jicù.Vi
7- Vico - iicóyi
d/
dj| .
..
—>’i +ji>i
dt
'
-vi + ii-vi +
+—
dt
- i|tu5i+
(2.40)
.
Utilizzando le (2.34-2.37) all’interno della (2.12), si ottiene l’espressione dell’ac¬
celerazione del punto, in cui si distinguono i seguenti termini:
>0*0 + jo5’o
= a0
accelerazione di trascinamento dovuta al
moto traslatorio della terna;
w2(-iiX| -jij’i)= —ar(P - Oi) accelerazione di trascinamento normale
dovuta al moto rotatorio della terna;
ù (Ji*i
>t*l
“
>D’i) = w A (P
- Oi)
= alr + arei + ac
(2.42)
La (2.42) prende il nome di teorema di Coriolis. Questi teoremi e l’approccio
grafico consentono di calcolale velocità e accelerazione di un punto.
Nel caso particolare in cui il sistema di riferimento mobile sia dotato di mo¬
to solamente traslatorio (ossia con velocità angolare sempre nulla), l’equazione
2.3.2 Confronto con l'approccio con i numeri complessi
in cui la somma dei primi due termini a secondo membro è definita velocità di tra¬
scinamento, e il terzo termine è definito velocità relativa. Derivando la relazione
(2.38) si ricava l’accelerazione del punto P:
tip
aP
(2.39) si riduce alla già presentata (2.26).
Si ottiene l’espressione della velocità assoluta di P in forma vettoriale:
vp
ovvero:
Benché il metodo dei numeri complessi possa essere utilizzato indipendentemente
dall’utilizzo di terne mobili o dal loro riconoscimento all’interno di un meccani¬
smo, si ritiene utile riproporre lo studio del punto nel piano attraverso le terne
mobili, esprimendo però questa volta la posizione (e quindi la velocità e l’acce¬
lerazione) del punto non attraverso i vettori geometrici, ma mediante i numeri
complessi che li rappresentano. In tal modo si potrà riconoscere nella scrittura in
termini di numeri complessi i termini di moto di trascinamento, relativo e il termi¬
ne di Coriolis. Tale riconoscimento non è in generale necessario per la risoluzione
dei problemi, ma è finalizzato a interpretare il significato fisico dei vari termini.
Dalla Figura 2.23 si trae l’equazione che descrive la posizione del punto P
nel piano, come somma di due numeri complessi, di cui il primo rappresenta la
posizione dell’origine della terna, c il secondo la posizione del punto P rispetto
alla terna mobile:
(P-O)
= r}eiv +
(2.43)
essendo 0 l’angolo che la terna mobile forma con la tema assoluta, e con a l’a¬
nomalia di P nel riferimento mobile. Derivando rispetto al tempo, si ottiene la
velocità:
VP =
+ ir^e'"’ +
+ ir2(à +
(2.44)
accelerazione di trascinamento tangen¬
ziale dovuta al moto rotatorio della tema;
+ j l Vi = arcl
accelerazione relativa;
2jiw.i-| - 2i|W.yi = 2&> A v poi*
accelerazione di Coriolis,
o complementare.
Raggruppando i termini sopra indicati in maniera analoga a quanto fatto per la
velocità si ottiene:
a P = >0*0 + joyo + d> A (P
—
Trasdiiàtiicnio
<?i)
- (^{P — 0|) + ipVi + j|Vi + 2&1
alr
Relativo
»«.)
A VpQ|
Coriolis
ue
(2.41)
Figura 2.23 Composizione dei moti nel piano: approccio con i numeri complessi.
JU
I
Capitolo 2
I
(
(
I
(
(
Cinematica del punto e del corpo rigido
riorganizzando i termini, e confrontandoli con la (2.39) si ha:
vP
(
=
(r,
+ (r2 + ir2à)e'(0+“)
+ ir^e^ +
voi
wa(/’-6J|)
dp
=
(r, 4- 2/f| ip 4-
— rl<p2)e"1’ +
vrc|
+ -r202ei(e+a) 4- ir20ei(,Hal A(P - O,)4-
trascinamento dovuto al moto traslatorio della terna, infatti il numero complesso
comprende solo i termini in ri c cp, legati al moto del solo punto O, origine della
terna mobile;
e trascinamento dovuto al moto rotatorio della terna, che infatti è espresso come
prodotto della posizione r2 all’interno del riferimento mobile, per la velocità
angolare 0 della stessa tema.
o relativo del punto P rispetto al riferimento mobile, in quanto comprende, nelle
espressioni del modulo, solo i termini in r2 e a.
4- (r2 4- 2ir2à 4" ir2ix
Se il moto della terna di riferimento è solo traslatorio (ossia la terna non è soggetta
a rotazione, e quindi 0 0), e il vettore r2 connette due punti di un corpo rigido,
essendo r2 = 0, allora la (2.45) si semplifica nella:
—
voi
+ ii^àe^^
(2.46)
v^o,
che esprime il teorema di RiVals, applicato al caso del corpo rigido. In questo caso
à rappresenta la velocità angolare del corpo. Se il moto della terna è solamente
rotatorio, attorno alla sua origine Olf allora si ha:
vp = ir2àeit0+a} + (r2 + ir20)ew+a\
WA(P-0|)
w
-w2(P-O|)
o
= (f। + tri
31
relativo e di Coriolis (o complementare):
(2.45)
Dall’esame dei numeri complessi si nota infatti che essi esprimono i seguenti
termini di velocità:
vp
(
— r2òt^)e‘^^a^
4~
«rei
+ i20(r2 4- ir2à)e{"+a)
ZwAVpo,
Considerazioni analoghe a quelle svolte sulle velocità nel caso di terne traslante e
corpo rigido, e di terna rotante, con traiettoria del moto relativa di forma rettilinea
o circolare, consentono di semplificare le espressioni sopra scritte, nei suddetti
casi particolari, peraltro di ampio utilizzo.
2.4 Esercizi
Esercizio 1: moto di un punto su traiettoria curvilinea Un vagone ferroviario
percorre il tracciato mostrato in figura, muovendosi con modulo della velocità co¬
stante c pari a 20 m/s. Assimilando il sistema a un punto materiale, determinare,
nei vari tratti della traiettoria, l’accelerazione cui sono sottoposti i passeggeri.
(2.47)
Vre|
che esprime il moto del punto come somma del moto di trascinamento di sola
rotazione, e del moto relativo rispetto a una terna rotante. Se poi la traiettoria del
moto relativo è rettilinea, allora il termine 0 è nullo, mentre se la traiettoria del
moto relativo è una circonferenza, allora è il termine à2 a essere nullo.
Infine si esamina il termine di accelerazione, ottenuto derivando rispetto al
tempo la (2.45):
a?
= (fi 4- »4^ + iri^)e“p 4- i<p(r\ 4- irt<p)e"p+
+(ir2Ò + ir^ìe*0™ -(0 4- à)r20e/(<’+“)+
+(f2 + ir2à + /r2a)e,("+“) 4- i(0 4- à)(r2 4- ir2à)eno+a)
Il confronto con la (2.41) consente di riconoscere i termini di trascinamento.
Esercizio 2: legge del moto 11 carico di un impianto di sollevamento deve per¬
correre 24 m in altezza, partendo da fermo e giungendo al termine della corsa con
velocità nulla, con una legge di velocità trapezoidale. Il valore massimo della ve¬
locità di sollevamento è di 10 m/min, mentre la durata del transitorio di avviamen¬
to e di arresto è di 2 s. Ricavare il diagramma della velocità, dell’accelerazione, e
il tempo necessario a compiere la manovra.
32
Cinematica del punto e del corpo rigido
Capitolo 2
Esercizio 3: rotolamento senza strisciamento di un disco su una guida in¬
clinata Si consideri un disco di raggio R, posto su una guida inclinata rispetto
all’orizzontale di un angolo a. Il disco rotola senza strisciare sulla guida. Essendo
note la velocità angolare 0 e l’accelerazione angolare 0 del disco, si richiede di:
1.
2.
3.
4.
determinare la traiettoria del centro C del disco;
individuare il centro di istantanea rotazione del disco;
calcolare (in modulo, direzione e verso) la velocità e accelerazione di C;
calcolare l’accelerazione del punto P del disco in contatto con la guida.
33
si osservi che la velocità di C è parallela alla retta che definisce la traiettoria di C
stesso, ossia risulta (come necessario) tangente alla traiettoria.
Per quanto riguarda l’accelerazione di C, ricordando quanto detto sulla ci¬
nematica del punto, possiamo osservare che l’accelerazione di un punto che si
muove su una traiettoria rettilinea (ossia a curvatura nulla), avrà una sola com¬
ponente di accelerazione, diretta tangente alla traiettoria (ossia ancora una volta
parallela al piano inclinato) e pari in modulo alla derivata rispetto al tempo del
modulo della velocità:
=
d |VC|
= 0R
df
Punto 4: nota l’accelerazione di C, si può applicare il teorema di Rivals per le
accelerazioni (2.30):
aP
Risoluzione Punto 1: poiché disco e guida sono rigidi e non possono compenetrarsi, qualunque posizione il disco assuma rispetto alla guida (escludendo il
distacco tra i due corpi) sarà tale per cui il centro C del disco dista R dalla su¬
perficie inclinata della guida. Di conseguenza la traiettoria del centro del disco
deve necessariamente essere un segmento appartenente alla retta parallela al piano
inclinato e distante R da questa.
= ac + 0 A (P - C) - 02(P - C)
La formula sopra riportata indica che l’accelerazione di P è somma vettoriale di
un termine inclinato come la guida, con verso a salire e modulo OR (l’accelerazio¬
ne di C), di un termine inclinato come la guida, con verso a scendere, e modulo
uguale al precedente (il termine dovuto al prodotto vettoriale dell’accelerazione
angolare per la distanza di P da C) e infine un termine ortogonale alla guida,
diretto da P verso C e di modulo pari al quadrato della velocità angolare per il
raggio. I primi due temini sono uguali e opposti e pertanto si elidono tra loro,
per cui l’accelerazione di P risulta puramente ortogonale alla guida. La figura
sottostante illustra graficamente la soluzione sopra esposta, relativamente ai vari
punti.
Punto 2: si tratta di trovare il punto del disco che ha (nella configurazione mo¬
strata) velocità nulla. Considerando che la guida è fissa, e quindi tutti i suoi punti
hanno velocità nulla, e che, per effetto del vincolo di rotolamento senza striscia¬
mento il punto P del disco ha la stessa velocità del punto della guida con cui viene
in contatto, si conclude che P ha velocità nulla ed è quindi il c.i.r. del disco.
Punto 3: la velocità del punto C si può calcolare con il teorema di Rivals, sfrut¬
tando il fatto che conosciamo la velocità di P (nulla per quanto detto al punto
precedente) e la velocità angolare del disco:
vc = 0 a (C - P)
e risulta quindi diretta parallelamente alla guida, con verso a salire, e con modulo
pari a:
ve = ÒR
Esercizio 4: moto rototraslatorio di un corpo L’esempio qui riportato mira a
chiarire il concetto di velocità angolare, e a mostrare come sia possibile descrive¬
re il moto rototraslatorio di un corpo rigido nel piano. Si consideri un’asta rigida
vincolata a scorrere lungo una guida orizzontale (vincolo di carrello) con velocità
e accelerazione assegnate (rispettivamente Xa e i>) e inoltre dotata di velocità an¬
golare e accelerazione angolare pari rispettivamente a 0 e 0, come mostrato nella
I
34
I
I
(
(
I
I
(
I
(
Capitolo 2
3
figura sottostante. Si calcolino le espressioni di posizione, velocità e accelerazione
dell’estremo B dell’asta.
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Risoluzione Utilizzando il metodo dei numeri complessi, esprimiamo la posi¬
zione del punto B come:
(B - O)
= xA + Le‘^2n+B)
derivando rispetto al tempo tale espressione si ottiene:
Vn =
d/
= + iÒLe^'2^
questa espressione indica che la velocità del punto P è somma di un termine
orizzontale pari alla velocità del punto A, sommata vettorialmente a un termine
ortogonale all’asta e pari in modulo al prodotto della velocità angolare dell’asta
0 moltiplicata per la lunghezza dell’asta stessa. Si interpreti questo risultato sulla
base del teorema di Rivals, rappresentato dalla (2.26).
Derivando ulteriormente si ottiene:
aB
=
dt
= xA + iBLe^'2^ - Ò2^'^
che possiamo interpretare in questo modo: l’accelerazione di B è somma di tre
termini: uno diretto orizzontalmente e pari all’accelerazione di zi, un secondo or¬
togonale all’asta e pari in modulo al prodotto dell’accelerazione angolare dell’asta
9 per la lunghezza dell’asta, e infine uno diretto parallelamente all’asta, ma con
verso diretto da B verso A, il cui modulo è pari a) prodotto della velocità angolare
al quadrato per la lunghezza dell’asta.
3.1 Introduzione
Nel capitolo precedente sono stati descritti i tipi di moto possibili per un singolo
corpo rigido, tenendo conto di eventuali vincoli applicati al corpo. In questo capi¬
tolo lo studio della cinematica viene generalizzato al caso di un sistema composto
da più corpi rigidi, interconnessi da vincoli. Come per il singolo corpo rigido,
il primo problema da porsi è il numero di gradi di libertà del sistema considera¬
to: abbiamo visto che un singolo corpo rigido in moto nel piano e sul quale non
agiscono vincoli possiede tre gradi di libertà, un sistema composto da n corpi nel
piano è pertanto caratterizzato, prima dell’applicazione dei vincoli, da 3n gradi
di libertà. L’introduzione di vincoli tra i corpi o tra questi e un corpo fisso (det¬
to telaio'), riduce il numero dei gradi di libertà del sistema, che dipenderà quindi
dal numero di corpi che compongono il sistema e dal numero e tipi di vincoli
applicati.
Per introdurre l’argomento ci si riferisce a un sistema composto da due aste
(Figura 3.1), cui vengono progressivamente applicati dei vincoli. A ogni situazio¬
ne di vincolo si osserverà quante coordinate è necessario indicare per definire la
configurazione del sistema:
3x 2
o prima dell’introduzione dei vincoli, l’insieme dei due corpi è dotato di 6
libertà;
gradi di
e applicando i vincoli di cerniera nei punti O e A, vengono sottratti due gradi di
libertà per ciascuna cerniera applicata al sistema, che risulta quindi dotato di
due gradi di libertà: si può quindi individuare completamente la configurazione
del sistema attraverso due soli parametri cinematici, per esempio gli angoli a e
fi, che costituiscono le coordinate libere del sistema;
» applicando un ulteriore vincolo di carrello nel punto B, si sottrae una ulteriore
possibilità di movimento al sistema, che risulta così dotato di un solo grado di
libertà. In questo caso, per determinare la configuazione del sistema è sufficien¬
te definire, per esempio, il valore dell’angolo a, che diviene l’unica coordinata
libera del sistema;
« nel caso in cui, infine, il vincolo posto nel punto B sia una cerniera, non sono
più possibili movimenti rigidi del sistema: infatti per effetto delle cerniere in
=
36
Capitolo 3
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
37
sociali alla deformabilità sono in generale confinati entro i limiti di deformazione
elastica del corpo e hanno tipicamente ampiezze molto piccole rispetto ai moti
rigidi. Per esempio, un’asta della lunghezza di un metro incernierata a lena a una
estremità potrebbe ruotare intorno all’estremo fisso (moto rigido) consentendo al
suo estremo libero di spostarsi di una distanza dell’ordine dei metri, mentre un
ragionevole ordine di grandezza dello spostamento prodotto dalla deformazione
elastica potrebbe essere 1/1000 della dimensione del corpo.
Per questo motivo nel seguito considereremo i meccanismi come composti da
corpi rigidi variamente interconnessi, trascurando tutti gli effetti di deformabilità
dei corpi che li compongono.
3.1.2 Computo dei gradi di libertà di un sistema di corpi rigidi
La procedura utilizzata nell’esempio per calcolare il numero dei gradi di libertà (o
gradi di mobilità) del sistema, può essere generalizzata per alcune classi di mec¬
canismi. Nel caso di meccanismi piani, con sole coppie inferiori (per esempio
cerniere, pattini e candii), in cui i collegamenti siano solo di tipo binario, ossia
ogni vincolo collega solo due clementi, si definisce la regola di Griibler, per il
calcolo del grado di mobilità del sistema. Detto f| il numero di vincoli che sop¬
primono un solo grado di libertà (vincolo tipo carrello), e C2 il numero di vincoli
che sopprimono due gradi di libertà (vincolo tipo cerniera o pattino), si ha:
Figura 3.1 Successiva applicazione di vincoli.
O e B ciascuna delle due aste potrebbe al più ruotare attorno alla sua estremità
lissa, ma per effetto della cerniera in A anche queste rotazioni sono impedite,
perché la rotazione rigida di una delle due aste comporterebbe necessariamente
un allungamento o accorciamento dell’altra. Il fatto che il sistema non possa
compiere moti rigidi trova corrispondenza nel conteggio del numero dei gradi
di vincolo agenti, che in questo caso sono sei, ossia pari al numero dei gradi di
libertà che compete all’insieme dei corpi non vincolati.
L’esempio sopra descritto consente di introdurre alcune definizioni particolarmen¬
te importanti, che sono riportate nel seguito.
3.1.1 Meccanismi e strutture
L’esempio mostra che possiamo distinguere i sistemi meccanici in due categorie:
strutture: sistemi per i quali non sono possibili atti di moto rigido e le uni¬
che possibilità di movimento sono legate alle deformabilità dei componenti la
struttura, abbandonando quindi l’ipotesi di corpi rigidi;
• meccanismi: sistemi in grado di compiere movimenti senza contravvenire alla
condizione di moto rigido: è in particolare di questa categoria di sistemi che ci
occuperemo in questo capitolo.
»
Si osservi che anche un meccanismo potrebbe subire dei moti non rigidi, per ef¬
fetto della deformabilità dei corpi che lo compongono: ciononostante, i moti as¬
(.
,
(
l
(
(
(
(
(
n = 3*n
— —
cj
2 * ci
(3.1)
essendo n il numero di componenti del meccanismo, escluso il telaio.
3.1.3 Catene cinematiche aperte e chiuse
L’esempio di Figura 3.1 suggerisce un’ulteriore distinzione all’interno della cate¬
goria dei meccanismi, tra catene cinematiche aperte e catene cinematiche chiuse.
Diremo catena cinematica aperta un sistema composto da una serie di corpi mo¬
bili, più un cotpo fisso (detto telaio), in cui i diversi corpi sono vincolati in suc¬
cessione l’uno all’altro (a formare una sorta di “catena”) in modo che ogni corpo
(compreso il telaio) risulti vincolato esclusivamente a quello che lo precede e a
quello che lo segue nella catena. Nell’esempio considerato, l’introduzione delle
sole due cerniere in O e in A dà luogo a una catena cinematica aperta in cui il
telaio (corpo “0”) è vincolato solo all’asta OA (corpo “1”) e questa a sua volta è
vincolata solo all’asta AB (corpo “2”).
Si dice invece catena cinematica chiusa un sistema in cui almeno uno dei
corpi non rispetta la condizione sopra enunciata. Nell’esempio considerato, l’in¬
troduzione delle cerniere in O e A e del carrello in B dà luogo a una catena chiusa,
perché il “corpo 2” (asta AB) è collegato anche al “corpo 0” (telaio).
La distinzione tra catene cinematiche aperte e chiuse non risiede solo nella
topologia del sistema, ma comporta un’importante differenza nella cinematica del
sistema: per descrivere il moto di una catena cinematica aperta è sufficiente uti¬
lizzare un certo numero di coordinate che permettano di rappresentare il moto di
I
38
I
Capitolo 3
I
(
(
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
un corpo rispetto a quello che lo precede nella catena. Per esempio, per la catena
cinematica aperta dell’esempio di Figura 3.1 si possono usare come coordinate
l’angolo formato dall’asta OA con l’orizzontale (rotazione assoluta del corpo 1)
c l'angolo formato dall’asta AB con l’orizzontale (rotazione assoluta del corpo
2); in alternativa, come seconda coordinata può essere scelto l’angolo formato
dall’asta AB con il prolungamento dell’asta OA (rotazione del corpo 2 relati¬
va al corpo I). Qualunque dei due set di coordinate si scelga, le due coordinale
risultano del tutto indipendenti l’una dall’altra.
Viceversa, per una catena cinematica chiusa, le diverse coordinate che espri¬
mono il moto di un membro rispetto al precedente non sono tutte libere, ma al
contrario devono rispettare una o più condizioni: nell’esempio di catena cinema¬
tica chiusa riportato nella Figura 3.2, per esempio il moto del sistema può ancora
essere descritto in termini di rotazioni assolute delle due aste OA e AB, ma in
questo caso queste due coordinate non saranno indipendenti (ossia non potranno
variare liberamente, indipendentemente l’una dall’altra), dovranno invece variare
rispettando il vincolo di carrello in B, ossia facendo in modo che il punto B ap¬
partenga sempre alla retta orizzontale su cui scorre il carrello. Tale vincolo viene
tradotto dall’equazione vettoriale:
(A
- 0) + (li - A) = (B - O)
Come si mostrerà nel seguito, una condizione cinematica di questo tipo può es¬
sere rappresentata in termini di equazione scritta con il formalismo dei numeri
complessi, che prende il nome di equazione ili chiusura in quanto può essere in¬
terpretata graficamente come una condizione che impone la circostanza per cui un
particolare poligono si mantiene chiuso durante il molo del sistema. Utilizzando
l’algebra dei numeri complessi è possibile esprimere i legami cinematici tra le di¬
verse quantità cinematiche che descrivono la posizione del sistema (nell’esempio
le rotazioni a c fi delle due aste), ed è quindi possibile descrivere la posizione del
sistema in funzione di un numero minimo di coordinate, pari al numero di gradi di
libertà del sistema: nell’esempio considerato, che come già detto possiede un solo
grado di libertà, la posizione di qualunque punto del sistema potrà essere espressa
in funzione dell’angolo a.
Occorre notare che, per catene cinematiche chiuse più complesse dell’esem¬
pio mostrato, può essere necessario introdurre più di un’equazione di chiusura per
esprimere tutti i legami cinematici che regolano il moto del sistema. Per esempio
per il sistema di Figura 3.2 (detto esalatelo) è possibile scrivere le due equazioni
di chiusura:
(A - 0,) + (B -A)
(B - O2) + (C - B)
39
Figura 3.2 Esempio di catena cinematica chiusa (esalatero).
particolarmente notevoli di sistemi meccanici: rispettivamente un manipolatore
piano a due gradi di libertà e il manovellismo ordinario. Per la loro importan¬
za, la cinematica di questi due sistemi sarà studiata in dettaglio nei prossimi due
paragrafi. Prima però di affrontare lo studio della cinematica di questi sistemi re¬
lativamente complessi, si premette un esempio estremamente semplice di catena
cinematica chiusa.
Applicazione: asta rìgida vincolata con doppio appoggio Si consideri il
sistema rappresentato nella figura sottostante, costituito da un’asta rigida le cui
estremità sono appoggiate a due guide rettilinee, disposte rispettivamente in oriz¬
zontale e in verticale. Per questo sistema:
1. si determini il numero di gradi di libertà;
2. assegnata la velocità angolare dell’asta, si calcolino le velocità dei due estremi
A e B e quella del punto centrale C;
3. lo spostamento infinitesimo dei punti A e B che corrisponde a una rotazione
infinitesima 80 dell’asta;
4. assegnata inoltre l’accelerazione angolare dell’asta si calcoli l’accelerazione del
punto centrale C.
= (O2 - O|) + (B - O2)
= (O3 - O2) + (C - O3)
mentre l’ulteriore equazione relativa alla chiusura del poligono OiABCO2O3
risulta combinazione delle due equazioni già scritte, ed è perciò superflua.
Gli esempi di catena cinematica aperta e chiusa riportati nella Figura 3.1 non
sono solo utili a introdurre i concetti fin qui trattati, ma rappresentano due esempi
Risoluzione Punto I: se si esclude la possibilità di distacco tra le guide e le
estremità dell’asta, i vincoli di appoggio agenti sull’asta possono a tutti gli effetti
essere assimilati a carrelli: infatti ciascun appoggio vincola esclusivamente lo
spostamento in una sola direzione di un punto del corpo. Di conseguenza abbiamo
40
Capitolo 3
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
un sistema formato da un solo corpo (oltre al telaio fìsso) su cui agiscono due
vincoli che sopprimono ciascuno un grado di libertà, e il numero residuo di GdL
è pertanto /1 = 3 2 1.
Punto 2: esistono almeno due possibilità per rispondere a questa domanda. Un
primo approccio, relativamente lungo come sviluppo dei passaggi ma molto gene¬
rale, consiste neH’applicare il metodo dei numeri complessi. Il secondo approccio,
più sintetico, si basa sull’individuazione del centro di istantanea rotazione (c.i.r.)
dell’asta.
Affrontando il problema con il metodo dei numeri complessi, osserviamo
che, qualunque sia il moto dell’asta, esso dovrà avvenire mantenendo chiuso il
per rappre¬
triangolo OAB. Di conseguenza, introducendo le variabili xb e
sentare gli spostamenti lungo le due guide rispettivamente dei punti B e A si può
—
si osservi che, essendo sin 0 > 0 e cos 0 < 0, per 0 positiva (ossia velocità
angolare in senso antiorario) la velocità di B sarà diretta orizzontale verso destra
(in quanto espressa da un numero reale positivo) c la velocità di A verticale verso
il basso (in quanto espressa da un numero complesso con parte reale nulla e parte
immaginaria minore di zero).
Per quanto riguarda il punto centrale dell’asta C, si può scriverncJa posizione
=
come:
C - O = xB + L/2eie
espressa anche nelle due componenti:
xc = xB + L/2 cos 0
yc = L/2 sin#
scrivere:
xB +
Le'6 = iyA
è questo il primo esempio di equazione di chiusura che incontriamo: dal punto
di vista topologico rappresenta la circostanza già nominata per cui un triangolo
si mantiene tale durante il moto, mentre dal punto di vista algebrico rappresenta
un’equazione in campo complesso, che equivale quindi a due equazioni in campo
reale, che legano le tre quantità cinematiche finora introdotte, ossia >4, Xb e 0.
Dovendo soddisfare due condizioni (in campo reale), solo una di queste tre quan¬
tità può variare liberamente (coordinata libera), mentre le altre due possono essere
esplicitate in funzione della prima. Scegliamo per esempio come coordinata libe¬
ra la rotazione 0: separando la parte reale da quella immaginaria neH’equazione
di chiusura e riordinando i termini si ottiene:
xb = —L costi
L sin 0
yA
=
queste due espressioni consentono di calcolare le posizioni degli estremi dell’asta
in funzione della rotazione 9. Per calcolare le velocità delle estremità si possono
derivare rispetto al tempo queste due relazioni, oppure si può derivare rispetto
al tempo l’equazione complessa di chiusura. In questo secondo caso si ottiene
(ricordando che la lunghezza L dell’asta è costante):
xb
+ i9Le'° = iyA
xb
j>x
=ÒL sin#
ÒL cos 0
—
Note queste grandezze, è possibile definire le velocità dei punti A e B mediante il
solito formalismo dei numeri complessi:
Va
d
—
d
d
d
-O) = (Da) = iyA = i0Lcos0
- —(.A
dr
dr
—(B - O) = —(xB)
Vb = dr
dr
—
Xb
Derivando tale espressione si ottiene:
Vc = xB + i0L!2eiO
la velocità di C può essere scomposta in una componente orizzontale e in una
verticale, prendendo rispettivamente la parte reale e immaginaria dell’espressione
complessa sopra riportata:
Vcx = xB-Ò sin 9 L/2 = 0 sin 9 L/2
Vcy = 9 COS0L/2
»X?‘
Come anticipato, esiste un procedimento più rapido per giungere a queste risposte:
osserviamo che le traiettorie di A e B sono due segmenti di retta, rispettivamente
verticale e orizzontale; di conseguenza, possiamo affermare che le velocità dei
due punti (tangenti alle rispettive traiettorie) avranno direzione verticale la prima e
orizzontale la seconda. Sappiamo dall’osservazione fatta al Paragrafo 2.2.5 che il
c.i.r. dell’asta giace all’intersezione delle rette spiccate da A e B ortogonalmente
alle rispettive velocità: se ne conclude che il c.i.r. dell’asta è posto nel punto
D della figura sottostante (il fatto che tale punto non appartenga materialmente
all’asta non deve far sorgere dubbi: basta pensare D come un punto collegato
rigidamente all’asta).
che scomposta in parte reale e immaginaria fornisce le velocità ricercate:
= 9Lsm0
41
(
42
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
43
Capitolo 3
Trovato il c.i.r. dell’asta, sappiamo che la velocità di qualunque punto del corpo
è ortogonale alla congiungente il punto con il c.i.r. e in modulo è pari al prodotto
della velocità angolare 0 per la distanza del punto dal c.i.r.; applicando queste
regole si ritrova il risultato già ottenuto con il metodo dei numeri complessi.
Punto 3: è stato già osservato nel Capitolo 2 che le stesse relazioni cinematiche
valide tra le velocità valgono anche tra gli spostamenti infinitesimi: di conseguen¬
za, le espressioni di V?t e Nn in funzione di 0 trovate al punto precedente, rappre¬
sentano anche il legame tra gli spostamenti infinitesimi 8y^ e 8xB degli estremi e
la rotazione infinitesima dell’asta 80:
8xB = SOL sin0
óyx
=
SOLcosO
questo risultato, per ora apparentemente poco significativo, assumerà grande im¬
portanza quando tratteremo la statica e la dinamica di sistemi di corpi rigidi.
Punto 4: per ottenere l’ accelerazione del punto medio C basta derivare rispetto al
tempo l’espressione complessa della velocità di C:
_ò2Lei0
ac = ^=XB+i0Le">
d/
Figura 3.3 Manipolatore S.C.A.R.A.: a e
mano con una direzione fissa.
La (3.3) può essere riscritta separando la parte reale da quella immaginaria, che
danno luogo al sistema:
per ottenere le componenti orizzontale e verticale di questo vettore è sufficiente
prendere la parte reale e immaginaria dell’espressione complessa sopra riportata,
oppure derivare le componenti Vcx e Ve? della velocità di C (passaggi lasciati al
lettore).
f
xB
[
yB
= a cos a + b cos(a + fi,)
= a sin a + b sin(a + pr)
VB = iàaeia + i(à + pr)beiia+p'ì
Si tratta di un meccanismo a catena aperta, in cui il moto è, in generale, impar¬
tito attraverso motori posti in corrispondenza dei giunti. Lo schema cinematico
corrisponde, per esempio, ai due bracci di un robot S.C.A.R.A., mostrato nella
Figura 3.3. Come descritto nel Paragrafo 3.1.2, il sistema è dotato di 2 GdL. Per
descrivere il moto si possono, per esempio, utilizzare, le due coordinate a rota¬
zione del primo braccio e fir rotazione relativa del secondo braccio rispetto al pri¬
mo. Questa scelta evidenzia come coordinate libere le componenti di movimento
direttamente azionate dai motori che comandano il manipolatore. La relazione
vettoriale che definisce la posizione del punto B estremo del secondo braccio è la
seguente (vedi Figura 3.4):
= (B-4) + (A-O)
e si scompone tale equazione nelle componenti reale e immaginaria:
( VBx = -àa sina - (à + pr)bsìn(a + pr)
VBv = àa cosa + (à + pr)b cos(a + pr)
(
(3.2)
che in forma complessa diventa
xB+iyD=aéa +
b^^+M
(3.3)
'
’
’
in cui assegnati i valori a e fi,, delle rotazioni ai giunti, si ricava la posizione del
punto B. Per ottenere la velocità di B si deriva la (3.3) nella sua forma complessa:
3.2 Manipolatore piano R-R
(Z?-O)
p rappresentano gli angoli che i bracci for¬
Figura 3.4 Schema cinematico del manipolatore S.C.A.R.A.
(3.5)
44
Capitolo 3
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
45
si osservi che lo stesso risultato può essere ottenuto anche derivando direttamente
il sistema (3.4).
Un’ulteriore derivazione rispetto al tempo dell’equazione di chiusura porge
l’espressione dell’accelerazione del punto B:
ag
= iaaeia - à2aela + i(a +
- (à + p^be^^
(3.7)
che può a sua volta essere scomposta in parte reale e immaginaria a fornire le
componenti secondo gli assi coordinati dell’accelerazione di B.
3.3 Manovellismo ordinario centrato
Il manovellismo ordinario centrato è un cinematismo che viene utilizzato per tra¬
sformale il moto rotatorio di un albero nel moto traslatorio rettilineo di un corsoio
o viceversa. Esso trova largo impiego nelle macchine, per esempio nei moto¬
ri a combustione interna (Figura 3.5), nelle presse, nelle pompe e compressori
alternativi.
Figura 3.6 Schema cinematico e rappresentazione dell'equazione di chiusura del
manovellismo ordinario centrato.
che in forma complessa diventa:
aeia + be^ = c
(3.9)
in cui sono costanti (per l’ipotesi di corpi rigidi) le lunghezze della manovella
e della biella, rispettivamente a e b, mentre variano nel tempo la posizione del
piede di biella definita dal numero reale c e le rotazioni della manovella e della
biella, definite dagli angoli a e p. Normalmente si assume nota la rotazione a
della manovella e si ricavano in funzione di questa la posizione del corsoio c e la
rotazione della biella p.
La (3.9) può essere scomposta nelle sue parti reale e immaginaria:
a cos a + b cos p ~c
a sin a + b sin p —0
(3.10)
ottenendo un sistema di equazioni nelle due incognite p e c, non lineare in p, che
compare come argomento di funzioni trigonometriche. Risolvendo rispetto alle
incognite si ottiene:
Figura 3.5 Esempio di sistema meccanico con manovellismo: motore a combustione
interna a 2 tempi.
/
c
Lo schema cinematico, mostrato nella Figura 3.6, comprende la manovella OA,
in grado di compiere una rotazione completa intorno al centro fisso O, la biella
AB che compie invece un moto rototraslatorio e il corsoio, che nello schema
cinematico è ridotto al carrello posto in B, ma nella realtà (come mostrato nella
Figura 3.5) costituisce un corpo a se stante che scorre impegnandosi in una guida
ricavata nel telaio. Le lunghezze della manovella e della biella devono rispettare
la condizione AB > OA, affinché la manovella possa effettivamente compiere un
giro completo. L’equazione di chiusura del manovellismo ordinario centrato è:
(A - 0) + (B - A)
= (B - O)
(3.8)
= a cos a + b V/ 1
•
/
\ 2
/asina
\
— ———
^
I
\
/ asin(a)\
.
= arcsm \I
)
b
/
(3.11)
in cui si è fatto uso della relazione:
cos p = 1
—
sin p2 =
La (3.11) fornisce i legami cinematici che permettono di esprimere in funzione
della rotazione della manovella la posizione del corsoio e la rotazione della biella.
11(11
46
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 3
47
Si osservi che, una volta note queste quantità, è possibile ottenere la posizione di
un qualsiasi punto del manovellismo mediante una semplice somma di vettori (al
solito espressi mediante numeri complessi). Nella Figura 3.8 si riporta in alto l’an¬
damento della posizione del corsoio in funzione della rotazione della manovella:
i valori massimo e minimo si ottengono rispettivamente per a = 0 e per a n,
e corrispondono alle posizioni dette di punto morto esterno e di punto morto in¬
terno: questo nome deriva dal fatto che in tali posizioni avviene l’inversione del
moto del corsoio, e pertanto la velocità di questo risulta nulla.
Per ottenere le velocità del manovellismo è possibile ritornare all’equazione
di chiusura (3.9) e derivarla rispetto al tempo:
—
ìàae'a 4- ipbe,p = c
(3.12)
àaeHa+,r/2ì + phe™*”™ = c
(3.13)
ovvero:
Questa equazione vettoriale (o complessa) può essere interpretata sulla base del
teorema dei moti relativi, utilizzando un sistema di riferimento mobile traslante
insieme al punto A: la velocità di trascinamento del punto B è pari alla velocità
dell’origine del riferimento mobile (infatti se la terna trasla tutti i punti che si muo¬
vono con essa hanno la stessa velocità), mentre la velocità relativa sarà un vettore
ortogonale alla biella, di modulo pari al prodotto della lunghezza della biella per
la sua velocità angolare. D’altra parte, la velocità assoluta del corsoio è anche
espressa direttamente da un vettore orizzontale con modulo pari a c: ne conse¬
gue che l’equazione scritta sopra può essere anche interpretata come uguaglianza
tra la velocità del punto B espressa mediante il sistema di riferimento mobile (a
primo membro) e scritta nel sistema di riferimento assoluto (secondo membro):
—
àac/(«+>r/2) + pbenp^r»
vBlr=v4
Vflrc|
_
(3 ]4)
v«ass
Figura 3.8 Manovellismo ordinario centrato: dall'alto spostamento,
velocità e ac¬
celerazione del corsoio.
da cui, risolvendo rispetto a c e P:
{
Scomponendo in parte reale e immaginaria la (3.12), o derivando le componenti
(3.10), si ottiene:
1
—
àa sin a pb sin p = c
àa cos a 4- pb cos p = 0
Figura 3.7 Interpretazione della cinematica del manovellismo sulla base del teorema
dei moti relativi.
—
c= —eia (sin a cosatane)
a cos a:
ó
b cos p
(3.16)
La Figura 3.8 riporla al centro l’andamento della velocità del corsoio (calcolata
nell’ipotesi di à = cost) in funzione delia rotazione della manovella: come anti¬
cipato, essa si annulla in corrispondenza dei punti morti, mentre i valori
massimi
si hanno in prossimità della posizione a =
tt/2.
La successiva derivazione dell’equazione di chiusura porta a definire le acce¬
lerazioni del sistema:
—
iàae'a à2ae'a 4- ipbe'p
che con la solita scomposizione fornisce:
1
—àasin a
eia cos a
——
—
—
óra cos a pb sin p
à2a sin a 4- f)b cos p
p2be'p = c
——
p2b cos p = c
p2b sin p = 0
(3.17)
_
48
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 3
49
della (3.19) indica che l’accelerazione del corsoio dipende sia dall’accelerazione
angolare della manovella, sia da termini nel quadrato della velocità angolare di
da cui è possibile ricavare l’accelerazione del corsoio c e l’accelerazione angolare
Sempre nell’ipotesi à = cast, l’andamento dell’accelerazione del
della biella
piede di biella in funzione della rotazione della manovella è mostrato in basso
nella Figura 3.8: il valore massimo negativo si verifica in corrispondenza del punto
morto esterno.
E importante osservare che l’andamento dello spostamento, della velocità e
soprattutto dell’accelerazione del corsoio dipende dal rapporto X = a/b tra le
lunghezze a della manovella e b della biella, come evidenziato nella Figura 3.9.
quest’ultima:
c = aAc(a) +
0Ac a“
—da—
(3.21)
L’espressione sopra scritta evidenzia come in un meccanismo in cui i rapporti tra
le velocità sono funzione della configurazione, l’accelerazione del generico punto
è diversa da zero anche se il membro movente (in questo caso la manovella) è
animato da moto rotatorio a velocità costante.
3.3.1 Approssimazioni del primo e secondo ordine del moto
del piede di biella
K '■
Come mostrato dalla (3.20), l’espressione analitica esatta del legame cinemati¬
co tra la velocità angolare della manovella e la velocità del corsoio è alquanto
complessa. In questo paragrafo si vuole ricavare un’espressione approssimata di
questo legame cinematico che, pur introducendo un ragionevole errore (come si
vedrà, tanto minore quanto maggiore è il rapporto X tra la lunghezza della mano¬
vella a e quella della biella b), si presta a un efficace utilizzo in molte applicazioni
di rilevante importanza ingegneristica.
A questo scopo, riprendiamo la Formula (3.1 1) che lega la rotazione della
biella p alla rotazione della manovella a; da tale formula si ottiene:
.
„
sino
a
•
sma
=b
da cui:
Figura 3.9 Manovellismo ordinario centrato: accelerazione del corsoio al variare del
rapporto
2
a/b manovella/biella.
cos
Come si mostrerà nei capitoli seguenti, spesso è utile definire il legame cinematico
tra la derivata della coordinata libera à e la velocità di un punto del sistema (in
questo caso in par ticolare il corsoio) introducendo il concetto di jacobiano, ossia
mediante una relazione del tipo:
c = Ac(a)à
sin a
—
1 vale la seguente approssimazione:
e
2
(3.19)
In cui Ac viene detto jacobiano del moto del corsoio rispetto alla rotazione della
manovella. Dal confronto con la prima delle (3.16), si ottiene l’espressione di tale
funzione:
Ac(a) = -a
Ricordando che per £
/
cos a tan I
.
arcsin
\
a sin a
ò
(3.20)
dove si può osservare che lo jacobiano è funzione della coordinata libera a, ossia
dipende dalla configurazione del meccanismo. La derivata totale rispetto al tempo
. 2a
sin
si ottiene:
£
cos /3
~ 1 — -1 (a\2
2
sin a
Inserendo questa approssimazione nell’espressione della posizione c del piede di
biella si ottiene:
c = a cosa + bcos p
acosa + b
—
la.,
-a- sin“a
(
50
Capitolo 3
I
(
l
I
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Derivando rispetto al tempo tale espressione, si ottiene un’espressione approssi¬
mata per la velocità del piede di biella:
è = Vg
I
~ —a sin aà — ctX sin a cos aà = —a I sin a -1— sin 2a ) à
(3.22)
in cui, come già in precedenza, si è introdotto il simbolo X per rappresentare il
rapporto tra la lunghezza della manovella e quella della biella:
(3.23)
L’Equazione (3.22) viene detta approssimazione del secondo ordine del moto del
piede di biella; ovviamente, tale approssimazione risulta tanto più precisa quanto
più risulta giustificata l’approssimazione eseguita sul valore del coseno dell’an¬
golo p, ossia, in ultima analisi, quanto più piccolo è il rapporto X definito dalla
(3.23). Una rappresentazione ulteriormente approssimata del moto del piede di
biella, detta del primo ordine consiste nel trascurare, nell’espressione (3.22), il
termine contenente il rapporto X: in tal modo si approssima ad armonico il legame
tra il moto del piede di biella e la rotazione della manovella:
c
=
Vg
—
—a sin aà
(3.24)
si deve però tener presente che utilizzando l’approssimazione del primo ordine è
possibile introdurre errori significativi nel moto del piede di biella, a meno che la
lunghezza della biella sia effettivamente molto maggiore di quella della manovella
(valori di X < 1/10).
La Figura 3.10 mostra per due diversi valori del rapporto X il confronto tra lo
jacobiano Ac ottenuto mediante l’analisi cinematica esatta eseguita con il metodo
dei numeri complessi e l’approssimazione del primo ordine.
51
3.3.2 Un esempio numerico: il motore della vettura Alfa Romeo
GTV2000 (1971)
Si consideri a titolo di esempio numerico il cinematismo biella-manovella del
motore dell’autovettura Alla Romeo GTV2000, caratterizzato dai seguenti dati
geometrici e cinematici: raggio manovella = 44.25 mm; lunghezza biella =
157 mm; regime di rotazione di potenza massima = 5800 giri/min.
Considerando per esempio che la posizione della manovella a = tr/4, dal¬
185 mm. È possibile a questo punto
la (3.11) si ottiene p = 1.763 rad e c
valutare dalla (3.16) la velocità angolare p della biella pari a —123.52 rad/s e
la velocità del piede di biella (c = 15.12 m/s). Infine, ipotizzando un regime
costante di rotazione dell’albero motore, e quindi accelerazione angolare della
manovella pari a zero, è possibile risolvere il sistema (3.18) e calcolare l’accele¬
71 900 rad/s2 e l’ accelerazione del punto li
razione angolare della biella p
(c = -24 900 m/s2).
=
——
3.4 Altri sistemi articolati
3.4.1 Quadrilatero articolato
Il quadrilatero articolato è un meccanismo composto da tre corpi mobili più un
telaio fisso, come mostrato nella Figura 3.1 1. I corpi sono uniti fra loro da cer¬
niere, i due corpi incernierati da un lato al telaio fisso (ossia i lati <9, A e O2B del
quadrilatero) sono detti manovella se compiono una rivoluzione completa durante
il moto del sistema, oppure bilanciere se il loro moto è limitato a un’oscillazio¬
ne angolare tra due posizioni estreme. Si potranno avere quindi quadrilateri a
doppia manovella, a manovella-bilanciere o a doppio bilanciere. Il corpo non
direttamente collegato al telaio (lato AB) prende invece il nome di biella.
Figura 3.11 Quadrilatero articolato.
Figura 3.10 Moto del piede di biella: confronto tra la soluzione esatta e l'ap¬
prossimazione del primo ordine.
Per determinare a quale di queste tre categorie appartenga un dato quadrilatero
articolato, in funzione delle lunghezze dei suoi lati, è possibile ricorrere alla regola
di Grashof, che afferma:
52
o
o
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 3
se la somma del lato più corto e del lato più lungo è maggiore della somma
degli altri due lati, il quadrilatero è a doppio bilanciere;
nel caso contrario, si hanno i seguenti sottocasi:
se il lato più corto è incernierato al telaio, il quadrilatero è a manovellabilanciere,
se il lato più corto è il telaio, il quadrilatero è a doppia manovella,
se il lato più corto è la biella, il quadrilatero è a doppio bilanciere.
-
Il quadrilatero articolato viene utilizzato per trasformare il moto rotatorio di uno
dei due lati collegati al telaio nel moto rotatorio dell’altro lato collegato al telaio.
In altri casi, meno frequenti, viene invece utilizzato per realizzare una data traiet¬
toria di un punto appartenente alla biella. Questo tipo di cinematismo trova larga
applicazione nelle macchine automatiche (per esempio neirindustria tessile) ma
anche nei dispositivi di sollevamento e movimentazione carichi (si veda l’esem¬
pio alla fine di questo paragrafo). Inoltre lo stesso cinematismo è alla base della
sospensione per veicoli stradali detta “a quadrilateri indipendenti”.
Osserviamo infine che il quadrilatero articolato (come già nel precedente pa¬
ragrafo il manovellismo ordinario centrato e nel seguito il glifo) costituisce un
sistema a un grado di libertà: se per esempio nel quadrilatero di Figura 3.11 si
congela la rotazione a del lato O|A, questo risulta completamente bloccato. In
particolare il punto A risulta fermo e quindi l’insieme costituito dalla biella AB
e dal lato O2B forma un arco a tre cerniere, anch’esso bloccato. Ne consegue
che, una volta determinato il valore di una singola coordinata libera, per esem¬
pio l’angolo a, risultano univocamente determinate le posizioni di tutti i punti del
sistema.
Per determinare le relazioni che legano le rotazioni a, e y e le loro derivate
rispetto al tempo, è possibile utilizzare il formalismo basato sui numeri comples¬
si. I quattro lati del quadrilatero articolato di Figura 3.11, costituiti dai vettori
(/1 Od, (B A), (O2 ~ Oi) e (B O2) sono rappresentati dalle espressioni
complesse: (B A), (B Oj) espressi come:
——
—
—
—
-
(A OO
(B A)
(B-02)
(02 Ot)
—
-
—
—
(A - Od + (B
—
A)
—
= (02 - Od + (B- O2)
Utilizzando la rappresentazione complessa dei vettori, si ottiene quindi l’equazio¬
ne complessa:
ae,a + be'^
—
ce‘Y + de'5
a cos(a) + b cos(/ì)
a sin(a) + òsin(^)
=
=
b cos(y ) + d cos(5)
(3.27)
òsin(y) +dsin(5)
Tale sistema di equazioni permette di esplicitare i valori assunti dagli angoli p e
y (incognite del problema) in funzione dell’angolo a, assunto come coordinata
libera essendo note le lunghezze dei quattro lati del quadrilatero e il valore (co¬
stante) dell’angolo 8. Poiché il sistema di equazioni (3.27) è non lineare nelle
incognite fi e y, la risoluzione non è agevole, a eccezione di posizioni notevoli
del quadrilatero; per le espressioni risolutive del caso generale si rimanda a [3].
Una volta risolta l’Equazione (3.27) e determinata quindi la posizione di tutti i
lati del quadrilatero, è possibile determinare le velocità del cinematismo derivando
rispetto al tempo l’equazione di chiusura:
iàae'a + ipbe,p = iyce‘Y
(3.28)
in cui i valori degli angoli a, fi, y sono noti dall’analisi di posizione, ed è quindi
possibile ricavare le velocità angolari fi e y dei lati AB e 02B in funzione della
velocità angolare à del lato 0\A. Separando le parti reale e immaginaria, la (3.28)
diviene:
—a sin aà
—
b sin PP
acosaà + bcos
=
pp =
—
c sin y y
(3.29)
ccosyy
La (3.29) costituisce un sistema lineare nelle incognite p e y, essendo noti i valori
di p e y dalla risoluzione dell’analisi in posizione rappresentata dall’Equazione
(3.27). Derivando ulteriormente l’Equazione (3.28) si ottiene l’espressione:
- y2ce‘Y
(3.30)
ovvero, in forma scalare:
L’equazione di chiusura per il quadrilatero articolato esprimerà la circostanza per
cui la posizione del punto B espressa come somma dei vettori (zi Od e (B A)
deve risultare in ogni istante uguale alla posizione di B ottenuta come somma dei
vettori (O2 Od e (B 02):
—
Separando in tale equazione la parte reale dalla parte immaginaria si ottiene il
sistema:
iaaeia - à2aeia + ipbeip - p2beip = iyceÌY
= ae'a
= be*
= ce'Y
= r/?4
53
(3.26)
—
a sinaà
acosaa
—
—
—
— bc^pp2 =
i — bsinpp2 =
pp
—esiti yy
as'maà2 + bcospp
ccosyy
a cosati2
b sin
—
—
ccos yy2
csinyy2
(3.31)
Un esempio applicativa: braccio di sollevamento Si consideri ora il sistema
di Figura (3.12) dove il braccio 02C può, per esempio, costituire un elemento di
una macchina di sollevamento 0 di movimentazione terra: la rotazione del braccio
02C è ottenuta attraverso un sistema articolato formato oltre che da tale brac¬
cio, dai due elementi OiA e BA e azionata, per esempio, attraverso un motore
posizionato in Oi che impone una rotazione a(t) al lato Oi A.
Cinematica
dei sistemi Ji
corpi
rigidi
bS
Figura 3.12 Quadrilatero articolato.
Considerando le seguenti lunghezze per i lati del quadrilatero: a = 1.27 m, b =
1.45 m, c = 1.0 m , d = 1.41 m e per il moto del lato OtA (considerato come
noto in funzione del tempo): a = 6.08 rad, à = 0.5 rad/s, a = 0 rad/s2.
La risoluzione della (3.27) fornisce come posizione dei lati AB e O2B:
fi = 1.03 rad, y = 0 rad. Introducendo tali valori nella (3.29) insieme al valore
noto di à si ottengono le velocità angolari dei lati AB e O2B: p = —0.1 rad/s,
y = 0.54 rad/s; e, infine, mediante la (3.31) si ottengono le accelerazioni inco¬
gnite: fi = -0.017 rad/s2 y = 0.037 rad/s2.
3.4.2 Cinematica del glifo oscillante
Il glifo oscillante, rappresentato nella Figura 3.13, è un dispositivo che trasforma
il moto rotatorio della manovella O, A nel moto rotatorio alternato del glifo, ossia
del corpo rigido incernierato a terra in O2 e che porta la scanalatura nella quale si
impegna il corsoio. Questo tipo di azionamento trova applicazione nelle macchine
automatiche, tipicamente al fine di realizzare un moto alternativo con tempi di
andata e ritorno di diversa durata (si veda l’esempio della slitta portautensili di
Figura 3.23), nei sistemi di movimentazione e sollevamento carichi (si veda la
Figura 3.19), ma anche nelle sospensioni dei veicoli stradali, dove la sospensione
di tipo Me Pherson si basa proprio su questo tipo di cinematismo (Figura 3.14),
realizzando il gruppo glifo-corsoio mediante lo smorzatore coassiale con la molla
elicoidale, e la manovella mediante un braccio rigido incernierato da un lato alla
scocca della vettura e dall’altro al mozzo.
Utilizzando la seguente rappresentazione complessa per i vettori (ri 0|),
(ri-02)e(02- O,):
Figura 3.13 Glifo oscillante.
Si osservi che in tale equazione la distanza x tra i punti O2 e A risulta variabile
nel tempo, per effetto dello scorrimento del corsoio all’interno della scanalatura
del glifo. Anche in questo cinematismo si considera come coordinata libera la
rotazione a della manovella, in funzione della quale possono essere determinate
la posizione x del corsoio lungo la guida e la rotazione del glifo p. Separan¬
do nell’equazione di chiusura la parte reale da quella immaginaria si ottiene il
sistema:
xcos/I = rcosa
x sin p = r sin a + d
Derivando l’equazione complessa di chiusura si ottiene:
xe'^ + ipxe'P = iràe'a
—
(ri-0,)
= reia
= xe'11
0,) = de'^ = id
(ri - 02
(O2
—
l’equazione di chiusura relativa al glifo oscillante assume l’espressione:
xe* = id + re‘a
(3.32)
Figura 3.14 Schema cinematico della sospensione Me Pherson.
(3.33)
56
Capitolo 3
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
da cui, separando la parte reale da quella immaginaria e riordinando i termini:
x cos p
— xp
sin
p = —àr sin a
(3.34)
x^mP + xpcosp = àrcosa
Si osservi che la derivata dell’equazione di chiusura (3.33) può essere interpretata
in base al teorema dei moti relativi, utilizzando un sistema di riferimento mobile
con origine in C>2 e rotante insieme al glifo. Rispetto a questo riferimento, la ve¬
locità relativa del punto A è diretta parallelamente alla scanalatura del glifo (per
effetto del vincolo prismatico tra corsoio e glifo) e ha modulo pari a x, mentre la
velocità di trascinamento ha direzione ortogonale alla congiungente O2A e mo¬
dulo pari al prodotto
La velocità assoluta del punto A, pari alla somma di
questi due termini, può essere anche espressa come un vettore perpendicolare al¬
la manovella OtA e di modulo rà. Ne deriva la seguente interpretazione della
(3.33):
xp.
xe^ 4-
1
pxe'P =
"rei
"ass
vlras
Derivando ulteriormente l’equazione di chiusura si ottiene:
xeip + ixpcip + ixpeip + ixpeip
- x^e”1 = iiirela -I- à2reia
(3.35)
da cui, con i consueti passaggi:
x cos p
—
2xp sin p
— xp p — xp2
sin
x sin p + 2xp cos p +xp cos p
—
cos p
= —rii sin a
xp2 sin p = rii cos a
—
—
rà2 cos a
rà2 sin a
nell’ utilizzare un motore che ruota a velocità angolare costante, azionando la ma¬
novella di un glifo secondo lo schema cinematico di Figura 3.13. Si otterrà in tal
modo per il glifo un moto rotatorio alternativo che, come si mostra nel seguito,
presenta tempi di andata e ritorno differenti e il cui rapporto dipende dai dati geo¬
metrici del cinematismo. Infine l’azionamento della slitta potrà essere attenuto
mediante una biella di rimando collegata da un lato al glifo e dall’altro alla tavola
porta-utensile (si veda la Figura 3.23 e il relativo esercizio). Per calcolare il rap¬
porto tra i tempi di andata e di ritorno del glifo, si ipotizzi che la manovella sia
posta in rotazione con velocità angolare costante: il punto A centro del corsoio
descriverà un moto circolare uniforme con traiettoria avente centro in Oi e raggio
r. Il glifo oscillerà intorno al punto O2 mantenendo il proprio asse di simmetria
allineato con la congiungente O2A, di conseguenza le posizioni angolari in cui
avvengono le inversioni del moto del glifo corrisponderanno alle due posizioni in
cui la retta O2A è tangente alla traiettoria del punto A, come mostrato nella Fi¬
gura 3.15. Come si osserva in figura, l’arco di circonferenza corrispondente alla
corsa di andata risulta maggiore di quello di ritorno, in misura tanto più elevata
quanto più il punto O2 si avvicina alla circonferenza traiettoria di A. Poiché il
punto A si muove lungo la circonferenza con molo uniforme, a uguale arco di
cerchio spazzato da A corrispondono tempi uguali: ne segue che il rapporto tra il
tempo di andata e quello di ritorno sarà pari al rapporto tra le lunghezze dei due
archi di cerchio che sulla traiettoria di A rappresentano rispettivamente l’andata e
il ritorno del glifo.
Passando ora alla applicazione numerica, si considerino i seguenti dati del
problema: raggio manovella 125 mm; distanza verticale tra le cerniere a terra
580 mm; regime di rotazione della manovella 60 giri/min (costante).
Il regime di rotazione della manovella può essere convertito da giri al minuto
in radianti al secondo (unità di misura SI della velocità angolare) in base alla
(3.36)
Si lascia al lettore l’interpretazione dell’Equazione (3.35) sulla base del teorema
dei moti relativi.
Azionamento della slitta di una macchina utensile 11 glifo oscillante viene
utilizzato in alcune macchine per realizzare moti alternativi con tempi di andata e
di ritorno non uguali. Si pensi al caso della slitta di una macchina per lavorazione
ad asportazione di truciolo: la slitta avrà il compito di portare il pezzo destinato
alla lavorazione facendolo avanzare lentamente durante la lavorazione stessa, e
riportandolo nella posizione di partenza (per essere sostituito da un nuovo pezzo
o per una nuova fase di lavorazione) nel più breve tempo possibile.
Si presenta quindi l’esigenza di ottenere un tempo di andata più elevato del
tempo di ritorno della slitta. A tale fine può talvolta risultare difficile, 0 dispen¬
dioso, utilizzare un motore che ruoti a velocità variabile nel tempo in accordo con
le diverse fasi della lavorazione: ciò richiederebbe infatti un sistema di control¬
lo dell’azionamento (si veda il Capitolo 9). Una soluzione alternativa consiste
57
Figura 3.15
I
58
I
I
I
I
(
/
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 3
59
formula:
ù
—
à
= 6.28 rad/s = cost
a
= 6.28 t rad
giri/min x
2tt/60
che fornisce in questo caso:
Inserendo tali dati numerici nelle formule (3.32), (3.34) e (3.36), si ottengono gli
andamenti nel tempo delle grandezze rappresentanti la posizione del glifo, p e
x, la velocità, p e x, e l’accelerazione p e x. I risultati relativi a tali grandezze
sono rappresentati in funzione della posizione angolare della manovella (e quindi,
a meno di un fattore di scala, del tempo) nelle Figure 3.16, 3.17 e 3.18. Si osserva
in particolare che i tempi di andata e di ritorno, riconoscibili come le porzioni del
grafico inferiore nella Figura 3.17 in cui la velocità angolare del glifo p assume
valori rispettivamente positivi e negativi, sono differenti.
Figura 3.17 Analisi di velocità per l'azionamento di una slitta di macchina utensile.
Figura 3.16 Analisi di posizione per l'azionamento di una slitta di macchina utensile.
Meccanismo di azionamento di un braccio meccanico Si consideri nuovamen¬
te il dispositivo di azionamento per braccio meccanico di Figura 3.12: la movi¬
mentazione del braccio O2B può essere affidata (come nell’esempio del Paragrafo
3.4.1) a un azionamento elettrico (motore) posto in corrispondenza della cerniera
Op Questa soluzione presenta vantaggi in termini di precisione nel posiziona¬
mento del braccio, di velocità di risposta, di facilità di installazione, ma non si
Figura 3.18 Analisi di accelerazione per l'azionamento di una slitta di macchina
utensile.
60
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 3
—
61
a del braccio OtC e fi dell’attuatore O2A: a
0. rad, fi
0.278 rad; succes¬
sivamente, inserendo questi valori nelle (3.34) e (3.36) si possono calcolare velo¬
cità e accelerazioni angolari del braccio O,Ce dell’attuatore: à
= 0.145 rad/s,
presta ad applicazioni in cui si debbano vincere forze resistenti di notevole inten¬
sità, come nel caso di bracci di grandi dimensioni e di apparecchi di sollevamento
carichi. In tali applicazioni, di norma, si fa uso di azionamenti idraulici: si veda
a proposito la Figura 3.19. Attraverso una portata di olio in pressione immessa
all’ interno della camera formata dal glifo e dal corsoio, è possibile realizzare il
movimento o il sostentamento del braccio OiC.
=
3 = 0.096 rad/s, a = 0.0252 rad/s2, = 0.0154 rad/s2.
3.5 Esercizi
aì-
B
&
Esercizio 1: manovellismo ordinario deviato II manovellismo ordinario de¬
viato mostrato nella Figura 3.20 si distingue dal manovellismo ordinario centrato
per il fatto che la retta lungo cui scorre il corsoio risulta traslata in modo tale da
non passare per il punto O, centro di rotazione della manovella. Questo tipo di cinematismo viene utilizzato in luogo del manovellismo ordinario centrato nel caso
in cui si desideri ottenere un moto del corsoio in cui alla corsa di andata corri¬
sponda una rotazione della manovella superiore a ir mentre alla corsa di ritorno
corrisponda una rotazione della manovella inferiore a ir.
Figura 3.20 Manovellismo ordinario deviato.
Si consideri la legge di rotazione della manovella:
Rispetto al caso di Figura 3.13, l’equazione di chiusura assume una forma leg¬
germente diversa, perché il telaio Oi O2 risulta inclinato di un angolo generico 5
(costante) anziché di ?r/2:
a
con
d
dei5+aeia = xeip
1
2
eoo costanti, si abbiano i seguenti dati:
0.1 [m]; a>o = 24 [rad/s]; ùq = 600 [rad/s2].
= Per
l’istante
di tempo t
a
=
0.2 [m]; b
=
1.0 [m];
= 0.1 s si calcoli:
1. la posizione del corsoio rispetto al punto O;
2. la velocità del corsoio;
3. l’accelerazione del corsoio.
che proiettata sui due assi diventa:
d cos 5 + a cos a = x cos fi
d sin 8 + a sin a = x sin fi
«0 e
= wor +
(3.31)
Una volta risolta l’analisi di posizione, le derivate dell’equazione di chiusura ri¬
sultano invece identiche alle (3.34) e (3.36), grazie al fatto che il telaio O] O2
rimane fisso durante il moto del sistema.
Nell’applicazione considerata, in funzione della portata di fluido nell’atluatore idraulico, sarà nota la legge di variazione nel tempo della distanza O2A = x(t).
Considerando i seguenti dati del problema: a = 2.5 m, d = 1.41 m, 8 = tt/4,
x = 3.64 m, i =0.1 m/s, è possibile innanzitutto ricavare la posizione angolare
Risoluzione Inserendo nell’espressione della legge di moto della manovella il va¬
lore del tempo considerato si ottiene: a=5.4 [rad], à= 84 [rad/s], a=600 [rad^2].
L’equazione di chiusura del manovellismo ordinario deviato (Figura 3.21) assume
la forma:
d
(B
- D) + (D - O) = (B - A) + (A - 0)
(3.38)
in cui il punto D rappresenta l’intersezione tra la retta traiettoria del corsoio B e
la verticale passante per il punto O. Il motivo per cui si preferisce esprimere la di¬
stanza di B da O come somma dei vettori (B D) e (D O) anziché direttamente
—
—
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
63
Infine, per quanto riguarda l’accelerazione, si deriva una seconda volta l’equazio¬
ne di chiusura:
—
iàaeia - à2ae'a + ipbeip - p2beip
che scomposta fornisce:
!
Figura 3.21 Equazione di chiusura per il manovellismo ordinario deviato.
—
come un unico vettore (1) O) è che per quest’ultimo vettore risultano variabili
con la configurazione sia il modulo sia la fase, mentre scomponendo il vettore
nelle sue due componenti orizzontale e verticale si riesce a evidenziare il fatto che
soltanto la componente orizzontale varia durante il movimento del sistema. Con
il formalismo complesso l’equazione di chiusura diviene:
aà2 — b sin PP — b cos 002 = -V
— aacos
sin
— aà2 4- b cos 00 — b sin 002 = 0
sostituendo in questa equazione i valori numerici
K.
I 0.2550 4- x = 685.4
|0.9670 = 1135.7
e risolvendo rispetto alle incognite si ottiene 0
= 1174.4 [rad/s2], x = 386.4 [m/s2]:
Esercizio 2: quadrilatero articolato Per il quadrilatero mostrato nella Figu¬
ra 3.22 siano noti i seguenti dati: a = 1 m; b = 2.35 m; c 2 m; d = 1.41 m;
a (5.28 + 0.3/ + 0.05/2) rad; 5 = 0.785 rad.
2 la velocità angolare e l’accelerazione angolare
Determinare, al tempo t
delle aste OiA e O2B.
aela 4- be'p = id 4- x
=
in cui sono variabili l’angolo fi e la distanza x, mentre è costante la distanza d.
Scomponendo l’equazione in parte reale e immaginaria si ottiene:
cos 4- b cos p = x
( aasina
sin P =
a sin aà
a cos aà
=
—
i'-
a
d
4- b
da cui:
P
a
(d
= arcsm|
\
—
— a sina |\
b
a cos a 4- b cos p
)
Inserendo i valori dei dati numerici si ottiene p = 0.257 [rad]; x
Derivando l’equazione di chiusura si ottiene:
= 1.094 [m].
iàae‘a + ipbe'^ = x
che scomposta in parte reale e immaginaria fornisce:
{
—
—asin aà b sin pp = x
a cos aà + b cos pp = 0
sostituendo i valori numerici dei parametri noti si ottiene il sistema:
I 0.2550 4-x = —12.982
[ 0.9670 = —10.663
che risolto fornisce 0
= —11.03 [rad/s], i = —10.18 [m/s].
Figura 3.22 Quadrilatero articolato.
Risoluzione Per risolvere il problema, occorre innanzitutto determinare la posi¬
zione, la velocità angolare c l’accelerazione angolare della manovella O\A nell’i¬
stante considerato. Derivando la funzione a(/) assegnata dal problema e valutan¬
do i valori nell’istante t = 2 s si ottiene:
a = 5.28 + 0.3 x 2 + 0.05 x 22 = 6.08 rad
0.5 rad/s
b = 0.3 + 2 x 0.05 x 2
à = 2 x 0.05
= 0.1
=
rad/s2
Nota la posizione della manovella, è possibile ricavare le posizioni della biella e
dell’asta O2B (bilancere) per mezzo dell’equazione di chiusura:
(O2 - Di) + (B - O2)
= (A - OD 4- (B - A)
de‘s 4- ce'y = aela + be’^
64
Capitolo 3
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
scomponendo tale equazione nelle parti reale e immaginaria, si ottiene:
!
Esercizio 3: azionamento di una slitta porta-utensile Lo schema cinematico
del sistema considerato è rappresentato nella Figura 3.23. Siano noti i seguenti
dcos <5 + c cos y = a cos a 4- b cos p
d sin 8 4- c sin y asina + b sin p
—
=
valori numerici per il problema: a 0.2 in, b = 1 ni, c = 0.5 m, d = 0.3 in,
e = 1.2 m. Inoltre, indicata con a la rotazione della manovella O\A, sia: a(t)
=
6.28 t rad.
Si chiede di calcolare nell’istante t = 0 la velocità angolare e l’accelerazione
angolare del glifo e la velocità e l’accelerazione della slitta.
separando i termini noti da quelli incogniti si ottiene:
f
——
—bcos P 4- c cos y = a cos a d cos 8
—b sin p + c sin y = asina dsin8
e infine, sostituendo i valori numerici:
65
———
| —2.35 x cos p 4- 2 x cos y = 1 x cos(6.08) d x cos(0.785)
| —2.35 x sin p 4- 2 x sin y = 1 x sin(6.08) d x sin(0.785)
che risolta rispetto alle incognite fornisce y = 0 rad, p
0.536 rad. Derivando
poi l’equazione di
chiusura si ottiene (tenendo conto che 8 è costante):
iyce‘y = iàae'a 4- ìpbe'^
che scomposta fornisce:
—a sinaà — ùsin pp
— yy==acosaà
{ ccosyy
pp
4csin
bcos
da cui, separando i temini noti da quelli incogniti:
—
b sin pp csinyy = —a sinaà
bcos pp 4- ccos yy = a cosaà
!—
e sostituendo i valori numerici:
1.20 x 3-0 x y =0.1
2.02 x p - 2 x y = -0.49
p
che risolta fornisce = 0.083 rad/s, y = 0.33 rad/s.
Per ricavare le accelerazioni, si deriva una seconda volta l’equazione di chiu¬
sura:
—
—
—
iyce'y y2ce'y = iaae'a à2ae‘a 4- ipbe'e p2be‘p
da cui, scomponendo, separando le incognite dai termini noti e sostituendo i valori
numerici:
csinyy ccosyy2 = —a sinaà acosaà2 b sin pp bcospp2
ccosyy csinyy2 = acosaà a sinaà2 4- bcos pp àsin pp2
{—
——
Ì— —
— ——
——
pp2 + ccosyy2
— acosaà2
=
—
acosaà
sinaà2
bsinpp2
csinyy2
=
— —
bsinpp csinyy —a sinaà
bcospp 4- ccosyy
1.20 x 3-0 x y
2.02 x 3-2 x y
che risolta fornisce
(
1
(
3
(
a
bcos
4-
= -0.14
0.017 rad/s2, y
(
Risoluzione Per risolvere il problema è necessario scrivere due equazioni di
chiusura, una relativa al glifo (chiusura del triangolo O| O2A) e una relativa al si¬
stema di movimentazione della slitta (chiusura del poligono Oi BCD). Per prima
cosa, si calcola il valore della rotazione, velocità angolare e accelerazione ango¬
lare all’istante t = 0 del movente (?2A: a = 6.28 x 0 0 rad, à = 6.28 rad/s,
à 0 rad/s2.
Si imposta poi la prima delle due equazioni di chiusura: indicato con P la
rotazione del glifo a partire dalla direzione orizzontale e con x la distanza Oi A si
ottiene:
=
=
(O2
- Oi) + (A - O2) = (A - Oj)
id 4- ae'“
= xe'11
Scomponendo l’equazione in parte reale e immaginaria e risolvendo rispetto alle
incognite p e x si ottiene il sistema:
= 0.02
—
Figura 3.23 Glifo oscillante per l'azionamento di una slitta porta-utensile.
»
a cos a = x cos p
d 4- a sin a = x sin p
= 0.087 rad/s2.
t
(
(
<
[ x cos p
I x sin p
= 0.2
= 0.3
Cinematica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 3
66
che risolto fornisce: p = 0.983 rad, x
chiusura assume la forma:
{D
= 0.361 m.
La seconda equazione di
- 0,) + (C - D) = (B - OD + (C - B)
ie + y = be'p + ce'y
in cui y indica la posizione del punto C rispetto a D (puramente orizzontale e
quindi rappresentata da un numero complesso puramente reale), mentre y indica
la rotazione della biella BC.
Utilizzando l’usuale procedura si ottiene:
—
c cos y
( e == b sincos p++csin/
f y 0.5 cos y = 0.555
y
b
|0.5 sin y = 0.368
fi
e quindi y = 0.187 m, y = 2.398 rad.
Per determinare la velocità angolare del glifo si deriva la prima equazione di
chiusura (ricordando che d è costante mentre x varia nel tempo):
iàaeia = xelp + ipxeip
che con i soliti passaggi fornisce:
I
—
= x cosp
a sinaà
—
x sin
—
^3
I 0.3/ì + 0.555x = 0
|acosaà = x sin /3 -f-x cospp
| 0.2/ì + O.832x = 1.256
—
1.932 rad/s,
che risolto (per esempio con il metodo di Cramer) fornisce: p
x = 1.045 m/s.
Per determinare invece la velocità y della slitta si deriva la seconda equazione
di chiusura:
y = ibpe‘p + icye,y
che risolta fornisce:
( y=
—
—
( y
+ 0.203/ = —1.608
[ 0.221/ = 1.072
bsinpp csin yy
| 0 = bcospp + ccos yy
=
=
e quindi y —2.594 m/s, y 4.855 rad/s. Un’ulteriore derivazione della prima
equazione di chiusura consente di ricavare l’accelerazione angolare dell’asta:
—
— xP2e'p
pp —
— xcospp1
pp + xcospp — sinpp2
iaaeia aà2e‘a = xe'p + 2ixpe'p + ipxe'p
—
—
—
asina# acosaà2 = xcosp 2x sin
a cosaa a sinaà2 = x sin p + 2x cos
—
f -0.3P + 0.555x = -3.781
| 0.2/1 + 0.832x = -1.120
xsinpp
x
67
che fornisce p = 7.001 rad/s2, x = —3.029 m/s2, mentre un’ulteriore deriva¬
zione della seconda equazione di chiusura fornisce invece il valore dell’accelera¬
zione della slitta e dell’accelerazione angolare della biella BC. Si lascia questo
ultimo passaggio al lettore, riportando solo il risultato finale: y = 0.999 m/s2,
y = —18.17 rad/s2.
4
Geometrìa delle masse
4.1 Introduzione
Nei capitoli precedenti sono state studiate le regole cinematiche che governano
il movimento di un sistema meccanico. Nel prossimo capitolo si introdurranno
invece le leggi della dinamica, che mettono in relazione le forze agenti su un
sistema meccanico con il suo movimento. Per affrontare lo studio della dinamica
dei sistemi, è però necessario premettere alcuni concetti relativi alla distribuzione
di massa di un sistema meccanico. Infatti, già al livello elementare costituito dalla
terza legge di Newton per un punto materiale F = ma, si osserva che la relazione
tra la forza agente F e l’accelerazione del punto materiale a esiste un fattore di
proporzionalità costituito dalla massa in del punto.
Per procedere allo studio della dinamica di sistemi meccanici formati da uno
o più corpi rigidi di dimensioni non puntiformi, è necessario introdurre i concetti
di baricentro di massa e di momento di inerzia di massa. Nel prossimo capitolo si
mostrerà poi come utilizzando tali grandezze sia possibile definire il campo delle
azioni di inerzia che si esercitano sul singolo corpo rigido ed estendere, mediante
il principio di D’ Alembert, la terza legge di Newton in modo da rendere possibile
lo studio della dinamica di sistemi di corpi rigidi.
r
4.2 Baricentro di massa
Per introdurre l’argomento, si consideri un sistema formato da un insieme di N
punti materiali, rigidamente collegati tra loro, in modo da formare un corpo rigido.
Si fissi un sistema di riferimento solidale con il corpo e si indichi con mt, Xk e yk
rispettivamente la massa e le due coordinate che definiscono la posizione della
generica /c-esima massa rispetto al sistema di riferimento scelto (Figura 4.1).
Si definisce baricentro (o centro di massa) del corpo il punto le cui coordinate
sono fornite dalle espressioni:
N
k=l
mkxk
1V1
N
y^
(4.1)
Capitolo 4
70
Geometria delle masse
71
Figura 4.3 Individuazione della posizione del baricentro di figure geometriche che
presentano assi di simmetria.
Figura 4.1 Baricentro di un sistema di punti discreti.
ossia sono pari al rapporto tra la somma dei momenti statici nikXk, in^yt e la massa
totale M del corpo. La (4.1) può intepretarsi anche come la media delle coordinate
dei punti del corpo, pesata attraverso le masse dei singoli punti.
Passando a considerare un corpo rigido continuo, la sommatoria (4.1) diviene
un integrale esteso al volume del corpo, mentre la massa di un elemento infinite¬
simo di volume dF è pari al prodotto pdV in cui p è la densità del materiale, in
generale funzione della posizione all’interno del corpo:
xg
/ p(x,y,z)xdV
= 77
M jv
yG
f p(x,y,z)ydV
=t
M Jv
(4.2)
=
[ a4A = 7A Ja/ AdA
= 77
M Ja
yc =
f
M
Ja
ydA
f
=1
AJ
=
yd4
(4.3)
essendo, nell’ipotesi fatta, la massa totale phA
M. In pratica, se il corpo è
omogeneo e a spessore costante, la posizione del centro di massa coincide con la
posizione del baricentro geometrico della figura che rappresenta il contorno del
corpo.
Figura 4.2 Ricerca del baricentro per un corpo a spessore costante.
N
N
Nel caso in cui si abbia un corpo omogeneo (quindi con p costante) e di spessore
costante Zi (Figura 4.2), la massa infinitesima diviene d/n
phdA e la (4.2)
risulta:
xg
Se il corpo presenta un asse di simmetria, ossia ha una distribuzione di massa
simmetrica rispetto a un asse, il baricentro appartiene a tale asse. Se poi il corpo
presenta due assi di simmetria, il baricentro si troverà sull’intersezione dei due
assi (Figura 4.3).
Inoltre, non è sempre necessario utilizzare la definizione (4.2) o (4.3) per il
calcolo del baricentro del corpo. Se questo è scomponibile in forme geometriche
semplici delle quali sia già noto il baricentro, è possibile calcolare il baricentro
dell’intero corpo in forma analoga alla (4.1), considerando la media pesata dei
singoli baricentri delle sottoparti nelle quali è stato suddiviso il corpo (Figura 4.3).
mkXGksH ^kXGk
M
ti M
*=1
E
(4-4)
4.2.1 II baricentro come centro delle forze peso
In questa applicazione si vuole mostrare, attraverso un esempio, come il baricen¬
tro costituisca anche il centro delle forze peso di un corpo, ossia il punto al quale
è possibile ridurre il risultante delle forze peso distribuite agenti sul corpo. L’e¬
sempio è condotto, per semplicità, considerando un corpo composto da N punti
materiali rigidamente collegati tra loro. Il risultato ottenuto ha comunque validità
generale.
Il corpo sia composto di punti tutti appartenenti al piano individuato dagli
assi coordinati (xy), la direzione y sia la verticale, lungo cui agisce la forza peso,
esprimibile come un vettore diretto verso il basso, ossia in verso opposto alla
direzione positiva dell’asse y, il cui modulo è pari al prodotto della massa del
punto per l’accelerazione di gravità g, come mostrato nella Figura 4.4.
Si calcoli il momento di tutte le forze peso, rispetto a un polo 0' scelto ad
arbitrio sul piano. Il modulo del momento vale:
MO‘ = 52 (**
“
x°')"’kg
(4.5)
72
Capitolo 4
Geometria delle masse
73
Figura 4.5 Calcolo del momento di inerzia di massa per una figura piana.
di ogni porzione infinitesima del corpo dm pdV. Nel caso di corpo omogeneo
e di spessore costante h, l’espressione si semplifica nella:
=
Figura 4.4 Significato del baricentro come centro delle forze peso.
Si ricerca ora quella particolare posizione del polo 0' per la quale si annulla il
modulo del momento delle forze peso, ossia:
N
N
^xkmk = Xo'^ink
t=i
(4.6)
t=t
da cui si ottiene:
(4.7)
Questo risultato mostra che il momento delle forze peso si annulla per tutti e soli
i punti che hanno la stessa ascissa del baricentro, ossia che la retta di applicazione
della forza peso passa per il baricentro.
Jo =
ph
/ r2dA = ph /
Ja
Ja
{x1 + )>2)dri
(4.9)
Diversamente dal baricentro, la cui posizione fisica sul corpo viene definita indi¬
pendentemente dal riferimento scelto, il valore del momento di inerzia di massa
dipende dal punto (traccia dell’asse) rispetto al quale viene calcolato. Per lo stu¬
dio della dinamica del corpo, e dei sistemi di corpi è conveniente scegliere come
punto privilegiato per il calcolo del momento di inerzia il baricentro del corpo.
Il momento di inerzia Jg diviene così una caratteristica del corpo rìgido, e il
momento di inerzia rispetto a un polo quasiasi, può essere calcolato utilizzando la
legge del trasporto, qui di seguito definita.
Si consideri un sistema di riferimento fisso con il cotpo, la cui origine sia
collocata nel baricentro G. Il momento di inerzia rispetto al polo O è esprimibile
considerando le coordinate (xq, yd del baricentro, rispetto al sistema di riferi¬
mento (Oxy), e le coordinate (xi, yQ dei punti del corpo rispetto al riferimento
fisso con il corpo stesso:
4.3 Momento di inerzia di massa
Come visto, il baricentro indica il punto in cui è possibile concentrare tutta la
massa di un corpo rigido, il momento di inerzia di massa invece indica come la
massa è distribuita nel corpo. Nel caso di corpi in moto piano, si considererà,
nella maggior parte dei casi, il momento di inerzia rispetto ad assi perpendicolari
al piano direttore, la cui traccia su detto piano è un punto.
11 momento di inerzia di massa rispetto a un asse è definito come (Figura 4.5):
Jo
(x2 + y2)d/n
(4.8)
in cui l’origine del sistema di riferimento è collocata nel punto traccia dell’asse
rispetto a cui si sta valutando il momento di inerzia. Il momento di inerzia di
massa è quindi la somma (o integrale) dei momenti del secondo ordine delle masse
Jo =
Jv
((xG +xj)2 + (yG + yi)2)pdV
(4.10)
Sviluppando l’espressione e riorganizzando i termini, si ha:
Jo =(xg + Vg)
pdV
+ 2xg
y
XipdV +
(4.11)
Ut +yi)2pdv
Si osserva che gli integrali del secondo e terzo termine rappresentano il momento
statico del corpo rispetto all’origine del riferimento (avO. Essendo tale grandez¬
za nulla rispetto al baricentro, ed essendo il baricentro l’origine del riferimento
74
Geometria delle masse
Capitolo 4
75
fisso con il corpo, risulta che tali integrali sono nulli. L’ultimo termine rappre¬
al
senta invece il momento di inerzia calcolato rispetto a un asse (perpendicolare
piano x y), passante per il baricentro G del corpo. La (4.9) risulta pertanto:
—
[
Jo = (xG + yG)M + Jv (xi + y^pdV = MOG + Jg
(4.12)
che esprime la legge del trasporto: il momento di inerzia rispetto a un asse diverso
dall'asse baricentrico, può esprimersi come la somma del momento di inerzia
baricentrico più il prodotto della massa del corpo per il quadrato della distanza tra
il baricentro e il punto considerato.
Anche per il calcolo del momento di inerzia baricentrico di un corpo scom¬
ponibile in forme semplici, è possibile utilizzare la legge del trasporto:
,
w
Figura 4.6 Calcolo del momento di inerzia di massa per un corpo a sezione di corona
circolare e spessore costante.
(4.13)
JG = ^(Jck + MkGGk)
Esaminando i due casi estremi si ottiene, per R,
pieno:
4=1
avendo indicato con G il baricentro del corpo composto, con GGk le distanze tra
la
il baricentro del corpo G e quello di ogni singolo componente Gk, e. con Mk
massa di ciascuna parte componente il corpo.
È uso definire il momento di inerzia baricentrico anche mediante la nozione
di raggio giratorio, definito come:
quel valore che, moltiplicato al quadrato per la massa del corpo, fornisce il valore
del momento di inerzia Jg- Esso indica, in modo qualitativo, come la massa è
distribuita in rapporto alla dimensione del corpo.
Applicazione: momento di inerzia baricentrico di una corona circolare omo¬
genea Data una corona circolare di spessore costante h, e raggi interno ed ester¬
no rispettivamente Rt e R2, collocando il riferimento nel baricentro del corpo
(Figura 4.6), il momento di inerzia balicentrico è definito come:
/
/
pRi
r2phrd0dr
JRt
Jo
Gli estremi dei due integrali sono indipendenti tra loro, per cui è possibile riorga¬
nizzare la scrittura nei seguenti termini:
Jg
f"2
= P'i J/R\
i
'• dr
f2’'
/
J
d0
0
= Inhp\-- -
il cui risultato è:
Jg
=
nh(R2
- R2)
2
2
mentre per 7?|
2
_
~
—)
q = R—
= R2 = R, ossia l’anello sottile:
JG = M R2
Ir
R, ossia il disco
V2
jg = m—
(4-14)
Jc = Mq2
JG =
R2
= 0, R2 =
q
—
R
Si osserva che nel secondo caso il raggio giratorio è pari alla dimensione dell’a¬
nello, in quanto la massa è posta alla massima distanza dal baricentro, mentre
nel primo caso, essendo uniformemente distribuita, risulta ovviamente inferiore
al raggio R.
Si può quindi affermare che, a parità di massa, se si vuole massimizzare il
momento di inerzia conviene utilizzare un solido simile all’anello sottile, quale
per esempio una corona circolare con spessore piccolo rispetto al proprio raggio
medio.
Applicazione: momento di inerzia baricentrico di un'asta Si consideri un’a¬
sta omogenea di lunghezza L e massa totale M (Figura 4.7). Posto il sistema
di riferimento nel centro geometrico dell’asta, che per simmetria ne costituisce
dv
O
dm = m dv
M
(Rl + W
2
Figura 4.7 Calcolo del momento di inerzia di massa per un’asta omogenea.
76
Geometria delle masse
Capitolo 4
—
~ la massa per unità di lunghezza del¬
anche il baricentro, si indichi con in
l’asta. Il momento di inerzia baricentrale dell’asta sarà in questo caso definito
dall’integrale semplice:
Jg
lo sviluppo dell’integrale porta a:
b
i*/2
\-b/2
ph
L3
b3
3
2
ossia:
J-L/2
JG =
vi172 - mL3 - ML1
£
(4.15)
4.4 Esercizi
Esercizio 1: momento di inerzia baricentrico di un rettangolo omogeneo In
questo caso si consideri un solido cosituito da un rettangolo di base L, altezza b
e spessore Zi in direzione perpendicolare al piano (Figura 4.8). Per simmetria il
baricentro del corpo coincide con il suo centro geometrico. Posta in tale punto
l’origine del sistema di riferimento il calcolo del momento di inerzia baricentrale
è effettuato con un integrale doppio secondo le due coordinate x e y:
rL/2 fb/2
/ U2 + y^dm
J-L/2 J—b/2
Supposto il corpo omogeneo, ne consegue dm
= p/idxd.y, e quindi:
(F
Figura 4.8 Calcolo del momento di inerzia di massa per un corpo a sezione ret¬
tangolare.
I
L
L/2
-L/2
= rL/2 x in dx
lo sviluppo di tale integrale porta a:
Ja=
77
phbL
-,
^^2 +
-,
M
-,
-,
+ ^2)
Si osservi che facendo tendere a zero l’altezza b del rettangolo si ottiene il risultato
già ricavato per l’asta omogenea.
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
5.1 Equazioni cardinali della statica
L’equilibrio di un sistema meccanico formato da corpi rigidi può essere studiato
mediante le equazioni cardinali della statica, che affermano come la condizione
necessaria e sufficiente per l’equilibrio di un corpo rigido è che si annullino il
vettore risultante di tutte le forze attive e reattive agenti e il loro momento rispetto
a un polo generico O :
R = £F = 0
(5.1)
M‘o = EMo=0
in cui R è il vettore risultante di tutte le forze esterne agenti sul sistema (azioni
attive e reazioni vincolati), e Mq è il momento complessivo delle coppie e forze
esterne al sistema, calcolato rispetto a un polo O scelto ad arbitrio. Separando
nella scrittura della (5.1) le azioni attive dalle reazioni vincolal i, si ha:
LjF;+rrRvr = 0
E,(Pj - O) A F; +
+ £r(Pr - O) A Rvr + E, cvs = o
(5.2)
in cui Fy e Cj sono le forze e coppie esterne al sistema, Rvr e Cvs sono le forze e le
coppie delle reazioni vincolari. Il sistema (5.1) costituisce condizione necessaria
e sufficiente all’equilibrio nel caso di un singolo corpo rigido. Per esempio, nel
caso di un corpo nel piano, dotato di tre gradi di libertà, il sistema (5. 1 ) equivale a
tre equazioni scalari (due componenti per il risultante, e una sola per l’equazione
del momento).
Nel caso di un sistema composto da più corpi tra loro interconnessi, le (5.1)
applicate all’intero sistema costituiscono condizione solo necessaria, occorre in
tal caso o separare i corpi che costituiscono il sistema e scrivere le (5.1) per ognu¬
no di essi, includendo quindi anche le reazioni vincolari scambiate tra i corpi
stessi, oppure considerare, oltre alla (5.1) applicata al sistema completo, ulteriori
equazioni di equilibrio riguardanti le mobilità relative tra i corpi che costituiscono
il sistema meccanico nel suo complesso.
80
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 5
81
5.2 II principio dei lavori virtuali
5.2.1 Applicazione: asta su guide rettilinee
L’approccio richiamato nel paragrafo precedente, studia l’equilibrio di un sistema
meccanico basandosi sull’equilibrio di forze e momenti, secondo le (5.1). Alter¬
nativamente esiste un approccio basato su considerazioni di tipo energetico, noto
come principio dei lavori virtuali (PLV), che può enunciarsi come segue:
Si consideri per esempio l’asta rigida vincolata con doppio appoggio studiata dal
punto di vista cinematico nel Paragrafo 3.1.3. Supponiamo che l’asta, dotata di
massa m, sia soggetta al proprio peso e a una forza orizzontale, applicata nel punto
B e diretta verso sinistra (direzione negativa rispetto all’asse reale), come illustra¬
to nella Figura 5.1, si richiede di calcolare il valore della forza FB necessario per
in un sistema meccanico con vincoli fissi e in assenza di attrito, condizione ne¬
cessaria e sufficiente per l’equilibrio è che sia nullo il lavoro virtuale compiuto
dalle forze e dalle coppie attive per qualsiasi spostamento virtuale del sistema
mantenere in equilibrio l’asta.
L’espressione del lavoro virtuale per un sistema di corpi rigidi è:
= E F> x SPj + E C* x 89*
J
(5.3)
k
Nella (5.3) i termini <SPy e 89 k rappresentano rispettivamente gli spostamenti vir¬
tuali dei punti di applicazione delle forze F; e le rotazioni virtuali dei corpi su
cui sono applicate le coppie Cj. Gli spostamenti (e le rotazioni) virtuali devono
soddisfare le seguenti condizioni:
essere infinitesimi, di entità arbitraria;
essere compatibili con i vincoli, ossia non violare le condizioni di vincolo poste
al sistema;
« essere reversibili, ossia poter avvenire in entrambi i sensi;
o avvenire a tempo congelato.
Per la prime due condizioni ora poste, uno spostamento virtuale è diretto secondo
la tangente alla traiettoria del punto. Si osservi inoltre che se il sistema conside¬
rato è composto da corpi rigidi, tra i diversi vincoli che devono essere rispettati
dallo spostamento virtuale del sistema si devono includere anche le relazioni ci¬
nematiche che valgono tra gli spostamenti di un corpo rigido. Di conseguenza,
lo spostamento virtuale di ciascun corpo rigido sarà rappresentato al più da tre
parametri indipendenti (per esempio due componenti di spostamento di un punto
e una rotazione).
®
o
Il PLV risulta particolarmente vantaggioso nell’applicazione allo studio del1 equilibrio dei meccanismi. Infatti, in conseguenza della prima condizione posta
sullo spostamento virtuale, nel caso di vincoli fissi e privi di attrito, le reazioni
vincolari non compiono lavoro. Ciò accade o perché il punto su cui sono appli¬
cate le reazioni vincolari non può spostarsi (caso della cerniera o dell’incastro), o
perché la reazione vincolare risulta ortogonale al movimento permesso (caso del
carrello e del pattino). L’ipotesi di ampiezza assimilabile a un infinitesimo im¬
plica inoltre che la configurazione del sistema non si modifichi rispetto a quella
assegnata.
Nel caso di un sistema a un grado di libertà, una volta espressi gli sposta¬
menti virtuali in funzione della variazione virtuale di un’unica coordinata libera,
si ottiene l’equazione risolvente. Successivamente è possibile ricavare le reazioni
vincolari applicando, per esempio, le equazioni cardinali della statica.
Figura 5.1 Statica di un corpo rigido.
Nel caso di utilizzo delle equazioni cardinali della statica (5.1) è necessario intro¬
durre come ulteriori incognite le reazioni vincolari esercitate dalle guide sui due
punti A e B dell’asta, ottenendo in generale equazioni accoppiate tra loro nelle
incognite. Volendo invece applicare il PLV, le uniche forze da considerare sono il
e Vs non compiono
peso dell’asta e la forza Ffl, poiché le reazioni vincolari
lavoro. Si potrà quindi scrivere:
Ffl x 8sB +mg x 5sc = 0
in cui 8sb e 8sc sono i vettori che rappresentano gli spostamenti virtuali dei punti
B e C rispettivamente. Sviluppando i prodotti scalari ed esprimendo con 8xB
l’entità dello spostamento virtuale del punto B (considerato positivo se diretto
verso destra) e con 8yc la componente verticale dello spostamento virtuale del
punto B (considerata positiva se diretta verso l’alto) si ottiene:
— FB8xB -
mgSyc = 0
in cui i segni meno sono dovuti al fatto che le forze agenti sono entrambe discordi
rispetto alla direzione positiva degli spostamenti dei punti di applicazione. Ri¬
chiamando i legami cinematici tra gli spostamenti virtuali dei punti B e C e la
rotazione 80 dell’asta ottenuti nel Paragrafò 3.1.3:
8xb = L sin 080
8yc = L/'lcos080
e sostituendo queste relazioni nell’equazione del PLV si ottiene:
—FDLsin080
—
mgL/2cos080
=0
I
l
82
<
Capitolo 5
La relazione deve valere per ogni 89 per cui, risolvendo rispetto all’incognita Fb
si ottiene:
mg
p
D
2 tan 0
che indica il legame tra le due azioni applicate all’asta AB. Essendo in questo
caso 0 appartenente al secondo quadrante, il valore di tan0 c negativo, per cui il
valore di Fu risulta positivo.
Hg;
g
—àa(sina —
= —a(sina —
c
=
8c
!
||
cosa tan/J)Sa
(5.4)
Ssb = Sci
K
SA
(5.5)
La variazione Se della posizione del corsoio è legata alla variazione infinitesima
della posizione angolare della manovella 8a dallo stesso legame cinematico che
mette in relazione la velocità del corsoio con la velocità angolare della manovel¬
la. Ricordando quanto ottenuto dall’analisi cinematica del manovellismo, ovvero
K
È?
A
(5.6)
—
F,A(a)
=a(sina
—
cosa tan
P^Fr
(5.7)
della dinamica
Nel caso in esame, detta 8a la rotazione virtuale (assunta positiva in senso anti¬
orario) della manovella attorno alla cerniera in O si avrà:
£ 8Lk = —Mm8a - Fr8c = 0
= A(a)5a
5.3 Principio di D'Alémbert ed equazioni
I
K
_
poiché l’espressione sopra riportata del lavoro virtuale deve annullarsi per qual¬
siasi entità dello spostamento virtuale, il termine 8a può essere semplificato, ottenendo l’equazione finale che può essere esplicitata in funzione dell’incognita
M,n-
iA
in cui i è il versore che indica la direzione dell’asse x. Sviluppando i prodotti
scalari, e osservando che, date le convenzioni assunte, Mm è opposto alla rotazione
virtuale 8a e Fr è opposta allo spostamento virtuale del corsoio 8sb, si ottiene
l’equazione:
= A(a)à
F 8Lk = (-M,„ - Fr A(a)) 8a = 0
Si osservi che l’entità dello spostamento virtuale del punto B è data dalla varia¬
zione infinitesima 8c della distanza tra i punti O e B del manovellismo che si
produce per effetto della rotazione 8a della manovella. Si può quindi scrivere:
83
sostituendo questo legame cinematico nell’espressione del lavoro si ottiene:
g
8Bk = M„, x 5a + Fr x 8sb = 0
cosa tan^)
si può riportare tale risultato a una relazione tra gli spostamenti virtuali:
Mm =
Figura 5.2 Schema cinematico del manovellismo ordinario centrato.
<
che la velocità del piede di biella può essere calcolata come prodotto della velocita angolare della manovella à per lo jacobiano A del legame cinematico tra la
posizione del piede di biella e la rotazione della manovella:
5.2.2 Applicazione: statica del manovellismo
Con riferimento al manovellismo ordinario centrato di Figura 5.2, si vuole uti¬
lizzare il principio dei lavori virtuali per determinare il valore della coppia Mm
applicata alla manovella e necessaria a equilibrare una forza Fr sul corsoio.
(
{
I
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
L
In questo paragrafo ci occuperemo di definire le equazioni che regolano la dinamica di un sistema meccanico, ossia (cfr. Introduzione) le relazioni che intercorrono
tra moto del sistema e forze agenti. Come per il caso della statica, si mostreranno due possibili approcci allo studio della dinamica, uno basato sulle equazioni di D’Alémbert (o di “equilibrio dinamico”), che possono essere considerate
il corrispondente in dinamica delle equazioni cardinali della statica, il secondo
basato su un approccio energetico, che può ancora consistere nell’applicazione
del PLV (includendo anche il lavoro virtuale delle cosiddette “forze d’inerzia”)
oppure nell’applicazione della equazione di bilancio delle potenze.
Vale infine la pena osservare che nel legame tra le forze agenti su un sistema e
le corrispondenti accelerazioni, gioca un ruolo fondamentale la definizione delle
inerzie del sistema: pertanto, nello studio della dinamica utilizzeremo tutte le
nozioni relative alla geometria delle masse che sono state oggetto del Capitolo 4.
Nello studio della dinamica si riprenderanno brevemente le nozioni relative alla dinamica del punto, per poi approfondire maggiormente lo studio della
dinamica del singolo cotpo rigido oppure di un sistema di corpi rigidi.
&
B'
5.3.1 Punto materiale
K
Nel caso di un punto materiale di massa in, la legge di Newton (terza legge della
dinamica) afferma che l’accelerazione del punto risulta legata alla risultante di
tutte le forze (attive e reattive) agenti sul corpo attraverso la relazione:
^F = ma
(5.8)
84
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 5
—ni
Definendo forza di inerzia Fjn la quantità vettoriale:
pari al prodotto della massa per l' accelerazione del punto cambiala di segno, l’e¬
quazione di moto può essere riscritta nella forma di una equazione di “equilibrio
dinamico”:
£F + Fin =
0
5.3.2 Corpo rigido
Consideriamo ora il caso di un corpo dotato di dimensioni non trascurabili. In que¬
sto caso, il principio di D’Alémbert, rappresentato per il singolo punto materiale
dalle (5.9) e (5.10) può essere scritto per ciascun punto del corpo, che potremo
quindi considerare soggetto a una distribuzione continua di forze di inerzia, tali
per cui la singola forza infinitesima agente su un elementino di massa infinitesima
dm sia definito dalla:
dFin = -d/na
?
0, è, è
df
traiettorie di tutti i punti di un corpo dotato di moto rotatorio sono delle circonfe¬
renze con centro nel punto fisso, queste due componenti di accelerazione valgono
in modulo:
i-
a„(?)
= ^2n
in cui Ò e 9 sono la velocità e l’accelerazione angolare dell’asta, assunte come di
consueto positive in senso antiorario, mentre t e n sono due versori che indicano
rispettivamente la direzione tangenziale e normale centripeta.
In base al principio di D’Alémbert, le componenti della forza d’inerzia in¬
finitesime agenti su un tronchetto di lunghezza d£ dell’asta saranno dunque una
componente tangenziale dFini e una componente normale (centrifuga) dFjnn dirette
in verso opposto alle corrispondenti componenti di accelerazione, definite dalle:
dFin, = -widfat($)
dF|n„ = -md|a„(f)
(5.11)
Una volta introdotta questa distribuzione di forze fittizie agenti sul corpo, potremo
dire, in analogia con la (5.10), che il moto del corpo dovrà soddisfare le equazioni
che definiscono V equilibrio dinamico del corpo sotto l’azione delle forze (attive e
reattive) agenti su di esso insieme alle forze di inerzia così introdotte. Questo ri¬
sultato assume particolare importanza per il corpo rigido, perché in questo caso è
possibile ridurre l’intero sistema di forze distribuite di inerzia a una forza risultan¬
te più una coppia di inerzia, che possono essere espresse con facilità in funzione
dell’accelerazione del baricentro e dell’accelerazione angolare del corpo.
Per ricavare tali espressioni si consideri l’esempio di un’asta dotata di mas¬
sa uniformemente distribuita, posta in rotazione attorno a un suo estremo, come
mostrato nella Figura 5.3. Sia ni la massa per unità di lunghezza (o massa linea¬
re) dell’asta. Calcoliamo innanzitutto la distribuzione delle forze di inerzia agenti
sull’asta: a questo scopo introduciamo una coordinata, £, che identifichi la po¬
sizione della generica sezione dell’asta a partire dall’estremo fisso (Figura 5.3).
L’accelerazione del generico punto dell’asta posto a distanza £ dall’estremo fisso
sarà composta da un termine di accelerazione tangenziale, diretto ortogonalmente
all’asta e da un termine di accelerazione normale, centripeto. Ricordando che le
d£ a(
Figura 5.3 Distribuzione delle accelerazioni e delle forze di inerzia su un'asta incer¬
nierata.
(5.10)
ossia il problema dinamico può essere ricondotto a un problema statico equivalen¬
te, a condizione di aggiungere alle effettive forze agenti sul sistema una forza fit¬
tizia, detta forza di inerzia. Questa affermazione, rappresentata matematicamente
dalle equazioni (5.9) e (5.10), costituisce l’enunciato del principio di D’Alémbert
nel caso del punto materiale. L’applicazione di tale principio risulta molto più
significativa e utile dal punto di vista ingegneristico nel caso del corpo rigido, e
dei sistemi di corpi rigidi, come mostrato nei paragrafi successivi.
d$ a(
—ni
(5.9)
Fh^-ma
85
Calcoliamo ora la forza risultante di tutte le azioni distribuite di inerzia: essa avrà
due componenti, una diretta ortogonalmente all’asta, pari alla somma di tutte le
componenti tangenziali, e una diretta parallelamente all’asta, pari alla somma di
tutte le componenti centrifughe. I moduli di queste due componenti saranno:
-m^dt
Rin, = /F^fé) = -mOfo £d£t =
Rin„ = /Fin„($) =
= -m^02n
Per interpretare il risultato raggiunto, osserviamo che mL è la massa totale M
dell’asta, e che essendo l’asta omogenea, il suo baricentro sarà posto a una distan¬
za L/2 dall’estremo fisso, per cui le componenti di accelerazione tangenziale e
normale del baricentro G saranno:
aG,
aG„
1
l
=
= j02n
86
I
Capitolo 5
1
Ne deriva che le due componenti della risultante di tutte le forze di inerzia possono
essere scritte come:
—
Pini
Pinn
Af a^
—0
M*o + Min + (G-O)ARin = 0
.. rL ^-L/2)d^k
Fini^-L/2)d^k=-m0
Applicazione: corpo rigido di piccolo spessore rotante attorno ad asse fisso
Con riferimento alla Figura 5.4, si voglia determinare l’accelerazione angolare ài
di un corpo di massa in e momento d’inerzia baricentrale Jg, soggetto al pro¬
prio peso, a una forza F applicata nel punto P e a una coppia M , in moto piano
rotatorio attorno a O.
Per utilizzare le equazioni di equilibrio dinamico (5.14), calcoliamo innanzi¬
tutto la risultante e il momento rispetto al baricentro del sistema di forze di inerzia
agente sul corpo. Introducendo una coppia di versori t e n aventi direzione rispet¬
tivamente perpendicolare e parallela alla congiungente OG e versi indicati nella
Figura 5.4, e inoltre un versore k uscente dal piano della figura si ha:
—
I
il
—
Fin = ma>2OGn mùOGt
Min = — Jmk
-L3
Si scriva innanzitutto l’equilibrio dinamico dei momenti rispetto al polo fisso O:
= -m0—k
.
Jgo) + mmOG
in cui k è un versore perpendicolare uscente al piano in cui si muove l’asta. Ricor¬
dando l’espressione del momento di inerzia balicentrale Jg di un’asta omogenea,
fornita dalla (4.15), si può riscrivere l’espressione del momento delle forze di
inerzia rispetto al baricentro come:
Min = -Jc0k
(5.14)
in cui, in analogia con la simbologia adottata nella (5.1), si indica con M*, il
momento complessivo delle coppie e forze agenti sul corpo, incluse le reazioni
vincolari.
(5.12)
Questa circostanza non risulta specifica del solo esempio considerato, ma in ge¬
nerale si può affermare che: la forza risultante di tutte le azioni di inerzia che si
esercitano su un corpo rigido è pari al prodotto della massa totale del corpo per
l'accelerazione del baricentro cambiata di segno.
A questa prima regola, che consente di calcolare con relativa semplicità la
risultante delle forze di inerzia da inserire in una equazione di equilibrio dinamico
“alla traslazione” di un corpo rigido, va aggiunta una seconda regola che ci con¬
senta invece di scrivere con semplicità il momento rispetto a un polo 0 di tutte le
fòrze di inerzia agenti sul corpo rigido. A tale fine, ritorniamo al nostro esempio,
e scegliamo come polo rispetto al quale calcolare il momento delle forze di inerzia
il baricentro G. In questo caso, il momento dovuto alle componenti normali delle
forze di inerzia sarà nullo, perché tutte passano per il baricentro. Il contributo del¬
le forze tangenziali potrà essere invece calcolato tenendo conto che il braccio di
ciascuna forza infinitesima è pari alla distanza del rispettivo punto di applicazione
dal baricentro G:
fL
'ì
R 4- Rjn
=
Fin — M&G
87
termini aggiuntivi relativi alle forze di inerzia, ossia in termini di equazioni di
equilibrio dinamico:
ossia, in termini di vettore risultante complessivo:
Mnc=y
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
è
2
+ mgOG sin fi
— —
Fb
M
=0
che risulta un’equazione pura di movimento, ovvero non contenente incogni¬
te di reazione vincolare. Da questa equazione è possibile ricavare direttamente
(5.13)
Generalizzando il risultato ottenuto si può affermare che l’intero sistema di forze
di inerzia distribuite agenti su un corpo rigido potrà essere sempre ridotto a una
forza risultante, pari al prodotto della massa del corpo per il vettore accelerazione
del baricentro cambiato di segno (secondo quanto espresso dalla (5.12)) e appli¬
cata nel baricentro, e da una coppia (detta coppia di inerzia) pari al prodotto del
momento di inerzia baricentrale del corpo rigido per l’accelerazione angolare del
corpo cambiata di segno (secondo quanto espresso dalla (5.13)). Quanto detto,
quindi, vale anche nel caso più generale di moto rototraslatorio.
Di conseguenza, le equazioni vettoriali che descrivono il moto del corpo ri¬
gido possono essere scritte nella forma di equazioni di equilibrio includendo i
lite
Figura 5.4 Dinamica di un corpo rigido: un esempio.
‘P
88
Capitolo 5
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
l’accelerazione angolare del corpo nella posizione considerata:
ò> =
M + Fb
le forze esterne agenti su tutti i corpi facenti parte di quella porzione del sistema
per cui si scrive la condizione di equilibrio dinamico;
e le reazioni vincolati corrispondenti a vincoli che collegano a terra la parte di
. sistema considerata;
componenti di reazione vincolare corrispondenti ai vincoli che collegano
• lela porzione
considerata al resto del sistema. Non compariranno però le forze
scambiate tra due coipi tutti e due appartenenti alla parte di sistema considera¬
ta (forze interne): infatti in questo caso, per il principio di azione e reazione,
a ciascuna forza se ne accompagnerà una uguale e contraria, con uguale ret¬
ta di applicazione, di modo che il contributo complessivo di queste due forze
sarà complessivamente nullo, per quanto riguarda sia il vettore risultante sia il
momento rispetto al polo O considerato.
In ogni caso, è possibile verificare che il numero complessivo di equazioni indi¬
pendenti che possono essere scritte per il sistema è sempre pari (nel caso di moto
piano) a 3n, con n pari al numero di corpi che compongono il sistema. Fermo
restando questo numero massimo di equazioni, di volta in volta potrà essere più
opportuno e semplice, per il tipo di sistema considerato, scegliere di imporre l’e¬
quilibrio parziale di un solo corpo, di una parte di sistema formata da più corpi
o addirittura dell’intero sistema, tenendo conto le avvertenze sopra riportate su
quali termini di forza includere nelle equazioni.
»
— mgOG sin p
Jq + mOG
(5.15)
2
Proiettando invece la prima delle due (5.14) secondo le direzioni dei versori t e n
si ottiene:
F cos a
F sina
— mai2
—
OG + mg cos fi
mà)OG
—
mg sin
— ==
Rn
p + Rt
0
0
essendo a e rispettivamente gli angoli formati tra i vettori F e zng e l’asse n.
Le equazioni scritte consentono di ricavare le due componenti Rn e Rt della
reazione vincolare esercitata dalla cerniera.
5.3.3 Sistema composto da corpi rigidi
Per un sistema composto da n corpi rigidi si possono scrivere n sistemi di equa¬
zioni vettoriali del tipo (5.14) ossia, complessivamente, le In equazioni vettoriali:
Rj+Rmj
M*
•
0
+ MinJ + (G - O) A Rin,; = 0
0 = 1,2
(5 16)
n)
5.4 Equazione del bilancio delle potenze
che, opportunamente proiettante, danno luogo per un sistema piano a 3n equazioni
scalari indipendenti: di cui 2zi equazioni di equilibrio a traslazioni e n relative a
equazioni di momenti. Nel sistema di equazioni (5.16) il vettore risultante delle
forze agenti sul generico j -esimo corpo R; comprenderà:
o
a
a
le forze esterne agenti sul solo corpo j;
le reazioni vincolati colrispondenti a vincoli che collegano il corpo a terra;
le componenti di reazione vincolare corrispondenti ai vincoli che collegano il
corpo j agli altri corpi del sistema;
Queste equazioni possono consentire di ricavare 3zi incognite che saranno in parte
costituite dalle reazioni vincolati, e che inoltre comprenderanno:
o
•
89
un numero di parametri cinematici incogniti (componenti di accelerazione li¬
neare o angolare dei corpi) pari al numero di gradi di libertà del sistema, nel caso
in cui si voglia risolvere un problema di dinamica diretta (cfr. Introduzione)',
un numero di componenti incognite di forze o coppie attive pari al numero di
gradi di libertà del sistema, nel caso in cui si voglia risolvere un problema di
cinetostatica.
Si osservi che una coppia di equazioni di equilibrio dinamico avente la forma
(5.16) può essere scritta anche per qualsiasi parte del sistema, formato da più
corpi uniti fra loro da vincoli oppure per l’intero sistema. In questo caso, le tre
equazioni scalari di equilibrio dinamico che si possono scrivere conterranno:
"s
Così come visto in statica con il principio dei lavori virtuali, anche nella dina¬
mica è possibile utilizzare un approccio energetico, ossia basato sulla scrittura
del lavoro delle diverse forze agenti sul sistema, per scrivere una o più equazioni
di moto del sistema. Si è visto nel paragrafo precedente che grazie al principio
di D’Alémbert, è possibile riportare il problema dinamico a un problema statico
equivalente, introducendo un opportuno sistema di forze e coppie di inerzia. È
perciò possibile applicare il PLV, includendo nell’espressione del lavoro virtuale i
termini relativi alle forze e coppie di inerzia.
Nel caso di vincoli fissi e lisci, questo metodo consente di ottenere tante equa¬
zioni quanti sono i gradi di libertà escludendo “automaticamente” dalle equazioni
le reazioni vincolari incognite. In particolare, nel caso in cui il sistema sia dota¬
to di un solo grado di libertà, si otterrà una singola equazione che consentirà di
risolvere il problema dinamico.
Per fare un esempio di questo procedimento ci riferiamo nuovamente al caso
del corpo rigido di piccolo spessore di Figura 5.4, già trattato nel Paragrafo 5.3.2
con il metodo degli equilibri dinamici. Nel caso in esame, data la presenza di
una cerniera a terra in O, lo spostamento virtuale del corpo sarà di tipo rotatorio,
descritto dalla rotazione virtuale 80 (assunta per convenzione positiva in senso
anli-orario) del coipo rigido. Applicando il PLV si ottiene;
Y,SLk
=M
x 80 + mg x 8sG + F x 8sP+
—Jù x 80 maG x 8sG = 0
—
”
90
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
Capitolo 5
91
5.4.1 Energia cinetica di un corpo rigido
in cui è:
<SsG =
<W=<5i?k
8sP=8» A(P - O)
a (G - O)
con k versore perpendicolare al piano contenente il corpo.
Svolgendo i prodotti indicati e raccogliendo a fattoi- comune la rotazione
Mediante i concetti introdotti nel Capitolo 4 di centro di massa e momento di iner¬
zia di massa, è possibile calcolare l’energia cinetica di un corpo rigido, nelle più
generali condizioni di moto rototraslatorio. Ricordando l’espressione, in forma
vettoriale, della velocità di un punto P di un corpo rigido in moto rototraslatorio,
e scegliendo come punto di riferimento il baricentro G del corpo:
virtuale Stì si ha:
Vp
(-JgÙ + M- mùOG2 - mg'OG sin fi + Fb^
=0
(5. 1 8)
M
— mcoOG~ — mgOG sin fi + Fb = 0
che risulta in questo caso coincidere con quella trovata in precedenza scrivendo
l’equilibrio dei momenti rispetto alla cerniera in O.
Se al posto degli spostamenti virtuali si sostituiscono, nel caso di vincoli
fissi e lisci, quelli effettivi, ossia eseguiti effettivamente dal corpo in un tempo
infinitesimo dr, che risultano quindi legati alle effettive velocità dei punti del corpo
c alla sua velocità angolare:
dii
= wdt
dsc = vGdt
dsp
Ec =
^lv(yG+b>A(~P
x Vc
Ec = -VG
2
= vPdt
NP
(5.22)
(VG + » A (P - G^pdV
(5.23)
/
Jv
pdV
y
(w a (P - G)pdv)
+ ^(«A^ (P-G)pdv) x Vc
+
vo + F x vP =0
che esprime l’annullamento complessivo delle potenze di tutte le forze e coppie
(comprese quelle di inerzia) agenti sul sistema. 11 principio illustrato da que¬
sta equazione è nolo come bilancio di potenze, e può essere sintetizzato, per un
sistema meccanico qualsiasi (per esempio composto da uno o più corpi rigidi),
dall’equazione:
£ IV + £ = 0
x
riordinando i termini si ha:
Da questa espressione si ottiene infine, dividendo per la quantità dt:
+ mg x
V2 = NP
avendo indicato che il quadrato del modulo del vettore velocità può essere riscritto
come prodotto scalare del vettore velocità per se stesso. Sviluppando la (5.23), e
vc + mg x vG + F x v,>) dt = 0
x « + M x w - maG x vG
x
~
+ 2Vg x
(-Jcà x w + M x « - maG x
con
e può essere espressa come:
si ottiene:
-JGù
lv V^pdV
Ec =
(5.19)
(5.21)
l’energia cinetica del corpo è definita come:
dovendo la (5. 1 8) valere per ogni 8&, si ottiene l’equazione pura:
— JGco +
= VG + m a (P - G)
(5.20)
che esprime l’annullamento complessivo della somma algebrica delle potenze di
tutte le forze e coppie agenti sul sistema, incluse quelle di inerzia. Nelle ap¬
plicazioni di dinamica, l’equazione di bilancio delle potenze può risultare di più
spontaneo utilizzo rispetto a quella dei lavori virtuali vista in precedenza, poiché
più direttamente collegata al moto dei corpi rigidi componenti il sistema.
^1
\E-GI2pdV
(5.24)
in cui si è tenuto conto che il vettore VG (velocità del baricentro) e la velocità
angolare w sono delle costanti rispetto all’integrale di volume esteso al corpo, e
inoltre della relazione:
[wa(P- G)) X (w a (P - G)} = (w|P - G|)'
Si osserva poi che il secondo e il terzo termine sono nulli, in quanto gli integrali
indicano il momento statico del corpo rispetto al baricentro c che l’integrale con¬
tenuto nell ultimo termine a destra dell’uguale è invece il momento di inerzia di
massa rispetto al baricentro, calcolato in un riferimento fisso con il corpo, avente
origine nel baricentro stesso. L’espressione finale è pertanto:
Ec =
x
Na + {-JcM
xa
(5.25)
92
Capitolo 5
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
in cui si distingue il contributo dovuto al moto traslatorio, corrispondente al primo
termine, e il contributo legato al moto rotatorio attorno al baricentro, espresso dal
secondo termine. È importante sottolineare che tale risultato, in cui l’energia
cinetica del corpo è scritta come somma di due soli termini, è valida solo se ci si
riferisce al baricentro del corpo stesso. Nel caso in cui ci si riferisca a un punto
differente, il secondo e il terzo termine della (5.24) sono differenti da zero.
La formula (5.25) è detta teorema di Kónig e consente di esprimere in maniera
semplice l’energia cinetica di un corpo rigido nel caso più generale di moto roto-
e quindi:
x .
(5.26)
avendo indicato con Jq il momento di inerzia di massa rispetto all’asse perpendi¬
colare al piano e passante per il polo O:
(5.27)
1,1,1
Ec = -Mv£ + 2JgW = ^yG *Ng +
1
X W
derivando tale espressione rispetto al tempo si ottiene:
1
AEC
x
“dT -MaG xvc + -MvG ac +
1
1,
.
xw
1 ,
.
xw
da cui, sfruttando la proprietà commutativa del prodotto scalare:
— = MaG x
E
vG + Jg^ x w
dt
confrontando l’espressione ottenuta con quella del bilancio di potenze scritto in
precedenza si ottiene:
Win
dEc
"dT
<52S>
5.5 Cinetostatica e dinamica dei sistemi meccanici
5.4.2 Teorema dell'energia cinetica
Ritornando all’equazione di bilancio delle potenze (5.20), osserviamo che il ter¬
mine relativo alle potenze di inerzia può anche essere scritto in termini di derivata
rispetto al tempo dell’energia cinetica del corpo. Infatti, considerando per esem¬
pio un sistema formato da un solo corpo rigido, si può scrivere l’energia cinetica
del corpo rigido (utilizzando il teorema di Konig) come:
dEc
Si può quindi affermare che (in presenza di vincoli fissi e lisci) la somma delle po¬
tenze di tutte le forze attive uguaglia la derivata dell’energia cinetica del sistema,
noto come teorema dell'energia cinetica.
La validità di questa equazione non è limitata a un singolo corpo rigido,
ma vale per qualunque sistema di corpi, e si presta a un’importante interpre¬
tazione fisica: durante il moto del sistema, negli istanti in cui la somma del¬
le potenze delle forze attive risulta positiva l’energia cinetica del sistema vie¬
ne incrementata, mentre, al contrario, quando tale somma risulta negativa il si¬
stema riduce la propria energia cinetica. In questi termini, le inerzie presen¬
ti nel sistema (masse e momenti di inerzia) possono essere visti come “serba¬
toi di energia” che nelle fasi di accelerazione immagazzinano l’energia prodotta
nel sistema in eccesso rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze, men¬
tre nelle fasi di decelerazione restituiscono l’energia immagazzinata per suppli¬
re a una carenza di potenza motrice rispetto a quella necessaria per vincere le
resistenze.
traslatorio.
Se il moto è solo traslatorio, allora l’energia cinetica è espressa come il primo
termine della (5.25), in cui a Ve si può sostituire la velocità di qualsiasi punto.
Se il moto è rotatorio intorno al baricentro, l’energia cinetica è espressa dal
solo secondo termine della (5.25), mentre infine se il moto è semplicemente ro¬
tatorio, attorno a un punto O diverso dal baricentro, con passaggi analoghi ai
precedenti, si ottiene:
E^-Jo^
93
5'
Alla luce dei concetti introdotti in questo capitolo, è opportuno ritornare sulla defi¬
nizione di analisi cinetostatica e dinamica fornita nell’introduzione. Si ricorda che
per analisi cinetostatica si intende il calcolo della forza necessaria per mantenere
una condizione di moto assegnata, mentre l’analisi dinamica consiste nel deter¬
minare il moto del sistema, a partire da forze assegnate. Entrambe queste analisi
devono tenere in conto il contributo delle forze e coppie di inerzia, che dipendono
dalle accelerazioni del sistema: nella cinetostatica le forze di inerzia sono note,
in quanto possono essere calcolate in funzione del moto assegnato per il sistema,
ne consegue che l’equazione risolvente della cinetostatica sarà un’equazione or¬
dinaria (non differenziale) che consente di determinare la forza motrice incognita.
Nella dinamica, invece, il moto del sistema non è noto a priori, per cui le forze di
inerzia dipendono dalla coordinata scelta per rappresentare il moto del sistema e
dalle sue derivate prima e seconda rispetto al tempo. Di conseguenza l’equazione
risolutiva di un problema dinamico assume la forma di equazione differenziale del
secondo ordine (o di sistema di equazioni differenziali, nel caso di sistemi a più
gradi di libertà).
Più in dettaglio, lo schema risolutivo di un problema cinetostatico (per un
sistema a un grado di libertà) è il seguente:
o
noto l’andamento nel tempo di una coordinata del sistema, o in alternativa il
valore istantaneo di tale coordinata e delle sue derivate prima e seconda, si
calcolano tutte le quantità cinematiche che servono per definire le forze e coppie
di inerzia e per la scrittura del bilancio di potenze;
1(1/
94
o
o
Capitolo 5
I
S
(
(
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
95
mediante il bilancio di potenze, si ricava l’azione motrice incognita (forza o
coppia);
si calcolano eventuali reazioni vincolati o azioni interne di interesse mediante
opportune equazioni di equilibrio dinamico.
Lo schema risolutivo di un problema dinamico è invece il seguente:
si sceglie innanzitutto una coordinata libera, in funzione della quale descrivere
il moto del sistema;
o si esprimono i legami cinematici tra la coordinata scelta e le sue derivate e le
quantità cinematiche che definiscono le forze e coppie di inerzia, nonché le
velocità dei punti di applicazione di tutte le forzanti;
o mediante il bilancio di potenze, si ottiene l’equazione differenziale di moto che
rappresenta la relazione tra le forze agenti e il movimento del sistema;
o l’equazione di moto può essere integrata, a partire da assegnate condizioni
iniziali, analiticamente o per via numerica, a seconda dei casi;
e ottenuta la soluzione, ossia il moto del sistema, se richiesto è possibile calcolare
il valore di reazioni vincolali o azioni interne di interesse mediante equazioni
di equilibrio dinamico.
»
Come si può osservare, la risoluzione di un problema dinamico risulta in genere
più difficoltosa rispetto a un problema di cinetostatica, soprattutto nel caso in cui
i legami cinematici tra la coordinata libera e le grandezze cinematiche di interesse
siano di tipo non lineare. In questo caso infatti l’equazione di moto assume una
forma non lineare che non consente l’integrazione analitica. Nel seguito si forni¬
scono alcuni esempi di analisi cinetostatica di sistemi articolati, mentre l’analisi
dinamica sarà affrontata nei Capitoli 7 e 8.
5.5.1 Analisi cinetostatica di un motore a combustione interna
Quale primo esempio della scrittura delle equazioni dinamiche di un sistema com¬
posto da più corpi rigidi, si consideri un motore monocilindrico a combustione
interna. Un motore monocilindrico è costituito da un albero motore che porta una
manovella di lunghezza a, un corsoio, o pistone, che si impegna nel cilindro, e
una biella di lunghezza b che collega l’estremità della manovella al corsoio. Al¬
l’interno della camera di dimensioni variabili formata dal cilindro e dal pistone,
si ha un andamento variabile della pressione pg, determinato dall’alternarsi delle
fasi di funzionamento del motore, nel caso di un motore a 4 tempi: aspirazione,
compressione, combustione, espulsione dei gas esausti. Un andamento realistico
della pressione pg relativa a quella atmosferica in funzione della rotazione della
manovella a è rappresentato nella Figura 5.5. Sul pistone agisce pertanto la forza
Fg che rappresenta la risultante delle pressioni agenti sullo stantuffo:
Figura 5.5 Andamento della pressione nel cilindro in funzione della rotazione della
manovella.
In questo paragrafo si supporrà poi che sull’albero motore (ossia sulla manovella)
agisca un momento Mr di valore incognito opposto alla velocità angolare dell’al¬
bero. Tale momento potrebbe rappresentare reffetto di un utilizzatore che applichi
alla macchina un momento resistente non noto. Si vuole ora risolvere il proble¬
ma cinetostatico ovvero, assegnato il moto del sistema in termini di posizione
angolare a e di sue derivate prima e seconda, determinare il valore del momento
resistente Mr che corrisponde alle condizioni cinematiche note.
Per quanto riguarda le inerzie del sistema, si supporrà che sull’albero motore
sia calettato un volano con momento di inerzia Jm, e che nel corsoio sia concen¬
trata una massa mu, considerando trascurabile l’inerzia associata alla biella (si
veda il Paragrafo 8.1 per la trattazione delle inerzie della biella).
Il sistema è quindi costituito da tre corpi rigidi ed è pertanto possibile scrivere
liquazioni di equilibrio per i tre corpi rigidi, che costituiscono complessivamente
nove equazioni nelle nove incognite rappresentate dal momento Mr e dalle otto
componenti di reazione vincolare complessivamente introdotte dalle cerniere in
O, A e B e dal pattino agente sul corsoio. Le azioni e reazioni suddette sono
poste in evidenza nello schema di Figura 5.7.
D2
Fg(a) = ir— pg(a)
essendo D il diametro del pistone.
Figura 5.6 Schema cinematico del manovellismo ordinario centrato.
96
Capitolo 5
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
97
Dal sistema d’equazioni si ottengono i seguenti risultati:
$Ax = $Bx
—
Fg mBc
= (Fg 4- mBc) tan^
M{
t
Figura 5.7 Schema delle forze attive e reattive agenti sui singoli corpi rigidi costi¬
tuenti il sistema.
Er-:
La scelta di quale insieme di corpi rigidi prendere in considerazione nella scrit¬
tura delle equazioni di equilibrio dipende dalle grandezze da determinare. Se per
esempio si dovessero calcolare tutte le reazioni vincolati indicale nella figura si
potranno scrivere, considerando un solo corpo alla volta, tre equazioni di equili¬
brio dinamico rispettivamente per corsoio, biella e manovella, ottenendo il sistema
di equazioni riportato di seguito.
•Corsoio
E F*
E ^y
—
E^(*B) = 0
®
Fg 4- inB'c SBx
^B + $By = 0
=0
(5.29)
(mb = o
Biella
$Bx + $Ax = 0
$By + S^y = 0
SaxI sin <p 4- S^yl cos <p = 0
BSr-
=0
E^ = 0
VV,
E^o
bustione e al momento resistente, è pari a:
W
r
E
g
= -F^c - Mrà
in cui il segno negativo è dovuto al fatto che, per ciascuno dei due termini, la
forza (o coppia) applicala al sistema è discorde, secondo le convenzioni adottate,
rispetto alla velocità del suo punto di applicazione. Il bilancio di potenza risulta
pertanto:
— —
—F^c Mrà
mBcc
— Jmaà =
0
da cui:
—
Mrà = (Fg 4- ni bc^c
—
Jmaà
(5.33)
Ricordando quanto ottenuto dall’analisi cinematica del meccanismo (si veda il
Capitolo 3):
—
(5.31)
— —
Jma oSax sin a 4- aSAy cos a = 0
11 sistema costituito dalle 9 equazioni scalari (5.29), (5.30) e (5.31) si presenta
determinato nelle 9 incognite: SOx, SOy, SAx, SAy, SBx, SBy, MB, ^>B e natural¬
mente Mr.
Nella scrittura adottata l’asterisco indica che la somma è estesa a compren¬
dere anche il sistema delle forze d’inerzia del corpo considerato.
<:<(><,(
— Jmaà
= —mBcc
l$H
(5.30)
Sox + $Ax 0
$Oy + $Ay = 0
-Mt
(Fg
La potenza dovuta alle forze attive, associate alla pressione nella camera di com¬
Manovella
E F*
4-
Nel caso in cui fosse da calcolare la sola coppia Mr il procedimento più semplice
si basa invece sul bilancio di potenza scritto per l’intero meccanismo perché, per
l’ipotesi fatta di assenza di attrito, le reazioni vincolati esprimono potenza nulla.
Facendo riferimento alla Figura 5.6, che mostra le forze agenti sul manovellismo,
è così possibile scrivere l’equazione di bilancio di potenze della macchina.
La potenza delle azioni d’inerzia è data dalla somma del contributo associato
alla massa mB e al momento d’inerzia della manovella Jm:
y
Ef; = o
e^; = o
E^’fi) = o
o
—
0
0
— -Jma
(5.32)
4- mBc) a (sina 4- cosa tan </>)
(
'
(
fc
c = —àa (sin a
—
cos a tan /1)
(5.34)
sostituendo nell’equazione (5.33) e dividendo per il fattore comune à, si ottiene:
Mr = (Fg 4- mBc)a (sin a
— cos a tan fi) — Jma
che risulta identica alla (5.32), osservando che tan <p =
—
tan
p.
(5.35)
(
98
Capitolo 5
(
5.5.2 Cinetostatica del glifo oscillante
<
I
(
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
99
5.6 Esercizi
Si consideri ora il meccanismo a glifo oscillante di Figura 5.8, utilizzato per azio¬
nare una slitta portautensile. Sull’albero motore (ossia sulla manovella O\ A) agi¬
sce un momento M„, incognito equiverso alla velocità angolare dell’albero. Sul¬
la slitta C di massa me è applicata una forza F che rappresenta l’effetto di un
utilizzatore.
Per semplicità si considerano trascurabili tutte le inerzie del sistema, a ecce¬
zione della massa me della slitta C. La cinematica di questo sistema è già stata
risolta nell’Esercizio 3 del Capitolo 3, al quale si rimanda, e pertanto si consi¬
dereranno nel seguito note tutte le grandezze cinematiche di interesse (velocità
e accelerazioni). Nel caso in esame, la potenza delle forze d’inerzia è data dal
prodotto:
Wi = -meff
I
(
(
S/
(5.36)
Gli esercizi proposti in questo capitolo affrontano complessivamente la cinetosta¬
tica di sistemi articolati. Come tali, contengono sia una parte di cinematica, che
si riferisce agli argomenti trattati nel Capitolo 3, sia l’impostazione del bilancio
di potenze e del calcolo delle reazioni vincolari, che è invece specifica di questo
ir..
sse"
capitolo.
Esercizio 1: un sistema articolato Del sistema articolato nella Figura 5.9, po¬
sto in un piano orizzontale, sono note: la lunghezza dell’asta AB = 0.5 m, la
IO rad/s e l’accelerazione
posizione angolare a
j, la velocità angolare à
100 rad/s2 della manovella, la massa del corsoio mc = 10 kg di
angolare a
semialtezza d = 0.1 m e la forza applicata F 1000 N.
Si determinino:
=
—
=
=
1. la posizione AO nell’istante considerato del manicotto A rispetto alla cernie¬
ra O, la posizione angolare /3 dell’asta AB e c posizione del baricentro del
corsoio;
2. la velocità di sfilo del pattino AO, la velocità angolare fi dell’asta AB e c
velocità del baricentro del corsoio;
3. le accelerazioni corrispondenti;
4. la coppia motrice Mm necessaria alla realizzazione del moto;
5. le reazioni interne in A;
6. le reazioni vincolari in O.
Figura 5.8 Glifo oscillante.
Figura 5.9 II sistema articolato.
II bilancio di potenza risulta pertanto il seguente:
Mmà -Ff
- meff = 0
(5.37)
nell’unica incognita M,„, dove i segni, come in precedenza, sono definiti dai versi
delle forze e coppie assumendo tutte le grandezze cinematiche come positive.
Risoluzione Punto 1: per calcolare le quantità cinematiche richieste dalle do¬
mande 1, 2 e 3 è necessario passare attraverso l’equazione di chiusura che risulta
essere:
(B - A) + (A - O)
= (B - D) + (D - O)
Capitolo 5
100
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
101
separando la parte reale da quella immaginaria, si ottiene un sistema di due equa¬
zioni nelle due incognite à e c:
à cos a
da cui à
aeja + be^
= ce^ + de^5
dividendo la parte reale da quella immaginaria e tenendo conto delle seguenti
equazioni dovute ai vincoli:
y
=0
posizione angolare costante del telaio;
àeja + j2ààeJa 4- jàaeJa
a cos a
—
2àà sin a
=c
—
da sin a
— à2 —
cos a
3rr
T
ab sin
3rr
T
=c
— ., .
a~2 sin a + ab cos
/ 3rr
\ 2
\
F a ] 4/
= —86.25 m/s2 e c = —177.6 m/s2.
Punto 4: per calcolare la coppia motrice necessaria al moto si utilizza il bilancio
di potenze, da cui risulta essere:
+ a) = d
Mm à
Punto 2: per calcolare la velocità del corsoio e le velocità angolari delle aste è
necessario derivare sia l’equazione di chiusura sia le equazioni di vincolo; queste
ultime indicano che le velocità angolari di telaio y e corsoio <5 sono nulle e che il
pattino, impedendo la rotazione relativa, forza le due aste ad avere la medesima
velocità angolare, cioè che p à.
La derivata rispetto al tempo dell’equazione di chiusura, con le sostituzioni
indicate, risulta essere:
=
jàae^a 4-
—
jiibej^+°^ à^c^^ = c
—à2b sin
da cui risulta che d
= 0.40 m e c = 0.63 m.
4-
4“ +
_ . . ..
a 4- 2aa cos a 4- aa cos a
si ottiene il seguente sistema di due equazioni nelle due incognite ri modulo del
vettore AO e c modulo del vettore OD:
da cui risulta a
— à2ae
— à2bcos
a sin
a sin a + b sin (
=0
Punto 3: per il calcolo delle accelerazioni è necessario eseguire un’ulteriore de¬
rivata; tenendo conto delle relazioni imposte dai vincoli, in termini di posizione,
velocità e accelerazione (P = a), si ottiene:
4- a il pattino vincola la rotazione relativa tra le aste;
a cosa +bcos (y- + a)
\
3rr
anche in questo caso si ha un sistema di equazioni, parte reale e immaginaria dei
numeri complessi che rappresentano i vettori, nelle due incognite a e c:
impedendone le rotazioni;
—
— +aj
c
= 7.3 m/s e c = 2.63 m/s.
il corsoio è vincolato da un manicotto bilatero al telaio
P=
—
3^
— bà sin T+"
aà sin a
à sin a 4- aà cos a + bà cos
Figura 5.10 L'equazione di chiusura del sistema articolato di Figura 5.9.
che può essere riscritta utilizzando la tecnica dei numeri complessi:
—
jàbe2^^ = c
—
Fc
— mc
c c = 0. => Mm
Punto 5: per calcolare le azioni interne che si scambiano le due aste attraverso
il pattino si considera il sottosistema composto da corsoio e asta AB. Nello sche¬
ma di Figura 5.1 1 sono indicate le forze che agiscono sul sottosistema preso in
considerazione.
L’equazione di equilibrio alla rotazione sul solo corsoio, rispetto al suo bari¬
centro B, indica che:
Mb =0
i
= 730.2 Nin
102
Capitolo 5
Figura 5.11 Determinazioni delle azioni interne nel corsoio.
in quanto tutte le forze agenti sul corsoio (forza F, azione d’inerzia, reazione
vincolare Vb, e le azioni interne che si scambiano nella cerniera B tra corsoio e
biella AB) hanno braccio nullo rispetto al polo B scelto. Considerando tutto il
sottosistema in esame, si possono scrivere gli equilibri dinamici alla traslazione
secondo la direzione parallela e quella perpendicolare all’asta AB e l’equilibrio
alla rotazione intorno al punto B.
— oj + mcc +
SF, = 0
Va cos
SFy = 0
V„ - VA sin
F
=0
- a) = 0
EFx=0
Ho - VA cos
- a) = 0 => Ho = -2506.7 N
EF,. = 0
Vo +
- a) = 0 => Vo = 1447.5 N
1. la velocità del punto A;
2. l’accelerazione del punto A;
= 0.2 in, AC = 0.2 m, AB = 0.6 in, nic = 10 kg, F =
—
(A-O)= aeju
Derivando la precedente espressione, si ottiene la velocità:
Va
= jàaeja = aàe^a+^^ = 2e-'’)r m/s
Binilo 2: derivando ulteriormente si ottiene l’accelerazione del punto A e ricor¬
dando che a = 0 si ha:
Esercizio 2: un manovellismo ordinario centrato Nei sistema articolato rap¬
presentato nella Figura 5.12, che si muove nel piano verticale, il solo corsoio è
dotato di massa. Considerando costante la velocità angolare à della manovella,
10 rad/s e a 0 rad/s12)
si vuole calcolare per la configurazione (a
j, à
mostrata in figura:
=
la velocità del punto B (baricentro del corsoio);
l’accelerazione del punto B;
la coppia motrice Mm da applicare alla manovella per mantenere il movimento;
la reazione vincolare tra biella e corsoio in F;
le componenti di reazione vincolare a terra in O.
Risoluzione Binilo 1: il vettore (A O), manovella del sistema articolato, è
rappresentato dal numero complesso di modulo a e anomalia a:
Binilo 6: per il calcolo delle reazioni vincolati in O si considera il sottosistema
costituito dalla sola asta OA, su di esso agiscono le reazioni vincolati in O e
l’azione VA, trasmessa dall’asta AB. Scrivendo le equazioni di equilibrio alla
traslazione verticale e orizzontale si ottiene:
=
3.
4.
5.
6.
7.
essendo noti OA
1000 N.
= 0 MA = 0
da cui risulta che Vb = —1447.25 N e che VA = —2894.5 N.
sin
Figura 5.12 II manovellismo ordinario.
=
aA
= jiìaeJa + (ià)2aeJU = 0 + aà2^^^ = 20 e'*’" m/s2
Binilo 3: per calcolare la velocità del baricentro del corsoio è necessario scrivere
l’equazione di chiusura:
(A - O) + (B - A)
= (B - O)
104
Capitolo 5
Statica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi
105
Riscrivendo l’equazione di chiusura in termini di numeri complessi e separando
la palle reale e la parte immaginaria si ha che:
aeja + be^
a cos a + b cos p = c
asina 4- b sin /1 =0
= c =>
Dalla seconda equazione del sistema si ottiene che: fi = arcsin (— 2^12) da cui
P 6.045 rad.
Derivando l’equazione di chiusura si ottiene la velocità del baricentro del
corsoio:
=
—
—
Figura 5.13 II corsoio del manovellismo ordinario di Figura 5.12.
aà sin a bp sin p c
aà cos a 4- bp cos p = 0
jàae2a 4- jPbe^ = c
=
K
Dalla seconda equazione si ottiene il valore di p pari a —2.425 rad/s che sostituito
nella prima equazione permette di calcolare c, pari a —1.757 m/s.
Punto 4: per calcolare l’accelerazione del punto B, baricentro del corsoio, è neces¬
sario effettuare una nuova operazione di derivazione dell’equazione di chiusura:
jàae2a
— à2ae2“ + ifibe^ — p2bej^ =
Punto 7: per calcolare le reazioni vincolal i a terra in O risulta comodo considerare
la sola manovella, nella Figura 5.14 sono evidenziate le forze che agiscono su di
essa.
Scrivendo l’equilibrio alla traslazione orizzontale e verticale si ottiene un
sistema di due equazioni nelle due incognite Ho e Vo:
Ho + F + Nn cos (2zr
Vq
—
P)
— Nb sin (2n - P) = 0
=0
Ho = -1142N
Vo = 36 N
c
Da cui si ottiene, ricordando che l’accelerazione angolare della manovella è nulla:
—
—
—
aà2 cos a bp sin fi bp2 cos p = c
—aà2 sin a 4- b/i cos P bp sin p = 0
—
che permettono di determinare l’accelerazione angolare della biella p =22.82 rad/s2
e l’accelerazione del baricentro del corsoio c —14.34
=
<-W
m/s2.
Punto 5: per calcolare la coppia motrice, necessaria a questa condizione dinamica
di moto, si utilizza il bilancio di potenze, tenendo conto della forza esterna F,
della coppia motrice Mm e della forza d’inerzia che agisce sul corsoio:
—
——
ir
Mm à 4- F OCà cos f\4 + 2/ì mecc = 0
•
•
La coppia necessaria è quindi pari a 308 Nm
Punto 6: l’asta AB è una biella scarica priva di massa e quindi trasmette forza
solo lungo il suo asse: la Figura 5.13 riporta le forze che agiscono sul corsoio.
Scrivendo l’equilibrio alla traslazione orizzontale del corsoio, si ottiene un’e¬
quazione nell’unità incognita NB:
NB cos (2tt ~P) = mc|c| =*NB = 141.5 N
Figura 5.14 la manovella del manovellismo ordinario di Figura 5.12.
Azioni mutue tra elementi di macchine
s
6.1 Introduzione
I
In ogni macchina si possono individuare movimenti relativi tra gli elementi che la
compongono e tra la macchina stessa (o parti di essa) e l’ambiente circostante. Nel
comportamento dinamico delle macchine assumono quindi grande importanza:
le azioni di contatto scambiate tra solidi e gli effetti che ne derivano, come per
esempio l’usura delle superfìci;
• le forze scambiate nell’interazione fra solidi e fluidi.
o
6.2 II contatto tra solidi
I due principali fenomeni legati al contatto tra solidi sono l’attrito e l’usura, li
primo si manifesta come resistenza o impedimento al movimento relativo tra le
parti a contatto, e costituisce uno svantaggio quando causa perdita di potenza
tra i componenti che devono essere mantenuti in movimento (attrito nei suppor¬
ti, nelle tenute, nei vincoli generali), in altri casi diventa un fattore essenziale
al funzionamento delle macchine (aderenza nel caso del contatto ruota-rotaia e
pneumatico-strada, organi quali i freni e le frizioni, giunzioni forzate e bullonate).
L’usura si manifesta invece come una perdita progressiva di materia dalle
superfìci di un corpo, come risultato del moto relativo rispetto a un altro corpo.
L’usura può essere un fattore utile (per esempio nel caso di lavorazioni tecno¬
logiche di finitura) o, come accade in generale, causare un progressivo degrado
dell’accoppiamento tra le parti a contatto.
Dal punto di vista cinematico, nel contatto tra solidi possiamo distinguere
contatti di rotolamento, strisciamento e urto. Facendo riferimento all’esempio di
Figura 6.1 si osserva come nel caso di rotolamento il moto relativo tra i due corpi
nel punto di contatto è nullo, nel secondo caso (strisciamento) è invece presente
una componente di velocità relativa lungo la tangente comune al contatto ira i due
corpi, mentre nell’ultimo caso, l’urto, è presente anche una componente normale
non nulla della velocità relativa.
i
108
Azioni mutue tra elementi di macchine
Capitolo 6
109
6.2.1 Attrito nei solidi a contatto
E
p;,
Figura 6.1 Suddivisione dei contatti dal punto di vista cinematico: a) rotolamento,
b) strisciamento, c) urto.
Per quanto riguarda il contatto tra corpi, è anche possibile una classificazione dal
punto di vista geometrico, distinguendo contatti puntiformi, lineari e superficiali,
a seconda che l’ente geometrico in comune tra i solidi a contatto sia, nell’ipo¬
tesi iniziale di corpi indeformabili, un punto (per esempio una sfera a contatto
su un piano), una linea (un cilindro a sezione circolare su un piano), o un’intera
superficie (una faccia di un prisma su un piano).
Si anticipa fin da ora che la trattazione di queste situazioni, considerando an¬
cora i corpi come rigidi, può essere fatta solo in modo approssimato. La validità
dei risultati ottenuti per tale via è il più delle volte sufficiente agli scopi nell’am¬
bito ingegneristico, per ottenere però informazioni più dettagliate sulla zona di
contatto e sui fenomeni che vi avvengono, è necessario ricorrere a modelli più
complessi.
Nella realtà i corpi sono deformabili, e anche nei primi due casi della Fi¬
gura 6.2 il contatto avviene secondo una superficie (impronta di contatto), la cui
forma e dimensione dipende dalla geometria delle superfici, dalle caratteristiche
elastiche dei corpi e dalle azioni applicate su di essi.
Ì'
fc
•
Si definisce attrito la resistenza al moto che si manifesta quando un corpo striscia
su un altro. Tale azione di resistenza agisce secondo una direzione opposta a
quella del moto relativo, ed è indicata come forza di attrito. La forza di attrito
necessaria a iniziare un moto di strisciamento a partire da uno stato Ji quiete
e detta forza di attrito statico, mentre quella necessaria a mantenere il moto di
strisciamento tra due corpi già in moto relativo è detta forza di attrito dinamico
(o radente). La forza di attrito dinamico è in generale inferiore a quella di attrito
statico.
Per giustificare la nascita delle forze di attrito statico e dinamico, è possibile
utilizzare un modello microscopico del contatto: come noto, le superfici dei cor¬
pi reali presentano, con livelli più o meno accentuati, delle rugosità superficiali,
anche se all’apparenza possono sembrare perfettamente lisce. Quando due solidi
sono premuti uno contro l’altro (Figura 6.3), i contatti avvengono in realtà solo
in corrispondenza dei picclii delle superfici irregolari: in tali zone si creano delle
adesioni a livello molecolare (micro-saldature).
Consideriamo il semplice esempio di Figura 6.3; sia F una forza applicata
con modulo crescente nel tempo. Dapprima il corpo rimane in stalo di quiete,
in quanto le micro-saldature impediscono lo scorrimento. A livello macroscopi¬
co, tale effetto si manifesta come una reazione tangenziale T, parallela al piano
del contatto. Finché la forza F ha modulo sufficientemente piccolo, la reazione
sviluppata dall’attrito equilibra la forza esterna agente, mantenendo il corpo in
equilibrio. Al crescere dell’intensità della forza F, si raggiunge una situazione in
cui le micro-saldature presenti tra i due corpi si rompono, e inizia lo scorrimen¬
to relativo tra i due corpi. Il comportamento sopra descritto può essere riassunto
nelle leggi dette “di Coulomb” sull’attrito statico e sull’attrito dinamico.
Figura 6.3 Contatto tra solidi in presenza di attrito: a) forze agenti, b) componenti
di reazione vincolare.
6.2.2 Attrito statico (condizione di aderenza)
Figura 6.2 Suddivisione dei contatti dal punto di vista geometrico: a) contatto pun¬
tiforme, b) contatto lineare, c) contatto superficiale. Indicazione qualitativa della
superficie di contatto se si tiene conto della deformabilità dei corpi.
Nella soluzioni di problemi in presenza di attrito statico, le componenti normale e
tangenziale delle reazioni vincolati, rispettivamente N e T, vengono determinate
dalle condizioni di equilibrio e sottoposte alla verifica:
ITI
<
7iim = /S|N|
(6.1)
110
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
111
Se la (6.1) è soddisfatta, allora le due superfici a contatto non strisciano tra loro.
L’espressione mostra inoltre che la forza di attrito non dipende dall’estensione
delle superfici a contatto. Il coefficiente adimensionale fi viene detto coefficiente
di attrito statico, ed c indipendente dalla superficie nominale di contatto c dal
carico applicato: è solo funzione della coppia di materiali a contatto.
della forza F non comporta un incremento della reazione tangenziale del vincolo
limitata superiormente dal valore 7ìim, ma provoca il moto del sistema. In queste
condizioni, la componente tangenziale della reazione vincolare vale in modulo:
Applicazione: aderenza su un piano inclinato Nella Figura 6.4 abbiamo un
corpo di massa M a contatto con una guida inclinata di un angolo regolabile a.
Scrivendo le equazioni di equilibrio statico, si ottiene:
mentre la direzione della forza T è sempre orientala in modo da opporsi al moto
di strisciamento che l’ha generata. Come si può osservare, una variazione del
verso della reazione normale N non comporta una variazione di verso dell’azione
tangente di attrito T. Il parametro adimensionale fi prende il nome di coefficiente
di attrito dinamico o radente, e dipende solo dalle caratteristiche delle superfici a
contatto. Valori indicativi dei coefficienti di attrito nel caso di una accoppiamento
tra acciaio e acciaio sono fi = 0.30 4- 0.8 e fi = 0.15 -r 0.6 che si riducono nel
caso tra acciaio e teflon a fi = 0.30 4- 0.6, fi = 0. 10 4- 0.2.
—
=
f-Mgcosa + N
|T
—
Mg sin a
0
0
da cui
(Al
ITI = /d|N|
(6.6)
= Mg cosa
= Mg sina
La condizione di equilibrio statico è garantita se è verificata la seguente disegua¬
glianza:
Mg sin a < fiMg cosa
(6.4)
Figura 6.5 Scorrimento in discesa su un piano inclinato.
ovvero
tan a < fi
(6.5)
Applicazione: strisciamento su un piano inclinato in presenza di attrito Con
riferimento al sistema di Figura 6.4, se si ipotizza che il corpo si stia muovendo
verso il basso con velocità V c accelerazione a, le equazioni di equilibrio dinamico
risultano:
— — Ma — 0
Mg sina T
N Mg cos a
—
Figura 6.4 Aderenza su piano inclinato
6.2.3 Attrito dinamico
Se invece l’Espressione (6.1) non è più soddisfatta, ossia la reazione tangente ri¬
chiesta è maggiore di quella massima sviluppabile dall’attrito nel vincolo, in base
al coefficiente di attrito fi, allora si ha l’innesco del moto relativo di strisciamento.
Si passa quindi dalla condizione di aderenza (attrito statico) a quella di striscia¬
mento (attrito dinamico). In questa condizione un ulteriore incremento di intensità
=0
avendo indicato con a l’accelerazione del corpo. A tali equazioni viene messa a
sistema anche la relazione (6.6), permettendo così di ricavare il valore dell’acce¬
lerazione:
a
Mg sina - fiMg cosa
=—
lo.a)
che risulta minore rispetto al caso in cui l’attrito è assente. Dal punto di vista
energetico, l’attrito radente è quindi interpretato come una perdila di potenza.
La potenza persa a causa dell’attrito radente vale:
lVd
= T x v = -Tu = -fiNv
(6.9)
112
1
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
6.2.4 Contatto di rotolamento
6.2.5 Resistenza al rotolamento (attrito volvente)
Il più semplice modello del contatto tra una ruota e il vincolo sul quale questa
rotola fa ancora riferimento al modello coulombiano. In tale approccio la ruota
e il vincolo sono modellati come rigidi, e pertanto si assume che essi vengano a
contatto su un segmento la cui traccia nel piano è un singolo punto. Si ipotizza
poi che in tale punto non avvenga strisciamento tra i due corpi se si verifica la
Con il termine resistenza al rotolamento, o spesso con il termine improprio di
attrito volvente, si definisce la resistenza incontrata da un corpo che rotola senza
strisciare macroscopicamente sulla superficie di un albo corpo. L’esperienza in¬
dica che, per esempio, per mantenere una ruota in moto a velocità costante^anche
in assenza di resistenze di altra natura, è necessario applicare delle azioni motrici,
realizzate tramite coppie applicate alle ruote o forze al centro ruota. In varie ap¬
plicazioni in campo ingegneristico, la potenza dissipata associata a questa forma
di resistenza non può essere trascurata. Si darà qui una spiegazione qualitativa del
fenomeno, che in realtà è molto complesso, indicando la procedura per includere
effetti legati alla deformabilità dei corpi negli schemi di calcolo che utilizzano i
corpi rigidi.
Abbandonando momentaneamente l’ipotesi di corpo rigido, si consideri un
disco premuto contro una superficie piana. Si assuma che la deformabilità del
disco sia molto maggiore di quella della superficie, che considereremo ancora
rigida. Non vi sarà più una linea di contatto, la cui traccia nel piano del moto è il
punto di contatto, ma una superficie di forma rettangolare. La distribuzione delle
pressioni nell’area di contatto risulta, in base alla teoria di Hertz [5], una parabola
con il massimo in corrispondenza della mezzeria dell’impronta (Figura 6.7).
Si consideri un punto della superficie del disco, durante il movimento della
ruota, esso occuperà le successive posizioni Pit P2,
, P5 di Figura 6.8a, e sarà
soggetto a deformazioni di compressioni e crescente dal bordo di attacco (P1-P3)
fino alla mezzeria dell’impronta e decrescenti con la stessa modalità dal centro al
bordo di uscita (P3-P5).
Considerando un materiale perfettamente elastico, per il quale vale la legge
di Hooke di proporzionalità tra pressione p e deformazione e, il ramo della curva
relazione di Coulomb:
|T| < |N|/S
(6.10)
in cui T e N sono i moduli delle componenti rispettivamente normale e tangen¬
ziale della forza di contatto, e fs è il coefficiente di attrito statico tra i due corpi.
Tali componenti devono essere valutate dalle equazioni di equilibrio dinamico del
corpo. In questo caso il punto di contatto è anche centro di istantanea rotazione,
in quanto il vincolo è dotato di velocità nulla.
...
Figura 6.6 Contatto di rotolamento.
In questa ipotesi, la velocità V del centro ruota è espressa dalla relazione:
vG
= w A (G - P')
che corrisponde al vincolo di puro rotolamento. Se invece la (6.10) non è ve¬
rificata, ossia l’azione tangenziale supera il limite di aderenza, il legame tra la
velocità del baricentro vG e la velocità angolare della ruota a> non vale più e nasce
una velocità di strisciamento tra i due corpi; la forza tangenziale è definita ancora
dalla:
|T| = /d|N|
(6.11)
; Distribuzione delle pressioni
in cui fi è il coefficiente di attrito dinamico, o radente e il verso della com¬
ponente tangenziale della reazione vincolare è sempre opposto alla velocità di
p
strisciamento.
i
113
(;(.■(
j
(
:
i
(
c : c
»
' al contatto
Figura 6.7 Area di contatto e distribuzione delle pressioni in quiete.
c
114
Azioni mutue tra elementi di macchine
Capitolo 6
a)
b)
c)
Figura 6.8 Ciclo di carico con materiale elastico e isteretico: a) posizioni all'inter¬
no dell'impronta di contatto, b) materiale perfettamente elastico, c) materiale con
isteresi.
—
115
p e nella fase di carico (1-3) si ricopre con quella di scarico (3-5) (Figura 6.8b).
Se si considera invece un materiale anelastico, nel quale il valore di p dipende dal
senso di percorrenza della curva p-e, si ha un materiale che presenta un ciclo di
isteresi. L’area racchiusa dal ciclo rappresenta l’energia per unità di volume dissi¬
pata in un ciclo di carico-scarico. Esso può essere interpretato come la differenza
tra l’energia per unità di volume accumulata nella fase di carico e quella restituita
nella fase di scarico. L’energia che non viene restituita rappresenta l’energia per¬
duta che, se integrata su tutta la porzione di disco interessata dalla deformazione,
rappresenta l’energia complessivamente dissipata, che si traduce in calore.
Nasce dunque una dissipazione associata al comportamento del materiale di
cui il disco (ruota) è composto. Risulta evidente che un calcolo della potenza
dissipata che rappresenti in dettaglio il fenomeno fìsico sopra descritto sarebbe,
oltre che molto oneroso, anche impreciso per la presenza di molti parametri dif¬
ficilmente misurabili. Si ricorre allora a uno schema interpretativo semplificato
descritto di seguito. Con riferimento alla Figura 6.8c, si osserva che a parità di
deformazione, su due punti omologhi dell’impronta di contatto (per esempio P^ e
Ri) si hanno due differenti pressioni, maggiore nella porzione anteriore dell’im¬
pronta di contatto (corrispondente alla fase di carico del materiale) e minore nella
parte posteriore dell’impronta (corrispondente alla fase di scarico). Ne consegue
che il diagramma delle pressioni risulta modificato rispetto a quello di un sistema
elastico lineare e si presenta come nella Figura 6.9, non più simmetrico rispetto
alla mezzeria dell’impronta. La risultante delle pressioni non passa per il centro
del disco ma si colloca a una distanza u dal centro della ruota nel senso del moto
di avanzamento del disco (o, in modo equivalente, è rappresentato da una forza
passante per il centro del disco e una coppia di trasporto Nu).
Si consideri per esempio il sistema di Figura 6.10, nel quale si ha una ruota
che rotola senza strisciare su una superficie rettilinea. Oltre alle forze esterne P
e F e alla coppia C, si evidenziano le reazioni vincolari T e N. La componente
T è dovuta all’attrito tra ruota e superficie e finché il suo valore non eccede la
Figura 6.9 Distribuzione delle pressione al contatto nel caso di materiale con ciclo di
isteresi.
(6.1) si può ragionare in termini di rotolamento senza strisciamento del disco sulla
guida, per cui vale la relazione cinematica v
wR. La reazione normale N
risulta avanzata della quantità u rispetto al centro del disco, e quindi può essere
considerata agente sul punto P", intersezione della superficie del disco con la retta
di azione della N. Applicando il bilancio di potenze si ottiene:
=
C x a + F x v + Nx Vp" = ma x v + Jcw x w
(6.12)
Figura 6.10 Contatto di rotolamento con presenza di attrito volvente: a) forze
agenti, b) dettaglio della zona di contatto.
116
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
L’espressione della potenza IVp perduta per resistenza al rotolamento (vedi Figora 6.1Ob) diventa:
1VP
—
Nx
Vp»
=
—
NwP'P" cosa
~ — Neon
(6.13)
|g
"a
se poi vale la condizione di rotolamento senza strisciamento si ha:
WP = —Nani = —NfvRa) = —Nfvv
(6.14)
Il significato di questo risultato è il seguente: a causa dell’isteresi del materiale,
viene dissipata una potenza proporzionale alla velocità e al coefficiente /„, indice
di quanto è spostata la reazione N rispetto al centro ruota.
Al bilancio di potenze deve essere accoppiata un’equazione di equilibrio
dinamico per determinare N. Per esempio, l’equilibrio in direzione verticale
risulta:
—mg
—
P+N
=0
(6.15)
Sostituendo le (6.14) e (6.15) nella (6.12) e risolvendo rispetto all’accelerazione
del centro del disco si ottiene:
——
F
(P + mg) fv +
(6.16)
Si ribadisce che il meccanismo di dissipazione introdotto dall’attrito volvente non
è dovuto a uno strisciamento nel punto di contatto, l’azione tangenziale T deve
essere quindi calcolata con un’equazione di equilibrio dinamico:
T
— —
ma
F =0
a
6.3 Critica ai modelli elementari di attrito
Nel Paragrafo 6.2.4 è stato descritto il più semplice modello alto a descrivere le
forze di attrito agenti tra solidi in rotolamento, che viene spesso chiamato “model¬
lo coulombiano” dell’attrito. Nonostante la sua semplicità, questo modello riesce
a descrivere con buona approssimazione i fenomeni che si verificano in numerose
applicazioni di interesse tecnico. Per esempio può essere utilizzato per lo studio
delle condizioni di aderenza ruota-terreno o ruota-rotaia nelle diverse condizioni
di marcia (partenza, arresto), almeno finché le forze di contatto longitudinali su
tutte le ruote si mantengono ben al di sotto del limite di aderenza. Esistono però
altri casi, tra cui vari aspetti della meccanica dei veicoli stradali e ferroviari, in
cui il modello coulombiano si rivela inadeguato: per esempio non è in grado di
rendere conto dei fenomeni di deriva che governano il comportamento di un vei¬
colo stradale in curva e ne determinano la tendenza a sovra o sotto-sterzare (cfr.
[8], [9]). Analogamente, tale modello non si presta a evidenziare i fenomeni di
instabilità di marcia che intervengono a elevata velocità nei veicoli ferroviari (cfr.
[10], [11]).
Per affrontare questi e altri problemi, si rende dunque necessaria una model¬
lazione più raffinata delle azioni di contatto tra ruota e vincolo, e in particolare
occorre considerare che nella realtà i due corpi a contatto sono deformabili, con
la conseguenza che l’impronta di contatto assume dimensioni finite.
È possibile dimostrare [12] che l’impronta di contatto tra due cotpi elasti¬
ci in rotolamento si divide in una zona di aderenza (dove vale la condizione di
attrito statico) e una zona in cui si manifestano slittamenti di piccola entità, asso¬
ciati alla deformabilità dei corpi (micro-scorrimenti), come mostrato nella Figu¬
ra 6.11. La zona di aderenza è situata dalla parte del lembo di imbocco e la zona
di strisciamento nella porzione posteriore.
(6.17)
L’espressione della potenza perduta (6.14) è in termini complessivi equivalen¬
te alla dissipazione associata al comportamento non perfettamente elastico del
materiale.
Il coefficiente fu viene determinato sperimentalmente su apposite macchi¬
ne di prova o trascinando la ruota su strada; in entrambi i casi si misura la po¬
tenza meccanica necessaria a mantenere il moto a regime che uguaglia l’energia
dissipata durante il rotolamento. Valori caratteristici del coefficiente fv sono:
IO-2
(6.18)
= 14- 5 IO-3
(6.19)
/„ = j 4- 2
per un contatto pneumatico-strada, e:
/„
per un contatto acciaio-acciaio, come nel caso di una ruota ferroviaria su rotaia.
(<.:((
i
(
(
v
117
Figura 6.11 Aderenza e miscroscorrimenti in una ruota su un piano.
i
;
(
i
(
!
(
)
i
;
(
(
1
118
"
ì
I
I
(
(
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
119
Nella porzione di arca di contatto in cui sono presenti microscorrimcnti si ha quin¬
di una dissipazione di potenza dovuta allo slittamento localizzato in presenza di
attrito radente. La presenza di scorrimenti nell’impronta di contatto fa sì che la
velocità del centro del disco si discosti da quella che si avrebbe nell’ipotesi di
rotolamento senza strisciamento del disco.
6.4 Usura nel contatto tra solidi
Richiamando le tre cause che possono portare alla messa fuori servizio di una
macchina (rottura, obsolescenza e usura), si può osservare che:
la rottura di elementi di macchine è un evento non frequente, che può essere do¬
vuto a difetti del materiale, al fatto che il sistema sia assoggettato a carichi mag¬
giori rispetto a quelli di progetto o, infine, a schematizzazioni non adeguate al
calcolo delle sollecitazioni, che hanno portato a errori in fase di progettazione;
® V obsolescenza, ossia l’ invecchiamento dovuto alla comparsa sul mercato di
macchine in grado di effettuare la medesima funzione in modo più conveniente
(sia dal punto di vista della velocità di esecuzione, sia del risparmio dell’energia
impiegata), interviene, nel campo delle macchine, dopo anni di funzionamento;
o l'usura è connaturata all’esercizio stesso della macchina, provocandone un de¬
cadimento della funzionalità, e non sempre in misura proporzionale al trascorre¬
re del tempo. Di solito, infatti, i fenomeni di usura mostrano un tasso di crescita
più elevato man mano che il livello globale di usura cresce.
o
Il fenomeno dell’usura meccanica consiste in una perdita di materiale che si mani¬
festa nel contatto tra due solidi, soprattutto in presenza di strisciamento relativo tra
questi. Dal punto di vista della funzionalità della macchina, l’usura si manifesta
attraverso:
aumento dei giochi negli accoppiamenti, con conseguenti imprecisioni nel mo¬
vimento e aumento della rumorosità;
o possibile comparsa di fenomeni di urto e conseguenti vibrazioni e sovraccarichi
dinamici;
o cambiamento delle proprietà meccaniche e deH’aspello delle superflui a con¬
tatto. Tali cambiamenti possono essere evidenziati durante le operazioni di
manutenzione o ispezione della macchina.
o
Le relazioni che intercorrono tra gli aspetti sopra citati sono esemplificati nello
schema di Figura 6.12; a seconda del tipo di macchina, della funzione che deve
svolgere e dell’ambiente in cui si trova, assumono maggiore importanza alcuni
aspetti rispetto ad altri. L’usura, infine, può essere prodotta oltre che da striscia¬
mento tra parti della macchina anche da azioni corrosive prodotte dall’ambiente
in cui la macchina opera e da azioni di natura elettrica (limitatamente al caso in
cui gli elementi della macchina sono soggetti al passaggio di conente con elevato
voltaggio e amperaggio).
Figura 6.12 Schema delle relazioni tra i vari aspetti del fenomeno dell'usura nel caso
di un meccanismo.
6.4.1 Un modello elementare di usura
Per la valutazione dell’usura derivante dalla condizione di strisciamento, viene
utilizzata la relazione, proposta da Archard, in cui si assume che il volume Vusu di
materiale asportato per usura sia proporzionale al lavoro dissipato per attrito Ldiss.
f^N per la lunghezza del percorso di strisciamento s:
pari alla forza di attrito T
—
Vusu = k\Ts
— ki faNs = k\ Ldiss
(6.20)
La Figura 6.13 illustra il significato dei termini che compaiono nella (6.20), in cui
P = N, per l’equilibrio in direzione verticale. Il coefficiente di proporzionalità k\ ,
espresso in m3/J, ha il significato di volume usurato per unità di lavoro dissipato.
La (6.20) è strettamente applicabile se l’usura di uno dei due corpi a contatto
è molto maggiore dell’altro, inoltre il valore del coefficiente k\, (o del prodotto
kifi, detto usura specifica ed espresso in ni3/J), è costante solo all’interno di
un determinato campo della reazione normale al contatto Ne della velocità di
strisciamento.
Derivando la (6.20) rispetto al tempo, si ottiene il volume usurato nell’unità
di tempo, che risulta proporzionale alla potenza dissipata dalle forze di attrito nel
contatto Wdiss:
^-=klfaNVs
= kiWdiss
dr
(6.21)
in cui Vs rappresenta la velocità relativa di strisciamento. Data la complessità dei
fenomeni che presiedono lo sviluppo dell’usura, il coefficiente k\, o il prodotto
ktfd, non vengono calcolati a priori, ma devono essere determinati sperimental¬
mente mediante appposite macchine di prova.
Infine si consideri il tasso di usura, che è un indice della gravità del livello di
usura cui un elemento di macchina è sottoposto. E definito come:
U
=
s
A
-
(6.22)
120
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
Figura 6.13 Rappresentazione schematica dell'usura.
ottenibile dalla (6.20), avendo posto Vusu = AAh (vedi Figura 6.13). Questo
indice, rapporto tra spessore del materiale usurato e lunghezza del percorso di
strisciamento, consente di comparare tra loro situazioni anche geometricamente
differenti, fornendo un’indicazione globale sulla gravità dell’usura, in una sca¬
la di dieci classi, a loro volta raggruppate in tre livelli (modesto, medio e severo).
L’utilizzo di questo indice fa riferimento a grandezze facilmente misurabili o valu¬
tabili sulla macchina reale nelle effettive condizioni di esercizio; non viene quindi
utilizzato per prevedere il livello di usura, ma per caratterizzarne la gravità nelle
reali condizioni di esercizio.
6.5 Azioni tra solido e fluido
Allo studio del contatto tra solido e fluido sono interessate diverse discipline, in¬
tese in senso classico, quali la meccanica dei fluidi, la termodinamica, l’aerodi¬
namica e altre da esse derivate. Si tratterà qui soltanto di quegli aspetti che più
da vicino interessano il funzionamento delle macchine, limitandosi a descrivere
le azioni applicate dal fluido sul solido, riconducibili, in generale, a una forza
di resistenza, una forza di portanza e una coppia aerodinamica. Si tratterà inol¬
tre brevemente anche il caso della lubrificazione, in cui un fluido (liquido o gas)
viene interposto tra le superfici di due solidi in moto relativo, al fine di ridurre i
fenomeni di attrito e usura descritti nei paragrafi precedenti.
che sono esercitate da un fluido in pressione sulle pareti di un recipiente chiuso,
oppure possono essere pressioni dinamiche cioè esercitate dal fluido in conse¬
guenza del suo moto o del moto del solido. Spesso l’azione del fluido costituisce
•una resistenza al moto di un corpo in esso totalmente o parzialmente immerso, in
tal caso essa prende il nome di resistenza del mezzo e comporta una dissipazione
di energia meccanica che, di regola, si deve cercare di ridurre il più possibile. Na¬
sce così il problema di ottimizzare la forma al fine di aumentarne la penetrazione
(carene di navi, forme di autovetture ecc.). In altri casi, invece, l’azione scambia¬
ta tra corpo e fluido ha una componente utile che si cerca di massimizzare (forza
propulsiva di un’elica, forza portante di un’ala).
Le forze esercitate da fluidi in quiete sono oggetto della fluidostatica, men¬
tre assai più complessa è la ricerca delle azioni esercitate dai fluidi in moto, che
interessa più particolarmente le macchine ed è oggetto della fluidodinamica, com¬
prendente come casi particolari l’idrodinamica e l’areodinamica. Supponiamo che
il corpo sia fermo rispetto al fluido (Figura 6.14), in tal caso l’unica azione agente
sul corpo è la spinta fluidostatica normale al corpo. Tale spinta vale:
-pVg
(
t
i
:
i
:
(
: t
t
)(
(6.23)
A
in cui p indica la densità del fluido e V il volume del corpo.
Se un corpo si muove con una certa velocità in un fluido oppure se un corpo
è investito da un fluido in moto con una certa velocità, nascono su ogni elemento
infinitesimo di area della superficie del corpo stesso delle forze normali e tan¬
genziali. L’importanza dei contributi delle azioni tangenziali e normali sono ben
descritti dal numero di Reynolds:
Re =
— = —- =
pd
pv2
6.5.1 Azioni fluidodinamiche in condizioni stazionarie
Nelle macchine si devono spesso considerare azioni tra solidi e fluidi che posso¬
no essere considerati come veri e propri componenti non rigidi della macchina,
accoppiati con gli elementi solidi, con combaciamento su tutta o parte della su¬
perficie di questi. Le azioni possono avere carattere di forze interne, come per
esempio in una turbina in cui il fluido si muove entro condotte forzate che sono
parte integrante della macchina e reagisce su di essi, oppure di forze esterne, come
l’azione dell’aria su un areomobile o la resistenza offerta dal mezzo all’avanza¬
mento di una nave o di una vettura, quando tutta la massa del fluido si considera
esterna al sistema che si studia. Esse inoltre possono essere costituite da semplici
pressioni statiche, come quelle che sostengono un corpo immerso in un fluido o
121
Figura 6.14 Le azioni fluidostatiche su un corpo.
pud
A
(6.24)
122
Azioni mutue tra elementi di macchine
Capitolo 6
123
Figura 6.15 Le linee di flusso nel caso di moto laminare.
— \pv2
è la pressione dinamica ere l’azione tangenziale elemen¬
Reynolds si è omesso il fattore I /2 in quanto interessa la
di
numero
tare: nel
proporzionalità dei parametri che condizionano il fenomeno, inoltre:
dove
pd
v
d
dir
d/;
(6.25)
per i corpi cilindrici di diametro d.
Numeri di Reynolds piccoli indicano allora la prevalenza degli effetti dovuti
alle azioni tangenziali rispetto a quelli causati dalla pressione dinamica. Vice¬
versa, per numeri di Reynolds alti le pressioni dinamiche diventano importanti
rispetto alle azioni tangenziali. Si supponga infine che la corrente sia laminare e
il fluido incomprimibile (numero di Mach minore di 0.8-0.9, dove con numero di
Mach si indica il rapporto tra la velocità del fluido e la velocità di propagazione
del suono nel fluido stesso). In tali condizioni sul contorno del corpo il fluido ade¬
risce (Figura 6.15) e ciò significa che la velocità del fluido a contatto con il corpo
si annulla: la velocità del fluido passa pertanto da zero al valore v allontanandosi
dalla superficie del corpo (Figura 6.16)
Con riferimento alla Figura 6.17, e ricordando l’equazione di Bernoulli che
regola la costanza della somma della pressione di un fluido e della sua velocità al
quadrato (nel caso in cui non vi sia differenza di quota), la pressione nel punto A
dove la velocità è nulla vale:
Po
=
1
2
(6.26)
Figura 6.17 Cilindro investito da vena fluida.
La pressione p varia lungo il corpo: fissando un’ascissa curvilinea .r lungo il
profilo con origine in A per definire la posizione del generico punto del contatto
fluido-corpo, la pressione vale:
p = pok(s)
Per fluidi reali (viscosi), nasce, oltre all’azione normale (o pressione p), un’azione
tangenziale agente sul corpo: sperimentalmente infatti si constata che la variazio¬
ne di velocità del fluido è limitata a una zona vicino alla parete del solido investilo
(strato limite); a partire dalla parete, le lamine di fluido scorrono relativamente tra
loro con attrito viscoso (Figura 6.18). Per la legge di Petroff, l’azione tangenziale
del fluido sul corpo vale:
d«
r=Md?
(6.28)
dove p è la viscosità (nulla per fluidi ideali) e u è la velocità locale del fluido che
varia, all’interno dello strato limite, lungo la coordinala z. normale alla superficie
da zero al valore v.
essendo v la velocità del fluido indisturbato.
Figura 6.16 Profilo di velocità al contatto.
(6.27)
Figura 6.18 Le azioni di contatto nel caso di fluido reale viscoso.
Capitolo 6
124
Azioni mutue tra elementi di macchine
125
Figura 6.19 Le componenti di resistenza e di portanza della forza aerodinamica.
Figura 6.20 L'angolo di incidenza.
Dette forze ammettono una risultante che rappresenta l’azione globale del fluido
sul corpo:
1? =
^
(-pn + rt)dA
(6.29)
A
Tale risultante viene scomposta convenzionalmente in due componenti (Figu¬
ra 6.19): una prima diretta come la direzione della vena fluida e una seconda
perpendicolare alla prima, che vengono definite rispettivamente forza di resisten¬
za Fr e di portanza FP. Tali forze FP ed Fr possono essere espresse in funzione
della velocità della vena indisturbata v tramite le relazioni:
Fr = |pSv2Cr
*
Fp
(6.30)
= ^pSv2CP
in cui S è la sezione frontale del corpo e Cr e CP sono due coefficienti rispetti¬
vamente di resistenza e di portanza caratteristici della forma geometrica del corpo
e costanti al variare della velocità. Tali coefficienti vengono determinati attra¬
verso prove sperimentali in galleria del vento o, alternativamente, integrando le
equazioni di moto del fluido che investe il corpo (equazioni di Stokes-Navier)
([18]).
Il coefficiente di resistenza può variare da valori pari a 0.1 fino a valori di 2
a seconda se il corpo è più o meno allungato nella direzione della vena fluida: si
hanno infatti bassi coefficienti di resistenza per corpi allungati, come profili alari,
in cui la vena fluida non si distacca e non si ha vorticosità in scia. Il coefficiente di
portanza è nullo se il corpo investito dal fluido ammette una simmetria geometrica
secondo la direzione della velocità del fluido stesso, mentre è tanto più elevato
quanto maggiore è la tendenza dal corpo a deviare il flusso.
Spesso non è noto a priori il punto di applicazione della risultante delle forze
fluidodinamiche (e quindi delle componenti di resistenza e di portanza) e quindi
per rappresentare le azioni aerodinamiche sul corpo, le forze vengono applicate
al baricentro aggiungendo una coppia aerodinamica, che rappresenta quindi una
coppia di trasporto dell’azione di portanza al baricentro. La coppia aerodinamica
è espressa come:
C
c
c : c
!
in cui CM è un coefficiente adimensionale detto coefficiente di coppia. I
coeffi¬
cienti fluidodinamici introdotti sono, come detto, funzione della forma del
corpo
e variano con l’angolo d’incidenza, ossia l’angolo formato dalla vena
fluida con
una direzione caratteristica del profilo (Figura 6.20).
La Figura 6.21 riporta qualitativamente, a titolo di esempio, i coefficienti di resi¬
stenza, di portanza e di coppia per un profilo alare al variare dell’angolo di
attacco.
= ^pSbv2Cu
c : c
c
(6.31)
Figura 6.21 I coefficienti aerodinamici in funzione dell'angolo di
incidenza.
6.5.2 Azioni fluidodinamiche in condizioni non stazionarie
Le espressioni sopra riportate delle forze fluidodinamiche hanno validità in
con¬
dizioni di flusso stazionario, ovvero quando la velocità della vena relativa all’og¬
getto forma un angolo costante con il corpo. Se per effetto del moto
dell’og¬
getto o per variazioni della direzione della velocità della vena, varia la
velocità
relativa tra vena e oggetto, le espressioni delle forze e i coefficienti possono rite¬
nersi validi solo se il moto del corpo e le variazioni di direzione e modulo
della
velocità del fluido sono lente e avvengono in condizioni quasi statiche. 11 pa¬
rametro che governa tale condizione è detto frequenza ridotta f, ed è definito
come:
A
v/c
i
i
( )(
(6.32)
(
126
(
(
Azioni mutue tra elementi di macchine
Capitolo 6
127
Figura 6.22 Lo strato limite.
Figura 6.24 Distacco di vortici.
ovvero come il rapporto tra la frequenza di oscillazione del moto dell’oggetto e la
frequenza correlata al tempo necessario affinché le particelle di fluido in velocità
v attraversino il corpo di estensione c.
di frequenza f che dipende dalle dimensioni del corpo d e dalla velocità della
vena v:
f
6.5.3 Distacco di vortici
v
= Slr-d
(6.33)
Fino ad ora si è analizzato il comportamento del fluido in corrispondenza del¬
la sezione “di attacco” in cui esso investe il solido; se si passa ad analizzare
il comportamento del fluido nella zona in cui questo sta abbandonando il cor¬
po, si possono distinguere due casi. Se il profilo è di tipo alare la vena flui¬
da si chiude e la pressione in B è nulla (Figura 6.17). Per il corpo non ala¬
re, si ha distacco della vena ovvero lo strato limite si separa, il forte gradien¬
te di velocità che si ha nello strato limite si diffonde a valle con formazione di
vortice (Figura 6.24). La formazione di vortici a valle e il distacco della ve¬
na è responsabile della formazione di una depressione sulla superfìcie posterio¬
re del corpo rispetto a quella anteriore, con relativi alti valori del coefficiente di
attraverso un parametro adimensionale detto minierò di Stividial Slr, che dipende
dalla forma del corpo e dal numero di Reynolds. È infatti consuetudine riprodurre
il distacco di vortici con forze alternate a frequenza f (Figura 6.24). Quando
l’oggetto è libero di vibrare, tali azioni variabili nel tempo sono in grado di fare
vibrare il corpo immerso in un fluido. In tali condizioni il distacco di vortici,
che avveniva disordinatamente nelle varie sezioni, per effetto della vibrazione si
sincronizza generando una forza non più aleatoria ma armonica.
resistenza.
I vortici si distaccano alternativamente dal corpo e sono responsabili di forze
periodiche alternate, in direzione normale alla velocità della vena indisturbata,
Per lubrificazione si intende la riduzione dell’attrito tra superfici a contatto in moto
relativo mediante l’interposizione tra esse di un appostilo mezzo, detto appunto
lubrificante. Si distinguono due tipi di lubrificazione:
6.5.4 Cenni alla lubrificazione
• Lubrificazione limite:
Figura 6.23 Distacco di vortici in funzione dell'angolo d'attacco.
tra le superlìci affacciate delle epilamine di lubrificante
di spessore molecolare (qualche micron) aderiscono alle superfici stesse. L’a¬
derenza avviene o per fenomeni elettrostratici di assorbimento o per attrazione
elettrostatica di molecole elettricamente non neutre o, infine, per reazioni chi¬
miche (F epilamine reagisce con il materiale costituente le superfici a contatto
formando, nel caso in cui si usano lubrificanti a base di acidi grassi, saponi che
facilitano il moto relativo). In fase di rodaggio, per esempio, vengono usati ad¬
ditivi EP (Exteme Pressure), che, reagendo con le superfici, formano solfuri o
cloruri che vanno a usurare le superfici stesse, sopperendo così alle imperfezio¬
ni dovute ai limiti tecnici di lavorazione superficiale. La lubrificazione limite è
in genere utilizzata per basse velocità di funzionamento e permette di ottenere
coefficienti di attrito pari a 0. 1 .
e Lubrificazione mediata: tra le superfici affacciate viene interposto uno strato di
lubrificante (con spessore dell’ordine di un decimo di millimetro) che separa
128
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
completamente le superfici formando tra esse un meato. A seconda delle moda¬
lità con cui viene formato questo meato si parla di lubrificazione idrodinamica
naturale o lubrificazione idrostatica forzata. Nel primo caso il moto relativo
tra le superfici inclinate tra loro provoca la formazione spontanea dello strato in
pressione e il lì nido viene così “invitato” a inserirsi tra le due superfici. Nel caso
di lubrificazione idrostatica forzata, il lubrificante viene introdotto in pressione
tra le superfici a contatto in moto relativo. Il coefficiente di attrito nel caso di lu¬
brificazione mediata si riduce a valori dell’ordine di 0.01. Tale parametro varia
in funzione della velocità relativa nel caso di lubrificazione naturale: è possibile
osservare come si passi da una lubrificazione limite (a velocità relativa nulla)
attraverso una condizione di lubrificazione combinata (tra lubrificazione limite
e mediata) fino a una lubrificazione mediata, che necessita una velocità relativa
al di sopra di un valore limite per potersi stabilire. Al di sotto di tale valore di
velocità il lubrificante non riesce a formare il meato in grado di separare le due
superfici.
Figura 6.25 II meato.
l’elementino di figura:
pdz
— (p + dp) dz
si ottiene:
Per quanto riguarda i lubrificanti, le sostanze più usate risultano essere:
•o lubrificanti gassosi: utilizzati per alle velocità relative o interposti in pressione;
lubrificanti liquidi: sono i più utilizzati, tra cui gli olii vegetali (utilizzati per
l’elevata untuosità, ovvero capacità di aderire alle pareti) per la lubrificazio¬
ne limite e gli olii minerali (idrocarburi liquidi a elevata viscosità, ovvero alta
resistenza allo scorrimento) per quella idrodinamica naturale;
e lubrificanti semisolidi: grassi che si sciolgono con il riscaldamento assicurando
una lubrificazione limite;
o lubrificanti solidi: utilizzati per elevate temperature, tra i più usati la grafite e il
trifosforo di molibdeno.
t
:
(
:
c : c
i
+ dr) dx = 0
rdx + (r
dp
dr
dx
dz
(6.34)
(6.35)
K
p
.
—
dp
= dx
d2«
=p—7
(6.36)
dz2
Integrando l’Equazione (6.36) due volte rispetto a z e ponendo come condizioni
al contorno u = 0 per z 0 e u = v per z = h si ottiene:
=
Si consideri ora un meato interposto tra due superfici di cui la superiore si muova
con velocità v, supponiamo inoltre che il lubrificante fluido abbia velocità paralle¬
la al piano x-y e che si muova di moto laminare unidirezionale, trascurando in tal
modo i moti nella direzione y e quindi le fuoriuscite laterali. Si trascurino inoltre
le inerzie del fluido e il suo peso proprio. Facendo riferimento a un elementino di
fluido all’interno del meato la cui parete superiore è in moto rispetto a quella infe¬
riore con velocità v parallela all’asse x, mettiamo in evidenza le forze elementari
che agiscono su tale elementino (6.25).
Sulle facce corte agiscono due sforzi p e p + dp dovuti alle pressioni, sulle pare¬
li laterali, trascurando la variazione di pressione dovuta alla variazione di quota,
agiscono due sforzi r e r + dr tangenti dovuti alle differenti velocità tra le lamine
di fluido a contatto con la parete inferiore e quelle a contatto con la parete supe¬
riore (per esempio la lamina di fluido sovrastante la parete superiore ha velocità
maggiore della velocità che ha la parete stessa, ecco allora che sull’elementino
agisce uno sforzo tangente r + dr che tende a “tirare” l’elementino nella direzio¬
ne di moto del fluido). Scrivendo l’equilibrio alla traslazione in direzione x per
.
—
Al fine di avere un gradiente di pressione necessario al sostentamento, nella lubrificazione idrodinamica è dunque necessario utilizzare fluidi viscosi. Ricordando
la *egge di Petroff (Equazione (6.28)) si può esprimere il gradiente di pressione
come:
fe
6.5.5 La lubrificazione mediata idrodinamica
(
129
c
?
t
K
-
u=
&.•
p'
v
(z - h) + -z
^-z
2p
h
(6.37)
Si osserva che l’espressione della velocità u contiene un termine lineare in z do¬
vuto all’azione di trascinamento esercitata dal componente mobile sul film di lu¬
brificante e un termine parabolico in z proporzionale al gradiente di pressione
p' dovuto alla presenza di un campo di pressioni entro il meato. Scrivendo l’e¬
quazione di continuità, che impone che la portata volumetrica G sia costante, e
sostituendovi l’Equazione (6.37) si ottiene:
a
£
G=
Kf
I = --^h3
udz
o
+
= cost
(6.38)
<. •
A
Anche
in tale espressione si riconoscono due contributi alla portata: il primo dovu-
to al trascinamento e dipendente dalla velocità v della parete superiore, il secondo
al gradiente di pressione necessario al sostentamento. Si nota che dove vi è una
130
Azioni mutue tra elementi di macchine
Capitolo 6
diminuzione di altezza del meato li il gradiente di pressione deve essere negati¬
vo perché si mantenga costante la portata; viceversa, dove aumenta l’altezza del
meato il gradiente di pressione deve essere positivo.
Esprimendo il gradiente di pressione in funzione della portata G:
p'
(v/i - 2G)
= 77
/i’
(6.39)
Si ricorda che si tratta di lubrificazione naturale, ovvero alimentata solo dalle
velocità relative dei due elementi a contatto, e che pertanto le pressioni del fluido
in ingresso e uscita del meato sono pari a quella atmosferica.
In base a tali considerazioni, la Figura 6.26 mostra l’andamento delle pres¬
sioni in funzione delle varie sezioni del meato stesso, andamento che possiamo
ottenere integrando l’Equazione (6.39):
131
Quanto sopra detto è estendibile anche ad altre situazioni, quali la lubrificazione
tra perno e cuscinetto o il fenomeno dell' acquaplaning. Per quanto riguarda il
primo, il meato si forma nello spazio compreso tra la superficie esterna del perno,
e quella interna del cuscinetto (Figura 6.27). Il perno stesso si dispone in modo da
realizzare un meato con forma convergente nella prima parte, così da realizzare
l’azione di sostentamento. Dato che lo spessore del meato è sempre molto piccolo
rispetto alla dimensione del perno, si può ancora considerare valida laTrallazionc
fatta nel caso del meato piano, mentre divengono significativi i fenomeni legati
alla fuoriuscita laterale del lubrificante.
Nel caso del fenomeno dell’acquaplaning, che si può instaurare al contatto
pneumatico-terreno in caso di pioggia mentre un’autovettura percorre la strada a
elevata velocità, si ha la formazione di un velo d’acqua, non rotto dal battistrada
del pneumatico, che si interpone tra pneumatico e strada. Si realizza così un meato
d’acqua, che applica un’azione di sostentamento al pneumatico, facendo perdere
sia l’aderenza sia la direzionalità.
(6.40)
Tale andamento di pressioni è responsabile dell’azione IV di sostentamento che si
può ottenere come:
Figura 6.27 Meato nell'accoppiamento perno-cuscinetto (a), e nel fenomeno
dell'acquaplaning (b).
6.6 Esercizi
Esercizio 1: resistenza al rotolamento Considerando il sistema meccanico a
1 rad/s;
un grado di libertà indicato nella Figura 6.28, per cui: 6 = 7 rad; 0
delle
realizzazione
necessaria
alla
motrice
0 5 rad/s2, si calcoli la coppia
Cm
condizioni di moto descritte, in presenza di attrito volvente, il cui coefficiente è
—
=
/v = 0.01.
Si effettui inoltre la verifica di aderenza considerando il coefficiente di attrito
statico pari a /s = 0.5.
Dati: R = 5 m raggio della guida circolare; r = 0.5 m raggio del disco;
M = 5 kg massa del disco; J = 0.625 kgm2 momento d’inerzia del disco.
Figura 6.26 Profilo di velocità e di pressione nel meato: Xo è la sezione in cui si annul¬
la il gradiente di pressione e di conseguenza la distribuzione di velocità risulta lineare.
Risoluzione Nella figura 6.29 è evidenziato il sistema di forze che agisce sul
disco; per calcolale la coppia motrice necessaria si scrive il bilancio di potenze,
secondo il quale:
— Mg sin (0) v + Cm<u — Nfvv = Jaxo + Ma^v
132
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
M
nelle sue due componenti normali e tangenti secondo le espressioni:
=
aM
Fi
&
KFigura 6.28
dove con v e
sono indicate rispettivamente la velocità e l’accelerazione tan¬
genziale del centro del disco, mentre co e co sono la velocità e l’accelerazione
angolare del disco.
Esplicitando le relazioni cinematiche dovute al vincolo di rotolamento senza
—
=
cor
-
0 (R - r)
^=é(R~r)
Sostituite tali relazioni cinematiche nel bilancio di potenze si ottiene:
/
ja(<)
\
—
È
Cm = ( r 7“ + Ma{,} + Mg sin (0) + Nfv ) r
/
\
Si
che mostra come la coppia motrice Cm risulta funzione della azione normale N.
Questa può essere calcolata ricavando l’equilibrio dinamico alla traslazione
in direzione radiale, da cui:
È Ft+F?+Mgcos(O)= N^Fr+02(R - r)M+Mgcos(Q)=N=^N=5M.98 N
strisciamento si ha:
v
133
cor
k
fe
L’azione normale sostituita nell’equazione del bilancio di potenze permette di
calcolare la coppia motrice Cm = 99.5 Nm.
,
Verifica di aderenza Perché sia verificata la condizione di rotolamento senza
strisciamento deve essere verificata la relazione seguente:
la velocità del centro del disco può essere in modo analogo espressa in funzione
della velocità angolare 0 ottenendo la relazione cinematica:
v
= cor = 0 (R
—
r)
Il valore dell’azione tangenziale T si ottiene dall’equilibrio dinamico alla rotazio¬
ne rispetto al centro del disco:
Per quanto concerne l’accelerazione del centro del disco, essa si può esprimere
— Cm +
J co 4- Tr + Nu
= 0 => T =
—
r
= 137 N
da cui si ricava che è verificata l’aderenza.
«
Esercizio 2: resistenza al rotolamento Considerando il sistema meccanico nel¬
la Figura 6.30 si calcoli, in presenza di attrito volvente tra disco e piano inclinato
con coefficiente di attrito fv = 0.02, la coppia motrice, applicata alla puleggia,
necessaria al moto a regime in salita del disco e la coppia necessaria affinché il
disco percorra in salita il piano inclinato con un’accelerazione pari a 1 m/s2.
Si calcolino, inoltre, nelle condizioni di moto vario i tiri nei due tratti della
fune.
Dati: R = 1 m raggio del disco; M = 20 kg massa del disco; JA =
0.625 kgm2 momento d’inerzia del disco; r 0.5 m raggio della puleggia; Jp =
0.45 kgm2 momento d’inerzia della puleggia; in = 3 kg massa del contrappeso;
a = 20° angolo formato dal piano con l’orizzontale.
—
Figura 6.29
Azioni mutue tra elementi di macchine
135
La coppia motrice da applicare alla puleggia per ottenere una accelerazione pari a
1 m/s2 è allora:
Mg (sin a
Cm
Cm
=
+
focosa)
33.4 Nm
—
mg +
~
R1-
r*
+M +
z/4J a
La stessa equazione permette di calcolare la coppia necessaria al molo a regime,
in questa condizione si ha che l’accelerazione è nulla, quindi i termini inerziali a
destra dell’uguale si annullanno, cioè:
Cm = [Mg(sin a + f, cos a)
—
Cm = 20.7 Nm
Mg sin av + mgv
—
f,\N |v = Jvà)pcùp
—
— — Cm =
Risoluzione
La scrittura del bilancio di potenze permette di analizzare il moto
del sistema sia in moto vario, cioè nel transitorio di avvio, che, tenendo conto delle
opportune semplificazioni, a regime:
—
mg] r
Per il calcolo dei tiri nei due tratti di fune si considera dapprima la sola massa in
e attraverso l’equilibrio dinamico alla traslazione in direzione verticale si ha:
?2 + ina mg = 0 > 7’2 = 26.4 N
Dall’equilibirio dinamico alla rotazione rispetto al centro della puleggia si ottiene:
Figura 6,30
Clnmp
—
Jptùp + 7|r Tir
da cui si calcola che il tiro T\ = 91.4 N.
0
+ Jd<i>da)d + Mav + mav
dove con v e a sono indicate rispettivamente la velocità e l’accelerazione del cen¬
tro del disco, e quindi della massa in, mentre a»d e wd sono la velocità e l’ac¬
celerazione angolare del disco; a>p e wp sono le medesime quantità riferite alla
puleggia.
I legami cinematici dovuti ai vincoli di puro rotolamento della fune sulla
puleggia e del disco sul piano inclinato sono:
v = copr
a = d>pr
v = a>iR
a = à>d7?
Sostituncdoli nell’equazione del bilancio di potenze e semplificando la velocità si
ha che
c
/ j
—r - Mg sino? 4- mg - fy\N\ = (\r2
j
\
Esercizio 3: attrito radente in un meccanismo a glifo oscillante Del sistema
articolato nella Figura 6.32, posto in un piano verticale, sono note: la lunghezza
della manovella AB = l m, la lunghezza OG = 1 m c la lunghezza del telaio
AO =0.8 m; sono inoltre note la posizione angolare a = 0, la velocità angolare
costante à = 1 rad/s.
Sapendo che la massa del glifo è in = 0.5 kg e che il suo momento d’inerzia
è J = 0.2 kgm2, si calcoli la coppia motrice Cm necessaria al mantenimento
delle condizioni di moto indicate considerando la presenza di attrito dinamico,
con coefficiente fa = 0.3 tra il glifo e il corsoio.
M +m )a
R2 +
/
L’equazione presenta quindi due incognite: la coppia motrice e l’azione normale
che si scambiano disco e piano inclinato; la seconda si calcola considerando il
sistema di forze cha agiscono sul solo disco e scrivendo l’equilibrio dinamico alla
traslazione in direzione ortogonale al piano inclinato:
N
= Mg cosa = 184.36 N
i
1
136
Capitolo 6
Azioni mutue tra elementi di macchine
137
Per calcolare le velocità è necessario derivare l’equazione di chiusura rispetto al
p tempo:
y.
iàae‘a = be'p + ipe'p
.
: da cui si ricava la velocità di allungamento del glifo b pari a 0.62 m/s e la velocità
« angolare del glifo fi pari a 0.6 rad/s.
L’ulteriore operazione di derivazione permette di calcolare le accelerazioni
• del sistema:
iaaela
=
—
à2ae'a = be'p
— p2be‘p + ipbe'1* + iipbe'1*
da cui fi —0.102 rad/s2 e b> = —0.308 m/s2.
In questo modo sono state calcolate tutte le quantità cinematiche di interesse e si
'può scrivere il bilancio di potenze:
Figura 6.32
CMà -mgPOGcosp - fd\N\b = jpp+m'ppOG2
Risoluzione
Al fine di calcolare la coppia motrice necessaria al moto del sisterna si utilizza il bilancio di potenze, questo significa che devono essere pre¬
ventivamente calcolate le velocità dei punti di applicazione delle forze esterne
e le accelerazioni che permettono di definire la derivata dell’energia cinetica ri¬
spetto al tempo; vanno quindi calcolate: la velocità del baricentro del glifo e
l’accelerazione dello stesso punto.
Per definire la cinematica del sistema è necessario scrivere l’equazione di
chiusura del sistema:
(A - 0)
+
(B - A)
=
' che dipende dalla forza assiale N che si trasmettono il glifo c la manovella altras verso il corsoio; questa si calcola considerando il sottosistema composto dal solo
glifo e scrivendo un equilbrio dinamico alla rotazione rispetto al punto O:
’
li
J'p +mpOG2 +ingcospOG + Nb = 0 -» N = -2.91 N
L’accoppiamento prismatico tra corsoio e glifo imporrebbe tra le azioni interne
« anche una coppia che risulta nulla in quanto si considera il corsoio di dimensioni
^trascurabili.
Una volta calcolato il valore dell’azione normale N, sostituendo nel bilancio
i di potenze si ottiene il valore della coppia motrice necessaria:
(B - O)
Sostituendo i vettori a, b e c alle aste che compongono il sistema, secondo la
figura 6.33: l’equazione di chiusura riscritta in termini di numeri complessi sarà:
Cm =
ce'Y + ae,a = be'1*
da cui si ricava che le incongnite b e
0.67 rad.
Figura 6.33
0 sono rispettivamente
pari a 1.29 m e
Figura 6.34
Jfip + mPP0G2 + mgpOGcosp + fd\N\b
à
= 2.79 Nm
I
7
Dinamica della macchina
a un grado di libertà
7.1 Considerazioni generali
/
In questo capitolo si esaminerà il funzionamento di una macchina sotto l’ipotesi
di poter considerale questo sistema dotato di un solo grado di libertà. In generale,
una macchina può essere pensala come composta da un motore, una trasmissione
e un utilizzatore. Benché la suddivisione fra queste tre parti possa risultare talvolta
riduttiva, è possibile in linea di massima affermale che:
motore ha il compito di produrre potenza meccanica, utilizzando una fonte di
energia di diversa natura (chimica, elettrica, idraulica o altro);
e l' utilizzatore impiega la potenza meccanica resa disponibile dal motore per
compiere una funzione, che può essere di natura alquanto varia, per esempio
il sollevamento o la movimentazione di un carico, una lavorazione meccanica,
la compressione di un fluido ecc.;
il compilo di trasferire la potenza dal motore aH’utilizzatore
• la trasmissionedi havista
della cinematica della macchina, stabilisce un rapporto
e, dal punto
(detto rapporto di trasmissione, Paragrafo 7.4) tra la velocità del motore e quella
deH’utilizzatore.
o il
•
L’ipotesi che la macchina sia un sistema dotato di un solo grado di libertà, corri¬
sponde ad affermare che la posizione di tutti i punti della macchina viene univo¬
camente determinata dal valore di una sola coordinata libera, che nel seguito saia
quasi sempre rappresentata dalla rotazione dell’albero motore. Escludendo casi
particolari in cui la macchina ha più di una possibilità di movimento rigido (per
esempio macchine contenenti rotismi epicicloidali [5]), quest’ipotesi corrisponde
a considerare trascurabili gli effetti di deformabilità degli organi (alberi, elementi
di sistemi articolati, cinghie ecc.) che compongono la macchina stessa.
Per scrivere l’equazione differenziale che governa il moto della macchina a
un grado di libertà è conveniente utilizzare l’equazione di bilancio delle potenze
(Paragrafo 5.4). Nel caso dello studio della macchina, per questa equazione può
140
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
Per esempio in un motore a combustione interna pluricilindrico, si avrà una for¬
za agente su ciascun pistone del motore, rappresentante la risultante delle pres¬
sioni del gas sul pistone, mentre nel caso del motore elettrico (per esempio in
corrente continua) si avrà una forza agente su ciascuna spira degli avvolgimenti
presenti sul rotore del motore. La potenza complessivamente prodotta dal motore
sarà quindi la somma di tutte le potenze parziali associate a ciascuna forza presa
singolarmente.
Si osservi a questo proposito, che non è detto che in ogni istante tutte le for¬
ze agenti sul motore siano effettivamente tali da generare una potenza meccanica
positiva, utile cioè a vincere le resistenze presenti nella macchina o a
^ncrementame l’energia cinetica, in base all’Equazione (7.1). Per esempio, in un motore a
combustione interna quadricilindrico a quattro tempi, una sola delle quattro forze
agenti sul pistone (quella relativa al cilindro in cui si svolge la fase di espansione)
»
essere utilizzata la forma:
ir
dEc
Wln+Wr+VVp=—
(7.1)
1
fS-;
in cui si distingue, a primo membro:
il termine Win rappresentante la potenza dovuta a tutte le forze e i momenti che
si esercitano sul lato motore, ossia su tutte le parti della macchina poste a monte
della trasmissione;
o
•
e
lavora positivamente per lo spostamento del pistone, mentre negli altri tre cilindri
le forze si oppongono allo spostamento dei pistoni per effetto delle resistenze e
perdite meccaniche associate alle fasi di aspirazione, compressione e scarico.
In molti casi, anziché rappresentare in modo dettagliato le diverse forze agenti
nella macchina e scrivere per ciascuna di esse il corrispondente termine di potenza
meccanica, risulta più comodo, agli effetti dello studio del funzionamento della
macchina, considerare l’azione complessiva di tutte le forze presenti nel motore
come equivalente a quella di una singola coppia, detta coppia motrice ridotta
agente sull’albero che stabilisce il collegamento tra il motore e la trasmissione
(albero motore'). Si definisce questo procedimento riduzione all’albero motore di
tutte le forze agenti. Poiché lo scopo finale di questa operazione è applicare il
bilancio di potenze, questa operazione di riduzione dovrà mantenere invariata la
potenza motrice complessiva Wm ossia dovrà verificare la relazione:
il termine Wr che tiene conto di tutte le forze e coppie agenti sull’ utilizzatore
(ossia a valle della trasmissione);
IVr =
E
J
IVp che rappresenta le perdite che si verificano nella trasmissione per
• il termine
degli attriti e delle resistenze interne a questo organo.
effetto
A secondo membro, l’energia cinetica della macchina può essere considerata co¬
me somma dell’energia cinetica di tutti gli clementi dotati di massa. In genere si
può considerare trascurabile il contributo all’energia cinetica dovuto alla trasmis¬
sione, e scrivere quindi tale grandezza come somma del contributo del motore ECm
e di quello dell’utilizzatore ECr:
E 1% = Af*
Ec = ECm + Ec,
Nei prossimi paragrafi verranno descritti in maggior dettaglio le forze e poten¬
ze meccaniche agenti nei tre componenti (motore, utilizzatore e trasmissione)
individuati nella macchina.
7.2 II motore
fe
0
I
É
.7^
All’interno del motore avviene la trasformazione di potenza di diversa natura in |
potenza meccanica necessaria al funzionamento della macchina. Questa trastorinazione si può ottenere in modi diversi, per esempio in un motore a combustione
interna la potenza meccanica viene prodotta a partire dall’energia liberata durante
un fenomeno di combustione, mentre nel caso di un motore elettrico viene ottenuta
attraverso conversione di potenza elettrica.
Indipendentemente dal procedimento utilizzato per produrre potenza meccanica, essa si manifesterà in genere sotto forma di una o più forze (talvolta in numero molto grande) applicate in diversi punti del motore soggetti a movimento.
141
v
Wn,
(7.2)
in cui
rappresenta la velocità angolare dell’albero motore.
Con procedimento simile, tutte le inerzie dei corpi presenti nel motore (che
contribuiscono a formare l’energia cinetica del motore ECm) possono essere ridotte
a un unico volano rotante insieme all’albero motore, di momento di inerzia 7*
detto momento di inerzia ridotto del motore.
(7.3)
Nel Paragrafo 8.2 si descriveranno in maggior dettaglio, con riferimento a un mo¬
tore alternativo monocilindrico, i passaggi matematici che consentono di calcola¬
re la coppia motrice ridotta all’albero motore in funzione delle forze fisicamente
agenti nel motore e il momento di inerzia ridotto a partire dalle inerzie dei corpi
effettivamente presenti all’interno del motore. Per ora, possiamo osservare che,
una volta effettuata l’operazione di riduzione, il motore può essere ridotto al sem¬
plice schema di Figura 7.1, formato da un albero rigido su cui è calettato un volano
I
142
I
I
Capitolo 7
I
I
11111(1
Dinamica della macchina a un grado di libertà
143
7.2.1 Caratteristica meccanica di un motore
a combustione interna
Figura 7.1 Schema del motore di una macchina.
di inerzia J* e su cui agisce una coppia M* . Tale schema costituisce quindi il mo¬
dello del motore all’interno della macchina, indipendentemente dalla particolare
natura del motore utilizzato nell’applicazione considerata.
In generale, la coppia motrice agente sull’albero motore dipenderà dalla ve¬
locità angolare di rotazione dell’albero motore. Inoltre, per particolari tipologie
di motore, la coppia potrà anche variare con la posizione angolare dell’albero (in
questo caso, se l’albero ruota con velocità angolare costante, si avrà una variazio¬
ne periodica della coppia motrice, con periodo proporzionale a quello di rotazio¬
ne dell’albero). Analogamente, il valore del momento di inerzia ridotto 7* può
variare con l’angolo di rotazione dell’albero motore.
Per il momento, ci limiteremo a considerare il caso in cui la coppia motrice e
il momento di inerzia non dipendano dalla posizione angolare dell’albero motore,
ma solo dalla sua velocità angolare, mentre il caso più generale sarà trattato nel
Paragrafo 7.10. Possiamo però osservare che lo studio effettuato considerando
coppia e momento di inerzia indipendenti dalla rotazione dell’albero può spesso
costituire una valida approssimazione del caso più generale, se si utilizzano per
la coppia M’ e il momento di inerzia J* i valori medi sul periodo angolare della
macchina. Per esempio, il motore a combustione interna rappresenta un sistema
in cui coppia e momento di inerzia dipendono dalla rotazione dell’albero motore,
ma le fluttuazioni periodiche di queste quantità avvengono in tempi brevissimi:
per un motore monocilindrico quattro tempi, in un tempo pari al doppio del perio¬
do di rotazione dell’albero, che per un regime di rotazione di 5000 g/min risulta
La caratteristica meccanica di un motore a combustione interna definisce la coppia
erogata dal motore in funzione del proprio regime di rotazione al variare del grado
di ammissione y, ossia di un parametro che indica in quale misura sia aperta la
valvola che regola l’afflusso della miscela di aria e combustibile all’interno dei
cilindri. Il grado di ammissione y assume valori compresi tra 0, quando la valvola
risulta completamente chiusa, e 1 per valvola completamente aperta.
Di norma, la coppia motrice viene misurata al banco in condizioni di massima
e minima ammissione, dando luogo a due curve caratteristiche del motore, che
sono rappresentate per punti in funzione del regime di rotazione. In Condizioni
intermedie di ammissione, si ritiene in genere lecito ([16]) assumere che la coppia
erogata dipenda linearmente dal coefficiente di ammissione, cosicché il valore di
coppia erogata per un generico valore del grado di ammissione y risulta pari a:
Mm = yMm„,„,(«,„) 4- (1 - y)M,„mil,(«,„)
(7.4)
a titolo di esempio, si mostra nella Figura 7.2 la caratteristica meccanica di un
motore per vetture di medie dimensioni.
pari a:
—— =
2-60
5000
0.024 s
Si comprende allora che, a meno di voler studiare le velocissime fluttuazioni di
velocità angolare che si possono generare nel motore1, è possibile sostituire il
valore istantaneo della coppia motrice e del momento di inerzia con i valori medi
nel periodo commettendo un errore il più delle volte non rilevante dal punto di
vista ingegneristico.
'Tra gli effetti di queste fluttuazioni, particolarmente importanti sono le vibrazioni
torsionali
dell'albero motore che danno luogo al fenomeno delle cosiddette velocità critiche torsionali [6]
Figura 7.2 Caratteristica meccanica di un motore a combustione interna per diversi
valori del grado di ammissione.
144
Dinamica della macchina a un grado di libertà
g-t
Capitolo 7
145
«fe:
7.2.2 Caratteristica meccanica di un motore asincrono trifase
Il motore asincrono trifase è costituito da una parte fìssa, detta statore e da una
parte mobile, detta rotore, posta all’interno dello statore e dotata della possibilità
di ruotare rispetto a un asse fìsso. Su ciascuno di questi elementi è posto un av¬
volgimento trifase. L’avvolgimento posto sullo statore, detto induttore, è alimen¬
tato con un sistema di tensioni trifase alternate, che genera un campo magnetico
rotante con velocità angolare ws detta velocità di sincronismo, pari a:
w, =
27r/a
P
in cui fa è la frequenza della tensione di alimentazione e p è il numero di coppie di ,
poli dello statore. Sul rotore si genera quindi una forza elettromotrice che dipende
dalla velocità angolare del rotore e che si annulla quando questo ruota alla velocità
di sincronismo, ossia in maniera sincrona rispetto al campo magnetico generato
dallo statore.
La caratteristica meccanica del motore asincrono è mostrata nella Figura 7.3.
Come si può osservare, tale caratteristica assume un andamento pressoché lineare
per velocità prossime a quella di sincronismo. Per evitare un funzionamento non
corretto del motore (eccessive dissipazioni di energia con conseguente surriscal¬
damento) è necessario che il motore lavori a regime in prossimità della velocità
di sincronismo, e che la sua velocità angolare non subisca eccessive oscillazioni
attorno al valore di regime.
7.2.3 Motore asincrono trifase azionato da inverter
In un azionamento a inverter, il sistema trifase di correnti che alimenta lo statore
Kìàf del motore asincrono trifase possiede caratteristiche regolabili di intensità e di frequenza [7]. Infatti, tale sistema di correnti non viene direttamente prelevato dalla
rete, ma viene generato attraverso l’intervento di opportuni dispositivi detti inverfórche, attraverso la periodica apertura e chiusura di valvole comandate, riescono
a generare un sistema di tensioni che approssima un sistema trifase alternato.
Questo tipo di azionamento è poi interfacciato con un sistema di controldi
Kfc! lo che consente di realizzare le condizioni di frequenza e intensità del sistema
desiderala
coppia
erogare
la
di
al
motore
consentono
che
alimentazione
in
correnti
(modalità di controllo in coppia) oppure la velocità angolare desiderata (modalità
d* controllo in velocità). Per l’azionamento controllato, non è pertanto possibile
definire una singola curva di caratteristica meccanica, ma si ha invece un’intera
regione del piano coppia-velocità angolare che rappresenta le condizioni ammissibili di funzionamento: l’azionamento può lavorare con qualsiasi combinazione
di valori di velocità angolare e di coppia, purché il punto che individua questa
||| condizione nel piano Wm-Cm sia contenuto in tale regione. di
Per l’azionamento considerato, la regione delle condizioni funzionamento
w ‘ ammissibili è delimitata superiormente dalla curva di Figura 7.4, che è costituita
da un primo tratto a coppia costante e pari al valore M,nax (limite normalmente
imposto dalla corrente circolante negli avvolgimenti), corrispondente ai valori di
S,
velocità angolare inferiori a 5Jnl, e da un tratto in cui la coppia motrice risulta
inversamente proporzionale alla velocità angolare del motore (questa curva limita
la massima potenza erogata).
te
a
•lì
i
Figura 7.3 Caratteristica del motore asincrono trifase.
Si può inoltre osservare che per velocità angolari superiori alla velocità di sin¬
cronismo la coppia motrice diviene negativa, ossia risulta opposta alla velocità
angolare dell’albero motore. In queste condizioni il motore asincrono trifase si
comporta come un organo frenante, sottraendo potenza alla macchina.
Le inerzie del motore asincrono trifase possono essere rappresentate per mez¬
zo di un momento di inerzia costante Jm, che rappresenta il momento di inerzia
del rotore rispetto al proprio asse di rotazione.
Figura 7.4 Condizioni ammissibili di funzionamento per un motore asincrono trifase
azionato da inverter.
7.3 L'utilizzatore
In modo analogo a quanto fatto per il motore, è possibile definire una coppia
resistente ridotta M* che rappresenta complessivamente l’effetto di tutte le forze e
coppie applicate sull’utilizzatore della macchina, e un momento di inerzia ridotto
I
146
I
Capitolo 7
J* che rappresenta complessivamente tutte le inerzie poste sul lato utilizzatore
della macchina. Come per il lato motore della macchina, anche la riduzione delle
forze agenti sull’utilizzatore al corrispondente albero si basa su un'equivalenza
energetica, ossia deve mantenere invariata la potenza resistente complessiva Wr.
Pertanto, in analogia con la (7.2) è possibile scrivere:
22
(7.5)
Figura 7.5 Curve caratteristiche di diversi utilizzatori: a) coppia resistente costante,
b) coppia resistente quadratica, c) coppia resistente costante 4- quadratica.
/
mentre il calcolo del momento di inerzia ridotto J* dovrà mantenere invariata
l’energia cinetica dell’utilizatore:
l
che corrisponde a un grafico della caratteristica di coppia dell’utilizzatore del ti¬
po rappresentato nella Figura 7.5a. Questo tipo di caratteristica corrisponde per
esempio, a un utilizzatore che solleva un carico, come vedremo nel Paragrafo 7.7.
22
/■
in cui wr rappresenta la velocità angolare dell’albero motore.
Anche nel caso dell’utilizzatore, è spesso possibile definire una curva ca¬
ratteristica di coppia dipendente esclusivamente dalla velocità angolare dell’utilizzatore. Nel seguito si mostrano gli andamenti di alcune curve caratteristiche
rappresentative di alcune tipologie di utilizzatore frequentemente presenti nelle
macchine di impiego comune.
Nella maggior parte dei casi, la potenza del lato utilizzatore assume segno
negativo; questo perché l’utilizzatore richiede potenza per svolgere il compito che
gli è stato assegnato (sollevare un peso, muovere un veicolo, eseguire un lavora¬
zione meccanica ecc.). In questo caso, la coppia resistente ridotta M* assumerà
segno negativo, il che significa, ricordando che la potenza dell’utilizzatore Wr può
essere scritta come prodotto scalare tra la coppia resistente ridotta e la velocità an¬
golare dell’utilizzatore, che il verso della coppia resistente è opposto a quello della
velocità angolare del corrispondente albero. Esistono altri casi in cui invece la po¬
tenza resistente lato utilizzatore è positiva, e di conseguenza la coppia resistente
ridotta risulta equiversa al senso di rotazione dell’albero utilizzatore, si pensi per
esempio al caso di un autoveicolo che si muove in discesa.
Nella rappresentazione grafica della caratteristica meccanica dell’utilizzatore, nel caso in cui la coppia resistente sia senza possibile ambiguità diretta in senso
opposto a quello di rotazione dell’albero utilizzatore, si usa rappresentare il valore
assoluto della coppia resistente in funzione della velocità angolare dell’utilizzatorc. Ciò consente in particolare di rappresentare con semplicità per via grafica la
ricerca delle condizioni di regime della macchina. Nel seguito di questo paragrafo
si utilizzerà questo tipo di convenzione.
Coppia resistente costante Un primo caso che si considera è quello in cui la
coppia resistente generata dall’utilizzatore sia indipendente dalla velocità angola¬
re dell’albero utilizzatore stesso. Supponendo che tale coppia sia effettivamente
resistente, ossia si opponga alla rotazione dell’albero utilizzatore, si avrà:
M* =
— —
cost
Coppia resistente dipendente quadraticamente dalla velocità In questo caso
la coppia resistente è ancora opposta al senso di rotazione dell’albero utilizzatore,
ma risulta in valore assoluto proporzionale al quadrato della velocità angolare
dell’utilizzatore:
m; = -Awr2
con k costante. Questo tipo di caratteristica, rappresentata nella Figura 7.5b, cor¬
risponde a un utilizzatore che deve vincere resistenze di tipo fluidodinamico che,
come abbiamo visto nel Paragrafo 6.5, dipendono dal quadrato della velocità re¬
lativa con cui il fluido incide sul corpo. Come esempio applicativo, si può pensare
a una pompa di ricircolo che debba esclusivamente vincere le perdite di carico
presenti nel circuito idraulico, senza fornire al fluido una prevalenza, oppure a un
agitatore per un reattore chimico.
«
Coppia resistente costante + quadratica Un caso altrettanto frequente è quello
in cui le resistenze lato utilizzatore siano la somma di due componenti, una costan¬
te con la velocità, l’altra dipendente quadraticamente dalla velocità. L’espressione
della coppia resistente ridotta è in questo caso:
M* = -(MM +
kco^
Il grafico corrispondente a questa caratteristica è rappresentato nella Figura 7.5c.
Come esempio applicativo, si può pensare a una pompa che debba fornire una
prevalenza (per esempio sollevare di una certa quota il fluido), oppure a un veicolo
che nel suo moto debba vincere sia resistenze al rotolamento dovute all’attrito
volvente (resistenza costante con la velocità) sia resistenze aerodinamiche; questo
secondo sistema sarà studiato in dettaglio nel Paragrafo 7.8.
148
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
149
s
7.4 La trasmissione
La trasmissione di una macchina può essere realizzala per mezzo di dispositivi
quali ingranaggi, alberi, organi flessibili (cinghie trapezoidali o dentate) catene o
altri ancora. Una sintetica rassegna delle tipologie di organi di macchine utiliz¬
zabili per la realizzazione della trasmissione del moto è fornita nel Capitolo 10,
in questa sede ci si limiterà a esaminare gli effetti della trasmissione sul funzio¬
namento della macchina, prescindendo dalla particolare tipologia di trasmissione
utilizzata. Sotto questo profilo, la trasmissione deve essere studiata in quanto
organo che influenza sia la cinematica sia la dinamica della macchina.
Dal punto di vista cinematico, la trasmissione stabilisce una relazione tra le
velocità angolari dell’albero motore e dell’albero utilizzatore. Questa relazione
è espressa dal rapporto di trasmissione r, definito come rapporto tra la velocità angolare dell’utilizzatore a numeratore e la velocità angolare del motore a
denominatore:
r=
—
(7.6)
—
<L>m
— wr
(7.7)
còf = Tcùm
3
Con riferimento alle definizioni di moto diretto e retrogrado fornite sopra, si può
osservare che, in relazione alle funzioni generalmente attribuite al motore (pro¬
duzione di potenza meccanica) e all’utilizzatore (utilizzo della potenza per lo
3
.«Sa
T
In particolare, molti tipi di trasmissione (benché non tutte) sono caratterizzate da
un rapporto di trasmissione che si mantiene costante durante il funzionamento
della macchina; si parla in questo caso di trasmissioni omocinetiche. Nel seguito
di questo capitolo ci si limiterà a questo caso: di conseguenza, derivando la (7.7)
si ottiene:
—
r
Per quanto riguarda invece la dinamica della macchina, nell’ipotesi di inerzie della trasmissione trascurabili, l’effetto della trasmissione è solo quello di introdurre
una dissipazione di potenza, rappresentata nel bilancio di potenze (7.1) dal termine Wp. La potenza dissipata dalla trasmissione viene di norma espressa come
una frazione della potenza entrante nella trasmissione stessa. A questo scopo, è
necessario innanzitutto distinguere i seguenti due casi:
7»
'Jsb
,'i®
ì®
W
la potenza fluisce nella macchina dal lato motore verso il lato utilizzatore, come
rappresentato nella Figura 7.6a, condizione detta di moto diretto',
dal lato utilizzatore verso il lato motore, come
• la potenza fluisce nella macchina
rappresentato nella Figura 7.6b, condizione detta di moto retrogrado.
o
In entrambi i casi si verifica quindi un transito di potenza nella trasmissione; un
terzo caso che si può presentare nella realtà ma che non sarà considerato nel seguito, è quello di una trasmissione che può ammettere che la potenza entri da ambedue i lati della macchina, per compensare le perdite che si verificano all’interno
della trasmissione stessa (caso detto di trasmissione non reversibile).
b)
Figura 7.6 Flussi di potenza attraverso la trasmissione nel moto diretto e retrogrado:
a) condizione di moto diretto, b) condizione di moto retrogrado.
’fhj
clic può essere espressa anche nelle seguenti due forme:
r<om
a)
svolgimento di un “compito utile”), si potrebbe ritenere che la macchina debba
funzionare sempre in condizioni di moto diretto. In realtà, benché la condizio¬
ne di moto diretto sia certamente la più frequente, può presentarsi anche quella
di moto retrogrado: a tal fine si osservi che non sempre la potenza
resistente VVr
che si genera sul lato utilizzatore è negativa: per esempio nel caso di un auto¬
veicolo che si muove in discesa, la potenza positiva dovuta al peso (che agisce
a valle della trasmissione, e contribuisce quindi al termine 17r) è in generale su¬
periore alle resistenze all’avanzamento generate dalle resistenze al rotolamento e
aerodinamiche.
Nello stesso modo, possono esistere condizioni di funzionamento di una mac¬
china per le quali la potenza motrice lVm è negativa: per esempio, riprendendo
l’esempio dell’autoveicolo in discesa, è ragionevole pensare che il guidatore uti¬
lizzi in discesa un rapporto di trasmissione (selezionato per mezzo del cambio)
sufficientemente basso per far agire il cosiddetto “freno motore”, ossia per far
funzionare il motore in modo da assorbire potenza.
Infine, si deve osservare che, come descritto nel seguito, anche le potenze di
inerzia relative ai volani Jm e Ju posti sui due alberi della macchina hanno influen¬
za sul verso del flusso di potenza attraverso la trasmissione, per cui è possibile che
una macchina funzioni in moto retrogrado anche quando il motore sta erogando
una potenza positiva.
7.4.1 Espressione della potenza persa in condizioni
di moto diretto
Ai®
KSe la macchina funziona in condizioni di moto diretto, come mostrato dalla Figu¬
ra 7.6a, si ha un flusso di potenza IV| entrante nella trasmissione dal lato motore.
Di questa potenza entrante, una porzione Wp viene dissipata per effetto degli at¬
triti presenti nella trasmissione, mentre la restante potenza
IV2 esce verso il lato
utilizzatore della macchina. Poiché si ipotizzano trascurabili le inerzie della tra¬
smissione (e quindi la sua energia cinetica), applicando il bilancio di potenze alla
(
I
I
150
I
I
I
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
sola trasmissione si ottiene la relazione:
IV,
+ 1V2 + IVP = 0
(7.8)
in cui si attribuisce segno positivo al termine di potenza entrante nella trasmissione
Wi e segno negativo ai termini di potenza uscente ÌF2 c lFp.
Si definisce rendimento in moto diretto della trasmissione il rapporto (cam¬
biato di segno) tra la potenza uscente lato utilizzatore W2 e la potenza entrante W\
lato motore:
Wi
VF,
=
IBM
VF,
(7.9)
il rendimento così definito risulta sempre maggiore di zero (se si esclude il caso
di trasmissione non reversibile) e inferiore all’unità, in quanto il termine Wj deve
necessariamente assumere segno negativo, in quanto corrisponde a una dissipa¬
zione di energia che si verifica per effetto degli attriti e delle resistenze interni alla
trasmissione.
Dalla Definizione (7.9), utilizzando l’Equazione (7.8) segue che la potenza
perduta nella trasmissione VFP può essere scritta come:
VFp = -(IV, + W2) = -(VF, - ^VFj) = -(l -
(7. IO)
oppure, esplicitando la potenza perduta in funzione della potenza IV2 uscente lato
utilizzatore:
(7. Il)
7.4.2 Espressione della potenza persa in condizioni
di moto retrogrado
Se nell’istante considerato la macchina funziona in condizioni di moto retrogrado,
la situazione dei (lussi di potenze attraverso la trasmissione è quella riportata nella
Figura 7.6b, in cui si ha una potenza 1V2 entrante dall’utilizzatore e una potenza
VFi uscente dalla trasmissione verso il lato motore, oltre al termine IFp di potenza
perduta. Scrivendo il bilancio delle potenze per la trasmissione, e considerando
ancora positive le potenze entranti, si ha ancora:
W7|
+ W2 + Wp = 0
(7.12)
Definiamo in questo caso rendimento in moto retrogrado ?/r della trasmissio¬
ne il rapporto tra la potenza uscente lato motore W| e la potenza entrante lato
utilizzatore W2:
VF,
w2
_
w2
(7.13)
151
in questo caso, con considerazioni analoghe a quelle fatte per il caso del moto
diretto, l’espressione della potenza perduta nella trasmissione ÌVp diviene:
VFp
= -(tv, 4- W2) = -(W2 - >ìrW2) = -(1 - i;r)lF2
(7.14)
oppure
VFp =
-f— V/r
(7.15)
H|VF||
/
7.4.3 Determinazione del flusso di potenza
attraverso la trasmissione
»
In base a quanto detto, per poter esprimere la potenza perduta nella trasmissione
IFp è necessario prima determinare se la macchina funziona in condizioni di moto
diretto o retrogrado. A tal fine è necessario scrivere un bilancio di potenze par¬
ziale del solo lato motore, che consente di determinare la potenza 1F, scambiata
tra il lato motore e la trasmissione e quindi, in particolare, di determinare se essa
è diretta dal motore alla trasmissione (moto diretto) o viceversa (moto retrogra¬
do). Una volta accertata la condizione di funzionamento della macchina, si può
esprimere le potenza perduta 1FP usando le Equazioni (7.10) e (7.14). Alternati¬
vamente, si può ottenere lo stesso risultato scrivendo un bilancio parziale del solo
utilizzatore.
Per chiarire il procedimento esposto sopra, facciamo riferimento allo schema
base della macchina riportato nella Figura 7.7, in cui tutte le forze agenti sul lato
motore sono state ridotte al momento M * , le forze agenti sul lato utilizzatore sono
rappresentate dal momento M* e le inerzie della macchina sono state ridotte ai due
momenti di inerzia 7* e J*.
Se si considera, come mostrato nella parte centrale della figura, il solo lato
motore (circondato da una “frontiera”, rappresentata dal rettangolo tratteggiato) è
possibile evidenziare la potenza W| scambiata da questo con la trasmissione; nella
figura, tale potenza è assunta per convenzione uscente dal lato motore. Applicando
l’equazione di bilancio di potenze (7.1) a questa sola parte del sistema si ottiene:
W|
= 7Jltcò|nmnl
in cui la potenza VFj compare con segno negativo, in quanto uscente dalla frontiera
del lato motore, e quindi tale da diminuire il livello energetico del sottosistema
considerato. Esplicitando questa equazione rispetto a VF| si ottiene:
VF^^*-/^)^,
(7.16)
il segno della potenza IV, così calcolata consente di distinguere il caso di moto
diretto ( W| > 0) da quello di moto retrogrado ( VF| < 0).
Volendo invece determinare la condizione di moto della macchina attraver¬
so un bilancio di potenze parziale dell’ utilizzatore, si deve fare riferimento allo
schema riportato nella parte inferiore di Figura 7.7, ottenendo l’equazione:
—
M*a>r W2 = J*à>ra>r
152
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
153
occorre scrivere un bilancio di potenze del tipo (7.1) per tutta la macchina, com¬
prendente quindi la potenza perduta IV,, che, a sua volta, richiede la conoscenza
della potenza entrante nella trasmissione.
Per sciogliere questa indeterminazione occorre ipotizzare un verso per il flus¬
so di potenza (moto diretto o retrogrado), calcolare in tale ipotesi la potenza per¬
duta, ricavare l’accelerazione della macchina e verificare a posteriori la validità
e W2 e osservandone il segno. Ovviamente, il
dell’ipotesi fatta calcolando
valore dell’accelerazione calcolato per la macchina può essere considerato cor¬
retto solo se l’ipotesi fatta circa il flusso di potenza si rivela congruente con il
risultato ottenuto, altrimenti occorrerà ricalcolare l’accelerazione della macchina
nell’ipotesi opposta a quella assunta inizialmente. Questo tipo di procedimento
sarà chiarito negli esempi applicativi e negli esercizi.
7.4.4 Trasmissioni in serie
Figura 7.7 Schema della macchina a un grado di libertà e bilancio di potenze parziale
del lato motore/utilizzatore.
da cui:
W2 = (M;-J*ùt)a>t
In alcune macchine la connessione tra il motore e la trasmissione avviene per
mezzo di due stadi successivi di trasmissione, posti uno in serie all’altro. Esempio
tipico è l’autoveicolo, nel quale di norma si ha una prima riduzione della velocità
angolare del motore che si realizza nel cambio, e un secondo stadio di riduzione
che è realizzato dalla coppia conica che collega l’albero di uscita del cambio al
differenziale. In questi casi è possibile definire per l’intera trasmissione un unico
rapporto di trasmissione complessivo e, sotto ipotesi che verranno precisate nel
seguito, un rendimento complessivo.
Per quanto riguarda il rapporto di trasmissione, siano rj e t2 i due rapporti
di trasmisssione parziali dei due stadi della trasmissione; si definiscano poi (Figu¬
ra 7.8) <w,n e a>r le velocità angolari del motore e dell’utilizzatore e <»i la velocità
angolare dell’albero intermedio che collega i due stadi di trasmissione. Per la
definizione data di rapporto di trasmissione si ha:
(7.17)
in questo caso si avrà moto diretto per (W2 < 0) e moto retrogrado per (W2 > 0).
Come dimostrato dalle Equazioni (7.16) e (7.17), il segno delle potenze IV, e
W2 non dipende solo dal valore dei momenti ridotti lato motore e utilizzatore
e M*, ma anche dall’accelerazione istantanea della macchina. Di conseguenza,
è opportuno discutere brevemente i seguenti due casi che si possono presentare
nello studio della macchina:
1. Accelerazione nota
Si osservi che, in questo caso, grazie al legame cinema¬
tico tra
c stabilito dal rapporto di trasmissione (7.6), sono note le accelera¬
zioni di entrambi gli alberi della macchina. Basta quindi valutare la più comoda
tra le due Espressioni (7.16) e (7.17) per determinare la condizione di moto.
2. Accelerazione incognita In questo caso l’analisi è più complessa, perché
per valutare il segno delle Espressioni (7.16) e (7.17) occorre conoscere il valo¬
re dell accelerazione angolare dei due alberi, ma per calcolare questa incognita
ù)t
=
da cui, eliminando tra le due equazioni
mr = rir2<wm
che definisce come rapporto di trasmissione complessivo il prodotto dei due rap¬
porti di trasmissione parziali dei due stadi.
I
154
I
I
I
I
I
ì
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo?
Per quanto riguarda il rendimento, con riferimento al caso di moto diretto (Figu¬
ra 7.8), si definisce VV| la potenza entrante dal motore nel primo stadio di trasmis¬
sione, con Wj, la potenza uscente dal primo stadio della trasmissione, con VP,, la
potenza entrante nel secondo stadio di trasmissione e infine con W2 la potenza
uscente verso l’ utilizzatore. Per definizione di rendimento si ha:
^,=1;,^
155
Lo studio del moto (sia in condizioni di regime, sia in transitorio) di una macchi¬
na che realizzi queste condizioni sarà oggetto del Paragrafo 7.6, mentre nei Pa¬
ragrafi 7.7, 7.8 e 7.9 forniremo alcuni esempi applicativi di particolare interesse
tecnico.
Nel Paragrafo 7. IO si accennerà invece il funzionamento di una macchi¬
na per la quale le condizioni citate non si verificano. Si mostrerà che per una
macchina di questo tipo non è possibile il funzionamento in regime assoluto,
ma possono sussistere invece condizioni di funzionamento di regime periodico.
Per questo motivo, una macchina di questo tipo sarà detta macchina a regime
periodico.
i
B
w2 = i)2w„
Nel solo caso in cui sull’albero intermedio che collega i due stadi di trasmissione
non sia applicata alcuna forza in grado di generare o dissipare potenza, e inoltre
se il momento di inerzia dell’albero intermedio può essere ritenuto trascurabile, si
può porre:
Wh
7.6 Dinamica della macchina a regime e in moto vario
= Wl!
e quindi, sostituendo opportunamente:
Al fine di scrivere l’equazione di moto della macchina a un grado di libertà, si
applica l’equazione di bilancio delle potenze (7.1) utilizzando le espressioni della
potenza motrice, resistente, perduta e dell’energia cinetica ricavate in precedenza,
W? = W2W1
relazione che può essere interpretata affermando che (nelle ipotesi sopra riportate)
il rendimento di due trasmissioni in serie è dato dal prodotto dei due rendimenti
parziali.
e che vengono richiamate qui per comodità:
W.n =
7.5 Condizioni di funzionamento della macchina
Le condizioni di funzionamento di una macchina del tipo rappresentato nella
Figura 7.7 possono essere riassunte in tre categorie dette:
o regime assoluto (spesso indicato semplicemente come “regime”): si tratta di
una condizione di funzionamento in cui l’energia cinetica della macchina si
mantiene costante nel tempo;
e moto vario (spesso indicato come “transitorio”): è una condizione di moto in
cui l’energia cinetica della macchina subisce una variazione nel tempo; esempi
tipici di moto vario sono la fase di avviamento, durante la quale la macchina si
porta dalla condizione di quiete a una condizione di moto a regime, e di arresto,
durante la quale avviene la transizione opposta dal regime alla quiete;
o regime periodico: che può essere visto come una particolare condizione di moto
vario, in cui l’energia cinetica della macchina, pur variando nel tempo, assume
un andamento periodico, ossia ritorna ad assumere lo stesso valore a intervalli
regolari di tempo (in genere corrispondenti a un multiplo o sottomultiplo intero
del periodo di rotazione della macchina);
Affinché una macchina possa funzionare in condizioni di regime assoluto è neces¬
sario che si verifichino le seguenti due condizioni:
o il momento motore ridotto e il momento resistente ridotto non devono dipen¬
dere dalla posizione angolare dei relativi alberi, ma unicamente dalle velocità
angolari di questi;
e i momenti di inerzia ridotti del motore e deH’utilizzalore devono essere costanti.
Wr = M*wr
=
2^*^
particolare, per quanto riguarda il secondo membro della (7.1), in cui compare la derivata dell’energia cinetica, essendo in questo caso per ipotesi costanti
i momenti di inerzia ridotti del motore e dell’utilizzatore, le derivate dell’energià cinetica ripettivamente del motore e dell’utilizzatore assumono le seguenti
espressioni:
in
5-
H
H
—
là
>
=
dEc
dEc
drr21 =
dr
= 7*ùJrÓr
(7.18)
Per la potenza perduta Hzp si utilizzerà infine l’Espressione (7.10) o la (7.14), a
seconda che il moto sia diretto o retrogrado. Considerando per ora il caso di moto
diretto, l’equazione di bilancio delle potenze che si ottiene è:
|
0
9d) (^ni
+ Jr COr(Or
Inserendo in tale equazione l’espressione del legame cinematico (7.6) tra la ve¬
locità angolare dell’albero motore e dell’albero dell’utilizzatore e riordinando i
termini si ottiene:
0?dM* + rM*)ci>m = (i?dJ* 4- r2J*)ajnlwm
da cui, semplificando il Icrminc a>m ed esplicitando in funzione dell’accelerazione
angolare dell’albero motore, si ottiene l’equazione di moto della macchina per
156
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
condizioni di moto diretto:
157
equazioni, in particolare, si riducono rispettivamente a:
ridM^ + tMr*
(7.19)
che rappresenta un’equazione differenziale del primo ordine, attraverso la quale
si può determinare l’andamento nel tempo della velocità angolare <t>m dell’albero
motore a partire da una data condizione iniziale, oppure, in alternativa, la coppia
motrice necessaria per realizzare una legge di moto desiderata. Dall’espressione
sopra scritta si ricava l’influenza della trasmissione sulla dinamica del sistema:
considerando il caso più frequente di r < 1 (riduttore) si osserva che dell’equa¬
zione di moto (7.19) il termine a numeratore corrispondente al momento resistente
viene ridotto dal rapporto di trasmissione: ne segue che l’uso di un riduttore con
rapporto di trasmissione sufficientemente inferiore all’unità consente di vincere
momenti resistenti elevati per mezzo di un motore che sviluppa un momento mo¬
tore relativamente piccolo. Per contro, la dissipazione di potenza che ha luogo
nella trasmissione va a ridurre (attraverso il rendimento z/j inferiore all’unità) il
contributo del momento motore a numeratore: ciò corrisponde al fatto che par¬
te della potenza prodotta dal motore non concorre a vincere le resistenze o ad
accelerare la macchina, bensì viene dissipata nella trasmissione.
Per quanto riguarda infine il denominatore della (7.19), si osserva che il con¬
tributo associato all’inerzia dell’utilizzatore risulta ridotto in ragione del quadrato
del rapporto di trasmissione: ciò significa che, a fronte di un rapporto di tra¬
smissione molto inferiore all’unità, un’inerzia relativamente piccola posta sul lato
motore della macchina può risultare più importante ai fini del calcolo dell’acce¬
lerazione di un’inerzia molto maggiore posta a valle della trasmissione. Que¬
sto concetto trova applicazione in molti tipi di macchina, tra cui l’impianto di
sollevamento e l’autovettura che saranno trattati nei prossimi paragrafi.
Nel caso in cui invece la macchina funzioni in condizioni di moto retrogrado,
mediante passaggi analoghi si ottiene l’equazione di moto della macchina nel caso
di moto retrogrado:
M* +
= TTI
777
W2 =
Si osservi che a regime, venendo a mancare il contributo dei termini inerziali, la
condizione di moto diretto o retrogrado può essere determinata a priori in base
al segno del momento ridotto del motore o dell’utilizzatore (che devono essere
necessariamente di segno opposto per consentire la conservazione dall’energia
cinetica).
L’equazione che descrive il funzionamento della macchina in moto diretto a
regime diviene:
+ tM* = 0
(7.22)
+ )?rriWr* = 0
(7.23)
e per il moto retrogrado si ha invece:
7.7 Moto di un impianto di sollevamento carichi
ÀÌ
In questo paragrafo e nei due successivi si studieranno alcuni esempi particolar¬
mente significativi relativi al funzionamento di diversi tipi di macchina, utilizzan¬
do le equazioni ricavate nei paragrafi precedenti.
Il primo esempio trattato è quello di un impianto di sollevamento carichi (Figu¬
ra 7.9), azionato da un motore asincrono trifase collegato a una puleggia attraverso
una trasmissione formata da una coppia di ingranaggi del tipo ruota elicoidale-vite
(7.20)
7.6.1 Condizioni di funzionamento in regime assoluto
Le condizioni di funzionamento in regime assoluto della macchina si ottengono
imponendo la condizione di regime:
—=
dt
0
sia nel bilancio delle potenze, sia nelle Equazioni (7.16) e (7.17) che consentono
di determinare la condizione di moto diretto o retrogrado. Queste ultime due
(7.21)
Figura 7.9 Impianto di sollevamento carichi.
158
Dinamica della macchina a un grado di liberta
Capitolo 7
159
mentre l’energia cinetica del lato motore e del lato utilizzatore sono rappresentate
dalle espressioni:
senza fine 2. Sulla puleggia si avvolge una fune metallica collegata da un lato alla
cabina che porta il carico da sollevare, e all’estremità opposta a un contrappeso.
rispettivamente la massa della cabina
Nel seguito si indicheranno con mc, m„ e
a vuoto, la massa del carico utile portato dalla cabina e la massa del contrappeso.
Infine, sull’albero motore è calettato un volano J„.
£cm = ~ (7in + Jv) w2,
Ec, =
7.7.1 Funzionamento in salita dell'impianto
Si considera innanzitutto la condizione di funzionamento dell’impianto in cui la
cabina si muove verso l’alto. In questa situazione la macchina è soggetta, sul lato
motore, a una coppia motrice Mm concorde con la velocità angolare dell’albero
motore e dipendente da questa secondo la caratteristica di Figura 7.3.
Sul lato utilizzatore invece agiscono le forze peso relative alla cabina (com¬
prensiva del carico trasportato) e al contrappeso. Come mostrato nella Figu¬
ra 7. IO, la forza peso e la velocità sono discordi sulla cabina e concordi sul
contrappeso.
Di conseguenza, la potenza motrice c la potenza resistente assumono le espres¬
sioni:
1
(.me + mu)
, 1 ,
, I
V2 + -mqVq2 + -Jpwj
avendo indicato con Jm, Jv e Jp i momenti di inerzia rispettivamente del rotore del
motore, del volano posto sull’albero motore e della puleggia. Infine, l’espressione
della potenza perduta dipende dal fatto che nella situazione considerata la mac¬
china funzioni in condizioni di moto diretto o retrogrado. Ciò a sua volta dipende
da una serie di fattori, per esempio dal rapporto tra le masse della cabina (più
carico utile) e del contrappeso, oltre che dall’accelerazione istantanea della mac¬
china. Come descritto nel Paragrafo 7.4, si dovrà quindi in generale ipotizzare una
direzione per il flusso di potenza (per esempio moto diretto), calcolare l’accelera¬
zione della macchina c infine verificare l’ipotesi fatta. Ipotizzando per esempio il
funzionamento in moto diretto, l’espressione della potenza perduta risulta:
% = -(1 - »7d)W| = -(1 - t/(1) (Mm - (Jm + Jv)wm)a),„
Wr = -(mc + I"u)g Ve + in^g Vq
Per scrivere l’equazione di moto della macchina occorre infine determinare i le¬
gami cinematici che esprimono la relazione tra la velocità di salita della cabina e
la velocità angolare del motore, e tra le corrispondenti accelerazioni. Supponendo
che non vi sia strisciamento tra fune e puleggia, le velocità 14 della cabina e Vq
del contrappeso possono entrambe essere espresse come:
(7.24)
14 = Rcor
ir:
f
Vq
= Ra>r
in cui R e a>r sono rispettivamente il raggio e la velocità angolare della puleggia.
Applicando l’equazione di bilancio delle potenze e sostituendo i legami cinematici
sopra riportati, si ottiene l’equazione di molo per la condizione di moto diretto
ipotizzata:
>
\
^111
À.
Figura 7.10 Condizione di funzionamento in salita e in discesa del lato utilizzatore
dell'impianto di sollevamento carichi.
2Si tratta di un tipo di rotismo atto a trasmettere il moto tra due assi fra loro ortogonali. In genere
questo tipo di trasmissione presenta un elevato rapporto di riduzione (ossia un valore del rapporto
di trasmissione r molto inferiore a l) e un rendimento modesto, attorno a 0.7-r0.8.
’ld (7,„
+
+ r2 (mcR2 + muR2 + mqR2 + 7p)
mentre nel caso di moto retrogrado (con passaggi analoghi a quelli riportati per il
caso di moto direttto) l’equazione di moto assume la forma:
|
.
W"'
Mm - ??rT (»ic + m„ - »»q) gR
Jm + fi + i?rr2 (nicR2 + muR2 4- niq/?2 + Jp)
160
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Moto a regime dell'impianto in salita Se la macchina funziona a regime, la
direzione del flusso di potenza attraverso la trasmissione può essere determinato a
priori in funzione del rapporto tra le masse appese ai due lati della fune. Nel caso
di salita a regime, il moto è diretto se il peso complessivo della cabina più carico
utile risulta superiore a quello del contrappeso: infatti in questo caso la poten¬
za Wr dell’ utilizzatore espressa dalla (7.24) risulta negativa, e quindi si richiede
nel funzionamento della macchina un trasferimento di potenza dal motore verso
l’ utilizzatore.
Se si considera allora il caso di salita a regime a pieno carico (/«c +mu > /nq)
il moto è sicuramente diretto e l’equazione di bilancio delle potenze fornisce:
1
t,
I’:
Kt
Kfc
Per quanto riguarda l’ utilizzatore, si invertono le direzioni delle velocità della
cabina e del contrappeso, come mostrato nella parte di destra della Figura 7.10. Di
conseguenza, l’espressione della potenza motrice rimane immutata rispetto al caso
in salita, mentre quella della potenza resistente cambia segno. Per quanto riguarda
invece l’energia cinetica l’espressione rimane uguale sia per il lato motore sia per
l’utilizzatore, perche la sua espressione non risente del segno delle velocità.
Operando gli stessi passaggi descritti per il moto in salita, per la condizione
di moto diretto, si ottiene l’equazione:
PdAfm + r (mc + mu -m^gR
- -—
Pd (7m + Jy) + r2 (mcR2 + muR2 + mqR2 + Jp)
.
—
riiMm - r (mc + mu - mq) gR = 0
in cui non compaiono i termini relativi all’accelerazione della macchina, per l’i¬
potesi di moto a regime. Quest’equazione può essere utilizzata per calcolare il
momento motore necessario per il funzionamento a regime dell’impianto, e quin¬
di per determinare il punto della caratteristica di coppia in cui si trova a funzionare
il motore.
Al contrario, se il peso del contrappeso supera quello della cabina più carico
utile, alla salita della cabina corrisponde una potenza resistente positiva: ciò si¬
gnifica che il lato utilizzatore della macchina sviluppa una potenza positiva che,
essendo il moto a regime, non può andare a incrementare l’energia cinetica dell’ utilizzatore, e deve quindi risalire la trasmissione. Della potenza prodotta dall’utilizzatore, una porzione sarà dissipata nella trasmissione mentre la parte restante
dovrà essere assorbita dal motore, che dovrà quindi, in questo caso, funzionare
da freno. Per esempio, se la macchina funziona in condizioni di salita a vuoto
(mu = 0), si ha mc <
e pertanto la macchina funziona in moto retrogra¬
do. Ricordando che a vuoto la massa mu è nulla, l’equazione che descrive il
comportamento della macchina in questa condizione è:
Afm +
(mq - mc) gR-0
Esplicitando questa equazione rispetto al momento motore Mm si ottiene che esso
deve assumere valore negativo, il che significa che, per far funzionare a regime in
salita a vuoto rimpianto, il motore deve comportarsi da freno e dunque lavorare a
una velocità superiore a quella di sincronismo.
7.7.2 Funzionamento in discesa dell'impianto
Si considera in questo caso che il motore ruoti in senso (ale da produrre un moto
verso il basso della cabina. Si osservi che nel moto in discesa dell’impianto, si in¬
verte anche il senso di rotazione del campo magnetico sviluppato dallo statore del
motore (Paragrafo 7.2.2). Di conseguenza, anche nella fase di discesa il momento
motore risulta concorde con il senso di rotazione dell’albero per velocità angolari
inferiori a quella di sincronismo e risulta invece discorde rispetto alla rotazione al
di sopra del sincronismo.
161
*
e, per la condizione di moto retrogrado, l’equazione:
&
.
W"'
_
Mm + prr (mc+mu -in^gR
Jin +
Jy + t?rr2 (meR2 + muR2 + mqR2 +
Jp)
..
Si lascia al lettore la discussione dei casi di moto a regime in discesa a pieno
carico e a vuoto, e in particolare la giustificazione del fatto che nel moto a regime
in discesa a pieno carico la macchina funziona in moto retrogrado, mentre nella
discesa a vuoto funziona in condizioni di moto diretto.
A conclusione del paragrafo, osserviamo che il flusso di potenza nella trasmissione non ha a priori nessuna relazione con il verso di moto della macchina:
la macchina considerata in questo esempio può funzionare in condizioni di moto
diretto o retrogrado sia quando si muove nel senso di salita della cabina, sia per
cabina in discesa.
/3
7.8 Dinamica longitudinale di un autoveicolo
In questo paragrafo saranno ricavate le equazioni che descrivono il moto di avan¬
zamento di un autoveicolo in fase di accelerazione. La condizione di moto del vei¬
colo considerata è rappresentata nella Figura 7.1 1: il veicolo è posto in moto con
velocità* in direzione longitudinale, mentre l’asse anteriore e quello posteriore
del veicolo ruotano con velocità angolari rispettivamente 0A e 0P.
Le forze esterne agenti sul veicolo, riportate nella figura, sono costituite dal
peso proprio Mg, dalla resistenza aerodinamica Facr e dalle azioni di contatto sui
due assi del veicolo. Per quanto riguarda queste ultime, si indicano con 7a e
/VA rispettivamente la componente longitudinale e quella normale della forza di
contatto sulla singola ruota dell’asse anteriore, c con 7|> c NP le corrispondenti
componenti di forza su una ruota dell’asse posteriore. Inoltre si assumerà che
per simmetria le forze agenti sulle due ruote dello stesso asse risultino uguali,
riducendo il caso trattato a un problema piano. Si osservi che le forze normali
risultano avanzate rispetto al centro della corrispondente ruota per effetto dell’at¬
trito volvente. Sul veicolo agisce infine la coppia motrice Mm erogata dal motore
(non rappresentata nella figura); questa costituisce una forza interna al veicolo,
162
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
163
in cui cum è la velocità angolare del motore e Mm è il momento motore, funzione
della velocità angolare del motore secondo la caratteristica meccanica mostrata
nella Figura 7.2.
II termine di potenza resistente tiene conto delle resistenze al moto prodotte
dall’attrito volvente e dalle resistenze aerodinamiche, e assume l’espressione:
Wr = Wrra + Wr,„ = -2NKfvRÒK - 2NPfvRÒP -
e NP indicano l’azione normale sulla singola ruota dell’asse anteriore
in cui
o posteriore. Inserendo in questa espressione i legami cinematici tra le velocità
angolari dei due assi e la velocità di avanzamento della vettura, e osservando che,
per l’equilibrio in direzione verticale del veicolo si ha:
Figura 7.11 Condizione di moto dell'autoveicolo e forze agenti su di esso.
che però può compiere lavoro (e quindi compare nel bilancio di potenze del vei¬
colo stesso) per effetto della rotazione relativa tra l’albero motore e la scocca del
veicolo.
Per studiare il moto longitudinale deH’autoveicolo di Figura 7. 1 1 si utilizzerà
l’ipotesi di rotolamento senza strisciamento delle ruote sid terreno. Questa ipotesi
sarà verificata una volta nota l’accelerazione del veicolo. Utilizzando l’ipotesi di
rotolamento senza strisciamento, è possibile esprimere le velocità angolari degli
assi anteriore e posteriore del veicolo in funzione della velocità di avanzamento
del veicolo stesso attraverso le relazioni:
2Na + 2NP = Mg
si ottiene:
W, = -Mgfvx
Inoltre (considerando un veicolo a trazione posteriore) la velocità angolare del
motore è legata alla velocità angolare dell’asse posteriore dalla relazione stabilita
dalla trasmissione:
=
L’energia cinetica del lato motore della vettura può essere scritta semplicemente
—
1
2
in cui Jm è il momento di inerzia del motore, considerato costante. L’energia
cinetica delle inerzie poste a valle della trasmissione può invece essere scritta
come:
(7-25)
T
in cui r rappresenta il rapporto di trasmissione complessivo del cambio e del
ponte:
Di conseguenza, il moto del veicolo è descritto da un’unica equazione di moto
che definisce la variazione nel tempo di una singola coordinata libera del sistema.
Come coordinata libera si può scegliere, per esempio, la posizione longitudinale
x del veicolo stesso.
L’equazione di moto del sistema può essere scritta facendo uso del bilancio
di potenze nella forma (7.1). La potenza motrice risulta pari a:
Win — iff
- ^pSC^
come:
^cm
w,,,
^pSCxx3
Per determinare l’espressione della potenza perduta IVp si osservi che durante il
transitorio di accelerazione del veicolo, la trasmissione funziona sicuramente in
condizioni di moto diretto, in quanto il motore deve fornire potenza al lato uti¬
lizzatore sia per vincere le resistenze all’avanzamento, sia per consentire l’incre¬
mento dell’energia cinetica di questo. Di conseguenza, la potenza perduta assume
l’espressione:
Wp = (I
rj^ (Mm
7mrùm) <unl
Applicando l’equazione di bilancio delle potenze si ottiene:
JìdMmwm — Mgf^x
1
,
— -pscxx
= tyj7,nft>i»wn, + Mxx 4- 4Jrcurwr
164
Capitolo?
Dinamica della macchina a un grado di libertà
165
e introducendo in tale equazione i legami cinematici che legano la velocità ango¬
lare delle ruote e del motore alla velocità di avanzamento del veicolo, e semplifi¬
cando opportunamente, si ottiene:
—
1
- us/,- -_Psc.x
\,r
/
cz- *2
r
+
-4Jr +
\
„
che costituisce l’equazione di moto del veicolo considerato come sistema a un gra¬
do di libertà, e che può essere esplicitata rispetto alla incognita x rappresentante
l’accelerazione del veicolo:
—— -
.. f - -pSCxx2
1/d^m- Mg/,
-2
2
Rt
HdZn
(7.26)
4Jr
Tale equazione rappresenta un’equazione differenziale nell’incognita x e nelle sue
derivate, che deve essere integrata per via numerica (Paragrafo 7.8.3) a causa delle
non-linearità introdotte dalla dipendenza del momento motore Mm dalla velocità
angolare w„, del motore (e quindi, per effetto dei legami cinematici, dalla velocità
del veicolo x) e del termine non lineare associato alla resistenza aerodinamica.
inserendo in tali equazioni i legami cinematici di rotolamento senza strisciamento
e risolvendo rispetto ^lle incognite NA e NP si ottiene:
/VP =
|
7.8.1 Verifica dell'aderenza tra pneumatici e strada
L’equazione di moto (7.26), ricavata nell’ipotesi di rotolamento senza strisciamen¬
to delle ruote sulla strada, risulta valida se le componenti normali c tangenziali
delle forze su entrambi gli assi del veicolo soddisfano la condizione di aderenza
rappresentata dalla (6.10).
In parallelo all’integrazione della (7.26), occorre perciò calcolare il valore
delle forze agenti al contatto tra i pneumatici e la strada e verificare la condizione
di aderenza.
Per calcolare il valore delle componenti normali delle forze di contatto sui
assi,
occorre scrivere due equazioni di equilibrio dinamico; per esempio (con
due
riferimento alla Figura 7. 12), è possibile scrivere un equilibrio alla rotazione del¬
l’intero veicolo attorno al punto P in cui si intersecano la retta di azione delle
forze /Va, Ta e Tp, e un equilibrio dell’intero veicolo alla traslazione in direzione
verticale:
2Npp
—
Mg(a 4- u)
— —
Mxhi
Mg
-pSCxx2li2
- 2NA -
2Np
=0
— —
2Jr0A
2Jr0p
=0
p-
|
Mg(a 4- h) 4-
1
,
J,
Mxh\ 4- -pSCxx2hi 4- 4—x
2
N, =
Per calcolare le componenti longitudinali delle forze di contatto occorre scrivere
due ulteriori equazioni di equilibrio dinamico; la prima è rappresentata dall’equilibrio dinamico in direzione longitudinale dell’intero veicolo:
1
^Mx - -pSCxx22 4- 2Ta 4- 27p = 0
(7.28)
la seconda equazione non può riguardare l’intero veicolo, per il quale sono già
p
K
K
K
stale scritte tre equazioni di equilibrio; occorre quindi scrivere un’equazione
relativa a una sola parte de) veicolo. La più semplice equazione di equilibrio dinamico
parziale riguarda l’equilibrio dinamico dell’asse anteriore alla rotazione attorno al
proprio centro. Facendo riferimento alla Figura 7.13, che mostra le forze e coppie
agenti sull’asse anteriore (in cui con HA e Va si indicano le componenti orizzontali e verticali della reazione scambiata dalla ruota con la scocca del veicolo),
tale
equazione assume la fprma:
K
-2Jr0A - 27Vah - 2TaR = 0
B
(7.29)
Inserendo nelle (7.28) e (7.29) i legami cinematici tra l’accelerazione x del veicolo e l’accelerazione angolare 0A dell’asse anteriore, ed esplicitando rispetto
alle
I
I
I
I
166
I
I
I
I
I
I
I
I
Capitolo 7
•y
gì
Mm =
fej
T^
7p
u
Jt
*
।
ammissione:
Sé*-
,
y
—
^ni ~
H„maI(®,„) - MlllniinOm)
(7 31)
e
rappresentano la coppia motrice erogata dal motore in condizioni di ammissione minima e massima.
in cui
'
7.8.3 Studio numerico del transitorio di accelerazione
Una volta ricavate le espressioni delle forze di contatto, le condizioni di aderenza
sui due assi assumono la forma:
86:
È
ni:
7p
ni';-'
Ove l’aderenza non risulti soddisfatta per uno dei due assi del veicolo (questo può
avvenire, in fase di accelerazione, per l’asse motore), occorre introdurre un secon¬
do grado di libertà, rappresentante la rotazione dell’asse che ha perso aderenza,
ed esprimere la forza longitudinale corrispondente in base alla legge dell’attrito
radente (6.6).
Ovviamente, se la perdita di aderenza avviene su tutti c due gli assi del veicolo (situazione che può verificarsi in fase di frenatura), occorrerà introdurre due
gradi di libertà aggiuntivi, uno per ciascun asse.
—V \(Mgfv + ^pSCxV2]
2
/
'L:
S
.
167
»
(7.30)
= - ( Mx + -pSCxx2 j - 7\
I
I
Infine, il grado di ammissione (Paragrafo 7.2.1) corrispondente alla condizione di
funzionamento a regime si ottiene, nota la velocità angolare di regime del motore
e la coppia erogata a regime A/n), esplicitando la (7.4) rispetto al grado di
8
= -N^--—x
I
II momento motore necessario per mantenere il veicolo in condizioni di regime si ottiene invece imponendo che si annulli l’accelerazione del veicolo, ossia
annullando il numeratore dell’equazione di moto (7.26):
fe
incognite 7a e 7p si ottiene:
I
Dinamica della macchina a un grado di libertà
ci:
S\
Una volta definite le condizioni di regime dell’autoveicolo, è possibile studiare il
transitorio durante il quale il veicolo accelera, portandosi in una differente condizione di regime. Lo studio della partenza da fermo richiederebbe invece rintro¬
duzione di un modello dell’innesto a frizione, dato che il motore a combustione
interna non è in grado di funzionare a velocità nulla.
La legge di moto del veicolo durante il transitorio di accelerazione è determi¬
nata dalle modalità con le quali il guidatore varia nel tempo il grado di ammissione
del motore, facendo variare la coppia motrice da esso erogata. Tra le varie possi¬
bilità a disposizione, si è scelto di esaminare il caso in cui il guidatore aumenti il
grado di ammissione secondo la legge temporale a “rampa” mostrata nella Figura 7.14: si assume dunque che il grado di ammissione vari linearmente a partire
:g
»
7.8.2 Determinazione delle condizioni di regime
In questo paragrafo sono determinate le condizioni di regime dell’autoveicolo cor¬
rispondenti a un assegnato valore V della velocità di avanzamento. La velocità
angolare delle mote e dell’albero motore corrispondenti alle condizioni di regi¬
me (indicate per mezzo di un Simbolo soprasegnato) sono direttamente fornite dai
legami cinematici:
-
V
0A = 0P = -
_=
Wm
—
V
Figura 7.14 Storia temporale dell'Incremento del grado di ammissione nel transitorio
di accelerazione.
168
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
169
Figura 7.15 La vettura Alfa Romeo GTV 2000 (1971).
dal valore y corrispondente alla condizione di regime precedentemente calcolata,
fino a raggiungere, dopo il tempo tr il valore massimo, corrispondente a premere
a fondo il pedale dell’acceleratore.
La storia temporale del moto dell’autoveicolo può essere ottenuta integrando
numericamente l’equazione differenziale di moto del Sistema (7.26).
Applicazione: la vettura Alfa Romeo GTV 2000 (1971) A conclusione dell’ar¬
gomento si riporta l’applicazione numerica di quanto sopra esposto al caso di un
autoveicolo Alfa Romeo mod. GTV 2000 del 1971. La Tabella 7. 1 riporta i valori
numerici dei dati utilizzati nel calcolo. Tali dati sono stati, ove possibile, reperiti
in letteratura, e in caso contrario sono stati stimati in base a dati disponibili per
Tabella 7.1 Dati numerici relativi al veicolo Alfa Romeo GTV 2000.
Grandezza
Massa veicolo
Momento di inerzia ruote
Unità di misura
Valore numerico
[kg]
1040
[kg • m2]
0.08
[kg • m2]
0.28
Raggio ruote
[ni]
Passo veicolo
[m]
0.25
2.35
Distanza baricentro-asse anteriore
Altezza del baricentro dal suolo
Imi
1.15
[in]
0.55
Altezza del centro delle pressioni dal suolo
[ni]
0.6
Sezione maestra del veicolo
Coefficiente di resistenza aerodinamica Cx
lm2l
1.65
[-]
0.38
0.013
Momento di inerzia motore
Coefficiente di attrito volvente
Rapporti al cambio (5 maree)
Rendimento del cambio (5 marce)
Rapporto di trasmissione al ponte
1-1
[-]
[-]
[-]
0.30 0.50 0.74 1.00 1.27
0.90 0.94 0.94 0.97 0.97
0.2193
Figura 7.16 Accelerazione da 15 km/h, moto del veicolo.
veicoli simili. Nelle simulazioni si è assunto un valore del coefficiente di aderenza
paii a 1.12, corrispondente a strada asciutta.
Si è assunta una velocità iniziale del veicolo di 15 km/h, con cambio in prima
marcia, e un andamento nel tempo del fattore di ammissione del tipo mostrato
nella Figura 7.14 con tempo /r pari a 2 secondi, e si è ipotizzato che il guidatore
cambi marcia quando il motore raggiunge il regime di rotazione di 6000 g/min.
Per semplicità, si è ipotizzato che il cambio di marcia corrisponda a una variazione
istantanea del rapporto di trasmissione, trascurando i transitori di disinnesto e
successivo re-innesto della frizione.
La Figura 7.16 riporta l’andamento in funzione del tempo della velocità e
dell’accelerazione del veicolo: la velocità raggiunta dal veicolo dopo 6 secondi
è di circa 26 m/s, pari a circa 93 km/h. L’accelerazione massima, pari a circa
6 m/s2, viene toccata dopo 2 secondi del transitorio.
La Figura 7.17 mostra invece la storia temporale delle forze normali e lon¬
gitudinali su una ruota dell’asse motore. Si osserva in particolare che nell’istante
corrispondente alla massima accelerazione del veicolo (2 secondi) la forza longi¬
tudinale Tp raggiunge il suo valore massimo, pari a circa 3300 [N], Nello stesso
istante, la forza normale sulla ruota è pari a circa 3200 [NJ, per cui le ruote motrici
si trovano in una situazione molto prossima alla perdita di aderenza.
La Figura 7.18 mostra infine l’andamento nel tempo dei diversi termini che
intervengono nel bilancio di potenze del veicolo durante il transitorio. Nella parte
superiore della figura, il diagramma in linea continua rappresenta l’andamento
(
I
170
I
I
Capitolo 7
I
I
I
I
I
Dinamica della macchina a un grado di libertà
171
della potenza motrice mentre quello in linea tratteggiata rappresenta (in valore
assoluto) il complesso dei termini di potenza resitente e perduta. Si osserva che la
differenza tra i due termini è elevata, e che quindi il veicolo ha a disposizione una
grande quantità di potenza per incrementare la propria energia cinetica, ossia per
IN]
accelerare.
Nella metà inferiore della figura vengono invece riportati (in valore assoluto)
l’andamento della potenza resistente di rotolamento, della potenza delle resistenze
aerodinamiche e della potenza perduta nella trasmissione. Si osserva che nella pri¬
ma fase del transitorio del veicolo, in cui la velocità è bassa, prevale fra le tre fonti
di dissipazione quella relativa alla trasmissione. Nella parte finale della simula¬
zione invece la potenza perduta nella trasmissione decresce, perché il rendimento
del cambio in seconda marcia è più elevato di quello in prima, e nel contempo la
potenza delle resistenze aerodinamiche cresce per effetto della maggior velocità
del veicolo.
7.9 Dinamica longitudinale di un convoglio ferroviario
Figura 7.17 Accelerazione da 15 km/h, forze di contatto sulla ruota motrice.
In questo paragrafo si introduce un modello particolarmente semplice, a 1 gra¬
do di libertà, che può essere utilizzato per Io studio della dinamica longitudinale
di un treno. In tale modello si ipotizza che tutte le ruote del convoglio rotolino
senza strisciare sulle rotaie, e si trascurano tutti gli effetti di deformabilità asso¬
ciati, per esempio, agli organi della trasmissione, ovvero alle barre di trazione che
trasmettono la forza motrice dalla locomotiva alle carrozze rimorchiate.
Si considera poi che l’unità di trazione del veicolo sia costituita da un nu¬
mero nmoi di motori asincroni trifase azionati mediante inverter del tipo descritto
nel Paragrafo 7.2.3 , supponendo che si richieda costantemente all’azionamento
di erogare la massima coppia possibile in relazione alla velocità angolare rag¬
giunta dal motore: in questa ipotesi si ottiene nuovamente un singolo valore di
coppia associato a ciascuna velocità angolare, e la curva di Figura 7.4 può essere
interpretata come la caratteristica meccanica dell’azionamento.
Espressione della potenza motrice La potenza motrice complessiva relativa
all’intero convoglio può essere scritta ipotizzando che tutti i motori del convoglio
possiedano, in un dato istante, la stessa velocità angolare wln ed eroghino la stessa
coppia Mln, e assume l’espressione:
l'fin =
Figura 7.18 Accelerazione da 15 km/h, andamento nel tempo dei vari termini di
potenza.
^Questo tipo di azionamento è quello die trova attualmente maggiore diffusione in campo fer¬
roviario, anche se non mancano esempi di applicazione di altre tipologie di azionamento elettrico e
in casi particolari si hanno convogli con trazione diesel o mista diesel-elettrica.
172
Capitolo?
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Espressione della potenza resistente La potenza resistente, nel caso del con¬
voglio ferroviario, risulta composta da due termini, uno dovuto alle resistenze al
rotolamento, l’altro alle resistenze aerodinamiche:
Espressione dell'energia cinetica del convoglio
L’energia cinetica del siste¬
ma è fornita dalla somma dell’energia cinetica del motore e di quella del lato
utilizzatore:
= ECm + ECt
+ IV^
Il primo termine, dovuto alla non perfetta elasticità delle ruote e delle rotaie, viene
scritto tenendo conto del fatto che la forza normale agente al contatto tra ruota
e rotaia risulta avanzata rispetto alla verticale passante per il centro della ruota.
L’espressione di questo termine è la seguente:
assi
i=l
in cui nassj è il numero totale di assi che compongono il convoglio, N,- è il carico
normale gravante su ciascuna ruota, R, il raggio della ruota e a)ri la sua velocità
angolare.
Se si ipotizza il rotolamento senza strisciamento di tutte le ruote del convoglio
sulle rotaie si ha:
Wri =
V
-
Per quanto riguarda il lato motore, si ha la somma delle energie cinetiche di tutti
i motori del convoglio:
^cm
—
1
»mol
-2
2 •Anelli
(
Per quanto riguarda invece il lato utilizzatore, l’energia cinetica complessiva è
data dalla somma dei termini relativi a tutti i corpi che compongono il convoglio,
ovvero, per ciascun veicolo, la cassa, due carrelli e quattro sale. La casse e i
carrelli di ciascun veicolo si muovono di moto traslatorio (essendo V la velocità
di ciascuno di questi coipi), mentre le sale si muovono di moto rototraslatorio,
essendo V la velocità del centro ruota c a>r la velocità angolare. Di conseguenza
l’espressione dell’energia cinetica complessiva dell’utilizzatore è:
Ec, =
»v |
22 2 [('"“M* + 2/llcarq) v2 + 4 (/«sala. V2 + Jr/W2)]
(7.32)
inoltre per l’equilibrio in direzione verticale dell’intero convoglio (supposto viag¬
giante in piano), si ha:
22 Ni =
173
in cui JTj è il momento di inerzia rispetto al proprio asse di simmetria polare
della singola sala dell’i-esimo veicolo. Ricordando l’ipotesi di rotolamento senza
strisciamento (7.32) si ottiene:
+ 2/nCarrf + 4(nisa|a() +
nitotg
i=l
4-^
V2
-m*V2
r
2
con:
in cui m10t è la massa totale del convoglio, pari alla somma delle masse di tutti i
veicoli che lo compongono. Utilizzando tali relazioni e ipotizzando un uguale va¬
lore del coefficiente di attrito volvente e del raggio per tutte le ruote del convoglio
si ottiene:
m*
/llcassa; 4” 2//lcan'J.
m{olR2 +
+ 4(//isaiai) + 4-^j
R2 =
4nv-^
(7.33)
in cui si è ipotizzato che tutte le sale abbiano lo stesso momento di inerzia.
= -/«lotg/vV
Per quanto riguarda invece il termine dovuto alle resistenze aerodinamiche, si ha:
= ~pSCrV3
dove p è la densità dell’aria (pari, mediamente, a 1.25 kg/m3), S è la superfi¬
cie frontale (o sezione maestra) del convoglio e Cr è il coefficiente di resistenza
aerodinamica del convoglio.
(
Espressione della potenza perduta Nella fase di avviamento, il convoglio fer¬
roviario funziona in moto diretto, ossia la trasmissione di potenza attraverso la
trasmissione avviene dal motore verso l’ utilizzatore. Infatti durante questa fase
il lato utilizzatore del convoglio assorbe potenza sia per vincere le resistenze di
rotolamento e aerodinamiche, sia per incrementare la propria energia cinetica. Si
può quindi esprimere la potenza perduta secondo l’espressione:
% = -(1 - ^d) W.n
dr /
—
(1
Ud) Ohnoi^fin
«inol 7m/à|n) <Unl
I
174
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
175
Equazione di moto del convoglio ferroviario in accelerazione Applicando
l’equazione del bilancio delle potenze alle espressioni dei vari termini di potenza
e di energia cinetica ricavati in precedenza si ottiene:
nwt^ni^m "b
11
(1
5
—
^d)Uinot (^m
'fm^in) ^in =
"b t«r V Cl
introducendo in tale equazione la relazione di rotolamento senza strisciamento
(7.32) e riordinando i termini si ottiene:
t/dttinot^m
mm&f.
1
cr
(^mortàl-An
a
Figura 7.19 II treno ETR500.
da cui:
a=
dV
d/
—
(7.34)
questa equazione differenziale fornisce l’andamento della velocità del convoglio
V V(t) durante ravviamento. Si osservi che l’equazione di moto (7.34) con¬
=
tiene termini non lineari dovuti:
o al legame non lineare tra il momento motore e la velocità angolare del motore
debilito dalla caratteristica del motore rappresentata nella Figura 7.4;
o alla dipendenza del momento resistente ridotto dal quadrato della velocità per
effetto delle resistenze aerodinamiche;
di conseguenza, l’integrazione di tale equazione deve essere condotta per via
numerica, utilizzando uno dei metodi disponibili per l’integrazione numerica di
equazioni differenziali alle derivate totali (per una panoramica relativa a questi
metodi numerici si veda, per esempio, [17]). Un metodo che trova vasta applica¬
zione per la sua semplicità di utilizzo, unita alla buona precisione, è il metodo di
Runge-Kutta del quarto ordine, che è stato utilizzato nell’applicazione numerica
presentata nel seguito.
L’Equazione (7.34) può essere anche utilizzata per calcolare la condizione di
regime del convoglio. A tale fine si deve imporre nell’equazione che si annulli
l’accelerazione angolare del motore, ottenendo la condizione di regime:
(7.35)
rR
dove
— tW|n(tum) — Afnl
V
tR
Poiché il momento motore Mm dipende in maniera non lineare dal valore della
velocità angolare del motore ù>m, la soluzione dell’Equazione (7.35) deve essere
ottenuta per via numerica.
.Applicazione numerica a un convoglio ETR500 Nella presente applicazione si
farà riferimento a un convoglio ETR500 (Figura 7.19) composto da una motrice
posta in testa al convoglio, dieci carrozze rimorchiate e una seconda motrice posta
in coda. Tale composizione è quella utilizzala più spesso nell’esercizio di questo
treno, e può quindi essere presa a riferimento.
Ogni motrice è equipaggiata con 4 motori in corrente continua, ciascuno con
potenza di 1 100 kW. I dati del convoglio rilevanti per la simulazione della dina¬
mica longitudinale sono riassunti nella Tabella 7.2. Sostituendo tali valori nu¬
merici nelle espressioni riportate in precedenza, è possibile innanzitutto ottene¬
re la condizione di regime, risolvendo per mezzo di opportuni metodi numerici
l’Equazione (7.35).
Si ottiene un valore di regime della velocità di avanzamento del convoglio
pari a:
wr = 209.9 rad/s
V
= 93.4 m/s = 336.3 km/h
Si osservi che la condizione di regime calcolata non tiene conto di una serie di ef¬
fetti (qualità della captazione, problemi di stabilità, sicurezza di marcia, comfort)
che possono limitare la velocità massima del veicolo a valori inferiori a quello
calcolato. Il risultato ottenuto è quindi da ritenersi (nei limiti dati dalle approssi¬
mazioni sui valori numerici dei parametri utilizzati nel calcolo) un limite massimo
teorico di velocità del convoglio, e non necessariamente una condizione di marcia
effettivamente raggiunta nell’esercizio.
La Figura 7.20 rappresenta graficamente la soluzione dell’Equazione (7.35):
che indica l’azione motrice com¬
la linea continua rappresenta il termine
longitudinale del veicolo, de¬
avanzamento
di
libertà
di
grado
al
plessiva ridotta
purata delle perdite nella trasmissione, mentre la linea tratteggiata riporta l’an¬
+ ^pSC, V2
damento in funzione della velocità angolare del termine
che rappresenta in valore assoluto l’effetto di tutte le resistenze agenti sul vei¬
colo. La condizione di regime è quindi rappresentata dal punto di intersezione fra
le due curve.
176
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
177
Tabella 7.2 Dati del convoglio ETR500.
Coppia massima (per motore)
Velocità angolare TU (Figura 7.4)
Massa locomotore
Massa carrozza rimorchiata
Cmax
[N • m]
Ct?
[rad/s]
160
^loc
[kgl
72000
6875
^car
(kg)
45400
Momento d’inerzia sala
Momento d'inerzia motore (per motore)
A
in2]
[kg m2]
90
•
10
Raggio mote
R
(ni]
0.445
Coefficiente di attrito volvente
Sezione maestra
fy
S
1-1
[m2]
1-1
1-1
1-1
0.008
7.8
Coeff. di resistenza aerodinamica
Cr
Rapporto di trasmissione
T
Rendimento della trasmissione
4d
Ikg
1.05
35/92
0.975
Integrando numericamente l’equazione di moto (7.34), attribuendo come condi¬
zione iniziale una velocità angolare nulla all’albero motore, è invece possibile
simulare ravviamento da fermo del convoglio ferroviario. La Figura 7.21 riporta
Figura 7.21 Transitorio di avviamento da fermo del convoglio ETR500 (per marcia in
piano).
la storia temporale della velocità e accelerazione del convoglio durante l’avvia¬
mento. Si osserva che la massima accelerazione si ottiene nell’istante iniziale del
moto, in cui è massima la coppia motrice e, contemporaneamente, sono minime
le resistenze poiché non si ha resistenza aerodinamica.
Il valore massimo dell’accelerazione risulta pari a circa 0.45 [m/s2]. Il convoglio
raggiunge una condizione prossima a quella di marcia a velocità massima in un
tempo di 500 secondi. La Figura 7.22 mostra l’andamento dei vari termini del
bilancio di potenze durante l’avviamento del convoglio. Il massimo della potenza
motrice è pari alla potenza totale installata sul convoglio, ossia 8 x 1100 [kWJ.
Nella fase iniziale dell’avviamento, la potenza erogata dai motori viene utilizzata
prevalentemente per incrementare l’energia cinetica del sistema, ossia per acce¬
lerare il convoglio. All’aumentare della velocità, una porzione sempre maggiore
della potenza motrice viene assorbita dalle resistenze, e in particolare da quelle di
natura aerodinamica.
7.10 La macchina in regime periodico
Figura 7.20 Rappresentazione grafica delle condizioni di regime del convoglio
ETR500 (per marcia in piano).
Si consideri ancora una volta lo schema base della macchina mostrato nella Fi¬
gura 7.7. Nei paragrafi precedenti lo studio di questo sistema è stato condotto
nell’ipotesi che il momento motore ridotto M* e il momento resistente ridotto M*
dipendano solo dalle velocità angolari dei rispettivi alberi e non dalla posizione
angolare di questi. Inoltre, si è supposto finora che i momenti di inerzia ridotti del
I
178
I
I
I
Capitolo 7
I
te
Dinamica della macchina a un grado di libertà
179
K
k
gì
[È
motore e l’utilizzatore della macchina siano posti sullo stesso albero, senza l’inImposizione di una trasmissione. Dal punto di vista del bilancio di potenze, questo
significa che viene a mancare il termine relativo alla potenza perduta IVp, mentre
per quanto riguarda i legami cinematici, è possibile scrivere:
te
K
te
k
te
fe
</>m = </>r = 0
ti>,n
= a>r = w
cibili = cì>r = ci;
Nell’applicare il bilancio di potenze, occorre osservare che, nel caso considera¬
to, i momenti di inerzia ridotti del motore e dell’utilizzatore sono funzione della
posizione angolare dell’albero </> la quale, a sua volta, è funzione del tempo. Con¬
sidcrando per esempio il lato motore e applicando la regola di derivazione delle
funzioni composte si ottiene:
—
dr
—
dJ‘(0)d0
dr
d</>
dJ*(0)
d0
e quindi:
d^
Figura 7.22 Bilancio delle potenze durante l'avviamento del convoglio ETR500 (per
marcia in piano).
lato motore e deH’utilizzatore 7* e J* fossero costanti. Esistono però macchine
nelle quali una o più di queste quantità dipende dalla configurazione istantanea
della macchina, ossia dalla posizione angolare degli alberi motore e utilizzatore.
In generale, la dipendenza dei momenti ridotti e dei momenti di inerzia ridotti
dalla configurazione istantanea della macchina è causata dalla presenza di un le¬
game cinematico non lineare tra la posizione dell’albero motore Co utilizzatore) e
lo spostamento fisico di un punto in cui è applicata una forzante oppure è posta
una inerzia non trascurabile. Questo caso più generale di macchina sarà studiato
a livello introduttivo in questo paragrafo.
A questo scopo si consideri l’espressione generale delle potenza motrice,
resistente, e dell’energia cinetica della macchina:
^ni =
VVr
—
M*(<f>r,a>r)a>r
Ec. =
in cui </>„, e 0r rappresentano le posizioni angolari degli alberi motore e utilizza¬
tore della macchina. Per semplicità di trattazione, ci si limiterà al caso in cui il
.
,
U
d/
I dj*^)
2
,
d0
analoga espressione si ottiene per la derivata rispetto al tempo dell’energia ci¬
netica dell’utilizzatore. Sostituendo queste espressioni nel bilancio di potenze e
semplificando opportunamente si ottiene:
x
/
MI (0, w) + Mr*(0, co) = (J‘(0) +
।d
ù+ - V
+ -W))
-r
ed esplicitando rispetto all’accelerazione angolare dell’albero:
W co) +
a» - + JW)
(7.36)
L’equazione di moto (7.36) ha una forma del tipo:
«; + «•
- = «; +77«
*
in cui M*n è il momento ridotto delle forze motrici, M* il momento ridotto delle
forze resistenti, M*^ il momento ridotto delle forze quadratiche di inerzia (il cui
significato sarà chiarito nel seguito), J* il momento d’inerzia ridotto all’albero
motore di tutte le masse presenti nella macchina. Rispetto all’equazione di moto
(7.19), che descrive il moto di una macchina in cui nessuna delle grandezze va¬
ria con la posizione angolare degli alberi, si osservano due differenze: in primo
luogo il momento d’inerzia ridotto J* non è costante, ma dipende dalla posizione
180
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
angolare 0 dell’albero. Inoltre compare il nuovo termine M‘, che rappresenta un
termine inerziale che dipende dal quadrato della velocità angolare anziché dall’ac¬
celerazione angolare. Come sarà mostrato nel prossimo capitolo con riferimento
alla macchina alternativa, questo termine corrisponde al fatto che nel tipo di mac¬
china studiato in questo paragrafo alcuni componenti dotati di massa subiscono
accelerazioni diverse da zero, anche se l’albero della macchina ruota a velocità
angolare co costante. A tali forze è associato un termine di potenza di inerzia che
dà luogo a un termine aggiuntivo nell’equazione di moto.
È importante sottolineare che tutte e due le differenze che si riscontrano ri¬
spetto alle macchine trattate in precedenza hanno origine dalla presenza di un
legame cinematico non lineare tra la rotazione dell’albero e il moto delle altre
parti della macchina.
Se si integra l’Equazione (7.1) di bilancio delle potenze tra il generico tempo t e
il tempo t -|- T e si impone la condizione (7.37) si ottiene:
i+r
,+T
dt
=0
e poiché:
si può eseguire un cambiamento della variabile di integrazione, ottenendo:
/’0+n
/_
J0
(M*(0) + Afr*(0))d0 = O
(7.38)
in cui gli estremi di integrazione sono ottenuti ponendo:
=0
n = 0(T + t)-0(r)
0 = 0(0
(^ni» ^m) — 0
che non può essere soddisfatta identicamente per qualsiasi valore del tempo, per¬
ché i due momenti agenti sull’albero motore dipendono secondo espressioni di¬
verse dalla posizione angolare dell’albero. In altre parole, la macchina studiata in
questo paragrafo sarà destinata a muoversi presentando continue variazioni della
velocità angolare dell’albero.
E però possibile che l’accelerazione angolare dell’albero motore, pur non
rimanendo costantemente nulla, vari periodicamente nel tempo con periodo T, il
che significa che nel proprio moto la macchina subirà una periodica alternanza
di fasi di accelerazione e di decelerazione, tali però da compensarsi a vicenda, in
modo che la velocità media della macchina non cambi.
La condizione di funzionamento in regime periodico può essere ottenuta
imponendo nell’equazione di bilancio delle potenze che l’energia cinetica della
macchina abbia andamento periodico nel tempo:
"+T
Ec(t + T)
d0
;
0=¥
si ottiene l’equazione:
à7|n (0m< tt>in) +
=0
ossia, sostituendo le espressioni della potenza motrice e resistente:
Per una macchina retta da una equazione di moto avente la forma (7.36) non è
possibile ottenere una condizione di funzionamento in regime assoluto. Infatti,
affinché si verifichi tale condizione di moto sarebbe necessario che in ogni istante
del funzionamento l’energia cinetica della macchina si mantenga costante. Se
però si impone nel bilancio di potenze la condizione:
—
—
dEc dt
dt
7.10.1 Condizioni di funzionamento in regime periodico
dEe
181
—
dEc dr
dr
=0
(7.37)
•<
K
e in particolare l’angolo fi rappresenta il periodo angolare della macchina, de¬
finito come il valore della rotazione dell’albero motore dopo il quale si ripete
periodicamente il valore di tutti i momenti ridotti all’albero stesso. L’Equazione
(7.38) indica che per ottenere una condizione di moto periodico è necessario che si
annulli l’integrale esteso al periodo angolare fi della somma dei momenti motore
e resistente ridotti all’albero motore.
7.10.2 Irregolarità periodica della macchina
Un tipico problema tecnico che si presenta nella progettazione delle macchine che
operano in regime periodico consiste nel limitare le oscillazioni di velocità che la
macchina subisce nel suo funzionamento. L’entità delle oscillazioni di velocità
può essere quantificata per mezzo di un parametro adimensionale t, detto grado
di irregolarità periodica definito come:
.
I
=
^inax
Camiti
._
(7.39)
tUmcd
in cui «Umax, &>inin e w.nej rappresentano rispettivamente il valore massimo mini¬
mo e medio della velocità angolare dell’albero motore valutati nel periodo della
macchina.
t
(
(
I
182
I
(
I
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
Allo scopo di limitare l’ irregolarità periodica della macchina viene di norma uti¬
lizzato un volano, il cui momento di inerzia può essere determinato per mezzo di
metodi approssimali, per i quali si rimanda a [1] e [3]. Nel caso in cui il moto
periodico sia prodotto da un utilizzatore che genera un momento resistente va¬
riabile con la posizione angolare della macchina, un secondo mezzo per limitare
l'irregolarità periodica consiste nell’adottare un motore avente una caratteristica
di coppia che nell’intorno della condizione di funzionamento presenta una forte
pendenza negativa (come avviene per esempio per il motore asincrono trifase in
prossimità della velocità di sincronismo, Figura 7.3). In questo modo la macchina
reagisce a un lieve rallentamento con un forte incremento della coppia motrice e
a un’accelerazione con un decremento della coppia, cosicché il motore contrasta
l’azione irregolare dell’utilizzatore; per maggiori dettagli si rinvia a [3].
Per calcolare il valore dell’irregolarità periodica, è possibile
ripartire dall’equa¬
zione di bilancio di potenze, scritta nella forma:
(Mm +
</> =
integrando nel tempo ambo i membri si ottiene:
f'
/
Jo
•
(Mm + Mr(0))0dz
—
i
osservando infine che:
•
—
—
dE..
dr
±dr = Ec(/) - Ec(0)
= Jo/I" dEc
dt
7.10.3 Un esempio applicativo
Sia data una macchina del tipo mostrato nella Figura 7.23, costituita da un solo
albero su cui si applica un momento motore Mm costante e un momento resistente
variabile in funzione della rotazione </> dell’albero che, come mostrato nella figura
stessa, si mantiene pari a zero per i primi tre quarti del giro dell’albero e poi si
mantiene costante e pari a 4Mo fino alla fine del giro.
183
—
= d</>
d/
È possibile sostituire la variabile di integrazione, ottenendo:
- ^e(O) =
r<l>
/
J»
Wn + Mr(</>)W
questa formula indica che la variazione dell’energia cinetica
della macchina tra
la posizione iniziale 0
0 e una posizione generica, può essere ottenuta per
=
Figura 7.23 Esempio di macchina funzionante in regime periodico.
Si calcoli innanzitutto il valore del momento motore costante che permette il fun¬
zionamento della macchina in regime periodico. A questo scopo è possibile uti¬
lizzare la Formula (7.38). In questo caso il periodo fi di funzionamento della
macchina è pari a 2^, per cui si ottiene:
C~n
/
(M,,, + A/r)d0
integrazione rispetto all’angolo 0 della funzione costituita dalla
del momento motore c del momento resistente. Tale funzione somma algebrica
integrale può essere
ottenuta in modo molto semplice in questo esempio, perché la funzione
integranda
è costituita da una serie di segmenti paralleli all’asse delle
ascisse. La Figura 7.24
mostra la funzione integranda e il risultato dell’integrazione.
Osservando questa
seconda funzione, è facile calcolare il valore della massima variazione
di energia
cinetica della macchina, che nel caso considerato risulta:
£c(0)
= j/rA/y
Tt
= 2?r Mm + -(-4M0) = 0
da cui:
Mm = Mn
questo risultato mostra che il momento motore costante che mantiene in regime
periodico la macchina è pari al valore medio sul giro del momento resistente.
Figura 7.24 Calcolo della massima variazione di energia cinetica della macchina di
Figura 7.23.
184
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Nota la massima variazione dell’energia cinetica della macchina è possibile otte¬
nere il valore dell’irregolarità periodica con il seguente calcolo:
= ^^niax —
= 2^
~
+ ^min)
da cui, introducendo l’approssimazione:
^max 4" renila
2
— t^med
e ricordando la definizione dell’irregolarità periodica fornita dalla (7.39):
=
da cui, noto il valore medio della velocità angolare della macchina, si ottiene il
valore dell’irregolarità periodica:
come si osserva, a parità di variazione dell’energia cinetica e di velocità angolare
media della macchina, un valore maggiore del momento di inerzia J comporta un
minor valore dell’irregolarità periodica.
7.11 Esercizi
Esercizio 1 II sistema nella Figura 7.25 è costituito da un motore che aziona un
utilizzatore tramite una trasmissione (rendimento tj e rapporto di riduzione r). Il
motore eroga un momento motore Mm costante, l’ utilizzatore esercita una coppia
resistente Mr opposta al senso di rotazione del proprio albero il cui modulo cresce
linearmente con la velocità angolare wu dell’albero utilizzatore.
In queste condizioni si richiede di calcolare:
1. l’accelerazione angolare dei due alberi della macchina allo spunto;
2. la velocità angolare di regime dei due alberi.
Considerando poi una condizione di frenatura della macchina in cui, a partire dalla
situazione di regime calcolata al punto 2, vengono annullati i momenti motore Mm
e resistente Mr e viene applicalo sull’albero utilizzatore un momento frenante M;,
si calcolino:
3. la decelerazione dei due alberi durante la fase di frenatura;
4. il tempo totale di arresto.
I dati del sistema considerato sono: momento motore Mm
= 30 Nm; momento
resistente M, = 5wu Nm; momento d’inerzia lato motore Jm = 0.1 kgm2; mo¬
mento d’inerzia lato utilizzatore Ju = 10 kgm2; momento frenante Af, 50 Nm;
=
rapporto di trasmissione r = 1/10; rendimento in moto diretto dclla‘trasmissione
ria = 0.9.
—
Risoluzione Per calcolare l’accelerazione angolare allo spunto si scrive il bilan¬
cio di potenze per l’intero sistema meccanico, cioè:
—
IV,„ 4- VVr + IVp1 = d£c
d/
in cui le espressioni della potenza motrice e resistente sono rispettivamente:
IV,,,
= Mm(v,
IVr = Mrw,
Per calcolare la potenza dissipata nella trasmissione IVP si osserva innanzitutto
che nella fase di avviamento la macchina funziona in condizioni di moto diretto,
infatti l’utilizzatore deve ricevere potenza dal motore sia per vincere il momento
resistente sia per incrementare la propria energia cinetica durante la fase di acce¬
lerazione. Di conseguenza, la potenza perduta può essere espressa come frazione
della potenza We entrante nella trasmissione dal lato motore:
% = -(1 - i/d)IVc
la potenza entrante può essere calcolata per mezzo di un bilancio parziale del solo
lato motore:
ALn&àn
We
JmCOmCÒjn
—0
"4 — Afma>nl
e quindi:
IPp
—
(1
l/d) (A/mt^m
•^01^111^,,,)
L’energia cinetica della macchina ha espressione:
„
•
— 1,2
2^mù,m 4“ 2^uWu
2
e la derivata rispetto al tempo diviene:
Figura 7.25
185
d£c
;
d/
— 7nlminóùni 4- Juù)u(Ì)u
Jm<u,nci),n
186
I
I
Capitolo 7
I
pjnarnica della macchina a un grado di libertà
Infine, per ricavare l’equazione risolvente, occorre ricordare le espressioni che
legano le velocità e le accelerazioni angolari dei due alberi attraverso il rapporto
si osservi che tale quantità risulta
sicuramente
lerazione velocità e accelerazione angolare del positiva, perché nella fase di dece¬
motore hanno segni discordi.
Con passaggi analoghi a quelli svolti in precedenza
si perviene alla seguente
espressione dell’equazione di moto:
di trasmissione:
«u = r<wm
Sostituendo le espressioni sopra riportate nel bilancio di potenze e semplificando
il termine a>m comune a tutti gli addendi si ottiene:
— 01d<An +
4" C
— ila^m +
ila
T*Ju)«i
tM,
ró|n
= 14.21 rad/s2
«n>0)
sostituendo i valori numerici si ottiene:
wu = 54 rad/s
,*a
= wu/r = 540 rad/s
In fase di frenatura l’espressione dei diversi termini del bilancio di potenze, a ecce¬
zione della derivata dell’energia cinetica, cambia per effetto del fatto che vengono
a mancare il momento motore e quello resistente, mentre si aggiunge sull’albero
utilizzatore il momento frenante Mf.
W„>
Wr =
=0
Per quanto riguarda la potenza perduta nella trasmissione, si osserva che anche
nella fase di frenatura la macchina lavora in condizioni di moto diretto: infatti il
volano Jm posto sul lato motore decelera e rende disponibile una potenza di iner¬
zia positiva, che non può essere assorbita dal lato motore e quindi attraversa la
trasmissione verso l’utilizzatore. L’espressione della potenza perduta è quindi an¬
cora del tipo scritto in precedenza, essendo però in questo caso la potenza entrante
We fornita dall’espressione:
IVe
—
Jinmnl£Z>in
rMf
7 "F: TYT
Ju
ùa = róm = -2.63 rad/s2
= wnl(0) + Jo/
ó,„dz
= wm(0) + wmz
in cui wm(0) rappresenta la velocità angolare
di regime dell’albero motore. Im¬
ponendo l’annullamento della velocità e
risolvendo
rispetto al tempo si ottiene il
tempo di arresto za:
i7dAfm + rMr = 0
=0
—
La macchina subisce dunque un molo
uniformemente
celerazione angolare rimane costante durante tutto il decelerato (il valore dell’ac¬
transitorio di arresto). L’e¬
quazione che descrive la variazione della
velocità, per esempio dell’albero motore,
durante il transitorio di arresto è quindi:
La velocità di regime della macchina può essere calcolala a partire dalla stessa
equazione di moto, tenendo presente che a regime i termini di accelerazione si
annullano. In tal modo l’equazione di moto si riduce a:
27 - 0.5wu
«in
«m = -26.3 rad/s2
sostituendo i dati numerici, e osservando che allo spunto il momento resistente è
pari a zero in quanto la velocità dell’utilizzatore è nulla, si ottiene:
—
—
e, sostituendo i valori numerici:
T2/|
<óin = I42. 1 rad/s2
tA'ff
(4d7m 4- t~ Ju)iòm
che esplicitata rispetto all’accelerazione
angolare del lato motore fornisce:
questa equazione consente di rispondere alle prime due domande poste: innan¬
zitutto, l’equazione può essere esplicitata rispetto all’incognita ci>m accelerazione
angolare del motore:
«m
187
:
_
—
«m(0)
;
«in
540
-26.3
= 20.25 s
Esercizio 2 II sistema nella Figura 7.26 è costituito
da un motore che movimenta
a traslazione una massa per mezzo di
una trasmissione che prevede in serie un
riduttore e un accoppiamento chiocciolaa una forza resistente F. Si richiede di vite. La massa traslante M è sottoposta
determinare:
1. la coppia motrice necessaria per far
avanzare la massa a velocità costante;
Figura 7.26
188
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo 7
2. la coppia motrice necessaria per imprimere alla massa un’accelerazione a
0.5 m/s2;
3. nella condizione di moto descritta al punto 2, l’azione assiale nella vite.
=
fé
iS ìe
te
E
I dati del sistema sono: massa traslante A/ = IO kg, momento di inerzia lato
motore Jm = 0.05 kgm2, modulo, della forza resistente F = 1000 N, rapporto di
trasmissione del riduttore. t| 1/5, rendimento del riduttore p] = 0.75, passo
della vite p = 0.01 m, rendimento della coppia chiocciola-vite = 0.6.
Risoluzione Per rispondere ai primi due punti dell’esercizio, occorre impostare
il bilancio di potenze della macchina, per esempio nella forma:
+ ivr + wp =
W K/
Ite
dr
I termini di potenza motrice e resistente assumono l’espressione:
K
K
We
—
0
>
Ti P
“
~Z
2n
la relazione cinematica tra le accelerazioni si ottiene derivando rispetto al tempo
la relazione trovata tra le velocità:
'‘n
,3
'
L’energia cinetica della macchina è la somma di quella del volano
e di quella della massa traslante:
Tip
//
s
\
=
Tip
_
Pi 2n
.zi
/
Per rispondere al punto 1 dell’esercizio, si impone in questa equazione <àm
0,
che corrisponde alla condizione di accelerazione nulla della massa, e si esplicita
l’equazione rispetto all’incognita Mm:
1 0.2x0.01
x 1000 = 0.707 Nm
0.45
2n
Per rispondere al punto 2, occorre innanzitutto calcolare l’accelerazione angolare
ó>m dell’albero motore corrispondente a un’accelerazione lineare della massa di
0.5 m/s2:
n
Jm lato motore
—
(
l^\P\2 \ .
pt Jm + ( — ) M wm
- ~F
2n =\
in
j
1
La potenza perduta può quindi essere scritta come:
PX +
Sostituendo nel bilancio di potenze le espressione trovale e semplificando oppor¬
tunamente (si lasciano al lettore i passaggi intermedi) si ottiene l’equazione:
We = AfmCUln
= 7i>?v = 0.75 x 0.6 = 0.45
=
L
®
’
Inoltre, si osserva che la trasmissione è realizzata da due stadi in serie, costituiti
rispettivamente dal riduttore e dalla coppia chiocciola-vite. Il rendimento totale
sarà pertanto (Paragrafo 7.4.4) il prodotto dei due rendimenti parziali:
’lt
2rr
Wr = -FV
dove V indica il modulo della velocità della massa M e il segno negativo nel
termine di potenza resistente è dovuto al fatto che la forza F e la velocità della
massa sono opposte.
Per determinare la potenza perduta nella trasmissione, occorre osservare che
in tutte e due le condizioni di moto considerate (moto a velocità costante e moto
uniformemente accelerato), la macchina funziona in condizioni di moto diretto.
Infatti l’ utilizzatore richiede potenza per vincere la forza resistente F e, nel caso
di moto accelerato, anche per incrementare la propria energia cinetica. Di conseguenza, la potenza entrante nella trasmissione può essere calcolala mediante
un bilancio di potenze parziale del lato motore, indicando con VVC la potenza che
viene trasferita dal motore alla trasmissione:
7|nCU|nci>m
pWv
V -,
-►
mentre la velocità angolare della vite può essere espressa in funzione della velocità
angolare del motore utilizzando il rapporto di trasmissione del riddttore:
ite.
»;
= Mma>m
=V=—
<wv
T
fc
'11
—
dEc
Infine, per giungere all’equazione di moto della macchina, occorre determinare
il legame cinematico tra il moto rotatorio dell’albero motore e il moto traslatorio
della massa M. A questo scopo, si osserva innanzitutto che, detto T il tempo
impiegalo dall’albero della vite (uscita del riduttore) per compiere un giro, e «v la
velocità angolare dello stesso albero, vale la seguente relazione:
0 K
=
189
—
riP
2?r
.
2n
&»m
2n
= TtP a = 0.2 x 0.01
,
x 0.5 = 1570.8 rad/s2
si osservi come a un valore relativamente modesto di accelerazione lineare della
massa, corrisponda un valore molto elevato di accelerazione angolare del motore.
Questa circostanza è dovuta al valore molto piccolo del “rapporto di trasmissione
generalizzato” tra la rotazione del motore e il moto della massa, ed è caratteristico
del funzionamento di molti azionamenti elettromeccanici.
190
Capitolo 7
Dinamica della macchina a un grado di libertà
191
Sostituendo il valore trovato per <àin nell’equazione di moto, e risolvendo ancora
rispetto al momento motore si ottiene:
— ——
l / Tip
—
/
T\P\
Hn = ìjt I 2rr F + I\ PiJm + ( - )) M /I <i)n,
\2n
\
1
0.45
/0.2x0.01
—\ 2?r
/
\
/
\
'
x 1000+ 0.45 x 0.05+ /0.2x0.01Yx 10 x 1570.8
\ in
\
Figura 7.29
= 79.25 Nm
i
Infine, per rispondere al punto 3, si deve isolare il sottosistema costituito da vi¬
te, chiocciola e massa traslante, evidenziando l’azione assiale Nv (positiva in
trazione) che si trasmette all’interno della vite.
Ma
HI
0.1 kgm2; rapporto di trasmissione
Dati: momento di inerzia del motore J,n
0.8; rendimento in moto retrogrado
r = 1/5; rendimento in moto diretto p<i
pr = 0.6; momento di inerzia della piattaforma Jr = 1 kgm2; momento resistente
sulla piattaforma Mr = 10 Nm.
=
=
Risoluzione Si imposta il bilancio di potenze nella forma:
N
IV,n
i termini di potenza motore e resistente hanno le espressioni:
Figura 7.27
Per calcolare tale forza, si scrive l’equazione di equilibrio dinamico alla traslazio¬
ne orizzontale di questo sottosistema:
-N -F
-Ma=Q
dEc
+ IVr + Wp = -77
d/
-»
N
l’energia cinetica della macchina è data dalla formula:
= —F - Ma = -1000 - 10 x 0.5 = -1005 N
nel caso considerato, l’effetto della forza di inerzia sulla massa traslante risulta
piccolo rispetto a quello della forza esterna F applicata alla massa.
Esercizio 3 II sistema nella Figura 7.28 è costituito da un motore che aziona tra¬
mite una trasmissione una piattaforma circolare cui si vuole imporre una legge di
moto trapezoidale come riportato nella Figura 7.29. Sulla piattaforma agisce una
coppia resistente Mr. Si determini l’andamento della coppia motrice necessaria a
movimentare il sistema nelle varie fasi del movimento.
lVr = -Mtcor
lVm = Mma)m
Fc
—
2^2
1
2^pWr
per quanto riguarda infine la potenza perduta, occorre discutere separatamente le
tre fasi di funzionamento della macchina, costituite dal transitorio di accelerazio¬
ne (da 0 a 0.1 secondi), dal moto a regime (da 0.1 a 0.5 secondi) e dal transitorio
di decelerazione (da 0.5 a 0.6 secondi). Nella prima e nella seconda fase, la mac¬
china funziona sicuramente in moto diretto, perché l’utilizzatore richiede potenza
per vincere il momento resistente e, nel transitorio di accelerazione, anche per in¬
crementare la propria energia cinetica. In tali fasi di funzionamento, l’espressione
della potenza perduta sarà pertanto:
Wp = — (1 — 7d)lVc —
(I
•An^W^m)
in cui l’espressione della potenza entrante nella trasmissione Wc è stata calcolata
mediante l’usuale bilancio parziale del solo lato motore (si vedano i precedenti
esercizi).
Figura 7.28
Nella fase di decelerazione invece non è possibile determinare a priori se la
macchina funziona in condizioni di moto diretto o retrogrado in quanto si han¬
no nell’utilizzatore due effetti contrastanti: da un lato viene richiesta potenza per
192
Dinamica della macchina a un grado di libertà
Capitolo?
Per poter determinare i valori numerici del momento motore, occorre calcolare
nelle vaile fasi di funzionamento l’accelerazione angolare wnl dell’albero motore:
vincere il momento resistente, dall’altro la decelerazione della piattaforma rende
disponibile la potenza di inerzia che corrisponde alla diminuzione nel tempo del¬
l’energia cinetica dell’utilizzatore. Per sciogliere questa incertezza, si esegue un
bilancio di potenze parziale del lato utilizzatore, considerando un termine W* di
potenza entrante nella trasmissione dal lato utilizzatore.
-Mta>r -
- W*
=0
->
W* = (—Mr
— J^to,
Nella terza fase del ciclo della macchina, l’accelerazione angolare della piattafor¬
ma wr vale:
a>r
—
—2
=
At
per cui, sostituendo i valori numerici noti, la potenza M?* vale:
si ottiene l’equazione di moto della macchina. In questo caso, occorre distinguere
un’equazione di moto valida per la condizione di funzionamento in moto diretto
(fasi uno e due) e una diversa equazione di moto valida per la condizione di moto
retrogrado (fase tre). Con gli usuali passaggi, in moto diretto si ha:
.
Mr 4- (t)j7ul -f- r ,/p)mm)
— ZJrrAfr =
,
SS
(dm 4- Z]rT Jp)àdm
da cui:
=
4~ (7m 4* IRT 7p)cUm
Awr
Al
~
~
~
ÓJ
-2
0 rad/s2
oT == —20 rad/s2
Óm
=
Ór
T
= 100 rad/s2
— = rad/s2
— — — rad/s'
Ór
r
0
100
T
x 10 4- (0.8 x 0. 1 4- 0.04 x 1) x 100)
= ^(0.2
0.8
—
0.8
0.2 x 10
=
+ r2 Jp)wm
mentre in moto retrogrado l’equazione di moto diviene:
Mnl
Al
=
= 17.5 Nm
= 2.5 Nm
= -11.2Nm
retto della trasmissione zji = 1.0; rapporto di trasmissione della coppia ruota
elicoidale-vite senza fine
j0; rendimento in moto diretto della coppia ruota
elicoidale-vite senza fine 772 = 0.8; raggio della puleggia R = 0.5 m; pendenza
del piano a = 30°; coefficiente di attrito radente ft = 0.5.
che esplicitata rispetto alla incognita momento motore fornisce:
—
=
Aa>r
Óm
1. il valore del momento motore necessario per sollevare la massa lungo il piano
inclinato a velocità costante;
2. il valore del momento di inerzia Jm complessivo del lato motore necessario per
limitare l’accelerazione della massa a 2 m/s2 quando il motore esercita un
momento pari al doppio di quello a regime precedentemente calcolato.
Dati: massa del corpo in = 100 kg; momento di inerzia della puleggia Jp =
1 kgm2; rapporto di trasmissione del riduttore tj = |; rendimento in moto di¬
<ùr = rwm
,
Fase 3:
Ar
- 20 rad/s2
Esercizio 4 Un corpo di massa in è trascinato in salita lungo un piano inclinato
mediante una puleggia azionata tramite un riduttore da un motore. Si richiede di
calcolare:
Introducendo nell’ equazione di bilancio delle potenze le espressioni sopra ricava¬
te, e utilizzando le relazioni cinematiche determinate dal rapporto di trasmissione:
,
=
2
0J
0
Atl>r
Fase 3: Mm = 0.6 x 0.2 x 10 4- (0.1 4- 0.6 x 0.04 x 1) x (-100)
WPt = -(1 - iìÒW* = -(1 - ilrX-Mrcor -
1
Fase 2:
Fase 2: Mm =
Il segno di questa quantità è dunque positivo e consente di affermare che nella
fase di decelerazione la potenza fluisce dall’ utilizzatore verso il motore, ossia che
il moto è retrogrado. L’espressione della potenza perduta in questa fase diviene
dunque:
Min
=
Fasel: Mln
= (- 10 + 1 x 20) wr = 10tor Nin/s
’lóMm - tM, =
Fase 1: <wr
Sostituendo questi risultati e i valori numerici dati nelle espressioni*ricavate per il
momento motore si ottengono i seguenti risultali numerici:
9
= 0.1 = —20 rad/s2
'
«e = t
193
:
-a
Figura 7.30
I
194
l
I
uiliainica
Capitolo 7
Risoluzione Si utilizza ancora una volta l’equazione di bilancio delle potenze:
Per rispondere al primo quesito, si annulla neH’equazione di molo l’accelerazione
angolare del motore, e si risolve rispetto al momento motore:
dEc
7
Mm = -Ring(sina +
/rcosa)
'7
dove la potenza motrice ha l’espressione consueta:
sostituendo i valori numerici:
Wm = Afmtom
Mm =
mentre la potenza resistente risulta pari alla somma di due termini, uno dovuto
alla componente della forza peso diretta parallelamente al piano inclinato, l’altra
dovuta all’effetto dell’attrito radente:
Wr = —mg sin a V
—
mgfr cos a V
avendo indicato con V la velocità di salita della massa lungo il piano inclinato.
Durante il funzionamento in salita, sia a regime sia in un transitorio di acce¬
lerazione, la macchina lavora sicuramente in moto diretto, e pertanto la potenza
perduta assume l’espressione:
Wp = (1
.
,1,1,
+ 2mV
in cui n>p rappresenta la velocità angolare della puleggia.
I legami cinematici da utilizzare per la scrittura dell’equazione di moto sono
i seguenti:
top
— r|T,tom
top = r|T2tom
P
— —
RcOp
a=V
T]T,/?to||j
=
Sostituendo nel bilancio di potenze, semplificando opportunamente e utilizzando
la notazione:
r
= ri r, = 0.025
= t)|t)2 = 0.8
b
si ottiene l’equazione di moto della macchina che risulta:
rjMm - TRmg(sin a + fr cos a)
= (TjJm 4- r 2 + (7R)2in) tom
—=
a
Rt
2
0.5 x 0.025
= 160 rad/s
'
-,
c risolvere l’equazione rispetto all'incognita JMt
=
in cui si è tenuto conto del fatto che nella macchina sono presenti due stadi di
trasmissione in serie (riduttore e coppia ruota elicoidale-vite).
L’energia cinetica complessiva della macchina è somma dei contributi dovuti
al volano lato motore, alla puleggia e alla massa m traslantc:
I
x 0.5 x 100 x 9.81 x (0.5 + 0.5 x 0.866) = 14.3 Nm
co,„ =
,
Ec = ^Jm^n +
0.025
Per rispondere al secondo punto, occorre invece sostituire neH’equazione di moto
un valore del momento motore doppio rispetto a quello di regime Mm = 28.6 Nm,
impone all’accelerazione angolare del motore <wm il valore corrispondente a una
accelerazione lineare della massa di 2 m/s2, ossia:
Jm
7)1
——-
1
=>1\
-TRing(.aina + frcosa)
:
ro.»
/
1 /0.8 x 28.6 - 0.025 x 0.5 x 100 x 9.81 x (0.5 + 0.5 x 0.866) ,
Ì6Ò
08 \
-0.0252 x ( I +0.252 x
=
,
\
(f/p + (fRYm) =
100)) =
0.069 kgm2
Il valore così ottenuto rappresenta il minimo valore del momento di inerzia che
mantiene l’accelerazione sotto il limite fissato: infatti all’aumentare dell’iner¬
zia e a parità di momento motore applicato, l’accelerazione della macchina deve
diminuire, come del resto evidenziato dall’equazione di moto.
———
„
8
Dinamica della macchina alternativa
Con il termine macchina alternativa si indica in questo capitolo qualsiasi mac¬
china che al suo interno comprenda un cinematismo del tipo detto manovellismo
ordinario centrato. Le macchine alternative possono essere essenzialmente distin¬
te in due tipi: i motori alternativi e le macchine operatrici alternative. Nei motori
alternativi il manovellismo ordinario centrato viene utilizzato per ottenere la con¬
versione di una data forma di energia in energia meccanica: esempio tipico sono
i motori a combustione interna, dove l’espansione dei gas che avviene a seguito
della combustione produce lo scorrimento di un corsoio (pistone) che, attraverso
la biella, va ad azionare l’albero motore. Macchine operatrici alternative sono
invece quelle macchine in cui il manovellismo ordinario centrato viene utilizzato
per compiere uno scopo utile: un esempio è il compressore alternativo, dove un
manovellismo ordinario viene azionato da un motore (in genere elettrico) e, trami¬
te il moto alternativo del corsoio, produce il passaggio di un fluido da un condotto
a bassa pressione (condotto di aspirazione) a uno a pressione superiore (condotto
di mandata).
Le ragioni per cui in questo libro viene dedicato un intero capitolo allo studio
di questo tipo di macchina sono molteplici: da un punto di vista metodologico,
la macchina alternativa costituisce un esempio significativo e nello stesso tempo
relativamente semplice di macchina in cui si hanno legami cinematici non lineari
tra gli spostamenti delle varie parti della macchina stessa (in particolare, tra la
rotazione della manovella e il moto del pistone). La trattazione della macchina
alternativa consente quindi di mettere in luce il procedimento per la scrittura delle
equazioni di moto in presenza di legami cinematici non lineari, il che presenta dif¬
ficoltà aggiuntive rispetto ai più semplici sistemi studiati nei Paragrafi 7.7, 7.8 e
7.9. Dal punto di vista applicativo, la macchina alternativa riveste particolare im-
velocita critiche torsionaii1.
Per quest’ultimo argomento, non trattato in questa sede,
si rimanda a [6],
isu
capitolo 8
Lo studio della macchina alternativa sarà qui presentato con riferimento al caso
di un motore alternativo monocilindrico. In primo luogo verrà introdotta una rap¬
presentazione semplificata delle proprietà inerziali della biella, che risulta utile
per il successivo studio della dinamica della macchina alternativa (Paragrafo 8.1).
Successivamente si ricaverà l’equazione di moto del motore monocilindrico (Pa¬
ragrafo 8.2) e si applicheranno a tale macchina le nozioni relative al moto perio¬
dico introdotte nel Paragrafo 7.10. A conclusione del capitolo, nel Paragrafo 8.3
si fornirà un cenno al problema dell’equilibramento delle forze di inerzia in una
macchina alternativa.
8.1 Riduzione delle inerzie della biella a un sistema
di masse concentrate
Nello studio della dinamica di una macchina alternativa (ossia di una macchina
in cui sia presente uno o più manovellismi ordinari) risulta particolarmente effi¬
cace l’impiego di una rappresentazione semplificata delle inerzie della biella. Nel
Capitolo 5 si è visto che, ai fini del calcolo del sistema di forze di inerzia che
si genera su un corpo rigido per effetto del suo moto, sono rilevanti i seguenti
parametri relativi alla geometria delle masse del corpo:
Figura 8.1 Sistema di masse concentrate equivalenti alla inerzia della biella.
E
la massa del corpo, in quanto il risultante delle forze di inerzia dipende da
questo parametro;
2. la posizione del baricentro, perché il risultante delle forze di inerzia dipende
dall’accelerazione di questo punto;
3. il momento di inerzia bariccntrale della distribuzione di masse della biella, per¬
ché dal valore di questo parametro dipende la coppia di inerzia che deve essere
applicata al corpo.
Si può quindi affermare che, per un corpo rigido, qualunque sistema di masse
che presenti gli stessi valori per i tre parametri sopra elencati darà luogo allo
stesso sistema di forze di inerzia se soggetto allo stesso moto. Ne consegue che
è possibile sostituire la vera distribuzione di massa di un corpo rigido con un
qualsiasi sistema di masse equivalenti, purché questa sostituzione conservi i tre
parametri sopra indicati.
Nel caso di una biella, che può essere considerata un corpo sottile dotato di un
asse di simmetria (Figura 8. 1 ), la reale distribuzione di masse può essere riprodot¬
ta, senza introdurre approssimazioni, utilizzando tre masse concentrale, indicate
in figura con mi, 1112 e /»3. Tali masse sono considerate rigidamente collegate
fra loro, in modo da formare un unico corpo rigido, e sono poste rispettivamen¬
te in corrispondenza della testa della biella, del piede di biella e del baricentro
della biella. I valori delle tre masse devono soddisfare il seguente sistema di tre
equazioni:
/»1 + »12 +
= «b (conservazione della massa)
—
mi £। + 1112^2
— Ai
+/«2^2 =
0
(posizione del baricentro)
(conservazione del momento di inerzia)
e 7b indicano rispettivamente la massa e il momento di inerzia bari¬
in cui
centrale della biella, mentre £[ e £2 sono le distanze del baricentro della biella
rispettivamente dalla testa e dai piede di biella (Figura 8.I). Risolvendo quindi il
sistema sopra riportato rispetto ai valori delle tre masse, è possibile determinare il
sistema di masse concentrate equivalente alla reale distribuzione di inerzia della
biella.
In realtà, in molti casi si preferisce ridurre il sistema di inerzie della biella a
un sistema equivalente formato da due sole masse, poste nella testa e nel piede di
biella. In questo caso non è possibile soddisfare esattamente tutte e tre le condizio¬
ni di conservazione sopra riportate, ma solo conservare la massa totale della biella
e la posizione del baricentro, mentre si introduce una approssimazione nel valore
del momento di inerzia baricentrale. I valori delle due masse (indicate ancora con
mi e 012) si ottengono dalla risoluzione del sistema di due equazioni:
=
( —«il+ + //^2^2
=0
1112
n’b
in 1 £[
;•’j
Una volta ridotta l’inerzia della biella alle due masse concentrate /»1 e m2, si può
osservare che la massa mi è posta nel punto di collegamento della biella con la
manovella, il che significa che può essere pensata appartenente alla manovella,
anziché alla biella: di conseguenza essa va ad aumentare la massa della mano¬
vella e a modificare la posizione del baricentro di questo corpo. Ai fini dell’e¬
quilibramento delle forze di inerzia, la condizione ottimale per quanto riguarda la
distribuzione di massa complessiva della manovella consiste nell’avere il baricen¬
tro posto sull’asse di rotazione dell’albero motore: in questo modo il baricentro
della manovella avrà accelerazione nulla e quindi il risultante delle forze di inerzia
sarà nullo in ogni istante. Per realizzare questa condizione si aggiunge quindi una
massa (detta contrappeso) posizionata dalla parte opposta della massa in। rispetto
al centro di rotazione della manovella, e di valore tale da far sì che il baricen-
200
Capitolo 8
Dinamica della macchina alternativa
201
tro complessivo del sistema di masse composto dalla manovella, dalla massa nq
posta nella testa della biella e dal contrappeso abbia baricentro posto sull’asse di
rotazione dell’albero motore.
Per quanto riguarda invece la massa wiz, essa si muove insieme al corsoio, e
può quindi essere sor nata alla massa del pistone: la somma di queste due masse
costituisce la cosiddetta massa equivalente traslante. Come si dimostrerà nel se¬
guito, questa massa influenza il moto della macchina (per esempio in condizioni
di regime periodico) e inoltre fa nascere forze di inerzia che sono responsabili di
vibrazioni e rumore. Nel Paragrafo 8.3 si mostrerà come queste forze possano
essere equilibrate in tutto o in parte, sfruttando le particolarità costruttive del ti¬
po di motore considerato (motore mono 0 pluri-cilindrico, possibilità di montare
vibrodine di equilibramento ecc.).
Figura 8.3 Andamento della pressione nel cilindro in funzione della rotazione della
8.2 Equazione di moto di un motore alternativo
manovella.
In questo paragrafo si considererà, per semplicità, il caso di un motore monoci¬
lindrico a 4 tempi, rappresentato nella Figura 8.2. Sul sistema agiscono la forza
F„ che rappresenta la risultante delle pressioni agenti sul pistone, e il momento
resistente Mt, ipotizzato costante, che si esercita sull’albero motore. Per quanto
riguarda le forze e coppie di inerzia, una volta applicata la riduzione dell’iner¬
zia della biella al sistema di due masse concentrate, come descritto nel paragrafo
precedente, resta da considerare la forza di inerzia sulla massa equivalente tra¬
slante ms e la coppia di inerzia agente sull’albero motore, dovuta al momento d’i¬
nerzia complessivo J,n di tutti gli organi rotanti collegati sull’albero: manovella,
massa mi proveniente dalla riduzione della biella, contrappeso e volano calettato
direttamente sull’albero motore.
Si osservi che sulla massa equivalente traslante non agisce una coppia di iner¬
zia, perché il moto di questo corpo è traslatorio, e che sull’albero motore non agi¬
sce una forza di inerzia, perché è nulla l’accelerazione del baricentro complessivo
di questo sistema di masse.
Prima di scrivere l’equazione di moto di questa macchina, occorre descrivere
brevemente in che modo la forza Fg agente sul pistone possa essere calcolata in
funzione della posizione angolare della manovella: all’interno della camera di di¬
mensioni variabili formata dal cilindro e dal pistone, si ha un andamento variabile
della pressione pg, determinato dall’alternarsi delle quattro fasi di funzionamento
del motore: aspirazione, compressione, combustione, espulsione dei gas esausti.
Un andamento realistico della pressione in funzione della posizione angolare della
manovella a è rappresentato nella Figura 8.3.
La forza Fg che rappresenta la risultante di tali pressioni, può quindi essere
espressa come:
Fg(a)
D2
= rr— pg(a)
in cui D è il diametro del pistone.
L’equazione di moto della macchina può essere scritta, come sempre, utiliz¬
zando l’equazione di bilancio di potenze:
+ Wr =
—
d£c
d/
in cui IVm è la potenza della forza motrice F& agente sul pistone, JVr è la potenza
della coppia resistente Afr, Ec è l’energia cinetica complessiva dell’albero motore
e delle masse in moto alterno, e non si ha potenza perduta !Vp perché non si
considera la presenza di una trasmissione. Le espressioni di tali termini possono
essere ricavate con semplicità:
= -F^c
Wr
Ec
Figura 8.2 Forze agenti sul motore alternativo monocilindrico.
=
1,1.,
= 2',m“ + 2”sC
come visto nello studio della cinematica dei sistemi articolati, la velocità del piede
di biella può essere espressa come prodotto della velocità angolare della manovel¬
la à per lo jacobiano del legame cinematico tra la posizione del piede di biella e
I
202
Dinamica delia macchina alternativa
Capitolo 8
Volendo utilizzare una diversa espressione del legame tra la rotazione della ma¬
novella e il moto del piede di biella, si può utilizzare la seguente forma generale
dell’equazione di moto del motore alternativo:
la rotazione della manovella Ac:
c
= Ac(a)à
dove l’espressione analitica dello jacobiano è diversa in funzione del fatto che si
consideri il legame cinematico esatto, ricavato nel Paragrafo 3.3, oppure le espres¬
sioni di prima o seconda approssimazione per il molo del piede di biella ricavate
nel Paragrafo 3.3. 1 :
Ac
= —r sin a
—
Ac = r sin a
I approssimazione
1
sin 2a
— -rk
(+ —
li approssimazione
Àcos a
I
vi
\
1
À2siira/
Espressione esatta
= Rjajr sinaà = M*(a)à
Wr = —Mtà
Se
sin2 a) à2 = -J*(a)à2
=
= '(J
-|-;n
r2sin2a)àa + /»sr2sinacosaà3
'
Applicando l’equazione di bilancio delle potenze e semplificando la velocità an¬
golare à comune a tutti i termini si ottiene l’equazione di moto:
Fg(a)r sin a
— Mt = ( Jm + msr2 sin2 a)
— — m^r2
sin a cos ad2
MT
Jm +msrisura
F„(a)r sin a
=—
m^da^à2
Jm + msAc(a)2
(8.2)
L’equazione di moto (8. 1 ) o, nella sua forma più generale, la (8.2), è un’equazione
differenziale non lineare del secondo ordine nell’incognita a (Q. Questa equazione
non ammette una soluzione in forma analitica (nemmeno nel caso in cui si usi
un’espressione semplificata per il moto del piede di biella), e pertanto* può essere
integrata numericamente utilizzando un metodo di integrazione numerica al passo.
L’equazione di molo ottenuta per la macchina alternativa e del tipo (7.36), già
esaminata nel Paragrafo 7.10. In quella sede è già stato messo in luce che tale
forma dell’equazione di moto corrisponde alla presenza di legami cinematici non
lineari tra il moto delle diverse parti della macchina, in questo caso tra la rotazione
della manovella e la traslazione del corsoio.
L’analogia con l’Equazione (7.36) permette anche di affermare che per la
macchina alternativa non è possibile, a rigore, un funzionamento in condizioni di
moto a regime assoluto, ma eventualmente solo di regime periodico. La condi¬
zione di regime periodico, definita nel capitolo precedente dalla formula (7.38),
diviene, nel caso del motore alternativo monocilindrico a quattro tempi:
(-Fg(a)Acfo) - Mr) da = 0
in cui si è tenuto conto che il periodo angolare della macchina è pari a 4rr, che
corrisponde ai due giri dell’albero motore necessari per eseguire le quattro fasi
di aspirazione, compressione, espansione e scarico. Quest’equazione consente
di calcolare il valore del momento resistente costante che mantiene il motore in
condizioni di regime periodico:
1
C4n
Mr=^J0
à + m3r2 sin a cos aà2
da cui, risolvendo rispetto all’accelerazione angolare:
a
-F8(a)Ae(g) -Mr-
4n
poiché il momento di inerzia della macchina ridotto all’albero motore J^ct) di¬
pende dalla posizione angolare della manovella, la derivata dell’energia cinetica
rispetto al tempo assume la forma:
d/
a
8.2.1 La macchina alternativa come esempio di macchina
a regime periodico
Nel seguito, per semplicità, si considererà il legame cinematico corrispondente
alla prima approssimazione, e successivamente si fornirà anche l’equazione di
moto del sistema per espressione qualsiasi dello jacobiano.
Sostituendo il legame cinematico tra velocità angolare della manovella e ve¬
locità del piede di biella, si ottengono le seguenti espressioni delle potenze motrice
e resistente e dell’energia cinetica:
Wm
203
(8.1)
(“WA^^a
tale valore corrisponde anche al momento motore medio sul periodo erogato dal¬
la macchina, ed è il valore che viene rappresentato in funzione della velocità
nel diagramma detto “caratteristica meccanica” del motore a combustione interna
(Paragrafo 7.2.1).
204
Capitolo 8
Dinamica della macchina alternativa
205
8.2.2 Un esempio applicativo: il motore Moto Guzzi Ippogrifo
In questo paragrafo si mostreranno alcuni risultati relativi al funzionamento di
un motore monocilindrico a quattro tempi, allo scopo di mostrare l’effetto dei
principali parametri costruttivi del motore sul valore dell’irregolarità periodica.
L’equazione di moto (8.2) è stata integrata numericamente utilizzando il metodo
di Runge-Kutta del IV ordine a passo costante [19]; ove non sia indicato diversamente, è stata utilizzata l’espressione esatta dello jacobiano Ac. I dati numerici
utilizzati in tutto il paragrafo sono relativi a un singolo cilindro del motore Moto
Guzzi “Ippogrifo” (Figura 8.4) e sono riportati nella Tabella 8.1. In realtà, trat¬
tandosi di un motore bicilindrico, è stata considerata di fatto una sola metà del
motore, e pertanto i risultati che saranno mostrati non sono direttamente rappor¬
tabili al funzionamento del sistema reale. Il regime di rotazione considerato è di
2000 giri/min.
Figura 8.5 Calcolo del momento, motore ridotto per un cilindro del motore Moto
Guzzi "Ippogrifo": a) forza sul piede di biella, b) jacobiano Ac, c) Momento motore
ridotto.
esatta, in tratteggio l’approssimazione del I ordine), e infine nel terzo grafico dal¬
l’alto si riporta l’andamento del momento motore ridotto all’albero motore: come
si vede, i risultati ottenuti considerando l’espressione esatta o approssimata dello
Figura 8.4 II motore Moto Guzzi "Ippogrifo".
jacobiano differiscono significativamente durante la fase di combustione.
Il valore del momento resistente Mr che consente il funzionamento in moto
periodico della macchina, fornito dalla condizione (7.38) e quindi pari (a meno
del segno) al valore medio del momento motore ridotto, risulta:
Tabella 8.1 Dati del motore Moto Guzzi "Ippogrifo".
Corsa 2r
[nini]
71
Alesaggio D
[mm]
82
Lunghezza biella f
[min]
120
[kgm2]
0.25
Ikg]
0.9
Momento di inerzia motore
Massa in moto alterno ms
Jm
La Figura 8.5 riporta nel primo grafico partendo dall’alto l’andamento della forza
Fg agente sul piede di biella, rappresentata in funzione della rotazione della mano¬
vella a. Tale forza è stata calcolata sulla base dell’andamento della pressione nella
camera di combustione (nota a priori'). Nel grafico centrale si riporta, sempre in
funzione di a, l’andamento dello jacobiano Ac (in linea continua l’espressione
Mr = -28.54 [N
m]
La Figura 8.6 mostra invece il risultato dell’integrazione numerica dell’equazio¬
ne di moto della macchina. Dall’alto verso il basso vengono mostrati: nel primo
grafico i momenti ridotti M*v M* e
rispettivamente primo, secondo e terzo
termine a numeratore delle (8.1), (8.2), nel secondo grafico l’accelerazione ango¬
lare dell’albero motore, e nel terzo grafico l’andamento nel tempo della velocità
angolare dell’albero motore. I risultati sono mostrati per un tempo di 0.12 se¬
condi, corrispondente a due periodi del motore (ossia a una rotazione di quattro
giri) al regime di rotazione di 2000 giri/min. Si osserva che nell’andamento della
velocità angolare (così come delle altre grandezze) è presente una variazione pe¬
riodica, che dà luogo a un’oscillazione tra a>min = 204 rad/s e a)max = 212 rad/s,
corrispondente quindi, in base all’Equazione (7.39), a un grado di irregolarità pari
a 0.038.
I
206
I
I
Dinamica della macchina alternativa
/07
Capitolo 8
è diretta sempre come l’asse di scorrimento del corsoio, e assume valore variabile
nel tempo in funzione dell’andamento temporale dell’accelerazione del corsoio.
L’analisi cinematica semplificata del manovellismo ordinario centrato ripor¬
tata nel Paragrafo 3.3.1 consente di esprimere l’accelerazione del piede di biella
come somma di un’accelerazione di prima approssimazione qfr) e di un termine
di seconda approssimazione Cn(t). Riprendendo l’Equazione (3.22) e ipotizzando
che la manovella ruoti con velocità angolare costante w:
à
= a>
a
—
tot
il che è vero, come visto nei paragrafi precedenti, a meno di un effetto di irre¬
golarità periodica che di norma è contenuto entro una piccola percentuale della
velocità angolare media, si ottiene:
—
c = rwsin(cut)
—
ra>- sin(2a>r)
da cui, derivando rispetto al tempo:
—ra>2cos(wf) —
Figura 8.6 Risultati della simulazione numerica: a) andamento temporale dei
momenti motore, resistente e delle forze quadratiche d'inerzia, b) andamento
dell'accelerazione angolare, c) andamento della velocità angolare.
Si osservi infine che il valore di irregolarità periodica ottenuto risulta relativamen¬
te piccolo, nonostante 1’andamento dei momenti ridotti agenti sulla macchina sia
alquanto irregolare. Questo risultato dipende dal valore del momento di inerzia
assunto nella simulazione: è possibile verificare che diminuendo il valore del
momento di inerzia l’ irregolarità periodica della macchina aumenta.
rÌM2 cos(2wt)
e quindi si ottiene l’espressione della forza di inerzia sulla massa equivalente tra¬
e di una forza del se¬
slante Fm come somma di una forza del primo ordine
pulsazione rispetti¬
con
armonicamente
variabili
condo ordine Fjnil che risultano
vamente pari alla velocità angolare della manovella e al doppio di questa:
Fin = m^ru)2 cos(wt) + m^rka)" cos(2co/)
Fin[
(8.3)
F"iii||
Si possono osservare due aspetti importanti:
8.3 Cenni sull'equilibramento dei motori alternativi
A conclusione del capitolo, si riportano alcuni cenni sull’equilibramento delle
macchine alternative. Consideriamo un singolo manovellismo ordinario centrato,
che può costituire l’intero sistema da equilibrare, nel caso di una macchina mono¬
cilindrica, o una sola parte di esso nel caso di macchina pluricilindrica. Per sem¬
plicità, si approssima la distribuzione di massa effettiva della biella con il sistema
di due masse concentrate descritto nel Paragrafo 8.1: le forze di inerzia sulla ma¬
novella più quelle dovute alla quota parte mi della massa della biella concentrata
nella lesta della biella possono essere complessivamente equilibrate ponendo sulla
manovella un contrappeso che porti il baricentro complessivo della manovella, del
contrappeso e della massa ini a giacere sull’asse di rotazione dell’albero motore.
In questo modo, l’unica forza di inerzia non equilibrata è quella che si genera sul¬
la massa equivalente traslante ms, somma della massa effettiva del corsoio e della
quota parte «2 di massa della biella concentrata nel piede di biella: questa forza
la componente del secondo ordine della forza d’inerzia ha modulo inferiore alla
• componente
del primo ordine, e tanto minore quanto più è piccolo il rapporto X
tra la lunghezza della manovella e quella della biella;
della forza di inerzia aumenta con il
• il modulo di tutte e due le componenti
rotazione dell’albero motore.
quadralo della velocità angolare di
Scopo delle tecniche di equilibramento descritte in questo paragrafo è eliminare
(se possibile) o minimizzare queste due componenti di forza, che altrimenti si
scaricherebbero sui supporti dell’albero motore. Le tecniche di equilibramento
delle macchine alternative si differenziano notevolmente tra il caso della macchina
monocilindrica e quello della macchina a più cilindri, e pertanto questi due casi
saranno trattali in due paragrafi distinti. Prima di affrontare questo argomento,
è però utile introdurre una rappresentazione delle diverse componenti di forza di
inerzia, sotto forma di coppie di vettori contro-rotanti.
208
Dinamica della macchina alternativa
Capitolo 8
Figura 8.7 Rappresentazione mediante vettori controrotanti di una forza alternativa
armonica.
8.3.1 Rappresentazione delle forze inerziali sul piede di biella
mediante vettori contro-rotanti
Come descritto nel paragrafo precedente, la generica componente di forza di iner¬
zia sul piede di biella F è rappresentala da un vettore avente direzione costante e
valore variabile armonicamente secondo l’espressione:
|F| = F0cos(Qt)
in cui Fu e Q rappresentano rispettivamente l’ampiezza e la pulsazione della for¬
zante, che sono ovviamente diverse per ciascuna delle due armoniche, come mo¬
strato dalla Formula (8.3). Questo tipo di forzante può essere rappresentata come
somma di due vettori di modulo costante e direzione variabile, rotanti in di¬
rezioni opposte con velocità angolare Q. Come mostrato dalla Figura 8.7, per
simmetria il risultato della somma dei due vettori avrà direzione fìssa e modulo
variabile armonicamente secondo l’espressione sopra riportata.
Pertanto, la forza di inerzia del primo ordine su un singolo corsoio potrà es¬
controrotanti con
sere rappresentata come somma di due vettori di modulo
motore,
mentre le forze
dell’albero
modulo)
quella
a
(in
uguale
angolare
velocità
controrodi
modulo
del secondo ordine saranno rappresentate da due vettori
delle
ampiezze
le
(8.3),
all’Equazione
In
base
doppia.
angolare
velocità
con
tanti
due armoniche di forza di inerzia sono:
Fq, = indico2
F01I = m^rco2
Per quanto riguarda il punto di applicazione dei vettori forza controrotanti, si os¬
servi che la forza complessiva di inerzia ha come retta di applicazione l’asse del
manovellismo, e può quindi essere applicata nel centro di rotazione della mano¬
vella. Di conseguenza, anche le varie componenti rotanti della forza di inerzia
possono essere considerate tutte applicate in questo punto. Il procedimento di tra¬
sformazione della forza di inerzia complessiva nelle diverse componenti rotanti è
rappresentato graficamente nella Figura 8.8.
209
Figura 8.8 Rappresentazione mediante vettori controrotanti delle forza di inerzia sul
pistone. ?
8.3.2 Equilibramento della macchina monocilindrica
Nel caso della macchina monocilindrica, una prima possibilità per equilibrare p«r-
ziabnente la sola componente del primo ordine delle forze di inerzia consiste nell’aggiungere alla manovella un ulteriore contrappcso che vada a equilibrare la sola
componente di forza di inerzia costituita dal vettore rotante con velocità angolare
w nel verso di rotazione della manovella.
Quest’operazione lascia del tutto immutata la componente di forza di inerzia
del secondo ordine, mentre per quanto riguarda la componente del primo ordine,
rimane soltanto il termine rotante in direzione opposta rispetto alla manovella:
l’effetto che si ottiene è dunque una diminuzione della componente di forza di
inerzia nella direzione di scorrimento del corsoio, ma contemporaneamente la
nascita di una componente di forza in direzione perpendicolare all’asse del mano¬
vellismo. Per eliminare anche la componente controrotantc della forza di inerzia,
è necessario utilizzare un albero ausiliario controrotante, ossia posto in rotazio¬
ne con velocità angolare uguale in modulo e opposta all’albero motore, sul quale
viene posta una massa eccentrica di entità tale da generare una forza uguale e
opposta alla componente controrotante della forza di inerzia. Questo tipo di solu¬
zione, però, di norma non è adottata perché comporta un sensibile incremento del
costo della macchina, oltre che del peso e dell’ingombro.
8.3.3 Equilibramento della macchina pluricilindrica
Nel caso di macchina pluricilindrica l’equilibramento viene effettuato utilizzan¬
do la presenza di più forzanti inerziali (associate ai diversi corsoi), che risultano
sfasate tra loro di angoli multipli degli angoli relativi tra le diverse manovelle
dell’albero motore.
Facendo riferimento, per fissare le idee, al caso di un motore a quattro cilin¬
dri in linea, gli sfasamenti, tra le componenti del primo e secondo ordine delle
forze d’inerzia sui quattro corsoi sono indicati dalla seguente tabella, in cui si ri¬
feriscono tutte le fasi (espresse in gradi per semplicità) alla manovella più esterna:
210
Capitolo 8
Manovellismo
I
2
3
4
Fase manovella
0°
180°
180°
0°
Fase forze 1 ordine
Fase forze II
0°
180°
180°
0°
0°
9
360°
360°
0°
Si osserva che le forze del primo ordine sul primo e quarto manovellismo sono
in fase tra loro e in controfase con quelle sul secondo e terzo manovellismo: la
somma di tutte le forze del primo ordine sarà quindi nulla. Inoltre, grazie alla
disposizione simmetrica delle quattro manovelle, risulta anche nullo il momento
delle forze di inerzia rispetto alla mezzeria dell’albero motore. Per quanto ri¬
guarda invece le forze di inerzia del secondo ordine, lo sfasamento tra le forze è
doppio dello sfasamento tra le manovelle. Di conseguenza, le forze sui quattro
corsoi risultano in fase tra loro, e danno quindi una forza risultante non nulla.
Per simmetria, il momento delle forze del secondo ordine rispetto alla mezzeria
dell’albero motore risulta nullo. La situazione complessiva delle componenti di
forza d’inerzia agenti sui diversi corsoi e delle fasi relative tra queste è rappresen¬
tata nella Figura 8.9. Si può quindi concludere che per il motore quattro cilindri
in linea risultano equilibrate le forze e i momenti del primo ordine e i momenti
del secondo ordine, ma non le forze del secondo ordine.
Stabilità e regolazione
Si consideri un sistema a un grado di libertà soggetto a vincoli perfetti e sottopo¬
sto a sollecitazioni attive conservative. Per quanto detto quando è stato introdotto
il {trincipio dei lavori virtuali (Paragrafo 5.2), considerato uno spostamento vir¬
tuale, il corrispondente lavoro virtuale delle forze attive (esterne e interne) è il
differenziale totale di una funzione della coordinata libera del sistema, che prende
il nome di potenziale della sollecitazione attiva. Pertanto, in base al principio dei
lavori virtuali, per l’equilibrio del sistema sarà necessario e sufficiente che sia:
8L =
—
dU
d?
8q=0
(9.1)
per valori arbitrari di 8q pertanto dovrà essere:
Figura 8.9 Equilibramento delle forze di inerzia per un motore 4 cilindri in linea.
Con ragionamenti analoghi a quelli riportati sopra per il motore 4 cilindri in linea
si può verificare che per altre tipologie di motori valgono le seguenti condizioni
di equilibramento:
Tipologia di motore
4 cil. in linea
4 cil. contrapposti (boxer)
6 cil. in linea (manovelle a 60°)
Forze del I ordine
equilibrale
equilibrate
equilibrate
Forze del II ordine
non equilibrate
equilibrate
equilibrate
Se è verificata la precedente equazione in una determinata posizione, si dice che
il potenziale U è stazionario, c quindi in tale posizione presenta un massimo o
un minimo. Quindi per il sistema soggetto a vincoli perfetti, su cui agisca una
sollecitazione attiva conservativa, si ha equilibrio in corrispondenza delle confi¬
gurazioni del sistema in cui il potenziale delle sollecitazioni attive è stazionario.
Si pensi a un’applicazione in cui, in un piano verticale, un’asta omogenea OA,
di lunghezza / e peso p, è vincolata al suo estremo 0 a una cerniera. Un filo di
peso trascurabile, con un estremo fissalo all’estremo A dell’asta, passa per una
carrucola fissa in C, posta sulla verticale di O a distanza I e scende verticalmente
reggendo un corpo B di peso q (con q < p) (Figura 9. 1 ).
Si vogliano determinare mediante il pricipio di stazionarietà del potenziale le
configurazioni di equilibrio del sistema. Fissato un sistema di riferimento x y
in O, la posizione del sistema, dotato di un grado di libertà, può essere espressa,
per esempio, dall’angolo 0 che l’asta forma con l’asse y. Posto U = 0 per 0 = 0,
l’espressione del potenziale delle forze in gioco è dato da:
—
[/
= q x s, + p x s,,
(9.3)
212
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
Si ha pertanto equilibrio per 0
Figura 9.1 Un’applicazione.
= ir e per
17
Nella direzione delle forze peso q e p, gli spostamenti dei punti di applicazione
sono espressi dalle coordinate ym e yB, per cui si ottiene:
1/
= -pym - qyti
(9.4)
essendo:
y„, =
^(l-cos0)
(9.5)
e
yB
i?
= 21 sin -
(9.6)
A meno di una costante, l’espressione del potenziale diventa:
1/
— P^ —
/
(1
c°st?)
—
</2/ sin
—
i?
(9.7)
Derivando il potenziale rispetto a 0 e imponendo tale derivata nulla si ottiene
l’equazione la cui soluzione indica le posizioni di equilibrio del sistema:
—
dU
.
l
i?
=p-sin?-9Zcos-=0
(9.8)
ovvero
— ——
, . 17
pi sin
cos
i7
gl cos
—t7 = 0
(9.9)
213
—
i
= 2 arcsin P
L’esperienza mostra che le configurazioni di equilibrio di un sistema possono es¬
sere qualitativamente molto diverse. Se per esempio si considera un corpo rigido
pesante con un punto fisso O (Figura 9.2), esso è in equilibrio quando la verticale
condotta per il baricentro passa per il punto fisso. Si hanno così due posizioni di
equilibrio: l’una quando il baricentro è sulla verticale per 0 al di sopra del punto
O stesso, l’altra quando il baricentro è sempre su codesta verticale, ma si trova al
di sotto del punto fisso O.
Supponiamo che il corpo rigido sia posto in quiete nella prima posizione
di equilibrio; imprimendo un piccolo spostamento effettivo al corpo, questo si
mette in moto allontanandosi dalla posizione di equilibrio. Se invece poniamo
il corpo rigido in quiete nella seconda posizione di equilibrio e imprimiamo un
piccolo spostamento, il corpo oscilla ma rimane nell’intorno della posizione di
equilibrio in cui si trovava prima dello spostamento. Nel primo caso l’equilibrio
si dice instabile, nel secondo si dice stabile. L’equilibrio di un sistema è stabile in
corrispondenza delle configurazioni in cui il potenziale della sollecitazione attiva
è massimo. Viceversa, dove il potenziale è minimo l’equilibrio è instabile. Se,
infine, il potenziale è costante (ovvero non dipende dalla posizione assunta dal
sistema) l’equilibrio è indifferente, in quanto tutte le posizioni sono di equilibrio.
Nell’esempio sopra riportato questo significa che il barcentro coincide con il punto
O fisso.
Se il sistema ha un solo grado di libertà, detta <7 la variabile indipendente
descrittiva della configurazione del sistema (per cui U = U (q)\ si ha equilibrio
stabile in corrispondenza di quei valori di q per cui risulta:
da cui si ottengono le due soluzioni:
cos
17
2
— =0
Molto spesso si considera la stabilità dell’equilibrio riferendosi all’energia poten¬
ziale V piuttosto che al potenziale U. Ricordando che per definizione V = —U,
per cui dove U è massimo l’energia potenziale V è minima, si può affermare che
l’equilibrio di un sistema è stabile in corrispondenza delle configurazioni in cui
l’energia potenziale è minima.
e
.
sin
(
(
'
I
(
— = —qp
#
2
I
<
I
(
I
I
214
stabilità e regolazione
Capitolo 9
215
sono indicate le perturbazioni del movimento funzione del tempo. Si dice che
il moto esaminato (e, come caso particolare, la posizione di equilibrio statico) è
stabile se il valore assoluto delle perturbazioni di movimento si mantiene inferiore
a una quantità prefissata, piccola quanto si vuole, purché le perturbazioni iniziali
del movimento siano sufficientemente piccole. Ossia, si ha stabilità se, prefissata
una quantità (piccola quanto si vuole) £ > 0, è possibile determinare una quantità,
funzione di e, 8 (e) > 0 tale che:
9.1 Stabilità del moto a un grado di libertà
Consideriamo un punto materiale P pesante, vincolato alla traiettoria riportata
nella Figura 9.3 nel piano verticale. La posizione di equilibrio statico in A è detta
di equilibrio stabile, poiché P, se viene allontanato da A con una perturbazione
di spostamento 8X e un impulso di velocità óF sufficientemente piccoli, oscilla
attorno ad A senza allontanarsene, e con oscillazioni di ampiezza tanto più piccola
quanto lo sono &X e <5 V. La posizione B, viceversa, è detta di equilibrio instabile,
poiché le perturbazioni 8X e 8 V per quanto piccole allontanano P da B. Si osservi
che P può allontanarsi indefinitivamente acquistando sempre maggiore velocità
oppure andare a oscillare attorno ad A.
|5X| < 5, |SV| < 5
(9.14)
|5x|<£, |5x| < e
(9.15)
allora risulta per t > 0:
La stabilità si dice asintotica se risulta:
lim 5x
r->oo
Figura 9.3 Stabilità di un sistema.
ni
detta x la coordinata libera, in la massa ridotta alla coordinata libera e f la forza
in generale ridotta alla coordinata libera, funzione della stessa x e della sua de¬
rivata, nonché del tempo t. Sia x{t) una soluzione particolare rappresentante un
movimento, comprendendo con tale soluzione sia il caso di quiete:
Xq
x- -I,
m8x
= Xo = cost
(9.16)
(x
+ 5x) + /(x(r) + 8x,x(f) + 8x, t) = 0
(9.17)
9/(x(r),x(r),r) . 0/(x(r),x(r),r)
8x =0
8x 4
Ox
dx
—
(9. 8)
e ponendo:
sia un moto con velocità uniforme:
x0
=0
Un teorema dovuto a Liapounov [20] assicura che lo studio della stabilità della
condizione di moto x(r) può essere effettuato linearizzando la (9.17), ovvero svi¬
luppandola in serie di Taylor e trascurando i termini di ordine superiore al primo
in 8x e 8x. Tenendo conto della (9.12), si ha:
(9.11)
+ f (x, x, t) = 0
lini 8x
z->oo
La stabilità si dice invece asintotica in grande se le relazioni precedenti sono
verificate per qualunque 8X e 8V . Lo studio della stabilità può essere svolto
considerando perturbazioni piccole, ossia trascurando i termini di ordine superio¬
re al primo in 8x e 8x nello sviluppo in serie della funzione f nell’intorno del
movimento studiato.
Sostituendo la (9.13) nella (9.12), si ottiene l’equazione del moto perturbato:
In presenza di resistenze passive con 8X e 8V sufficientemente piccoli P tende
a ritornare e a fermarsi in A: in tal caso la posizione è detta di equilibrio asin¬
toticamente stabile. Nel caso invece in cui ciò avvenga per qualunque 8X e
allora la posizione A si dice di equilibrio asintoticamente stabile in grande. Tali
definizioni valgono non solo per la stabilità dell’equilibrio in condizioni di quiete,
ma anche per la stabilità di un generico movimento. Si consideri dunque il moto
con un solo grado di libertà (punto materiale lungo una traiettoria, moto rotatorio
assiale, moto di un meccanismo ecc.) retto dairequazione di equilibrio dinamico:
nix
= 0,
s-
= Vq = cost
p(0
=
m
r/(0
=
m
(9.19)
e
Si ottiene pertanto:
mx(t) + /(x(r),x(t), r)
(9.12)
=0
=
0, venga data alla
In un generico istante, per esempio l’origine dei tempi t
velocità 8V . Il
della
e
8X
posizione
della
iniziale
perturbazione
una
soluzione
moto perturbato, che ne risulta, viene indicato con x(r), mentre con:
8x
= x(/) - x(t)
8x = x(t)
—
x(t)
(9.13)
(9.20)
si ha:
8x + p(t)8x + q (t)8x
=0
(9.21)
,216
Capitolo 9
Stabilità e regolazione
L’equazione di moto precedente è un’equazione differenziale a coefficienti varia¬
bili in funzione del tempo. Se f non dipende esplicitamente dal tempo e x(t) è
periodica allora p(t) e q(j) sono periodici. Mentre nel caso si studi la stabilità di
una posizione di equilibrio x = cost, i coefficienti divengono costanti e si ottiene
un’equazione differenziale a coefficienti costanti:
8x + p8x + q8x
Essa ha per soluzione in generale:
con zi
Zi e Z2
Z2,
0
(9.22)
= Aez" + BeZ2'
(9.23)
8x = Aez,‘ + BteZ2'
(9.24)
8x
con z, >
—
P2
4
radici complesse coniugate con parte reale positiva, 8x oscillante con ampiez¬
za crescente esponenzialmente con t (instabilità dinamica o di tipo “flutter”;
Figura 9.5);
e in particolare
0
e B sono costanti che dipendono dalle condizioni iniziali, mentre
=sonoZi-leAradici
dell’equazione caratteristica:
Z2 + pz + q = 0
(9.25)
che valgono:
Figura 9.5 Instabilità dinamica.
(9.26)
Si distinguono i seguenti casi:
p<0
radici reali ambedue positive, 8x crescente esponenzialmente con t (instabilità
statica o di divergenza; Figura 9.4);
q
=0
p=0
8x = A + Bt, 8x cresce linearmente nel tempo (Figura 9.6);
Figura 9.6 Instabilità di divergenza.
Figura 9.4 Instabilità statica.
217
218
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
219
p=o
radici complesse coniugate con parte reale nulla, 8x oscillante armonicamente
(equilibrio stabile Figura 9.7);
Figura 9.7 Equilibrio stabile, la risposta è oscillante armonicamente.
radici reali di cui una positiva e la seconda negativa, 8x cresce nel tempo in
modo esponenziale (instabilità statica o di divergenza; Figura 9.8);
radici reali ambedue negative, 8x decresce esponenzialmente nel tempo, salvo
eventualmente in un tratto iniziale (stabilità asintotica monotona; Figura 9.9);
Figura 9.9 Stabilità asintotica monotona (le due linee rappresentano due diverse
condizioni iniziali).
radici complesse coniugate con parte reale negativa, 8x oscillante con ampiezza
decrescente esponenzialmente nel tempo (stabilità asintotica con oscillazioni;
Figura 9.10);
ix
0
VV'
'
Figura 9.8 Instabilità statica o di divergenza.
Figura 9.10 Stabilità asintotica con oscillazioni.
teorema di Liapounov non può
essere applicato, per cui la stabilità del sistema completo non lineare deve essere verificata in altro
modo.
'in realtà, in questa condizione di stabilità non asintotica, il
Concludendo si ha stabilità asintotica se p > 0, q > 0, ovvero quando le radici
della (9.25) hanno parte reale negativa. La posizione continua a essere stabile
anche se p = 0 e q > 0, anche se si verificano oscillazioni permanenti. Da
220
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
221
un punto di vista tecnico la stabilità è in generale una condizione necessaria per
il buon funzionamento. La condizione può non essere sufficiente in quanto, pur
in una posizione di equilibrio stabile, le perturbazioni possono produrre elevate
oscillazioni persistenti, in caso di mancanza di smorzamento, e inaccettabili. In tal
caso bisogna verificare se con perturbazioni iniziali probabili la perturbazione che
ne nasce rimane entro limiti accettabili. Tali problemi sono importanti nella teoria
della regolazione,ove con opportuni provvedimenti si può rendere più stabile un
sistema regolato.
9.1.1 Moto di un punto su una traiettoria rettilinea liscia
Figura 9.12 Moto di un punto su un profilo circolare liscio.
Si consideri un punto materiale vincolato a muoversi su una traiettoria rettilinea
liscia (Figura 9.11).
da cui:
x + g sin
—
In assenza di forze attive, l’equazione di moto del punto pertanto risulta:
=
(9.27)
8x +
che ammette la soluzione:
a
= Vo, + Xo
(9.28)
8x +
=
(x + 5x)
=0
m8x
=0
(9.29)
(9.30)
e pertanto il moto libero è instabile, poiché le perturbazioni di moto crescono
indefinitivamente nel tempo.
9.1.2 Moto di un punto su un profilo circolare liscio
Si consideri un profilo circolare (di raggio R) liscio nel piano verticale e un punto
materiale pesante vincolato a muoversi lungo tale profilo (Figura 9.12).
Detta x l’ascissa curvilinea lungo il profilo e x/R l’angolo sotteso, l’equazione di
equilibrio dinamico risulta:
—mx
—
mg sin
—
dx
8x
J.t=0
=0
(9.34)
1 5x = 0 => 5x + —R 8x = 0
—R [cos
L —/C-Uo
(9.35)
La perturbazione del moto ovvero le vibrazioni libere valgono pertanto:
8x = A cos cot + B sin cot
per qualunque posizione di equilibrio. La perturbazione del moto vale pertanto
8x = At + B
~9(gsin^)'
ossia:
Sono pertanto soluzioni possibili gli stati di quiete e i moti con velocità uniforme
x Vo- L’equazione delle variazioni di moto si ottiene facilmente:
ni
(9.32)
K
Si ha ovviamente una posizione di equilibrio statico (con x = 0) per
. x 0
(9.33)
sin
R =
ossia per x = 0 e per x = nR. L’equazione delle variazioni del moto risulta, per
la posizione x 0:
Figura 9.11 Moto di un punto su una traiettoria rettilinea liscia.
mx = 0
— =0
(9.36)
con
w
= Jg/R
e pertanto la posizione x = 0 risulta stabile. Per x
a quanto detto in precedenza
8x H*
—1
8x
(9.37)
—
= 0 => 8x
nR si ottiene analogamente
—
—8x
R
=0
(9.38)
e la perturbazione del moto vale:
(9.39)
=0
(9.31)
la posizione analizzata risulta pertanto di equilibrio instabile.
222
stabilita e regolazione
Capitolo 9
223
9.2 Stabilità e regolazione di una macchina
Consideriamo un impianto costituito da una macchina motrice e da una opera¬
trice e assumiamo come organo di riferimento l’albero motore al quale si ridu¬
cano i momenti (e le forze) e i momenti d’inerzia (e le masse) dell’impianto.
Definito Mm il momento motore, Mr quello resistente e J il momento d’inerzia
complessivo ridotto all’albero motore, l’equazione di equilibrio dinamico risulta:
Mm - M, = JQ
(9.40)
detta £2 la velocità angolare del motore. In generale, il valore del momento motore
Min e di quello resistente Mr sono funzione della velocità angolare £2. Le relazioni
tra Mm e £2, e fra M, e £2 rappresentano le “caratteristiche meccaniche” rispetti¬
vamente del motore e dell’ utilizzatore. Nelle Figure 9.13 e 9.14 si riportano, in
condizione di regime, gli andamenti tipici per alcune macchine motrici.
Si nota come mentre il motore a combustione interna ha una caratteristica
molto “piatta”, il motore asincrono e il motore in corrente continua a eccitazione
separata sono motori a velocità pressoché costante, ovvero con differenza di pochi
punti percentuali tra le condizioni di carico rispetto alla condizione a vuoto. Ciò
premesso, si possono analizzare le condizioni di regime assoluto della macchina:
Mm(£2)
= Mr(£2)
Figura 9.15
L’equazione del moto perturbato intorno a tali posizioni di equilibrio è:
J8Q
- Lr 8Mmi
9£2 J
rawj
5Q
5 £2
+
Q=W] ,ù>2
,(t>2
=0
(9.42)
ossia:
rn
oùó
(9.41)
per il quale si supponga 1’esistenza delle soluzioni coi e W2> intersezioni delle due
curve caratteristiche di Figura 9.15.
Condizioni di regime assoluto della macchina.
——
1
dMm
dMr'
8 ^2
IfT
—
0
(9.43)
o, ancora:
(9.44)
<5£2 + p8Q ~ 0
con:
i
J
P
dMt
0£2
d£2
_ Q=<0|.a>2
0Mm
3Mr
(9.45)
Si distinguono i seguenti casi:
o
Figura 9.13 Curva caratteristica di un motore a combustione interna (a) e di una
turbina a vapore (b).
caso 1 :
P>o
o
3£2
(9.46)
la soluzione del moto perturbato ha andamento esponenziale decrescente, cor¬
rispondente a una condizione stabile;
caso 2:
P >0
Figura 9.14 Curva caratteristica di un motore asincrono trifase (a) e di uno in corrente
continua a eccitazione separata (b).
To’ <
dMm
3£2
>
M2-
(9.47)
la soluzione del moto ha andamento esponenziale crescente corrispondente a
una condizione di equilibrio instabile.
224
Capitolo 9
Stabilità e regolazione
La stabilità del sistema è pertanto dettata dal segno della differenza della (9.45),
essendo J sempre positivo. In particolare, dall’esame delle curve caratteristiche
si può vedere che in corrispondenza della soluzione «2, essendo
negativo
positivo, il sistema è sicuramente stabile. Fisicamente ciò corrisponde al
e
fatto che, per esempio, una perturbazione della velocità angolare positiva porta
una diminuzione della coppia motrice e un aumento di quella resistente: si ha così
la tendenza del sistema ad autoregolarsi. Viceversa, in corrispondenza della prima
soluzione wt, i segni delle derivate sono entrambi positivi ma con
maggiore
di
la situazione di regime risulta pertanto instabile. Infatti a un aumento
della velocità angolare corrisponde un aumento della coppia motrice e un minore
aumento di quella resistente: la velocità tende pertanto ad aumentare.
225
equilibrio e che il motore tenda ad andare fuori giri o ad arrestarsi. Come già am¬
piamente detto, la prima condizione si verifica se la caratteristica meccanica del
motore taglia la caratteristica dell’utilizzatore in un punto in cui:
0M,n
9Mr
(9.50)
Nella Figura 9.16 è rappresentata, a titolo di esempio, la caratteristica meccanica
di un motore generico e l’andamento di M, per due valori di Z.
9.2.1 Regolazione della velocità angolare di una macchina
Le macchine motrici sono, in generale, provviste di dispositivi che permettono di
variare l’energia fornita nell’unità di tempo alla macchina e da questa trasformata
in energia meccanica. Per esempio, nel caso di motori idraulici, a vapore, a com¬
bustione interna, ciò viene ottenuto variando la portata del fluido operante nella
macchina motrice. Nel caso di motori elettrici si agisce invece sulla tensione di
alimentazione o altri parametri (flusso di eccitazione, frequenza ecc.) caratteristici
del motore stesso. In generale possiamo dire che il momento motore Mm dipende,
oltre che dalla velocità angolare, dalla posizione di un dispositivo, “organo di ma¬
novra” o “attuatore”, che agisce sull’alimentazione. Tale variabile sarà nel seguito
definita con Y:
Mm =
Mm(Y, Q)
(9.48)
Analogamente, il momento resistente Mr dipende dalle condizioni dell’impian¬
to: queste possono essere individuate, per esempio, dal valore assunto da una
variabile Z modificabile a secondo delle esigenze dell’utenza. Si può quindi
scrivere:
Mr = Mr(Z, Q)
(9.49)
Le relazioni precedenti sono valide a rigore in condizioni di regime, o comunque
valgono nel passaggio da una condizione di regime a un’altra purché il passaggio
avvenga gradualmente attraverso posizioni intermedie di regime.
Si è già detto come, a partire da una condizione di regime e a causa di una
perturbazione della stessa, la macchina tenda a riportarsi nelle condizioni originali
o meno a seconda che la posizione di regime sia stabile o instabile. Supponiamo
ora che la condizione di regime venga perturbata o per una variazione del carico
(ossia della variabile Z) o per un’alterazione dell’alimentazione del motore (ossia
della variabile T). Può accadere che rimpianto, raggiunga spontaneamente una
nuova condizione di equilibrio a regime senza che a tal fine si debba apposita¬
mente intervenire sul valore di Y ; come può accadere che non si raggiunga un
Figura 9.16 Condizioni di funzionamento a regime.
A partire dalla condizione iniziale stabile del punto A, si ipotizza che venga rotto
l’equilibrio a causa di una brusca variazione di Z da Zi a Zi; il momento resistente
passa dal valore A al valore B. Per la (9.40), l’accelerazione angolare passa da un
valore zero a un valore positivo e la macchina tende ad accelerare. A un aumento
di Q corrisponde una diminuzione della differenza Mm Mr, differenza che si
annulla nel punto D, in corrispondenza del quale rimpianto si trova di nuovo
in equilibrio a una differente velocità angolare. Può accadere che, per esigenze
dell’impianto, si richieda che alle diverse condizioni di regime corrisponda un
valore pressoché costante della velocità angolare, ossia si richieda un apparato di
regolazione della velocità angolare.
Questa esigenza si presenta in molti impianti: di particolare importanza negli
impianti che trasformano energia meccanica in energia elettrica a corrente alter¬
nata, in impianti dell’industria tessile o della carta (nei quali il nastro è condotto
ad avvolgersi su rulli appartenenti a macchine diverse che debbono avere la stessa
velocità periferica) ecc.
Per passare da un regime a un altro senza che la velocità angolare di regime
subisca modifiche, si deve intervenire sulla variabile Y di controllo della macchina
motrice.
La Figura 9.17 mostra che, a seguito della riduzione del carico da Z\ a Zi,
è possibile passare dalla condizione A alla condizione finale B, a cui corrisponde
lo stesso valore della velocità angolare Q, purché si intervenga opportunamente
sull’alimentazione del motore.
La manovra sugli organi di alimentazione, ai fini della regolazione della ve¬
locità angolare, potrebbe essere effettuata manualmente, ma di solito è realizzata
automaticamente a mezzo di dispositivi speciali detti regolatori. Compito fonda¬
mentale della regolazione, intesa in senso generale, è di mantenere costantemente
—
226
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
227
nell’intorno della posizione fi, 7 e Z, ponendo
—
Mm ~ Mm (7, fi)+
m
\
dMm
„„
z.o
e indicando con:
uguale al valore desiderato quello della grandezza regolata (che può essere una
velocità angolare, una coppia, una pressione, una temperatura, una portata, una
tensione ecc.).
Si consideri ora un esempio di una macchina con un regolatore di velocità in
grado di modificare la grandezza regolante 7 allo scopo di mantenere costante la
velocità della macchina.
Sia J l’inerzia ridotta all’albero e Mr il momento resistente ridotto all’albero
motore, l’equazione di moto della macchina diviene:
Mm(7, fi)
- Afr(Z, fi) = Jfi
Sfi
= fi
—
Sfi +
fi
r,n
3M,
777?
8Y
z.n
37 = Afrn
8Z
= 7-7
(7, fi) + kM8Q + kr8 7
= Mr (Z, fi) + kR8Q + kz8Z
(9.53)
8Z = Z
—
Z
(9.54)
le perturbazioni rispetto alla condizione di regime. Sostituendo le (9.53) nell'e¬
quazione (9.51) e tenendo presente la condizione di equilibrio (9.52), ci si può
ridurre alla forma
J8à + (kR - kM) Sfi = kr8Y - kz8Z
(9.55)
lineare a coefficienti costanti, per la quale, valendo la sovrapposizione degli effetti,
si possono studiare separatamente la stabilità del regime (omogenea associata), gli
effetti di una variazione della grandezza regolala 37 c di variazioni di carico SZ.
Stabilità del regime Per scostamenti di 37 e di SZ nulli, la (9.55), diviene:
J8Ù + (.kR-kM) Sfi
(9.51)
=0
(9.56)
che ammette soluzione del tipo:
La condizione di regime, come riportato nella Figura 9.18, è caratterizzata dalla
condizione:
Mm(Y, fi) = Mr(Z, fi)
SY
r.n
dM,
Figura 9.17 Regolazione della macchina ottenuta agendo sulla variabile di controllo
del motore 7.
dMm
8Q+
(9.52)
dove con fi si è indicata la velocità angolare di regime del motore, con 7 e Z
rispettivamente i valori assunti dalla variabile di controllo e dal carico in tale po¬
sizione di equilibrio. Volendo ora analizzare le perturbazioni nell’intorno di tale
posizione di equilibrio, si deve sviluppare in serie di Taylor l’Equazione (9.51)
3fi
= Aex'
(9.57)
con A dipendente dalle condizioni iniziali. Sostituendo la forma (9.57) nella
(9.56) si trova:
X
=-
~
(9.58)
=
fi
Supponendo inoltre che la perturbazione iniziale sia Sfi
t = 0, la soluzione dell’equazione omogenea associata (9.56) è:
Sfio.4. =
Sfioe-^-^ )' = Sfi^e-
7
— fi = Sfio per
(9.59)
in cui
Figura 9.18 Condizioni di funzionamento a regime.
(omogenea con un tempo) è detta costante di tempo. Per 7’ > 0 (ovvero per
X < 0) la perturbazione Sfi di fi tende asintoticamente a zero; dopo un tempo
t = 3T il valore della Sfi si riduce al 5% circa di 3fi() ed è considerato nullo
(Figura 9.19).
La situazione di regime è stabile. Viceversa, se X > 0 si ricade nel caso
d’instabilità di divergenza già considerata.
228
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
229
Nel secondo caso, ovvero per studiare il comportamento del sistema soggetto a
variazioni óT(t) nel tempo della grandezza regolante, si analizza la (9.61), as¬
sumendo un andamento ar monico del termine noto. Tale termine si può inoltre
considerare come una generica armonica dello sviluppo in serie di Fourier di un
ingresso óT(t) qualsiasi (purché periodico o assunto tale). Si ponga allora, per
esempio:
J8Q
Effetti di una variazione della grandezza regolante Si consideri ora l’inte¬
grale particolare dell’equazione:
T8Q
(9.61)
57 è un gradino, pari a 5 Lo = cost da un determinato tempo in poi;
in cui Qy è la pulsazione che
8Y ha un andamento armonico 8Y =
descrive la variazione della grandezza regolata.
Nel primo caso, l’integrale particolare, posto 8Y = 0 per t < 0 & 8Y = 8Yo per
8Q0
(9.62)
—
ky
—8Y0
+ SQr = Ae~T + -kp-kM
i
a
(9.63)
con A costante d’integrazione dipendente dalla condizione iniziale, che, per il
caso in esame, è 3Q(0) 0, imponendo la quale si ottiene:
=
A=
ÓQ
——
= kp
kM
(1 - e-r)/
3Y0\
i
1
(
I
4
(
’
l
kp
,
- kM
oYq
(9.68)
1
—
ky
(9.69)
G USìy) =
l
—
ky
1
OS2yD
kR-kM
+
(9.70)
Nota la funzione di trasferimento armonico, la risposta X (grandezza regolata) a
un ingresso armonico Y (grandezza regolante) è allora data da:
X
= G(jQy)Y
(9.71)
A partire da tale funzione, è possibile analizzare:
(9.65)
dell’andamento nel tempo del transitorio della perturbazione di Q provocata da
un “gradino” 8 Yq. Il rapporto
= y tra la grandezza regolata e regolante
costituisce la “risposta al gradino” (unitario) del sistema.
(.
kv
= 1 + (jQyT) kp -- kM 5TU
*
(9.64)
che sostituita nella (9.63) fornisce l’espressione:
—
Il rapporto
= y = G(jQy) definisce ]a funzione di trasferimento armonico
del sistema regolato. Nel caso in esame tale funzione di trasferimento è pertanto
data da:
kp
L'equazione generale della (9.61) è allora:
=
(9.67)
da cui si ottiene:
t > 0, è:
<SQ
—-,
(jWy./ ) SlJo + ÓSZq
e
e
—^—8Y0
— kM
kv
+ 8Q = kp ì—km-3roe;ni"
La soluzione a regime è del tipo SQ^e^' sostituendo nell’Equazione (9.67) si
ha:
per determinare il quale occorre conoscere 8Y in funzione del tempo. Di partico¬
lare interesse sono le forme in cui:
8QP =
(9.66)
con Ay in genere complesso. Dividendo per il coefficiente di <5 Q si ha poi, per
quanto visto in precedenza:
'
Figura 9.19 Andamento nel tempo di una perturbazione 3Q per un sistema stabile.
J8à + (kK-kM)8Q = ky8Y
+ (kp - kM) 8Q = Ayejnr'
• la stabilità del sistema;
(detto
errore di statismo) e quello di sovraelongazione della
risposta (pvershoot);
• la prontezza ovvero la rapidità di adattamento della grandezza regolata all’an¬
damento imposto della grandezza regolante.
• l’errore a regime
230
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
231
Figura 9.21 Diagramma di Nyquist.
definisce il limite superiore della banda passante oltre il quale il guadagno opera
una sempre più marcata riduzione degli effetti della variabile regolante Y su quella
regolata. Se allora si intende imporre una variazione (di velocità angolare nel caso
in esame) con legge periodica, questa non sarà riprodotta in maniera accettabile
se il contenuto armonico eccede la banda passante. Bisognerà quindi diminuire la
costante di tempo T, ovvero agire aumentando il termine kR
Figura 9.20 Diagramma di Bode.
La funzione di trasferimento armonico rappresenta la risposta in frequenza (si pen¬
si a Qy variabile) a un ingresso Y unitario. La rappresentazione grafica di questa
funzione di trasferimento convenzionalmente si realizza in forma cartesiana (dia¬
gramma di Bode) o polare (diagramma di Nyqidst). In un diagramma di Bode
(Figura 9.20) si riporta la funzione di trasferimento armonico in funzione della
variabile reale Qy su un diagramma cartesiano che dà l’andamento di G(j'Qy)
in modulo e fase, usualmente con scala logaritmica dell’asse delle frequenze. Il
modulo |G (jaY)| si esprime in dB secondo l’espressione:
|G(jQy)|dB=201oglo|G(jQy)|
\G(jaY)\ =
[2ex] tan 0
=
1
x/l + ^rT)2
Im (G(jaY))
Reaì(G(jaY))
ky
=
1/V2
J8Q
+ (kR - kM) Sa = -kzSZ
(9.73)
(9.74)
Consideriamo ora un’improvvisa variazione 8Zo = cost del carico. In base a
quanto già trovato nella (9.65), l’andamento della variazione di àfi della grandez¬
za regolata è dato da:
sa = -,
—
kz
kR
A regime, per t > oo, si ha poi:
5Q
Nella rappresentazione polare, la G(jaY) c costituita dal luogo dei punti (vettore
P O nella Figura 9.21) in campo complesso, assunto il polo O come origine
degli assi reale e immaginario.
Il valore Qy
1/T prende il nome dì frequenza di taglio a cui corrisponde
|G(JQy)| =
(corrispondenti a circa —3 dB nel diagramma di Bode) che
—
Effetti di una variazione della grandezza regolata Riprendendo ora in esa¬
me l’effetto di una variazione del carico si deve valutare l’integrale particolare
dell’equazione:
(9.72)
La fase è espressa in gradi. Si veda per esempio la rappresentazione della (9.70)
secondo Bode. Si noti che:
— k^.
=
—
k^
8Z0\( l - e-r)>
— —kM <5Zo
^“Z
kR
(9.75)
(9.76)
quindi permane uno scostamento rispetto alla velocità Q originaria, da cui si
cambiata di segno:
definisce un errore di statismo s dato dalla derivata
SZq
kR
— kM
—
Anche l’errore di statismo si riduce aumentando kR kM- Per riportare Q al
valore desiderato fi occorre quindi agire sulla grandezza regolante Y .
232
Capitolo 9
Stabilità e regolazione
9.2.2 Regolazione ad anello chiuso
La regolazione in anello aperto, analizzata prima, ha mostrato come si possa
ottenere un buon risultato in termini di stabilità e di risposta a variazioni della
grandezza regolata, tramite i parametri kR, kM, ky e kzUna seconda soluzione prevede, come anticipato, di intervenire in modo au¬
tomatico sull’organo di comando al fine di controllare il valore effettivamente
assunto dalla variabile regolata, nell’esempio la velocità angolare. Per ottenerlo
bisognerà disporre dapprima di adeguati strumenti di misura (nel caso visto di
un misuratore di velocità angolare, quale un tachimetro) per rilevare la grandezza
controllata e utilizzare l’informazione contenuta nel segnale di retroazione R pro¬
dotto dalla caratteristica Gt dello strumento inserito nella linea di retroazione. Il
segnale R, in genere proporzionale alla grandezza X regolata, viene confrontato
nel “nodo comparatore” con il segnale di riferimento W, ottenendo un segna¬
le di errore E che determina il valore Y della variabile controllante tramite una
opportuna funzione stabilita dal controllore Gc.
Un sistema di regolazione deve quindi comprendere (Figura 9.22):
233
proporzionale all’errore tra la velocità angolare del motore e un valore desidera¬
to £2rifRicordando l’equazione della macchina:
J5Q
+ (kR
- kM)
8Q
= kr8Y - kz8Z
(9.78)
si consideri ora <SK dipendente dal segnale differenza tra la velocità desiderata
Qrif e la velocità attuale della macchina retroazionata mediante il sensore QR
mediante una relazione puramente proporzionale (tale logica è detta regolazione
proporzionale):
‘
= p(Qrì{-QR)
8Y
(9.79)
dove il segnale QR di retroazione è proporzionale alla velocità angolare della
macchina tramite una costante detta “guadagno della catena di retroazione”:
z
X,
SY
ricordando che Q =
8Y
Q
= p(ntit-aQ)
(9.80)
+ <5 JT2, il segnale di comando 8Y assume la forma:
= p (Qrif - a (Q + ÓQ)) = p (<5Qrif - a8Q)
(9.81)
avendo mdicato con 5Qrif lo scostamento del valore di riferimento dalla velocità di
regime £2 (il valore
può essere anche rappresentativo di un possibile disturbo
nella fase di generazione del segnale di riferimento).
Sostituendo nella (9.78), si ottiene:
Figura 9.22 Schema di un sistema di regolazione: Gw generatore del segnale di
riferimento, Gr generatore del segnale di retroazione, Gc elementi di controllo
(manipolatori, amplificatori ecc.), Gs sistema meccanico regolato.
J8Q
+ (kR - kM) 8Q = krp(8Qrì( - a8Q) - kz8Z
ossia, con le semplificazioni:
J8Q
«
un misuratore della grandezza regolata X con il relativo dispositivo (condizio¬
natore) che trasforma l’indicazione fornita dal misuratore e genera il segnale di
retroazione;
e un generatore del segnale di riferimento IV, che trasforma opportunamente la
grandezza in ingresso (comando comunicato al sistema) in un segnale omoge¬
neo e confrontabile con quello di retroazione R-,
e un dispositivo che confronta il segnale di riferimento W con il segnale di re¬
troazione R per generare un segnale di differenze E = W R;
o un complesso Gc di manipolatori del segnale differenza e di amplificatori che
forniscono la potenza occorrente per agire sull’organo di regolazione, facendo
variare la grandezza regolante V;
o l’organo finale di regolazione che regola la potenza fornita dal motore al sistema
regolato e per conseguenza la grandezza regolata stessa X.
—
Si ipotizzi ora di effettuare una regolazione della macchina MTU in cui il pa¬
rametro di controllo del motore Y vari in modo automatico come una funzione
kw = kyp e ka = ky pa:
—
+ (ka + kR
k^-i) 8Q
= /cu, <S^2rif
— kz8Z
(9.82)
(9.83)
che mostra come, a causa dell’anello di regolazione, vengono modificate le carat¬
teristiche di stabilità e di risposta a segnali di comando e di disturbo.
Infatti, riprendendo quanto visto nel caso di regolazione ad anello aperto, la
stabilità del regime è regolata dal parametro T che ora assume la forma:
„
T
1
= ~y=
a ikR
—
J
7
(kM
— rr
ka)
(9-84)
che deve risultare positivo per garantire una condizione di regime stabile. Il siste¬
ma meccanico può essere reso stabile anche per valori di kM > kR pur di rendere
sufficientemente elevato il termine ka = kypa agendo sui parametri a del se¬
gnale di retroazione (utilizzando un tachimetro molto sensibile) e p dell’anello
di regolazione proporzionale. La diminuzione della costante di tempo riduce di
conseguenza l’esaurirsi dei transitori, e in pratica è come se si fosse aumentata la
pendenza (negativa) delle curve caratteristiche del motore dal valore kM (< 0) al
234
Pillili
Stabilità e regolazione
Capitolo 9
—
valore km k„ (con ka > 0). Per quanto concerne la risposta del sistema regolato
ai disturbi, analogamente a quanto fatto per il sistema ad anello aperto, si ha che:
5Q
= -kR
ossia permane un errore di statismo:
—
SZq
—
8Y
kR
—
(km
—
J8Q
ka)
=
kx
e diminuisce al crescere dei guadagni a della linea di retroazione e p della li¬
nea diretta. Il guadagno però non può essere aumentato a dismisura, altrimenti
a piccole variazioni della grandezza regolata corrispondono elevati valori del co¬
mando <S K che, essendo limitato, va in saturazione e trasforma la regolazione da
proporzionale a quella tutto o niente.
Regolazione Integrale Nella regolazione integrale il comando ó F si fa dipen¬
dere in modo proporzionale (tramite un guadagno b) all’integrale dell’errore e:
edt = b
j
(8arì{ -
(9.88)
a8Q) dt
L’organo di comando non interviene istantaneamente, bensì dopo un certo tem¬
po in cui l’errore perdura; l’azione presenta così un ritardo che da un lato può
avere effetti negativi, dall’altro riesce a ridurre e annullare lo statismo. Infatti,
l’equazione di moto diventa:
J8Q
+ (kR - kM) 8Q = krb
j
(5Qrir - a^) dr - kz8Z
(9.89)
derivando la precedente rispetto al tempo, si ottiene:
...
(kR - kM) 8Q + kyba8Q
J8Q
+
(9.91)
+ (kR - kM) 8Q = kyc (ófirif - a8à) - kz8Z
ovvero:
=
- kz
—
8Z
(9.90)
che mostra come la funzione di trasferimento tra 5Q e 5Qrif dipenda solo dai
parametri del regolatore.
(9.92)
t
(J
+
kyca) 8Q
+ (kR
- km) 8Q
= kyc8Qrir - kz8Z
(9.93)
in cui risulta come il parametro kyca sia paragonabile a un’inerzia aggiuntiva Jc
e permetta in tal modo di modificare, ancora una volta, la costante di tempo del
sistema:
T
(9.87)
kypa
j
= bé = c (8nri{ - aSQ)
che sostituita nell’equazione di molo porta a:
che risulta però più piccolo di quello ad anello aperto.
L’Espressione (9.85) mostra uno scostamento <5 fi costante in risposta a un
disturbo costante. L’errore di statismo è la diretta conseguenza della regolazione
proporzionale: se infatti varia il carico, si può ottenere una nuova condizione di
regime alla stessa velocità solo con un diverso valore del momento motore, quindi
del segnale di comando e in definitiva del segnale differenze e; visto che non è
mutato il segnale di riferimento deve permanere necessariamente uno scostamento
della grandezza regolata. Se k„ ky pa è molto maggiore del la differenza kR —km
lo statismo risulta indipendente dalla pendenza delle curve caratteristiche:
8Y = b
Regolazione derivativa Nella regolazione derivativa, viceversa, il comando
8 Y viene fatto dipendere in modo proporzionale (tramite un guadagno c) dalla
derivata dell’errore e:
(9.85)
— Ka) 8Z0
(Am
235
Jc
= 7KR + KM
J
—
(9.94)
Regolazione PID Nella regolazione industriale, in funzione dell’applicazione, si
realizza un controllore che intervenga con un comando che dipende da i tre contri¬
buti analizzati separatamente in precedenza, ovvero un contributo proporzionale
all’errore, un secondo contributo proporzionale al suo integrale e infine un terzo
contributo proporzionale alla derivata dell’errore stesso:
8Y
= p (3Qrif - a8Q) +b
f (SQrif - a8Q) dt +
c (5Qrir - mSÒ)
(9.95)
che sostituita nell’equazione di moto porta a:
J8Ù + (kR
—
km) 8Q
= p (5f2rjf
— +f —
— a8Ù^ — kz8Z
a8Sì)
b
(óQnf
aS^Ì) dt+
(9.96)
+c (óÓrif
ovvero, derivando rispetto al tempo:
(7 -|- Jc) 8&
—
+ (kR km + k„)
+ ki,8£ì =
—
+ c5Qrir)
ky
(b8Q„f +
—
8Z
avendo posto Jc = kyca, ka = ky pa ekb = kyba. Modificando quindi i parametri
del regolatore a, b e. pè possibile modificare il comportamento del sistema sia in
termini di stabilità, sia di risposta a variazioni della grandezza regolata Qrjf o dei
disturbi Z.
Gli elementi delle macchine
Nell’ambito degli elementi delle macchine si includono quei dispositivi e mecca¬
nismi che fanno parte della macchina e che consentono di soddisfare le diverse
necessità richieste dal suo funzionamento, quali, per esempio, ravviamento, l’ar¬
resto, lo stazionamento, la trasmissione di potenza. Altri elementi delle macchine
sono invece legati alle modalità di vincolo, quali i supporti e le fondazioni. In que¬
sto capitolo ci si occuperà, prevalentemente dal punto di vista funzionale, di alcuni
di essi, e in particolare: le trasmissioni di potenza, i dispositivi per l’arresto del
moto (freni) e i supporti. Saranno sottolineati i princìpi della meccanica alla base
del loro funzionamento, rimandando, data la vastità dell’argomento, alla lettera¬
tura speciali zzata per gli approfondimenti e gli aggiornamenti costruttivi e tecno¬
logici. Si porranno invece in evidenza i campi di utilizzo dei diversi componenti,
e i relativi vantaggi e svantaggi. In generale non si può affermare che un compo¬
nente è in assoluto migliore di un altro, le condizioni operative (potenza, velocità,
temperatura, ingombro, modalità di applicazione del carico, costo, oneri manu¬
tentivi, condizioni ambientali) determinano la scelta ottimale per una condizione
data. Risulta quindi opportuno conoscere i campi di applicazione di un elemento
di macchina e i relativi vantaggi e svantaggi sotto il profilo tecnico, economico e
dell’impatto ambientale, per poterne effettuare la selezione in modo opportuno.
10.1 Sistemi per la trasmissione di potenza
Nel capitolo relativo alla dinamica della macchina è stata introdotta la trasmis¬
sione, come elemento preposto a collegare l’elemento motore con l’elemento uti¬
lizzatore; talora un sistema di trasmissione ha anche la funzione di distribuire la
potenza da un unico motore a più utilizzatori. Con il termine trasmissioni di po¬
tenza si intendono i meccanismi atti a trasmettere le variabili della potenza (cop¬
pia e velocità angolare, o forza e velocità), lasciandone inalterato il valore oppure
modificandolo. Le trasmissioni di potenza che saranno esaminate nel seguito con¬
siderano il moto rotatorio di alberi con assi tra loro paralleli: esse sono classificabili in base a differenti caratteristiche. Volendo effettuare una suddivisione basata
sulla funzione principale, è possibile distinguere:
®
sistemi per trasmettere potenza con rapporto di trasmissione costante, per esem¬
pio riduttori e moltiplicatori. I primi sono i più utilizzati, in quanto la velocità
I
238
di rotazione dei motori è in genere maggiore di quella degli utilizzatori. Varian¬
do la velocità varia di conseguenza la coppia trasmessa, come già visto questa
tras formazione avviene a spese di un rendimento inferiore all’unità, il che com¬
porta che una frazione della potenza in transito venga dissipata in calore e non
più recuperata. Questi meccanismi sono realizzati mediante ruote (lisce o den¬
tale), che possono essere direttamente accoppiate tra loro, e in tal caso si parla di
trasmissione rigida, oppure collegate mediante elementi flessibili, quali cinghie,
catene c funi.
o Sistemi per trasmettere potenza con rapporto di trasmissione variabile (cambi
e variatori di velocità). Questa funzione si rende necessaria, per esempio, per
controllare il movimento, oppure per ampliare il campo di funzionamento di
un motore. Applicazioni si trovano, in particolare, nel campo dei veicoli, delle
macchine movimento terra e delle macchine utensili.
per collegare tra loro in modo non permanente alberi rotanti (giunti
• Sistemi
e innesti). Le esigenze di trasporto, montaggio, manutenzione richiedono di
poter scollegare alcuni elementi del sistema motore-trasmissione-utilizzatore.
In particolare è necessario poter collegare e scollegare tra loro gli alberi rotanti.
Nel caso di collegamento permanente durante il funzionamento della macchina,
si parla di giunti, mentre nel caso di accoppiamento temporaneo, ossia inseribile
e disinseribile senza operazioni di smontaggio, si parla di innesti.
Nella Figura 10. 1 si riporta un quadro sinottico dei principali sistemi di trasmis¬
sione, classificati secondo quanto sopra specificato.
I
l
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
239
Tabella 10.1 Criteri di classificazione delle trasmissioni in base alla modalità con cui
viene trasmessa la potenza.
Tipo accoppiamento
Contatto diretto
Spinta tra superflui
Ruote dentate
Attrito
Ruote di frizione
Elemento flessibile
Catene
Cinghie dentate
Cinghie (piante e trapezoidali)
Funi
Un’altra classificazione possibile riguarda invece la modalità con la'quale la po¬
tenza viene trasmessa (Tabella 10.1). La trasmissione del moto può avvenire per
contatto tra superfici coniugate, che si scambiano mutue spinte in direzione della
normale al contatto, oppure per effetto di sole azioni di attrito.
Nel primo caso la limitazione al livello di potenza che è possibile trasmettere
è dettata prevalentemente dalla resistenza meccanica degli elementi che compon¬
gono la trasmissione e dal loro tasso di usura. Nel secondo caso, il valore massimo
della potenza che può essere trasmessa, dipende, oltre che dalle limitazioni dovute
alla resistenza meccanica, anche dalla limitazione al valore massimo delle forze
tangenziali scambiate che si ha per effetto della saturazione delle azioni di attrito,
alle quali è affidato il compito di trasmettere la potenza.
Le trasmissioni di potenza si possono distnguere anche in funzione delle
seguenti caratteristiche:
e
o
»
non esiste un telaio indipendente della trasmissione (come nel caso di trasmis¬
sioni a fune o a cinghia);
è presente un telaio con sole funzioni di protezione, sia nei riguardi dell’ingres¬
so di elementi estranei, quali polveri o scarti di lavorazione, sia per la sicurezza
del personale (ancora torniamo al caso di cinghie o catene);
la trasmissione ha un proprio telaio autonomo, di solito chiuso e con elevate ca¬
ratteristiche di rigidezza, con lo scopo di supportare gli alberi che compongono
la trasmissione, e di contenere il lubrificante, come per esempio nel caso dei
riduttori a ingranaggi.
10.2 Sistemi a rapporto di trasmissione costante
Tra gli elementi che rientrano in questa categoria saranno trattate brevemente le
ruote di frizione, le ruote dentate (trasmissioni rigide) e i sistemi composti da ruote
e flessibili (cinghie e catene).
Figura 10.1 Classificazione dei più comuni sistemi per la trasmissione di potenza,
in base alla principale funzione da svolgere (rapporto di trasmissione costante o
variabile).
10.2.1 Ruote di frizione
Il più semplice tipo di trasmissione è costituito dalle ruote di frizione, che trasmet¬
tono la potenza mediante le azioni di attrito scambiate al contatto tra le due ruote.
240
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
241
La trasmissione, nella sua forma più semplice, è costituita da due ruote lisce, con
assi paralleli, premute una contro l’altra (Figura 10.2). La cinematica della tra¬
smissione corrisponde al vincolo di puro rotolamento; uguagliando la velocità dei
due dischi al punto di contatto si ottiene il rapporto di trasmissione
Vp
—
D।
D^ r
=
= «i 2 = <w2—2
—a>2
Di
D2
(10.1)
La potenza massima trasmissibile è bassa (meno di 20 kW), e non è garantita
la costanza del rapporto di trasmissione al variare del carico, per cui questo di¬
spositivo è utilizzato solo per macchine particolari, come limitatore della potenza
trasmessa o, più spesso, come parte di variatori di velocità.
Figura 10.3 Esempio di coppia di con ruote dentate cilindriche a denti diritti.
10.2.2 Ruote dentate
Le ruote dentate (Figura 10.3) trasmettono il moto attraverso il contatto e le mutue
spinte tra i profili dei denti. La forma dei profili più diffusamente utilizzata è a
evolvente di cerchio, le cui proprietà saranno descritte nel seguito (Figura 10.4). In
un primo approccio intuitivo, si può definire l’evolvente di cerchio come la curva
tracciata dall’estremo di una corda che, mantenuta tesa, si volge da una circonfe¬
renza detta circonferenza di base, come mostrato nella Figura 10.4. Conformando
i fianchi dei denti secondo tale curva, è possibile ottenere un movimento continuo,
affidato alla spinta tra i denti, nel quale il rapporto di trasmissione non si modifica
durante la rotazione.
Le caratteristiche geometriche principali dalla ruota dentata sono mostrate
nella Figura 10.5, esse sono la circonferenza primitiva, la cui lunghezza è pari al
Figura 10.2 Schema della trasmissione con ruote di frizione.
Studio della trasmissione La limitazione della potenza trasmissibile deriva dal¬
le modalità stesse di funzionamento, legate alla forza di attrito T scambiata al
contatto tra le due ruote:
Ci < Clim = Tlim^i = fs? Ri
(10-2)
Le limitazioni dovute alla resistenza del materiale e ai fenomeni detti di fatica
superficiale, che causano un progressivo degrado sia alla superficie sia immedia¬
tamente al di sotto di essa, impediscono di aumentare illimitatamente la forza P\
quindi, dato il valore di fs e dovendo limitare gli ingombri (Jf e Rf), ne segue la
limitazione (10.2). Poiché nel punto di contatto, in realtà un’area di contatto, vi so¬
no microscorrimenti, ossia slittamenti locali all’interno dell’impronta di contatto
il valore del rapporto di trasmissione presenta degli scarti dell’ordine dell’1 4- 3%.
Figura 1( 1 Interpretazione dell'evolvente di cerchio.
(
242
(
\
(
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
243
Figura 10.6 Archi percorsi sulle circonferenze primitive.
avendo utilizzato la definizione di modulo m, ovviamente uguale per le due ruote,
si ottiene:
Wl
Figura 10.5 Principali dimensioni geometriche dei denti.
Vi
—
—= =
Z\
^2
r
wl
~
(10.5)
<«2
prodotto del passo per il numero di denti Z, ossia nDp pZ, rispetto alla quale
sono definite le quantità denominate addendum e dedendum, che determinano i
diametri delle circonferenze di troncatura esterna e interna.
Nella pratica costruttiva la dimensione del dente è definita attraverso il suo
modulo, legato al passo dalla relazione:
Per cui, se la ruota conduttrice compie un giro completo, la ruota condotta compie
una frazione di giro, di entità pari al rapporto fra il numero dei denti della ruota
conduttrice Z\ e quello della ruota condotta Zi. Lo stesso rapporto vale per le
velocità angolari delle due ruote, essendo il rapporto di trasmissione costante.
L’utilizzo dei profili a evolvente per la realizzazione delle ruote dentate soddisfa
alle seguenti condizioni:
(10.3)
la velocità relativa nel punto di contatto non ha componente normale (assenza
di urto) ai profili a contatto;
per ridurre la velocità di strisciamento (proporzionale alla distanza del punto di
contatto dal centro di istantanea rotazione relativa) dei profili coniugati se ne
utilizza solo una parte a cavallo della primitiva;
e per la continuità del moto, quando una coppia di denti non è più a contatto, deve
esserlo la coppia successiva;
» tra gli elementi della ruota deve esservi il posto per gli elementi dell’altra, ossia
devono essere presenti alternativamente dei pieni (i denti) e dei vuoti (spazi tra
due denti consecutivi);
o per rendere possibile l’inversione del senso di rotazione, gli elementi di una
ruota devono essere limitati da entrambe le parti da profili coniugati a quelli
dell’altra ruota;
e la lunghezza del tratto pieno + vuoto (passo) deve essere un sottomultiplo intero
della circonferenza primitiva, ossia Z = nDp/ p.
p
= mn
oppure Dp = mZ
ricordando la definizione sopra data del diametro primitivo Dp. 1 valori del modu¬
lo sono normalizzati (non potrebbero esserlo quelli del passo, in quanto contengo¬
no implicitamente il numero ir), e a essi ci si riferisce nella costruzione delle ruote
dentate. Nel proporzionamento modulare, l’addendum è pari al modulo, mentre il
dedendum è pari a 1.25 ni.
La circonferenza primitiva, oltre a costituire la linea di riferimento rispetto
alla quale sono definite le dimensioni e le posizioni dei denti, consente anche di
descrivere la cinematica della trasmissione. La rotazione delle due ruote dentate
attorno al proprio asse, unitamente al vincolo di contatto tra le superfici dei denti,
equivale, dal punto di vista cinematico, a un vincolo di puro rotolamento tra le
circonferenze primitive (Figura 10.6). Da quanto sopra detto si può intuitivamente
ricavare il rapporto di trasmissione. Uguagliando infatti la lunghezza percorsa
sulla circonferenza primitiva 1, pari a sj (D[/2)<pi, con il corrispondente tratto
52 percorso sulla circonferenza primitiva 2, si ha:
=
D\
Di
<Pì^ = <P2-y
da cui:
Zpn
=
Zini
(10.4)
«
•
I principali vantaggi della trasmissione a ingranaggi sono dovuti alla capacità di
trasmettere potenze anche molto elevate, con il miglior rapporto ingombro/potenza,
con rendimenti alti, e garantendo la costanza del rapporto di trasmissione, essen¬
do questo affidato all’accoppiamento geometrico dei denti. Inoltre i carichi sui
244
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
cuscinetti, a parità di potenza trasmessa, sono inferiori a tutti gli altri tipi di tra¬
smissione. Tra gli svantaggi vi sono il costo più alto, legato anche alla necessità di
un’elevata precisione e di lubrificare il contatto tra i denti. Le trasmissioni a ingra¬
naggi sono caratterizzate da un livello di rumore più elevato rispetto, per esempio,
a quelle a cinghia, e dall’incapacità di assorbire e smorzare urti e vibrazioni deri¬
vanti dall’esercizio. Si utilizzano principalmente quando le distanze tra gli alberi
sono piccole, ed è necessario mantenere un tappo ’n di trasmissione costante, con
elevata coppia da trasmettere. Se gli alberi da cuiicgare tra loro sono comuque
distanti, è necessario prevedere un albero di trasmissione.
Cinematica della trasmissione Per illustrare il principio di funzionamento si
considerino dapprima due profili generici a contatto, come mostrato nella Figu¬
ra 10.7, dove due corpi dotati di moto rotatorio piano sono a contatto nel punto
P. Le rette n e t indicano rispettivamente le direzioni normale e tangente comuni
al contatto, mentre Vi e V2 sono le velocità dei corpi in corrispondenza del punto
di contatto P. Se il contatto avviene senza urti, le componenti della velocità in
direzione normale (Fin c F2„) sono uguali, mentre la differenza tra i vettori V2 c
V| rappresenta la velocità relativa di strisciamento tra i due corpi. 1 due profili,
che risultano pertanto avere n e t coincidenti, si dicono coniugati, e costituiscono
la classe di pratico impiego nelle trasmissioni di questo tipo. L’uguaglianza delle
componenti normali delle velocità dei due corpi in corrispondenza del punto di
contatto:
F|n =<z>i O| P cosai
= coiOiQi
(10.6)
V2n =w2 O2
=
(10.7)
COS a2
Figura 10.7 Esempio di due profili a contatto.
02
245
consente di ricavare il rapporto istantaneo tra le velocità angolari dei due corpi,
ossia il rapporto di trasmissione r, definto come rapporto tra la velocità angolare
del corpo cedente (2) e del movente (1):
r
— — = ———
^2
W|
O2Q2
O|2|
Fin
——— —
O\Q\
O\PU
= O2Q2 = O2P0
.inQ
(10.8)
Per la similitudine dei triangoli PoOiGi e P0O2Q2, il rapporto di trasmissione
istantaneo può anche essere espresso come rapporto dei segmenti OiPq e 02P0,
in base alla posizione del punto Po, intersezione tra la linea delle azioni (ossia la
rappresenta
normale al contatto) e la congiungente i centri Oj e O2- 11 punto
il centro di istantanea rotazione relativa tra i due corpi. Per mantenere il rapporto
r costante è quindi necessario che il punto Po non modifichi la sua posizione
durante il funzionamento, pur potendo variare la posizione del punto di contatto
P. Se si considera la traiettoria tracciata da Po (fisso nel piano) su ciascuno dei
due corpi in rotazione, si ottengono delle circonferenze dette primitive del moto,
con centro in O| e (92- Poiché la posizione di Po dipende dalla forma dei profili
a contatto, adottando opportuni profili si soddisfa alla condizione richiesta sulla
costanza del rapporto di trasmissione. Nella pratica costruttiva si utilizzano, nella
maggior parte dei casi, profili coniugati costituiti da evolventi di cerchio. Altri
tipi di profilo utilizzati per mantenere costante il rapporto di trasmissione sono il
profilo cicloidale, e quello di Novikov.
Si ricorda che l’evolvente A di una linea y è quella curva che ha i suoi centri
di curvatura su y. L’evolvente può essere pensata come traccia dell’estremo di
un filo che si svolge dalla circonferenza (detta di base), mantenendosi teso. Dalla
Figura 10.8 si ricavano le relazioni geometriche che intercorrono tra il raggio
OPC, l’angolo fi e l’angolo af, che costituisce il parametro rispetto
vettore R
al quale viene costruita la curva. Notando che la distanza PCTO e la lunghezza
=
Figura 10.8 Costruzione geometrica dell'evolvente di cerchio.
246
I
Capitolo IO
Gli elementi delle macchine
247
dell’arco QTo sono uguali, per la costruzione dell’evolvente di cerchio:
= Wb(ar + ^)
PcTq = 7?btanaf
QT0
(10.9)
(10.10)
si ottiene la definizione di involuta:
p-
tati at
—
otf
Rb
(10.11)
COS Off
Al variare dell’angolo af si traccia quindi il profilo dell’evolvente (Figure 10.9 e
10.10). Come ultimo aspetto si studia la velocità di strisciamento tra i fianchi dei
denti. La Figura 1 0. 1 1 mostra le componenti lungo le direzioni normale e tangente
Figura 10.11 Componente normale comune delle velocità dei due denti a contatto.
al contatto della velocità dei due denti. Considerazioni geometriche consentono
di definire le componenti tangenti Fu, Vji e normali V|„, Vjn delle velocità Vi e
V2: la cui differenza è pari alla velocità di strisciamento:
ViT=QiPa)i=(P0Qi-P0P)a)i
V2T =
QlP^
= (P0Q2 + PoP)^>2
(10.12)
la cui differenza è pari alla velocità di strisciamento:
Figura 10.9 Successive posizioni del punto di contatto tra i due profili di evolvente
V2t
di cerchio.
essendo:
—
V|T
(Fo2i)a>i
si ottiene:
V2t
= Vz-i.rei
(10.13)
= Po22<w2
— Vit — PoP
(coi
+ m2)
(10.14)
Dalla (10.14) si ricava che la velocità di strisciamento cresce al crescere del¬
la distanza dal centro di istantanea rotazione relativa, individuato dal punto Po,
intersezione delle primitive del moto relativo. Nel caso dell’accoppiamento di
ruote dentate a evolvente, il punto di contatto si sposta all’interno del segmento
TtTi. Da quanto detto si comprende come la presenza dell’attrito nel contatto di
strisciamento porti alla dissipazione di potenza Wj:
Wd
Figura 10.10 Posizioni estreme del punto di contatto.
= /dV PoP (wi + <d2)
che viene globalmente espressa dal rendimento 1/.
248
Capitolo 10
Gli elementi delle macchine
249
10.2.3 Considerazioni sui riduttori a ingranaggi
Come visto, il rapporto di riduzione in una trasmissione a ruote dentate è espresso
dal rapporto del numero dei denti delle due ruote (conduttrice e condotta). Nella
pratica costruttiva è opportuno che il rapporto di trasmissione r sia ottenuto con
numeri di denti primi tra loro. Nel caso di presenza di fattori comuni, infatti, cia¬
scun dente del pignone impegnerebbe sempre gli stessi denti della ruota, portando
a un’usura preferenziale tra le coppie che così vengono a stabilirsi. Ciò può co¬
stituire un problema, soprattutto se i valori dei carichi sono periodici durante una
rotazione completa del pignone.
Se invece non sono presenti fattori comuni, ciascun dente del pignone ingrana
con tutti i denti della ruota, determinando una distribuzione più uniforme dell’u¬
sura. Nella realizzazione di riduttori a ingranaggi si ricorre a due configurazioni,
denominate treni semplici e treni composti, di seguito illustrati.
Treni semplici Sono costituiti da una serie di ruote dentate, ognuna calettata
(ossia torsionalmente connessa) su un proprio albero, e trovano applicazione dove
diversi alberi devono ruotare mantenendo uno sfasamento costante (Figure 10.12
e 10.13). 11 rapporto di trasmissione tra la prima e l’ultima ruota del treno non
dipende dalle ruote intermedie, che pertanto prendono il nome di ruote oziose. Si
ha infatti, con riferimento alla Figura 10.12:
Z|
Figura 10.12
®2
= Z2
"3
=—
z3
^4
Z2 COl
= —tip
Z4 = Z4 Z3 Z2 = Z4
Z2
Za
Z3
Z|
—z
Figura 10.13 Applicazione del treno semplice: movimentazioni di alberi a camme in
un motore motociclistico.
Treni composti Poiché esiste una limitazione al numero minimo di denti (pari a
diciotto, nel caso di proporzionamento modulare senza ricorrere a lavorazioni spe¬
ciali), per avere bassi valori dire quindi necessario aumentare il numero di denti
della ruota mossa, e di conseguenza le sue dimensioni. Risulta allora opportuno
suddividere il rapporto di trasmissione su più coppie di ruote dentate, secondo lo
schema di Figura 10.14, dove sullo stesso albero (il secondo), sono calettale una
ruota condotta (con Z22 denti), e una conduttrice (con Z]2 denti). In tal caso il
Figura 10.14 Schema di un treno composto.
250
Capitolo 10
Gli elementi delle macchine
251
le), che si avvolge su pulegge. Per il corretto funzionamento la cinghia deve essere
messa in tensione, per esempio allontandando i centri delle pulegge, e sfruttando
l’elasticità della cinghia stessa. I materiali con cui viene realizzata la cinghia so¬
no gomma e tessili, o gomma e materiale plastico (per alta velocità), o ancora in
gomma con inserti e rivestimento di tessuto (per cinghie trapezoidali).
La trasmissione del moto avviene per mezzo delle azioni di attrito scambiate
tra la cinghia e la puleggia: la puleggia motrice (detta anche conduttrice) trasmet¬
te il movimento alla cinghia lungo l’arco d’avvolgimento «i, le azioni di attrito
distribuite lungo tale arco incrementano il tiro della cinghia, che passa dal valore
minimo T2 nel ramo condotto, al valore massimo T\, nel ramo conduttore. La
cinghia, lungo l’arco di avvolgimento «2, trasmette, sempre per Attrito, il moto
Figura 10.15 Riduttore ad assi paralleli.
rapporto di trasmissione del riduttore composto risulta:
Zìi
tuo
=
<1)3
a>i = tjt2<z>i = ra>i
a>2 =
= ——
^23
^23 ^22
Z|2
Z|2Z||
Si ritova il risultato già visto, ossia che il rapporto di trasmissione di più trasmis¬
sioni in serie, che nel caso esaminato sono rappresentate dai due stadi di riduzione,
è dato dal prodotto dei rapporti di trasmissione intermedi.
10.2.4 Cinghie piane e trapezoidali
Le cinghie di trasmissione sono elementi flessibili utilizzati nelle trasmissioni di
potenza tra due alberi, nella maggior parte dei casi ad assi paralleli. Lo schema
base della trasmissione consiste (Figura 10.16) in una cinghia (l’elemento flessibi-
alla puleggia condotta, e il tiro nella cinghia passa dal valore massimo a quello
minimo del ramo condotto.
Nel normale funzionamento, quindi, la puleggia motrice trascina per attrito
la cinghia, che a sua volta trascina la puleggia condotta.
Tra i vantaggi delle cinghie si segnala la possibilità di collegare alberi tra loro
distanti (per le cinghie piane anche lino a I5 in), silenziosità di funzionamento,
anche a elevata velocità, capacità di assorbimento di urli, e autolimitazionc della
coppia massima trasmessa. La trasmissione è nel suo complesso facile da pro¬
gettare (si progetta a catalogo), e in quanto utilizza elementi unificati, è anche
economica. Dal lato degli svantaggi si ricorda che, poiché la potenza è trasmessa
per attrito, non è possibile garantire l’esattezza e la costanza del rapporto di tra¬
smissione, la necessità di pone in tensione la cinghia causa la presenza di carichi
elevati sui supporti (in misura minore per la cinghia a sezione trapezoidale, in mi¬
sura maggiore per quella piana), se paragonata con le trasmissioni a catena o a
ingranaggi. La vita di servizio non è illimitata (in genere da 1000 a 3000 ore di
funzionamento), dopo di che è necessario sostituirla. 11 valore di potenza trasmis¬
sibile, pur essendo nettamente inferiore a quello delle ruote dentate, è comunque
più che adeguato a moltissime applicazioni.
Sezionando idealmente i due rami della cinghia si pongono in evidenza i tiri
T\ e Ti (vedi Figura 10.17), che rendono ragione della coppia alle due pulegge:
G = (T, - r2)^
C2 = (T, - T2)R2
Figura 10.16 Trasmissione a cinghia: schema e nomenclatura.
(10.15)
(10.16)
Le condizioni di contatto tra cinghia e puleggia sono assimilabili a microslitta¬
menti, una situazione intermedia tra quella di completa aderenza e quella di stri¬
sciamento macroscopico. Immaginando di seguire un tratto di lunghezza elemen¬
tare di cinghia, essendo questa in realtà un elemento elastico, durante l’avvolgi¬
mento sull’arco ai , a causa dell’incremento di tiro dovuto alle azioni di attrito, l’elementino si allunga. Viceversa, a cavallo dell’arco a2, poiché il tiro della cinghia
diminuisce, Telementino riacquista la sua lunghezza pertinente al ramo condotto.
Non è pertanto possibile che si instauri una condizione di perfetta aderenza tra
cinghia e puleggia. D’altra parte, una condizione di strisciamento macroscopico
non corrisponderebbe a un corretto funzionamento della trasmissione.
252
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
Figura 10.17 Trasmissione a cinghia: sono messe in evidenza le azioni nei due rami
della trasmissione.
253
Figura 10.18 Trasmissione a cinghia: azioni sul tratto elementare di cinghia.
tangente, si ha:
Cinematica della trasmissione Da quanto sopra detto risulta chiaro che il rap¬
porto tra le velocità delle due pulegge non è esattamente costante, ma dipende
dalle coppie applicate, e quindi dalla potenza da trasmettere, essendo la trasmis¬
sione del movimento affidata all’attrito. Se si trascurano in prima approssimazio¬
ne gli scorrimenti tra cinghia e puleggia, e si considera la cinghia inestensibile, è
possibile determinare il rapporto di trasmissione t. Sotto le ipotesi latte, la velo¬
cità periferica della cinghia coincide con quella della puleggia, e la velocità della
cinghia è la medesima lungo tutto il suo sviluppo:
= cui Ri = V)
Ri
T= — =
CUI
R2
V|
~
d(/>„
—d<l>t -
,
T cos
—
da
.Z
,
,
+ (T + dT) cos
-|- d/
.) sm. da- = 0
—=
da
—
2
(10l9)
0
Z
= 7?da):
sinda/2
d^=2rsinda/2
da
da
da
(10.20)
—= — —
de/),
. da
(10.18)
11 rapporto di trasmissione viene quindi ottenuto predisponendo l’opportuno rap¬
porto tra i raggi delle pulegge. In realtà, la velocità di rotazione della puleg¬
gia condotta risulta minore di quella calcolata dalla (10.17), in ragione dell’1 42%. Scostamenti maggiori sono indice di un funzionamento non corretto della
trasmissione.
da
Dividendo tutti i termini per da (con ds
(10.17)
CO2R2
—
V2
- 7' sin - (7
+ m —d.v
«2
da
dT
cos 2
da
calcolando il limite per da -» 0, trascurando gli infinitesimi di ordine superiore,
e ricordando che:
lini
da->0
sinda/2 -1 ;
=
lini cos
2
da
da-»0
—
da
2
-1
si ha:
^L=T-mV2
da
Relazioni fondamentali della trasmissione a cinghia Si vuole ora ricavare la
legge di distribuzione della tensione nella trasmissione a cinghia, che sarà utilizza¬
bile nella verifica del funzionamento. Si consideri un tratto elementare di cinghia
di lunghezza d.v = Rda, essendo R il raggio di avvolgimento della cinghia e da
l’angolo sotteso dall’arco ds (Figura 10.18).
Lungo l’arco di il tiro si incrementa con continuità dal valore generico T
al valore T + dT. Scrivendo l’equilibrio dinamico lungo le direzioni radiale e
C
1
(
? (
(
ì (
) (
7
(
ì
l
) (
. (
d0,
. da
(10.21)
dT
da
da cui:
fI
d<p„ = (T - mV2)da
d^dT
(
} (
(10.22)
k
(
:
(
) (
(
254
capitolo 10
I
l
I
I
I
t
(
I
I
I
l.
I
Gli elementi delle macchine
255
La ( 1 0.22) indica che la reazione vincolare radiale d0n scambiata dal tratto di' di
cinghia, con il corrispondente tratto di puleggia è data dalla componente radia¬
le del tiro T e dalla forza di inerzia distribuita, mentre la variazione di tiro dT
è associala all'azione di attrito in direzione tangente d</>t. Come detto, la condi¬
zione di contatto effettiva tra cinghia e puleggia è di microslittamento, il legame
tra le azioni tangenti e quelle normali dipende quindi dallo scorrimento relativo
cinghia-puleggia. Per non sovrastimare la coppia trasmissibile, conviene porsi
nella condizione limite, utilizzando la relazione di attrito nella condizione di stri¬
sciamento macroscopico, ponendo quindi d0t = /d0„. In tal modo si giunge
all’equazione differenziale:
dT
= f(T -mV2)da
(10.23)
che integrata lungo il generico arco di avvvolgimento a:
rT'
dT
I
=
porge:
7)
in-
ra
Z
- in V2
—
m=
T2 mV1
"O'24’
(10.25)
Utilizzando ambo i membri come argomento della funzione esponenziale, si ha:
Figura 10.19 Trasmissione a cinghia: potenza trasmissibile in funzione della velocità.
Verifica del funzionamento Per un funzionamento corretto della trasmissione
la cinghia deve esser posta in opera con una certa tensione, il dispositivo che
provvede a ciò applica una forza So, somma delle componenti del tiro To che si
genera, nella condizione di riposo, nei due rami della trasmissione:
(10.26)
La (10.26) indica la relazione che intercorre tra i tiri nei due rami della cinghia
di trasmissione, nella condizione limite di slittamento. Si osserva che il fattore
eJa è quello determinante nello stabilire la prestazione della trasmissione. Poiché
l’angolo di avvolgimento minore è quello della puleggia con diametro minore, la
verifica va condotta su tale elemento. Se si trascura l’effetto della velocità V, il
che è lecito, in generale, per velocità fino a 15 4- 20 m/s, la relazione di verifica
diviene:
Zi < T2efa
(10.27)
Considerando invece l’effetto della velocità periferica V, si ricava che essa limita
di fatto la potenza trasmissibile dalla cinghia (Figura 10.19), infatti:
= (T2 - TO V < ((Ti - m V2)^" + ni V2 - T,) V =
= (T, -mV2)(^“-l)V
(10.28)
la funzione (10.28) ammette un massimo, oltre il quale la potenza trasmissibile
diminuisce in quanto, per effetto della forza di inerzia agente sulla cinghia in
direzione radiale, diminuisce l’azione di contatto normale distribuita, scambiata
tra cinghia e puleggia, e di conseguenza la massima azione di attrito. Nel seguito
si considererà di essere nelle condizioni di poter trascurare tale effetto.
So = 2Tq cos
~
—
(10.29)
La coppia C, applicata alla puleggia conduttrice risulta invece, nella generale con¬
dizione di transitorio, considerando anche l’inerzia della puleggia (normalmente
tale termine è trascurabile):
Cj =7?1(T|-T2) + J|<ùl
con
T,
+ T2 = To
(10.30)
Dalla (10.30) e dalla (10.29) si ricavano i valori dei tiri nei due rami di cinghia
della trasmissione che, sottoposti alla condizione ( 1 0.27), consentono di verificare
il corretto funzionamento della tramissione.
Trasmissione a cinghia trapezoidale Dalla (10.27) si ricava che per aumenta¬
re la differenza T2 Ti è necessario o aumentare l’angolo di avvolgimento ai,
oppure incrementare il coefficiente di attrito f. Un provvedimento che porta al
medesimo effetto consiste nell’adottare una cinghia con sezione non più rettango¬
lare, ma con forma tale da venire a contatto con la puleggia sui fianchi laterali: ciò
viene ottenuto adottando una sezione trapezoidale per la cinghia (Figura 1 0.20).
Esaminando la sezione generica di cinghia, si evidenzia come il contatto avvenga
sui fianchi, mentre nel caso della cinghia piana il contatto avviene sulla faccia
inferiore. Le reazioni d0n e d^ corrispondono alle effettive reazioni d7?n e d R,
—
256
Capitolo 10
Gli elementi delle macchine
257
Figura 10.20 Trasmissione a cinghia: a sinistra sezione di una cinghia piana, a destra
sezione di una cinghia trapezoidale.
secondo le:
= 2d/?nsin^
d</>„
(10.31)
(10.32)
= 2df?t
Nella condizione limite si ha dJ?t = fdRn, da cui, effettuando il rapporto tra le
azioni tangenti e la componente radiale delle azioni normali:
2d/?,
2dRa =
f
^
=f
ci si riporta alla medesima trattazione della cinghia piana, con la differenza che il
loro rapporto, che normalmente rappresenta direttamente il coefficiente di attrito
f, risulta maggiore, in funzione dell’angolo di semiapertura della gola della
puleggia. La diseguaglianza di verifica (10.27) diviene pertanto:
T, < T2e^a|^5in^ oppure Ti <
T2e7a'
10.2.5 Cinghie dentate
La cinghia dentata (Figura 10.21), detta anche cinghia sincrona, riassume alcuni
dei vantaggi delle trasmissioni a cinghia (piana e trapezoidale) e delle trasmissioni
a catena. Il funzionamento non è più basato sulle forze di attrito, ma sul contatto
dei denti della cinghia, che ingranano con i denti della puleggia, si ottiene così un
sincronismo tra gli alberi collegati. La cinghia è dotata di un inserto atto a sop¬
portare il carico da trasmettere, che viene comunicato attraverso i denti. Possono
I
t
(
i
(
ì
(
)
'(
)
(
funzionare, al limite, senza alcun precarico, anche se, nella pratica, per evitare
eccessive vibrazioni trasversali del ramo condotto della cinghia, un limitato pretensionamento viene comunque applicato. Possono operare anche su interassi più
stretti rispetto a quelli delle altre cinghie, in quanto sussistono minori limitazioni
sul valore minimo dell’angolo di avvolgimento, e mantengono le caratteristiche
di silenziosità di tutte le trasmissioni a cinghia. 11 livello di potenza trasmissibi¬
le è maggiore di quello delle cinghie piane, e molto inferiore a quello alle ruote
dentate.
La linea primitiva è assunta all’altezza deH’inserto della cinghia, e il passo è
definito analogamente alle ruote dentate:
n Dv = Zp
(10.34)
L’elfetto ottenuto è di innalzare il valore del rapporto limite tra i tiri nei due rami
della trasmissione, e di conseguenza la coppia massima trasmissibile.
Nel caso in cui sia necessario aumentare il precarico per trasmettere la po¬
tenza richiesta, poiché vi sono dei limiti di resistenza della cinghia, è necessario,
nel caso della cinghia piana, incrementarne la larghezza, nel caso della cinghia
trapezoidale, aumentarne il numero. Non è però possibile aumentare a dismisura
il numero di cinghie in parallelo, in quanto ciò rende più difficoltoso garantire il
loro conetto tensionamento. Il numero massimo di cinghie disposte in parallelo è
di solito limitato a sei-sette.
(
Figura 10.21 Esempio di trasmissione con cinghia dentata.
(!(.!(
(10.35)
anche in questo caso il rapporto di trasmissione è dato dal rapporto del numero di
denti delle due pulegge:
Z|
Z2
_
<d2
, (10.36)
wj
10.2.6 Catene
Le catene appar tengono ancora alla categoria delle trasmissioni con elementi fles¬
sibili; la catena, infatti, è composta da elementi rigidi (le maglie), tra le quali è
però possibile un moto relativo, nella maggior parte dei casi di tipo rotatorio (Fi¬
gura 10.22). Utilizzate sin dall’Antichità, pur se con modalità differenti, grazie
allo sviluppo delle forme e dei materiali, esse sono ampiamente utilizzate anche
nelle realizzazioni moderne.
Le due tipologie attualmente più diffuse sono le catente a rulli e a denti inver¬
titi (o catene silenziose). Nel primo tipo (Figura 10.23) coppie di maglie esterne,
unite da perni, sono articolate su coppie di maglie interne, collegate da boccole, al
cui interno passa il perno della maglia esterna. Per facilitare l’accoppiamento con
I
258
I
I
(
(
I
(□u
Capitolo 10
elementi aeae macelline
2Sj
la ruota dentata, sulle boccole sono presenti dei rulli, liberi di ruotare. Le catene
a rulli possono essere costituite da una o più file affiancate, a seconda del livello
di potenza da trasmettere.
La catena silenziosa è invece costituita da piastre affiancate tra loro, sago¬
mate con due estremità triangolari in modo da impegnarsi nei denti della ruota, e
collegate da perni. Diversamente dal caso precedente, non sono i perni a venire a
contatto con la ruota, bensì le estremità rettangolari delle piastrine. Per entrambe
Figura 10.22 Esempio di trasmissione con catena.
le tipologie la circonferenza primitiva è rappresentata dalla circonferenza passan¬
te per i centri dei perni, anche se in questo caso la catena si atteggia lungo un
poligono formato dalla spezzata congiungente i centri dei perni. Permettono di
trasmettere forze maggiori delle cinghie, anche a interassi inferiori, e consentono
di azionare più alberi, anche se con senso di rotazione opposto, Infine, possono
operaie in campi di temperatura in cui le cinghie non sono utilizzabili. Come
queste ultime consentono di collegare tra loro interassi elevati (fino a 8 m).
Tra gli svantaggi si segnala la variazione periodica della velocità della catena,
dovuta all’effetto poligono, come sarà mostrato in seguito: questo fenomeno di¬
viene significativo per un numero di denti basso (per esempio IO) c può portare a
irregolarità nel rapporto di trasmissione. 1 maggiori inconvenienti risiedono però
nel costo superiore, nel maggiore onere manutentivo e nella necessità di precisione
di montaggio, superiore al caso delle cinghie.
Inoltre la tramissione a catena è più rumorosa, rispetto a quella a cinghia; la
rumorosità aumenta con il progredire dello stato di usura, che porta a un funzio¬
namento cinematico non più corretto, oltre che all’allentamento della catena.
Cinematica della trasmissione Dalla Figura 10.24 si ricava il legame tra il pas¬
so della catena (distanza tra due perni consecutivi) e il diametro primitivo, ossia il
diametro della circonferenza passante per i centri dei perni. Il legame è:
= «psin(^) =
con:
^8 =
^
(10.37)
11 numero dei denti è poi legato al fenomeno della fluttuazione della componente
della velocità della catena parallela alla congiungente i centri delle ruote. Con¬
frontando, per esempio nel caso di una ruota con sei denti, le due condizioni
p
Figura 10.23 Catena a rulli (in alto) e catena silenziosa (in basso).
Figura 10.24 Legame tra passo e diametro primitivo nella trasmissione a catena.
260
Capitolo 10
Gli elementi delle macchine
261
Figura 10.25 Illustrazione dell'effetto poligono nella trasmissione a catena.
mostrate nella Figura 10.25, la proiezione della velocità delle maglie secondo la
congiungente i centri delle mote varia, a causa della diversa disposizione nel tem¬
po dei perni lungo il poligono. La distanza della maglia dal centro della mota
varia quindi ciclicamente tra i due estremi:
Fina» =
Fmin = ^pWCOS
—
(10.38)
Si può definire una variazione percentuale della componente della velocità della
maglia, come:
-,
U% =
Fmax
Fmin
V.,,»
71
= 1 — COS —
z
(10.39)
in funzione del numero dei denti Z. L’importanza di tale variazione dipende dalle
inerzie degli elementi collegati e dal livello di velocità.
10.2.7 Funi
Principali campi di impiego delle funi sono gli argani, le gru, le funicolari, le
teleferiche e le funivie. Il materiale più utilizzato è l’acciaio a elevata resistenza.
La flessibilità della fune è inferiore a quella della cinghia, per cui si richiedono
diametri di avvolgimento maggiori. 11 miglior campo di utilizzo è per interassi
elevati (in genere al di sopra di 20 m); è possibile soddisfare anche condizioni
caratterizzate da assi di rotazione delle pulegge sghembi. Il campo di velocità
spazia dai 6 m/min degli impianti di sollevamento, fino a 12 m/s delle più recenti
funivie.
Cinematica del sistema a taglia multipla Una tipica applicazione delle funi è
negli apparecchi di sollevamento, utilizzando la disposizione a taglia multipla. Si
consideri il paranco raffigurato a sinistra nella Figura 10.26, il relativo schema
cinematico è mostrato nella medesima figura, a destra. Detta Vc la velocità del
carico, pari alla velocità del centro delle pulegge mobili, a ogni passaggio tra una
e
t
t
i (
;
(
! (
:
(
i
:
(
Figura 10.26 A sinistra: paranco a taglia multipla come applicazione della
trasmissione a fune, a destra: schema cinematico.
coppia di pulegge fissa-mobile, la velocità della fune si incrementa di un valore
pari a 2VC. La velocità di comando Vf della fune è quindi pari a:
Vc
Vf = —
2n
(10.40)
essendo n il numero di coppie puleggia fissa-puleggia mobile. La velocità del ca¬
rico risulta quindi ridotta rispetto alla velocità di comando, in ragione del doppio
del numero di taglie (coppia puleggia fissa-mobile), realizzando così una macchi¬
na funicolare per la riduzione della velocità. Se l’estremità lato comando della
fune si avvolge su un tamburo, allora si ha la trasformazione del moto rotatorio
del tamburo di sollevamento, in modo di traslazione del carico.
10.2.8 Confronto tra alcuni tipi di trasmissione
Si vuole ora porre a confronto alcuni dei tipi di trasmissione più diffusi, circo¬
scrivendo l’analisi alle trasmissione tra assi paralleli. La Tabella 1 0.2 riporta un
confronto riguardante alcuni dei parametri più significativi, quali la potenza mas¬
sima, la velocità periferica dell’elemento coinvolto nella trasmissione, il campo
dei valori del rendimento. Sono anche riportate indicazioni qualitative sulla ru¬
morosità e sull’ingombro, elementi che acquistano sempre maggiore importanza
dal lato economico e dell’impatto ambientale.
Da) confronto emerge che per potenze elevale è necessario ricorrere alla tra¬
smissione a ruote dentate, per potenze medio-basse invece vi sono più possibi¬
lità. Nella scelta intervengono anche fattori quali il costo (legato principalmen¬
te alla precisione e alla necessità di avere un telaio autonomo), l’ingombro, la
rumorosità.
Se il mantenimento di un rapporto di trasmissione costante, e quindi di una
fasatura costante tra gli alberi collegati è ininunciaible, allora alcuni tipi di tra-
I
262
I
(
I
(
(
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
Tabella 10.2 Confronto fra i tipi di trasmissione tra assi paralleli più diffusi.
Grandezza
Potenza
[kW|
Vel. [m/s]
periferica
i;%
Ruote
dentate
Cinghia
piana
Cinghia
trap.
Cinghia
dentata
Catena
IO5
150(200)
350
120(400)
500
20(60)
30(40)
40 (60)
60
95-97
1
1
10-30
94-96
1
1
30
20(50**)
96 4-98
I
1
T
6~ Io
;/%
Rumorosità
96 4-99
Media
Ing.(dm3)
Pot.(kW)
0.2 4- 0.6
60- 100 30-40
94-98 91 -95
1
1 1
1
6~ 8 6~ 16
94 4-98 94 4-98
Bassa
Bassa
0.5 4-4
0.4 4-3
Fune
Bassa
92 4-96
Alta
0.25 4- 2
0.5 4-2
Ruote
di frizione
20
1
1
6~ Ì0 6~ 16 6~ 16
95 4-98
10.3 Giunti
20(80)
10(30)
Bassa
263
1
6
85 4-95
Media
La funzione di collegare degli alberi in modo non permanente si rende necessa¬
ria per lo smontaggio di alcuni elementi del sistema meccanico, per esempio per
rimuovere il motore dalla trasmissione. Inoltre, neH’assolvere la funzione di col¬
legare tra loro due alberi rotanti, può verificarsi la situazione in cui gli assi degli
alberi da collegare non siano coincidenti. In tal caso non è possibile utilizza¬
re giunti rigidi, pena l’incremento notevole delle sollecitazioni negli alberi e nei
supporti; è necessario ricorrere a giunti mobili, che consentono delle deviazioni
(disallineamenti) dei due assi (in senso assiale, in senso radiale o in senso angola¬
re), come mostrato nella Figura 10.29. In altri casi si possono utilizzare giunti (del
tipo elastico) che incorporano uno o più elementi elastici che consentono piccoli
disallineamenti, secondo tutte e tre le modalità sopra indicate. I giunti elastici,
oltre ad assorbire i disallineamenti sopra detti, hanno talora anche la funzione di
isolare dal punto di vista vibrazionale il motore dall’utilizzatore.
smissione (a cinghia piana, trapczia e a ruota di frizione), sono da escludersi a
priori.
Si riporta anche un confronto tra gli ingombri, in termini del rapporto tra
volume occupato e potenza: da questo punto di vista la soluzione più compatta
è costituita dalla trasmissione a ingranaggi, mentre quella più ingombrante è la
trasmissione a cinghia piana. Nella Figura 10.27 si confrontano invece i campi di
funzionamento, nel piano potenza- velocità di rotazione dell’elemento motore, per
quanto riguarda le cinghie trapezoidali, dentate e le catene. Il grafico è costruito
considerando elementi normalmente in commercio.
Figura 10.28 Classificazione dei giunti meccanici.
H—H-w
Figura 10.27 Confronto tra I campi di utiizzodi tre trasmissioni in commercio (cinghia
trapezoidale, cinghia dentata e catena).
Disallineamento parallelo
Giunto a libertà assiale
Disallineamento angolare
Giunto a libertà angolare
Figura 10.29 Tipi di disallineamento degli alberi e libertà dei giunti.
264
Gli elementi delle macchine
Capitolo 10
10.4 Sistemi d'arresto delle macchine
I freni sono gli organi preposti all’arresto della macchina ed eventualmente anche
al suo stazionamento. Esistono numerose tipologie di freni, che utilizzano fluidi,
interazioni elettromagnetiche (freni a correnti parassite) e componenti solidi (freni
meccanici). Solo questi ultimi sono in grado di soddisfare entrambe le funzioni,
quella di arresto e quella di stazionamento. Nel seguito ci si riferirà ai soli freni
meccanici, che per effetto deH’attrito radente tra due componenti solidi, dissipano
energia meccanica in calore. La condizione di attrito statico consente invece lo
stazionamento, ossia la permanenza in stato di quiete, anche in presenza di azioni
applicate alla macchina.
In base alla forma dei membri che lo compongono, il freno si può classi¬
ficare come indicato nella Figura 10.30. Tra le grandezze che caratterizzano il
funzionamento del freno vi sono:
® forza di comando (o di azionamento): è la forza da applicale al comando del
265
frenante Cf. Se non interviene un adegunto raffreddamento, la temperatura si por¬
ta al di fuori del campo di lavoro del materiale delle guarnizioni, provocando la
sostanziale inefficacia del freno.
10.5 I cuscinetti
Scopo dei cuscinetti è di realizzare il sistema di vincolo per gli organi rotanti (assi
e alberi) in modo da garantire:
• il corretto posizionamento dell’organo rotante, evitando condizioni di iperstaticità e sforzi aggiuntivi dovuti a dilatazioni termiche impedite;
• consentire le inflessioni cui l’albero è soggetto a fronte dei carichi applicati;
• trasferire i carichi applicati alla struttura portante;
• mantenere le proprie caratteristiche funzionali al variale delle condizioni di
funzionamento (velocità di rotazione, entità dei carichi applicati, temperatura).
freno;
o
efficacia: definita dal rapporto tra la forza d’attrito applicata e la forza di co¬
mando;
<»
indice di sensibilità: inteso come rapporto tra la variazione percentuale della
coppia frenante e la variazione percentuale del coefficiente di attrito.
Fi eni a tamburo
(Freni adisco }
(a staffa mobile )
[a disco mobile j
Figura 10.30 Classificazione dei freni meccanici.
Figura 10.31 Da sinistra: esempi di cuscinetto a strisciamento (semiguscio inferiore),
a lubrificazione e a rotolamento a sfere.
Un freno che ha un’elevata efficacia è in genere caratterizzato anche da un’al¬
ta sensibilità, ossia è soggetto a una variazione di comportamento più inarcata
a seguito di variazioni del coefficiente di attrito radente, dovuta, per esempio, a
variazioni delle condizioni ambientali e della temperatura. Poiché nei freni mec¬
canici il rallentamento viene ottenuto tramite le azioni di attrito radente scambiate
tra le parti fisse e quelle mobili, un aspetto molto importante è la stabilità delle
caratteristiche del materiale di attrito, in particolare in funzione della temperatura.
Schematicamente il problema può essere posto nei seguenti termini: le for¬
ze di attrito radente, che provvedono a generare la coppia frenante, producono
calore per effetto della dissipazione di potenza a essa associata. Questa, a sua
volta, innalza la temperatura del freno, e in particolare del materiale di cui sono
costituite le guarnizioni del freno (ossia gli elementi direttamente interessati dal
contatto strisciante). Questo innalzamento di temperatura provoca una diminuzio¬
ne del coefficiente di attrito radente fa, e di conseguenza del valore della coppia
Ci si soffermerà sulle tre tipologie più diffuse di cuscinetto: a strisciamento, a
rotolamento e a lubrificazione (idrostatica e idrodinamica) (Figura I0.31). Le
grandezze che determinano la condizione di lavoro, e quindi la scelta fra le tre ti¬
pologie ora menzionate, sono la pressione convenzionale, calcolata (Figura 10.32)
come rapporto tra il carico radiale e la proiezione delle superfici a contatto, e la
velocità periferica del perno, calcolata come prodotto tra il raggio nominale del
perno e la sua velocità di rotazione.
Un confronto può essere fatto fissando le dimensioni del cuscinetto (diametro
D e larghezza B) e considerando sia il carico che il cuscinetto deve sostenere, sia
la velocità di rotazione dell’albero.
Le superfici effettivamente a contatto hanno estensione molto diversa fra le
tre tipologie: nel caso di un cuscinetto a strisciamento si ha infatti un contatto tra
superfici nominalmente conformi, nel caso del cuscinetto a rotolamento un contat¬
to sfera-pista (o rullo pista), mentre per il terzo tipo è l’intera superficie lubrificata
(
...
(
i j
(
)
(
:
(
(
<
(
266
Capitolo 10
Figura 10.32 Dimensioni utilizzate per il calcolo della pressione convenzionale in un
accoppiamento perno-cuscinetto, diametro D e lunghezza B.
a essere interessata. Risulta quindi conveniente, dal punto di vista pratico, riferir¬
si alle grandezze macroscopiche carico e velocità di rotazione, c alle dimensioni
geometriche macroscopiche D e B. come mostrato nella Figura 10.32. Le tipo¬
logie esaminate mostrano tipi di limitazioni differenti riguardo queste due gran¬
dezze; il campo di utilizzo può quindi essere riportato nel piano carico-velocità di
rotazione (Figura 10.33).
Nel caso del cuscinetto a strisciamento, si ha una prima limitazione sul carico
indipendente dalla velocità, dovuta alla resistenza del materiale di rivestimento,
e una seconda limitazione che riguarda l’usura delle superfìci a contatto, che nel
caso di usura abrasiva o adesiva, è associata al prodotto P • V, essendo V la velo¬
cità periferica del perno. La curva P V costante, nel piano doppio logaritmico
P —n diviene una retta discendente con la velocità di rotazione. A ciò si aggiunge
anche il limite termico, dovuto alla potenza dissipata, anch’essa proporzionale al
prodotto PV.
Anche per il cuscinetto a rotolamento si ha un limite dovuto alla pressione
locale nell’ impronta di contatto, mentre il secondo limite è dettalo dalla fatica.
in ore, è propozionale a -p , per cui, essendo:
Per i cuscinetti a sfere la durata
—
L\,
—
n
—
/1
1
li oc r
Pi
60
—
nP3 = costante per un’assegnata durata li in ore. Tale
limitazione si traduce nel piano P-n in una retta con pendenza pari a 1/3.
I cuscinetti a lubrificazione, infine, mostrano un limite inferiore legato allo
che deve essere
spessore minimo del meato richiesto, dipendente dal termine
maggiore dell’altezza limite per garantire il distacco tra le superfìci del perno e
si ha che il prodotto
(
(
Gli elementi delle macchine
(
267
Cuscinetto a rotolamento
Cuscinetto a strisciamento
Cuscinetto a lubrificazione
Figura 10.33 Campi di utilizzo dei cuscinetti a strisciamento, a rotolamento e a
lubrificazione.
del cuscinetto. Dovendo risultare:
pV
> costante
P
con /z che rappresenta la viscosità del lubrificante, a temperatura costante si ha
P < V- costante, ossia il carico sopportabile cresce con la velocità. All’aumentare della velocità di rotazione, però, cresce anche la potenza dissipata per effetto
della viscosità /z, si incrementa quindi la temperatura del lubrificante causando la
diminuzione della viscosità stessa. Pertanto, dopo aver raggiunto un massimo, la
capacità portante del cuscinetto diminuisce.
Le considerazioni qualitative sopra svolte possono essere riassunte nei grafici
di selezione del tipo di cuscinetto, come quello messo a punto dall’ESDU, e mo¬
strato nella Figura 10.33. Per diverse dimensioni del perno, e rapporto B/D = 1,
sono indicati i campi di utilizzo dei tre tipi di cuscinetto.
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