MAGUS INCOGNITO La Dottrina segreta dei Rosacroce TITOLO ORIGINALE: The Secret Doctrine of The Rosicrucians Illustrated with The Secret Rosicrucian Symbols Traduzione di Pierpaolo Mura Immagine di copertina di Carla Viparelli Seconda edizione ©2001 Copyright by Venexia Viale dei Primati Sportivi, 88 00144 Roma Indice Prefazione Parte I I Rosacroce e la loro dottrina segreta Parte II II Genitore Eterno Parte III LAnima del Mondo Parte IV L’androgino universale Parte V L’uno e i molti Parte VI La fiamma universale della vita Parte VII I piani di coscienza Parte VIII I tre piani superiori di coscienza Parte IX L’anima settupla dell’uomo Parte X Metempsicosi Parte XI II viaggio dell’anima Parte XII L’aura e i colori aurici Parte XIII I sette principi cosmici Prefazione Per apprezzare fino in fondo la ricchezza di informazioni iniziatiche fornite dalla Dottrina segreta dei Rosacroce è necessario svelare al lettore l’identità di Magus Incognito, ossia di William Walker Atkinson, alias Yogi Ramacharaka, grandissimo maestro americano di occultismo e terapie naturali di inizio secolo. La prima pubblicazione ufficiale del testo alla quale siamo riusciti a risalire è stata quella del 1949 a Chicago, ma per le informazioni scientifiche in esso contenute, il libro è senza ombra di dubbio di 30 o 40 anni precedente. Il modo organico in cui l’autore struttura l’argomento, per non parlare delle scelte lessicali, le citazioni dei suoi numerosi autori preferiti, nonché la sua predilezione per gli pseudonimi (ne sono noti almeno altri tre) con cui affronta i vari temi, lo identificano definitivamente come Atkinson. Spesso cita se stesso come “un noto scrittore esperto dell’argomento” facendo riferimento soprattutto a tre dei suoi libri firmati con tre alias diversi: Hatha Yoga — Yogi Ramacharaka, L’Energia mentale: il segreto della magia — W. W. Atkinson, Il Kybalion - I Tre Iniziati1. Magus Incognito/Atkinson era un grande iniziato il cui scopo era quello di divulgare, all’inizio di questa nuova era, un antichissimo sapere proveniente da tempi primordiali. L’ordine dei Rosacroce viene presentato come un veicolo della tradizione originale che, grazie all’ausilio dei suoi simboli, insegna e trasmette a nuove generazioni di ricercatori gli insegnamenti sulle origini, la creazione e il divenire del mondo. Studiando questi simboli se ne avverte la verità e osservandone la graduale evoluzione, espansione e contrazione, sembra di percepire davvero “il respiro dell’Anima del Mondo che tutto crea”. Magus Incognito analizza inoltre i piani di coscienza, l’aura, la struttura dell’anima e la fiamma universale della vita, insieme ai sette principi cosmici fondamentali. Molte informazioni iniziatiche e, perché no, di potere sono celate in maniera più o meno velata nel testo, tra le quali spicca la seguente: “La stabilità è potere che deriva dall’equilibrio. L’equilibrio si ottiene spostandosi e rimanendo nel punto mediano tra i due poli opposti. Con la stabilità e l’equilibrio, il maestro neutralizza la polarità e il ritmo, risolvendoli in unità. Nel cuore della tempesta c’è pace; al centro della vita c’è stabilità e potere. Cercali sempre, o neofita, poiché in essi troverai te stesso.” L’Editore La Dottrina segreta dei Rosacroce Figura 1. Simbolo mistico della Fratellanza Rosacrociana Parte 1 I Rosacroce e la loro dottrina segreta Lo studioso di storia dell’occultismo e di insegnamenti segreti, e persino il lettore medio di libri e riviste, trovano frequenti riferimenti ai “Rosacroce”, una presunta antica società segreta dedita allo studio di dottrine esoteriche e all’evocazione di potenze occulte. Ma quando lo studioso o il lettore in questione cerca di procurarsi informazioni dettagliate riguardo a questo antico “ordine” si ritrova confuso e frustrato. Prima di riconoscere l’inutilità della sua ricerca, tuttavia, egli di solito interroga uno o più dei cosiddetti ordini nel cui nome figura la parola rosacrociano, con il solo risultato di ricevere l’invito a unirsi all’ordine in questione previo pagamento di una quota o contributo il cui ammontare varia, raggiungendo in determinati casi cifre considerevoli. Ciascuno di questi gruppi pretende di essere l’unico ordine originario e accusa tutti gli altri di essere ignobili plagiari. La verità è che non esiste, e non è mai esistito, alcun ordine occulto che possa ricondursi agli autentici Rosacroce, che risulti aperto al pubblico e nel quale sia possibile entrare pagando una quota, così come si fa con una qualunque delle tante ben conosciute associazioni e confraternite del nostro tempo. I veri Rosacroce non hanno un’organizzazione nel senso specifico della parola, e a tenerli uniti sono soltanto i legami del comune interesse per gli studi occultistici ed esoterici, oltre che l’omaggio da tutti loro tributato a determinati principi fondamentali di fede e di conoscenza. Quest’ordine privo di una vera organizzazione può contare su membri che appartengono a tutte le classi sociali e a svariate nazionalità, e che non dichiarano mai pubblicamente la propria adesione alla confraternita rosacrociana. L’ammissione non si ottiene pagando una quota associativa, ma soltanto grazie alla segnalazione e all’appoggio di tre membri qualificati, che già da lungo tempo facciano parte della confraternita e che, sotto la guida di più esperti adepti allo studio della sapienza arcana, si siano già spinti sufficientemente avanti nella conoscenza esoterica e nella dimostrazione dei principi scoperti. Membri dell’ordine rosacrociano occupano prestigiose posizioni gerarchiche all’interno di quasi tutte le organizzazioni e società occultistiche del mondo; in verità, proprio questi individui rappresentano il lievito genuino nella massa opaca, e tengono viva in quelle organizzazioni la sacra fiamma della verità. Molti Rosacroce hanno anche posizioni di rilievo nell’ambito di circoli filosofici e scientifici, e alcuni di essi sono importanti uomini d’affari, professionisti e politici. Altri svolgono un ruolo chiave all’interno del movimento operaio e nei sindacati. Alcuni ricoprono posizioni importanti nelle gerarchie delle varie chiese, e altri ancora dirigono la massoneria e le società segrete analoghe. In tutti questi circoli i Rosacroce esercitano un’influenza determinante, e sempre in direzione del bene. La confraternita dei Rosacroce L’interesse moderno per gli insegnamenti rosacrociani risale ai primi anni del XVII secolo, più precisamente a una data intorno al 1610. A quel tempo giravano voci circa l’esistenza di una società segreta, conosciuta con il nome di “Confraternita dei Rosacroce”, i cui adepti e luoghi di riunione non erano noti al pubblico. La misteriosa società venne duramente attaccata dalle autorità ecclesiastiche e da altri, e fu altrettanto vigorosamente difesa da quanti si interessavano di occultismo e di insegnamenti esoterici in generale. Vennero fondati svariati ordini spuri e fasulli nei successivi cento anni e anche nei secoli seguenti, ma nessuno di essi è riuscito a dimostrare un collegamento certo con l’ordine originario. Alcuni degli insegnamenti originari dei Rosacroce sono stati accolti nei gradi più alti dell’iniziazione massonica, e lì sono serviti egregiamente al fine. La leggenda riguardante le origini dell’ordine, vera in certi aspetti, erronea in altri, è la seguente. Un certo Christian Rosenkreutz, aristocratico tedesco che aveva preso gli abiti di un non precisato ordine monastico, aveva visitato l’India, la Persia e anche l’Arabia, ed era tornato portandosi dietro una dottrina segreta ricevuta dai saggi e dai veggenti dell’Oriente. Fu lui che, a quanto si dice, fondò l’originaria confraternita rosacrociana intorno al 1425 che fu resa nota soltanto quasi duecento anni dopo. I veri Rosacroce, tuttavia, riconoscono in questo racconto leggendario soltanto un intelligente travestimento delle reali circostanze in cui avvenne la fondazione di quest’ordine particolare, circostanze da leggere tra le righe, con l’ausilio degli occhiali della comprensione, in modo da afferrarne il significato autentico. L’autore del presente scritto non si sente autorizzato a presentare in queste pagine il racconto nel modo in cui egli personalmente lo intende e in cui gli è stato trasmesso da chi aveva l’autorità per farlo; in verità, nel renderlo pubblico egli violerebbe una promessa delle più solenni, il che equivarrebbe a tradire i segreti della propria iniziazione. Egli, tuttavia, è autorizzato ad affermare che la dottrina segreta dei Rosacroce è un corpo di insegnamenti esoterici, trasmesso nel corso dei secoli da uomini sapienti particolarmente versati nelle dottrine esoteriche e nelle tradizioni occultistiche. Detta sapienza è venuta dall’Oriente e, in verità, ancor oggi include parte degli insegnamenti segreti di alcune fra le massime fratellanze orientali. La sua storia non è altro che l’ennesimo esempio della giustezza degli antichi assiomi, uno dei quali afferma che dobbiamo “guardare a Oriente, da dove viene la luce”. Per molti anni fu permesso rivelare al pubblico solo molto poco della dottrina segreta dei Rosacroce, ma nel corso degli ultimi vent’anni è invalsa una libertà sempre maggiore a questo riguardo, fino a che oggi molti importanti insegnamenti rosacrociani costituiscono parte di quasi tutti gli scritti e le lezioni sul tema dell’esoterismo in generale, e della più alta metafisica in particolare. La teosofia e il generale interesse per le filosofie e le religioni orientali hanno contribuito molto a rendere pubblici alcuni punti tra i più elementari della dottrina segreta. In verità, negli scritti e negli insegnamenti di livello più elevato di alcune delle importanti organizzazioni collegate ai Rosacroce, è possibile trovare svariati frammenti seminascosti della dottrina rosacrociana, ingegnosamente dissimulata per la massa dei profani, ma rivelata in tutta la sua chiarezza a pochi sapienti. L’alchimia in senso superiore I Rosacroce, a detta dei più comuni testi di riferimento, erano dediti alla pratica dell’alchimia. In effetti questa affermazione è corretta. I moderni compilatori di tali opere, sono tuttavia caduti nell’errore di credere che l’alchimia in questione si limitasse esclusivamente al piano materiale e in particolare alla trasmutazione degli elementi. Essi dimostrano di ignorare il fatto che l’alchimia che attraeva i Rosacroce, e che occupava gran parte del loro tempo e della loro attenzione, era l’alchimia mentale e quella spirituale; qualcosa, dunque, di assai differente, pur avendo essa ovviamente dei legami con l’alchimia materiale secondo la legge della Corrispondenza. Il lettore di questo libro scoprirà tale verità, e riceverà svariate preziose indicazioni circa le forme superiori di alchimia, sempre che egli sia preparato a leggere tra le righe del testo e a ragionare per analogie. L’assioma “come sopra, così sotto” si rivelerà illuminante anche a questo riguardo. Perché gli insegnamenti esoterici vengono tenuti segreti Risulta difficile spiegare all’occidentale le vere ragioni della segretezza che immancabilmente avvolge gli insegnamenti esoterici di tutte le grandi scuole di pensiero occultistico. Egli è infatti portato a pensare che l’unico motivo sia il piacere del mistero che egli attribuisce automaticamente a tutti i maestri di dottrine occultistiche. Per chi tuttavia percorre anche per un breve tratto il Sentiero le vere ragioni divengono subito manifeste. Questi avverte i pericoli di ciò che potrebbe accadere svelando prematuramente importanti principi esoterici alla mente impreparata della massa delle persone. La seguente citazione di un famoso scrittore fornirà forse qualche indicazione utile alla soluzione di tale problema. “Il metodo orientale per coltivare la conoscenza è sempre stato diametralmente opposto a quello seguito in Occidente parallelamente allo sviluppo della scienza moderna. Mentre l’Europa ha investigato la natura il più pubblicamente possibile, discutendo ogni singolo stadio della ricerca con la più completa libertà, e mettendo subito in circolazione ogni nuova scoperta a beneficio di tutti, la scienza orientale è sempre stata studiata in segreto e le sue scoperte custodite gelosamente. Il lettore vedrà in seguito che ciò risulta perfettamente coerente con lo schema generale della filosofia occultistica. L’approccio a detta filosofia è sempre stato, in un certo senso, aperto a chiunque. In maniera vaga, in tutto il mondo si è vagamente diffusa l’idea che determinati metodi di studio, seguiti da individui particolari, potessero condurre all’acquisizione di una conoscenza di livello superiore a quella insegnata all’umanità in generale dai maestri e dai libri. L’Oriente, come già sottolineato, è sempre stato certo di ciò, ma anche in Occidente è fermentato all’interno della società europea un intero corpo di testi esoterici sull’astrologia, l’alchimia e il misticismo in generale, generando in alcune menti particolarmente recettive e qualificate la convinzione che importanti verità si nascondono dietro ciò che a uno sguardo superficiale sembra non abbia senso. A simili individui, studi stravaganti hanno talvolta rivelato passaggi nascosti che conducevano ai più grandiosi regni di illuminazione che l’immaginazione potesse concepire. Fino a oggi, tuttavia, secondo la legge di queste scuole, non appena il neofita riusciva a penetrare la regione del mistero, si trovava vincolato al più assoluto segreto circa tutto ciò che si riferiva al suo ingresso e a i suoi ulteriori progressi in quel mondo. In Asia allo stesso modo il chela, ovvero il neofita di occultismo, non appena diveniva tale cessava di essere un testimone della realtà della sapienza occulta. Personalmente sono rimasto sorpreso nello scoprire, dal momento in cui ho cominciato a occuparmi di questo tema, quanto numerosi siano i chela e quanto sia improbabile che confessino di essere tali senza autorizzazione. In questo modo la grande scuola di filosofia esoterica è riuscita a proteggere efficacemente il proprio isolamento. È tuttavia opportuno liberare il lettore da certe false idee che probabilmente si è formato riguardo agli oggetti dell’iniziazione. Lo sviluppo di quelle facoltà spirituali, attinenti ai più alti oggetti della sfera occulta, cresce insieme al progredire di una gran quantità di conoscenze riguardo a leggi fisiche della natura generalmente non ancora comprese. Queste conoscenze, e le tecniche che ne conseguono, hanno lo scopo di manipolare determinate forze oscure della natura. Inoltre, conferiscono all’iniziato, e anche ai suoi discepoli già relativamente presto nel loro apprendistato, poteri straordinari che, se utilizzati nelle faccende della vita quotidiana, possono produrre risultati che paiono assolutamente miracolosi. Da un punto di vista ordinario, l’acquisizione di tali poteri rappresenta una conquista così straordinaria che la gente a volte è portata a pensare che la meta che si proponeva l’iniziato, mettendosi alla ricerca di quella conoscenza, era precisamente di poter disporre di quegli agognati poteri. Il che equivarrebbe ad affermare riguardo a un grande patriota, autore di leggendarie imprese militari, che ciò che lo ha spinto a diventare un soldato è stata la prospettiva di indossare l’uniforme di gala in modo da colpire l’immaginazione delle balie”. La dottrina segreta dei Rosacroce Quella che è conosciuta come la “dottrina segreta dei Rosacroce” è un consistente corpo di insegnamenti esoterici e di tradizioni occultistiche trasmesse dal maestro al discepolo, dallo ierofante al nuovo iniziato, attraverso innumerevoli generazioni. Raramente parti della dottrina segreta sono state scritte o diramate alla pubblica conoscenza prima dell’attuale generazione. In precedenza, quel poco che veniva scritto o stampato era dissimulato sotto i termini vaghi dell’alchimia e dell’astrologia, cosicché lo stesso concetto aveva un dato significato per il lettore medio e un altro più profondo per chi possedeva la chiave del mistero. I frequenti riferimenti negli antichi libri allo zolfo, al mercurio e ad altri elementi chimici, nonché alla pietra filosofale, intendevano tutti indicare determinate parti degli insegnamenti della dottrina segreta a coloro che già ne possedevano la chiave. I meglio informati ritengono che la dottrina segreta dei Rosacroce sia stata costruita gradualmente, cautamente e lentamente dagli antichi maestri e adepti, mettendo insieme i frammenti sparsi degli insegnamenti esoterici custoditi gelosamente dai sapienti di tutte le razze. La leggenda vuole che questi frammenti fossero riconducibili allo smembramento della sapienza esoterica dell’antica Atlantide e che essi fossero solo pezzi del consistente corpo di dottrine occulte atlantidee, dispersi in tutte le direzioni dal grande cataclisma che distrusse il continente. I pochi sopravvissuti esponenti della civiltà atlantidea preservarono con ogni cura questi brandelli di verità, e li trasmisero ai loro discepoli eletti e ai loro degni discendenti. Gli antichi maestri che dedicarono la loro vita a mettere nuovamente insieme questi elementi sparsi, e a ricostruire così la dottrina occulta degli Atlantidi, trovarono porzioni di questo sapere in Egitto, India, Persia, Caldea, Media, Cina, Assiria e nell’antica Grecia, nonché nei testi mistici degli Ebrei, come la Cabala e lo Zohar. La fonte comune, tuttavia, può considerarsi marcatamente orientale e si può arrivare a dire che le grandi filosofie dell’Oriente siano state costruite sulla base di questi ancora più antichi insegnamenti. Inoltre si pensa che le dottrine segrete dei Greci fossero basate sulla conoscenza ottenuta da tale fonte comune. Così, in definitiva, è possibile affermare che la dottrina segreta dei Rosacroce sia la dottrina segreta di Atlantide, trasmessa attraverso i discendenti del popolo di quel grande centro di sapienza occulta. La seguente citazione da un autore che ha personalmente raccolto svariati frammenti dell’antica saggezza può risultare interessante. Parlando di questi antichi insegnamenti egli afferma: “La dottrina è giunta all’epoca presente attraverso i corridoi del tempo, dai periodi bui delle passate ere, razze e scuole di pensiero. Anche coloro che erano al vertice di quegli antichi circoli occulti, tuttavia, non sono in grado di rintracciare in linea diretta l’origine di quegli insegnamenti spingendosi più indietro del tempo di Pitagora (V secolo a. C. circa) e dell’antica Grecia, anche se trovano molti riferimenti e richiami in alcuni più antichi documenti egizi e caldei, i quali dunque dimostrano che la scuola pitagorica e altre scuole esoteriche elleniche si fondavano su insegnamenti esoterici ancora più remoti, ricevuti in una linea diretta di successione di maestri e discepoli che abbraccia svariati secoli. Gli studiosi hanno trovato tracce di tali insegnamenti in documenti persiani e medi, e si pensa che l’ispirazione che anima gli originari insegnamenti filosofici di Gautama, il fondatore del Buddhismo, provenga dalla medesima fonte. Tracce di essa sono anche rinvenibili negli insegnamenti esoterici ebraici”. Lo scrittore continua: “Le dottrine dell’antica Grecia risalivano indubitabilmente a fonti egizie, per il tramite di Pitagora; il rapporto fra le più antiche dottrine e filosofie elleniche e la scuola egizia è assai stretto. È noto che Pitagora era stato istruito da ierofanti egizi e persiani. Si può legittimamente supporre la più stretta rassomiglianza tra le dottrine degli antichi Greci e quelle delle confraternite esoteriche egizie. Alcuni maestri, tuttavia, ritengono che le scuole elleniche e quelle egizie non fossero altro che due distinti germogli di un insegnamento originario più antico che aveva la sua origine nel continente perduto di Atlantide. Esistono numerose tradizioni che collegano l’insegnamento ad Atlantide ed è possibile che tanto la Grecia quanto l’Egitto lo abbiano ricevuto da quella fonte comune, e che dunque l’antica Grecia non sia affatto debitrice dell’Egitto per la sua trasmissione. Comunque sia, è un fatto certo che tutte le tracce dell’insegnamento che i vari occultisti hanno raccolto da tradizioni, frammenti di dottrine e leggende riguardanti Atlantide si armonizzano con la parte migliore delle conoscenze esoteriche e occultistiche di cui dispone oggi l’umanità. I frammenti degli insegnamenti esoterici egizi, molti dei quali si sono conservati in una linea di successione indubitabilmente diretta, risultano praticamente identici nei punti fondamentali con gli insegnamenti esoterici degli antichi Greci. E, come è stato detto, le leggende e le tradizioni persiane, medie e caldee, e i frammenti di dottrine che si sono conservati dimostrano una fonte o un’origine comuni a quelle dell’Egitto e dell’antica Grecia”. Lo scrittore aggiunge: “Adesso stiamo considerando il tema solo dal punto di vista storico. Le tradizioni occultistiche assumono che l’insegnamento, in una sua qualche forma, sia antico come l’umanità stessa, e che sia stato conosciuto dalle menti migliori di tutte le grandi civiltà del passato, molte delle quali scomparvero migliaia di anni fa senza lasciare traccia alcuna. Le tradizioni assumono che l’insegnamento venne trasmesso dagli antenati dell’umanità, spiriti eccellenti che apparvero nei primi giorni del mondo per piantare i semi della verità, destinati a crescere, a fiorire e a dare frutti nelle epoche successive. Non vi chiediamo di accettare questa affermazione; ciò non è indispensabile poiché l’insegnamento ha in se stesso la prova della sua verità, senza avere bisogno dell’appoggio di un’autorità così alta. Abbiamo menzionato l’antica tradizione soltanto perché il lettore avesse modo di sapere che le stesse cose erano accolte come vere da tanti fra i più eccelsi maestri della sapienza occulta”. I sette aforismi della creazione In questo libro desideriamo sottoporre all’attenzione dei lettori i sette aforismi della creazione dei Rosacroce, che riassumono i principi fondamentali della dottrina segreta rosacrociana, riproducendo inoltre i principali simboli segreti dei Rosacroce correlati. Il lettore che riesca ad assimilare i principi qui esposti può elevarsi a un piano di pensiero che tenderà naturalmente a metterlo in contatto con i massimi insegnamenti dei Rosacroce, e nella condizione di ricevere rivelazioni ancora più elevate qualora egli desideri proseguire questi studi. Il lettore ricordi sempre l’assioma: “Quando il discepolo è pronto, appare il maestro”. Questo momento arriva però solo quando il discepolo ha assimilato gli insegnamenti di base simili a quelli forniti nelle pagine di questo libro. Non pretendiamo di fornire tutti gli insegnamenti segreti dei Rosacroce, come ad esempio le loro formule e metodi di alchimia mentale e trasmutazione spirituale. Rivelazioni di questo genere non possono essere diffuse indiscriminatamente, per ragioni che risulteranno evidenti a qualsiasi lettore serio e intelligente. D’altra parte, simili rivelazioni non possono essere negate a quanti sono pronti a riceverle e a quanti si sforzano di acquisire la sapienza segreta mossi da giusti e appropriati motivi. Quando il discepolo impara a “bussare nella maniera giusta”, subito vede mantenuta l’antica promessa: “Bussate e vi sarà aperto”. Il simbolo della rosacroce Il ben noto simbolo dei Rosacroce, la “rosacroce”, appare sotto svariate forme. Ad esempio: la croce sormontata dalla rosa; la spada (con l’elsa e l’impugnatura che formano una croce) attaccata alla rosa; la croce sormontata dalla corona; una variante della croce fallica, e così via. Ci sono sette differenti livelli di spiegazione del simbolo, ma i tre più elevati sono riservati agli iniziati di un certo rango, e non possono quindi essere riportati in questo trattato. Qui di seguito illustreremo alcuni dei significati che ci è concesso di rivelare e spiegare: 1) La croce sormontata dalla rosa indica che la “rosa” (simbolo mistico del divino) può essere ottenuta solo attraverso le sofferenze della vita mortale (simboleggiate dalla croce). 2) La spada attaccata alla rosa indica che la spada dello spirito deve essere attivamente impiegata nella battaglia della vita per ottenere la ricompensa della rosa (la rosa era il premio conferito dalla regina al cavaliere vittorioso). 3) La croce sormontata dalla corona indica che le sofferenze dell’esistenza mortale, sopportate dal fedele discepolo della verità, saranno immancabilmente ricompensate dalla corona della sapienza. “Ogni croce ha la sua corona” e “nessuna croce, nessuna corona” sono antichi aforismi tendenti ad affermare questa verità. 4) La variante della croce fallica indica la dualità sessuale dell’universo manifesto, la presenza e l’attività rispettivamente del principio universale maschile e di quello femminile.2 In conclusione di questa parte introduttiva, invitandovi ad addentrarvi nello studio della dottrina segreta dei Rosacroce, consentiteci di raccomandarvi di considerare con attenzione le seguenti parole di un antico aforisma: “Il possesso della conoscenza, non accompagnato da azioni che siano la sua coerente manifestazione ed espressione, è come l’accumulo di metalli preziosi da parte dell’avaro: una cosa vana e sciocca. Non dimenticate la legge dell’Uso, in questa e in tutte le altre cose”. Figura 2. Il simbolo della rosacroce (convenzionalizzato) Parte II Il Genitore Eterno Il primo aforisma Il Genitore Eterno era immerso nel sonno della notte cosmica. Luce non ce n’era, poiché la fiamma dello spirito non era ancora stata riaccesa. Tempo non ce n’era, poiché il mutamento non era ricominciato. Cose non ce n’erano, poiché la forma non si era ripresentata. Azione non ce n’era, poiché non vi erano cose che potessero agire. La coppia di opposti non c’era, poiché non vi erano cose che potessero manifestare la polarità. Il Genitore Eterno, privo di causa, indivisibile, immutabile, infinito, dormiva un sonno privo di coscienza e di sogni. Oltre al Genitore Eterno non vi era nulla, né di reale né di apparente. In questo primo aforisma della creazione, il discepolo ro- sacrociano è invitato a rivolgere la sua attenzione al concetto della sorgente infinita di tutte le cose, il Genitore Eterno da cui tutte le cose procedono. Questo Genitore Eterno, l’infinito non manifesto, è rappresentato nel simbolo rosacrociano dal cerchio che non ha nulla fuori di sé e nulla al suo interno. Non si deve però pensare che il cerchio rimandi a un’idea di limitazione; al contrario esso rimanda all’idea dell’illimitato. Questo simbolo, pur essendo il migliore possibile per trasmettere il suo significato, risulta tuttavia inadeguato a causa dell’impossibilità di rappresentare l’infinito tramite un simbolo finito. L’unico simbolo adeguato al Genitore Eterno sarebbe quello dello spazio infinito che ovviamente non può essere rappresentato da un segno poiché, per quanto ampio possa essere il cerchio tracciato, resterebbe sempre dello spazio fuori di esso. Pur riconoscendo dunque l’impossibilità di trovare un simbolo adeguato, gli antichi Rosacroce adottarono il cerchio vuoto come miglior possibile simbolo finito dell’infinito non manifesto. Figura 3. Simbolo dell’infinito non manifesto Il concetto di spazio infinito è sempre stato considerato dai Rosacroce il migliore possibile per pensare l’infinito non manifesto, poiché quest’ultimo non può essere pensato consapevolmente come una cosa, e la coscienza è in grado di considerare soltanto realtà oggettive. Rigorosamente parlando l’infinito non manifesto è un “nulla” piuttosto che una “cosa”, ma non un nulla che implichi pura negatività e “nientità” assoluta, bensì semmai un nulla che implica le possibilità di ogni cosa, senza però le sue limitazioni. Lo spazio infinito non può essere considerato una cosa, poiché non ha nessuna delle sue caratteristiche. Tuttavia non gli si può negare un’esistenza e una presenza effettive. Esprimendosi in modo approssimativo, lo si potrebbe definire “una non cosa che ha in sé la possibilità di un’infinita condizione di cosa, o l’infinita possibilità delle cose”. Lo spazio infinito va concepito come l’assoluto contenitore di ogni essenza, manifesta o non manifesta, poiché al di fuori dello spazio infinito c’è solo il nulla, o, più rigorosamente parlando, non esiste un al di fuori dello spazio infinito. Lo spazio infinito, dunque, è sempre stato scelto come simbolo occulto ed esoterico che consentiva agli uomini di concepire l’infinito non manifesto, il Genitore Eterno immerso nel sonno della notte cosmica. In uno degli antichi catechismi occulti veniva posta la domanda: “Cosa è che è sempre stato, è ancora e sempre sarà, che ci sia un universo o meno, e che ci siano dèi o no?”. E la risposta è: “lo spazio!”. La forza del simbolo dello spazio infinito, indicante l’infinito non manifesto, viene pienamente colta quando la mente cerca di pensare, o anche solo di immaginare, l’assenza dello spazio infinito, prima che questo fosse creato o dopo che questo venga distrutto. Si scoprirà naturalmente che la mente e l’immaginazione umane sono incapaci di concepire l’assenza dello spazio in entrambe le ipotetiche circostanze. La mente è costretta a pensare lo spazio come infinito ed eterno, senza prendere in considerazione qualsiasi altra cosa ritenuta presente o assente in un qualsiasi momento passato, presente o futuro. Allo stesso tempo la mente scopre di essere incapace di definire lo spazio come cosa, pur non osando considerarlo in termini di pura negatività e nientità. Si vedrà che lo spazio infinito deve essere sempre concepito come eternamente presente e tuttavia sempre libero dalle limitazioni delle forme. Inoltre, dal momento che lo spazio infinito è invisibile e impercettibile, non può essere “conosciuto” o non se ne può avere cognizione limitativa. Riferendovisi il pensiero dovrà sempre usare la formula “non è questo, non è quello”. Ciò risponde all’antica affermazione del saggio riguardo alla realtà: “L’essenza dell’essere è priva di attributi, di forma, di distinzioni, ed è incondizionata. È differente da quanto conosciamo e da ciò che non conosciamo. Le parole e il pensiero rinunciano a definirla. I sapienti rispondono alle domande sulla sua natura soltanto con il silenzio. A tutte le proposte di definizione delle sue qualità, proprietà e attributi i sapienti rispondono semplicemente: ‘neti, neti; non è questo, non è quello!’. Di essa i sapienti affermano semplicemente è”. Come altri antichi saggi hanno detto: “L’immaginazione, l’intelletto e il pensiero astratto si sforzeranno sempre invano di rappresentarsi l’infinito; poiché nessuna forma di finitezza (a cui appartengono anche il pensiero e il discorso) può esprimere l’infinito; né può ciò che è immerso nel tempo esprimere il non temporale e l’eterno; né può il pensiero prodotto dalla catena causale afferrare ciò che è privo di causa e che esiste esclusivamente in virtù di se stesso”. Così, in ogni modo e da ogni angolo, scopriamo che il concetto di spazio infinito è il nobile e degno simbolo di ciò che intendiamo quando proviamo a pensare l’infinito non manifesto, ovvero l’essenza dell’essere prima che essa si manifesti nell’attività e nella forma. Il primo aforisma afferma che “il Genitore Eterno era immerso nel sonno della notte cosmica”. Questa frase contiene un riferimento all’idea dei giorni e delle notti cosmiche, che sotto una varietà di nomi sta alla base di tutte le dottrine esoteriche e di tutte le filosofie occultistiche. Le più alte intelligenze umane e sovraumane hanno testimoniato il fatto che il ritmo è insito e si manifesta nel cosmo. Nella più insignificante particella di essere manifesto come nella totalità dell’essere è sempre rinvenibile la presenza e la manifestazione del ritmo. Dalle più alte fonti di informazione sull’occulto veniamo a sapere che il Tutto si presenta alternativamente in lunghi periodi di manifestazione (chiamati giorni cosmici), seguiti da periodi parimenti lunghi di non manifestazione (chiamati notti cosmiche). Durante la notte cosmica il Genitore Eterno esiste come immerso in un sonno privo di coscienza e di sogni, da cui con l’alba del nuovo giorno cosmico si desta gradualmente passando a manifestarsi. Il giorno cosmico, a sua volta, gradualmente volge al tramonto, che lentamente ma ineluttabilmente cede il passo alle tenebre della notte cosmica, quando tutto torna nuovamente all’inerzia e alla quiete. Un’altra volta, e un’altra, e un’altra ancora, in una sequenza e in una ripetizione infinite, in un ritmo infinito, il cosmo presenta questa successione di giorni e di notti, di manifestazione e non manifestazione. Così è stato sempre, così sempre sarà, senza fine, arresto o interruzione. Questo è quello che ci dicono i sapienti e illuminati maestri dell’umanità. Un grande maestro dell’occulto ha scritto a proposito quanto segue: “La dottrina esoterica insegna, al pari del buddhismo, del brahmanesimo e persino della Cabala, che l’essenza una, infinita e inconoscibile esiste da tutta l’eternità e che in un’armoniosa e regolare successione di periodi è attiva o passiva. Nella poetica fraseologia di Manu queste due condizioni sono chiamate rispettivamente i giorni e le notti di Brahma. Quest’ultimo è ora ‘sveglio’ ora ‘addormentato’ (...). “Al principio di un periodo attivo, dice la dottrina segreta, si verifica un’espansione dell’essenza divina da fuori in dentro e da dentro in fuori, in obbedienza a leggi eterne e immutabili. L’universo fenomenico o visibile è il risultato finale della lunga catena di forze cosmiche messe progressivamente in movimento in questo modo. Analogamente, quando si torna alla condizione passiva, si verifica una contrazione dell’essenza divina e quanto è stato precedentemente creato viene gradualmente e progressivamente annientato. L’universo visibile si disintegra, la sua materia viene dispersa e un’altra volta le tenebre solitarie regnano sull’abisso. “Per usare una metafora dei Libri Segreti, che renderà più chiara l’idea, un’espirazione dell’essenza inconoscibile produce il mondo, e un’inspirazione ne provoca la scomparsa. “Questo processo continua da tutta l’eternità, e il nostro attuale universo è solo uno di una serie infinita che non ha avuto inizio e non avrà fine”. A questo riguardo, lo studioso delle opere di Herbert Spencer troverà nelle antiche dottrine occultistiche un’inattesa e solida base per gli insegnamenti del suo moderno maestro. Spencer, con la sua idea dell’universale presenza e attività del ritmo, non fa che riprendere ciò che le antiche dottrine occultistiche insegnavano al riguardo. Si consideri il seguente passo uscito dalla penna del moderno profeta dell’evoluzione: “È evidente che le forze universalmente coesistenti di attrazione e repulsione, che, come abbiamo visto, hanno bisogno di un ritmo nei mutamenti minuti che si verificano nell’universo, hanno anche bisogno di un ritmo nella totalità dei mutamenti di esso. Si avrà, dunque, un periodo straordinariamente lungo durante il quale, predominando la forza di attrazione, si produce una concentrazione universale, e poi un periodo altrettanto lungo in cui, predominando la forza di repulsione, si produce una dispersione universale. Si alternano, perciò, epoche di evoluzione ed epoche di dissoluzione”. Il primo aforisma afferma ancora: “Luce non ce n’era, poiché la fiamma dello spirito non era ancora stata riaccesa”. È questa un’affermazione che risulterà “difficile” per coloro che, possedendo solo mezza verità ed essendo ignari dell’esistenza dell’altra metà, pensano che la realtà infi- nita sia spirito, di cui la fiamma è ovviamente il simbolo esoterico e occulto. La grande sapienza antica, che parla per bocca dei più attenti maestri, ha tuttavia sempre insegnato l’intera verità a quanti erano qualificati a riceverla, e cioè che non solo dietro la materia, ma anche dietro lo spirito sta un’essenza eterna e infinita che non è né spirito né materia, ma è la radice e l’origine incondizionata di spirito e materia. La luce e la fiamma, i due universalmente riconosciuti simboli esoterici e occulti dello spirito, hanno dietro di loro l’essenza “priva di luce e di calore” della luce e del calore stessi. L’essenza della luce e della fiamma spirituale è la realtà infinita e non la luce e la fiamma stesse. Il lettore potrà afferrare più facilmente questa verità osservando la fiamma di una lampada, di una candela, di un fornello a gas o qualsiasi altro tipo di fiamma materiale; egli avvertirà la presenza, al di sotto e al centro della fiamma, di un oscuro, trasparente “qualcosa” che è l’essenza da cui la fiamma stessa procede e da cui attinge sostegno e sostanza. Nella terminologia occultistica il suo corrispondente su un più elevato piano dell’essere viene chiamato “la fiamma scura”, che è l’essenza della fiamma e della luce, e non la fiamma o luce stessa. Come ha scritto un antico autore, “l’essenza è lo spirito del fuoco, e non il fuoco stesso; di conseguenza, gli attributi del fuoco, vale a dire il calore, la fiamma e la luce, non sono attributi dell’essenza, ma piuttosto del fuoco di cui l’essenza è la causa”. L’infinito non manifesto, ossia il Genitore Eterno addormentato, non deve essere concepito dal lettore come spirito, nel senso in cui questo termine viene generalmente impiegato nel nostro pensiero. Esso è piuttosto affine allo spazio puro da cui emerge la fiamma, e in cui essa è contenuta. È questo un punto che richiede ragionamenti e distinzioni sottili, che diverranno chiari al lettore man mano che si procede nell’esposizione, ma che di sfuggita è bene rilevare subito. Il primo aforisma afferma ancora: “Tempo non ce n’era, poiché il mutamento non era cominciato”. Questa può essere un’altra affermazione difficile per il lettore che non abbia afferrato l’autentico significato del tempo. “Tempo”, nell’accezione strettamente filosofica del termine, non significa pura durata dell’esistenza, bensì “la misura del mutamento nell’esistenza”. Un’esistenza durevole in cui non vi sia alcun cambiamento di forma, attività, o grado sul piano mentale o fisico, è al di fuori del tempo. Il tempo, infatti, non è altro che la “misura del mutamento”. Senza mutamento non può esservi alcun tempo nel vero significato di quest’ultimo termine. Il puro essere non presenta una dimensione temporale. Il tempo è il risultato del divenire, ovvero del mutamento, ed è sempre misurato tramite il mutamento o il divenire in qualcosa. Il passo seguente, tratto da un testo moderno, può essere utile a chiarire la differenza tra la pura durata e il tempo: “La pura durata viene concepita senza considerare gli effetti del mutamento nelle cose. Il tempo, al contrario, è la misura sensibile di una qualsiasi porzione di durata, spesso caratterizzata da fenomeni particolari come l’apparente rivoluzione dei corpi celesti o la rotazione della terra sul suo asse. Il nostro concetto di tempo è basato su quello di movimento, e in particolare su quello dei movimenti regolari e uniformi che avvengono nei cieli, le cui parti, per la loro perfetta somiglianza reciproca, rappresentano perfette unità di misura di quella quantità continua e in successione chiamata tempo, con la quale si pensa coesistano. Il tempo può dunque essere definito come ‘il numero percepibile di movimenti successivi’. Il tempo, basato sui movimenti dei corpi celesti o della terra, viene spesso misurato con strumenti quali gli orologi e le meridiane, anch’essi basati su tali movimenti”. Siamo consci dello scorrere del tempo anche grazie ai cambiamenti nei nostri stati mentali, nei nostri pensieri o nelle nostre rappresentazioni mentali, sia nello stato di veglia sia in quello di sonno. Senza mutamenti nel mondo esterno, presenti nella nostra coscienza grazie alle percezioni che ne otteniamo, o senza variazioni nei nostri stati mentali, il tempo non esisterebbe per noi. Ne consegue che, data una realtà eterna immutabile, per la quale e per mezzo della quale non si manifesta alcun mondo esterno, e che è immersa in un sonno privo di coscienza e di sogni, non potrebbe esistere il tempo, e il tempo stesso non potrebbe manifestarsi; a regnare sarebbe la sua assoluta assenza, fino a che non tornasse a manifestarsi il mutamento. Di conseguenza, il lettore non potrà che riconoscere la giustezza di quanto afferma il primo aforisma, e cioè che per il Genitore Eterno immerso nel sonno della notte cosmica “tempo non ce n’era, poiché il mutamento non era cominciato”. Sarebbe impossibile pensarla diversamente, considerata la natura del tempo e l’assenza del mutamento durante la notte cosmica del Genitore Eterno. Il lettore comprenderà facilmente che, data l’esistenza infinita e l’assenza del mutamento, dobbiamo necessariamente postulare la pura durata e l’assenza del tempo. Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione. Il primo aforisma afferma ancora: “Cose non ce n’erano, poiché la forma non si era ripresentata”. Anche qui abbiamo di fronte una verità ineluttabile. Una cosa è “quanto esiste, o si pensa che esista come entità separata e come oggetto di pensiero separabile o distinguibile”. Ogni cosa è caratterizzata da una forma. La forma è: (1) l’aspetto o la struttura di qualsivoglia cosa considerata dal punto di vista della materia da cui è composta, dunque la sua configurazione o figura; (2) il modo di agire di ogni elemento sui sensi o sull’intelletto, o di manifestarsi a essi; (3) l’insieme delle qualità riassunte in un concetto, o la costituzione interna che fa di ciò che esiste quello che è. Rigorosamente parlando una “cosa” deve poter essere pensata o rappresentata come composta di qualità, attributi o proprietà che la distinguano da altre cose; di conseguenza deve essere caratterizzata da una forma in modo da essere distinta e percepita dai sensi o dall’intelletto in quanto tale. Il Genitore Eterno, l’infinito non manifesto, non si può pensare che sia caratterizzato da una forma o che dimostri o presenti particolari qualità, proprietà o attributi di manifestazione quando si trova in uno stato di non manifestazione. Quando il Genitore Eterno indossa i paramenti della manifestazione, esso passa a manifestare l’aspetto delle cose. Ciascuna di esse è caratterizzata da una forma e da un determinato numero di qualità, proprietà e attributi che la distingue dalle altre. Risulta assiomatico in metafisica e in filosofia che il non manifesto non può essere pensato come avente o manifestante (nella sua natura essenziale) qualità, proprietà o attributi che compaiano in un secondo tempo nella sua manifestazione delle cose. Ed esso non può essere pensato come contenente (sempre nella sua natura essenziale) entrambe le opposte serie di qualità, attributi o proprietà, poiché “gli opposti si annullano” e “le antinomie non condizionano”. Invece di possedere qualità, proprietà o attributi, ovvero una forma in uno qualsiasi dei significati del termine, il non manifesto deve essere considerato come avente la “possibilità di un’infinita assunzione” di forme, qualità, proprietà e attributi nelle sue manifestazioni, ovvero un’infinita possibilità di assunzione degli stessi attributi. L’infinito non manifesto non può essere pensato come una cosa, né di per sé né attraverso il suo simbolo dello spazio infinito. Invece, come un illuminato maestro dell’occulto ha detto, esso deve essere considerato “un principio onnipresente, eterno, illimitato e immutabile, in riferimento a cui qualsiasi speculazione risulta impossibile, dal momento che trascende le possibilità dell’umano concetto e potrebbe solo venir sminuito da qualsiasi espressione o similitudine umana. Esso è oltre le capacità e i confini del pensiero, è impensabile e indicibile”. Durante la notte cosmica, non essendo presente nulla al di fuori dell’infinito non manifesto, è facile comprendere che necessariamente “cose non ce n’erano, poiché la forma non si era ripresentata”. Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione. Il primo aforisma afferma ancora: “Azione non ce n’era, poiché non vi erano cose che potessero agire”. Questa affermazione non richiede particolari spiegazioni. Non essendoci cose presenti, non ve ne erano che agissero. Tutte le azioni dell’infinito devono avvenire per tramite, ad opera o nell’ambito delle cose. Ogni azione richiede il mutamento, e dove non c’è mutamento non può esserci azione. Tuttavia non si deve pensare che l’infinito non manifesto sia impotente, poiché al contrario possiede tutta la potenza; non si deve pensare che sia privo di movimento, poiché in se stesso è il movimento astratto. Parlando in termini finiti si potrebbe dire che nella sua condizione di infinito non manifesto il Genitore Eterno si trova in uno stato di movimento così infinito che in confronto al movimento relativo esso si trova in uno stato di quiete assoluta. Il primo aforisma afferma ancora: “La coppia di opposti non c’era, poiché non vi erano cose che potessero manifestare la polarità”. Come qualsiasi studioso di filosofia sa, o dovrebbe sapere, ogni cosa presenta una combinazione di qualità, proprietà o attributi, ognuno dei quali rappresenta uno dei due termini di una coppia di opposti, uno dei due poli di qualità sempre presenti. Ad ogni condizione corrisponde l’opposto o la sua antitesi. Non vi sono eccezioni a questa regola. Sebbene in taluni casi l’opposto possa a prima vista non esistere, una ricerca accurata ne rileverà immancabilmente la presenza. Ne consegue la logica serie di opposti ben noti: duro e morbido, caldo e freddo, grande e piccolo, lontano e vicino, alto e basso, giorno e notte, luce e tenebra, lungo e corto. Anche dove il nostro linguaggio non riesce a fornire un termine adeguato per l’opposto di una qualità, di una proprietà o di un attributo, l’opposto può comunque venire espresso premettendo loro la particella “non”. Alcuni pensatori hanno cercato di insinuare che il termine “infinito” implichi una qualità, una proprietà o un attributo che sia l’opposto del finito, ma questo è soltanto un gioco di parole. La parola “infinito” implica semplicemente un’assenza di limitazioni, confini e forma, e non indica alcun limite, confine o forma non importa quanto estesi. Risulta impossibile formarsi un’immagine mentale dell’infinito non manifesto, o collegare a esso una condizione di cosa, una forma, una qualità, una proprietà o un attributo di qualsivoglia genere. Ne consegue che il termine “infinito” non è un vero opposto. È solo quando la manifestazione comincia che la coppia di opposti, ovvero la polarità, compare sulla scena. L’infinito non manifesto ha la possibilità di un’infinità di manifestazioni, che devono mostrare una qualsiasi serie data di coppie di qualità, proprietà o attributi. Al contrario, per l’infinito non manifesto di per se stesso, il Genitore Eterno nella sua essenza, non può esservi alcuna polarità o presenza di qualsivoglia serie di coppie di opposti. Qui, come altrove, il lettore è invitato a pensare l’infinito non manifesto per mezzo del simbolo dello spazio in- finito ogniqualvolta egli desideri mettere alla prova una delle affermazioni del primo aforisma. Il primo aforisma infine afferma: “Il Genitore Eterno, privo di causa, indivisibile, immutabile, infinito, dormiva un sonno privo di coscienza e di sogni. Oltre al Genitore Eterno non vi era nulla, né di reale né di apparente”. Che il Genitore Eterno sia privo di causa è un fatto chiaro di per sé, poiché non esiste nulla che avrebbe potuto essere causa dell’essere eterno e originario, da cui procede la manifestazione intera. Ciò che è eterno deve di necessità essere privo di causa. Ciò che è infinito non può avere null’altro che lo abbia causato, né avrebbe potuto essere causato dal nulla, poiché “dal nulla, nulla viene”. Che il Genitore Eterno sia indivisibile è parimenti ovvio, poiché ciò che può essere diviso o scomposto in parti o particelle deve essere in primo luogo originariamente formato di parti o particelle, e non può essere altro che un composto, un aggregato, una collezione e una raccolta di tali pezzi e di conseguenza non una vera entità o unità. Inoltre, ciò che è infinito non può venir diviso o separato senza perdere la sua essenziale infinità: un infinito diviso non è più un infinito, ma una semplice collezione o raccolta di cose finite. L’assoluta indivisibilità deve dunque essere necessariamente predicata della vera unità e dell’essere infinito. Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione. Che il Genitore Eterno sia incapace di mutare nella sua essenza è un fatto parimenti ovvio, poiché anche se esso può manifestare un’infinità di mutamenti, tuttavia de- ve sempre rimanere essenzialmente se stesso, e non divenire mai nient’altro che se stesso. Inoltre, non essendo nella sua essenza composto di qualità, proprietà o attributi, non può subire i mutamenti che derivano dal passaggio da un polo a quello opposto. Non avendo forma, non può sperimentare i mutamenti che derivano dal cambiamento di forma. L’assoluta immutabilità deve dunque essere necessariamente predicata del Genitore Eterno. Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione. Che il Genitore Eterno sia infinito risulta altrettanto evidente. Deve essere infinito poiché non vi è niente altro da cui possa essere limitato, definito, circoscritto, causato, influenzato o affetto. Ciò che è assoluto e originario, ultimo ed elementare non può essere impedito o limitato da condizioni o cose. L’assoluta infinità deve dunque essere necessariamente predicata del Genitore Eterno. Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione. Che il Genitore Eterno dormisse “un sonno privo di coscienza e di sogni” è considerata da tutti i più profondi metafisici e filosofi una necessità logica, se dobbiamo postulare l’esistenza di un periodo o di uno stato di non manifestazione. Poiché, come sanno tutti gli psicologi e i filosofi, la coscienza (anche nella forma del sogno) è impossibile senza mutamento. Uno stato di coscienza priva di mutamenti è legittimamente definibile incoscienza. Tuttavia il lettore non deve cadere nell’errore di credere che questa incoscienza infinita implichi una condizione “inferiore” a quella cosciente; poiché essa implica, piuttosto, un’”elevazione” rispetto alla coscienza ordinaria, uno stato di infinita super-coscienza, una condizione di coscienza trascendente, in cui è sempre presente la “coscienza a livello potenziale”, senza che questa passi in atto. La coscienza ordinaria rappresenta uno scadimento rispetto a questa condizione di incoscienza, non un progresso. Questa distinzione è estremamente importante e non va persa di vista dal lettore. Come presto scopriremo, quando la manifestazione comincia ad apparire, allora e soltanto allora si può dire che il Genitore Eterno cominci a “sognare” un’infinità di universi che si succedono in sequenza ritmica. Soltanto quando il Genitore Eterno si sveglierà completamente dal sogno per passare al luminoso meriggio dell’autoconsape- volezza infinita, lo si potrà pensare come pienamente “sveglio” e consapevole. Questi fatti si presenteranno in tutta la loro chiarezza man mano che procederemo nell’analisi degli aforismi. “Oltre al Genitore Eterno non vi era nulla, né di reale né di apparente”. Anche qui abbiamo una verità immediatamente evidente. Non ci poteva essere alcun altro ente reale, nessun “altro” rispetto alla realtà infinita e assoluta, poiché il predicato dell’infinità e dell’assolutezza implica quello dell’esclusività, dell’esaustività e dell’unicità. Non può esserci alcun ente reale “altro” rispetto alla realtà infinita. E, in assenza di manifestazione, non poteva esistere alcuna cosa apparente (vale a dire, cosa o cose manifestate o “create”) durante il periodo dell’infinita non manifestazione. Infine invitiamo ancora una volta il lettore, in questa considerazione dell’infinito non manifesto, ad appoggiarsi al simbolo dello spazio infinito ogni volta che gli paia difficile o quasi impossibile comprendere la verità delle affermazioni contenute nel primo aforisma riguardo al Genitore Eterno nello stato di infinito non manifesto, durante la notte cosmica. Il simbolo si dimostrerà perfettamente adeguato a consentire di “pensare l’infinito non manifesto”, anche se naturalmente è impossibile farsi un quadro mentale esatto sia del simbolo sia della realtà che esso rappresenta. Edgar Allan Poe ha detto bene a proposito del pensiero e del concetto di “infinito” e degli sforzi della mente umana di pensare l’impensabile: “Questa stessa parola e alcune altre espressioni il cui equivalente compare in quasi tutte le lingue non sono in alcun modo espressione di un’idea, ma semmai di uno sforzo in tal senso. Esse coincidono con un tentativo di fare tutto il possibile per esprimere l’inesprimibile. L’uomo aveva bisogno di un termine attraverso cui indicare la direzione di questo sforzo, la nube dietro cui si nasconde, sempre invisibile, l’oggetto di questo tentativo. Era in definitiva necessaria una parola per mezzo della quale un essere umano potesse mettersi immediatamente in relazione con un altro essere umano e con una determinata tendenza dell’intelletto umano. Da ciò nacque questo termine, che rappresenta dunque soltanto il pensiero di un pensiero (...). Il fatto è che, enunciando uno qualunque dei termini appartenenti a questa categoria, vale a dire la categoria che raccoglie i pensieri di un pensiero, colui che può dire in generale di pensare si sente chiamato non a formare un concetto, ma semplicemente a dirigere la sua visione mentale verso un dato punto del firmamento intellettivo ove è situata una nebulosa che non potrà mai essere penetrata. Del resto, egli neanche si sforza di farlo, poiché istintivamente capisce non solo che ciò è impossibile ma anche che, ai fini umani, ciò è assolutamente inessenziale. Egli vede subito che un simile oggetto sta fuori della portata dell’intelletto umano, e anche come ciò avviene, pur non comprendendone esattamente il perché”. Nella dottrina segreta dei Rosacroce, dunque, non viene compiuto alcun tentativo di definire l’essenza del Genitore Eterno: infatti, nello spirito del celebre aforisma di Spinoza, si ritiene che “definire l’infinito significa negare l’infinito”. Rifiutandosi di ascrivere le qualità, le proprietà e gli attributi finiti della personalità al Genitore Eterno, i Rosacroce non intendono implicare che la realtà infinita stia al di sotto del piano della personalità, ma semmai che essa sia così incommensurabilmente al di sopra di tale piano, e che trascenda così infinitamente qualsiasi personalità, che è infantile pensarla o parlarne in termini di personalità. Come spesso abbiamo affermato nella nostra analisi del primo aforisma, finché il Genitore Eterno, ossia lo stato d’essere della realtà infinita e assoluta, permane nella condizione di infinito non manifesto, non può essere espresso con le parole poiché è al di là delle parole. Può essere pensato solo simbolicamente tramite l’unico simbolo possibile, quello dello spazio infinito. Anche a livello simbolico può essere pensato soltanto in termini negativi, poiché essendo questo stato quello dell’essere assoluto (che, come dice Hegel, è praticamente identico a quello del non-essere, ove il termine “essere” è usato a indicare l’essere finito, condizionato e qualificato), non può essere concepito come in possesso delle qualità, delle proprietà e degli attributi che gli uomini ascrivono alle cose, comprese quelle che intuiscono e che rappresentano il limite estremo dei loro sforzi mentali. Edwin Arnold, nella sua bella poesia “La luce dell’Asia”, ha ben espresso la concezione buddhista di questa “impensabilità” dell’essenza della realtà infinita nelle seguenti parole: “Om Amataya! Non misurate con le parole l’incommensurabile; Non precipiti la corda del pensiero nell’abisso senza fondo. Chi domanda sbaglia; chi risponde, sbaglia; non dite nulla! Riuscirà l’osservatore a vedere con occhi mortali? O il ricercatore a conoscere con una mente mortale? Solleverà velo dopo velo, ma dietro troverà ancora un velo dopo l’altro!”. Per questo i Rosacroce considerano la realtà dell’infinito non manifesto soltanto con il simbolo dell’oceano infinito dello spazio puro, che riposa in uno stato di quiete e trasparenza assolute attraverso cui l’occhio mortale osserva e sembra scorgere soltanto il Nulla, che l’intuizione illuminata sa però essere il Tutto anziché il Nulla, l’essere assoluto e infinito in luogo del Nulla, la vita infinita invece della morte. Sebbene tale realtà non possa essere percepita dai sensi finiti, e sebbene essa trascenda i più grandi sforzi che l’in- telletto e l’immaginazione possano compiere per concepire e rappresentare, tuttavia la più alta voce della ragion pura ci dice che essa deve esistere, e la più alta voce della fede intuitiva ci rende impossibile dubitare della sua onnipresenza ed effettività. Per l’ignorante e il finto sapiente può darsi che questo simbolo sembri rimandare al Nulla, ma per l’illuminato e il vero sapiente esso rappresenta la Totalità assoluta del reale. Osservate dunque con grande riverenza il simbolo dello spazio infinito, poiché esso rappresenta il nostro sforzo migliore (se pur insufficiente) di esprimere la natura dell’essenza infinita dell’essere! Parte III L’Anima del Mondo Il secondo aforisma Il germe all’interno dell’Uovo Cosmico prende forma. La fiamma viene riaccesa. Il tempo ha inizio. Una cosa viene all’esistenza. L’azione comincia. Si formano le coppie di opposti. L’Anima del Mondo nasce e si desta nella manifestazione. I primi raggi del nuovo giorno cosmico illuminano l’orizzonte. In questo secondo aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a concentrare la sua attenzione sul concetto di Anima del Mondo, prima manifestazione del Genitore Eterno che viene rappresentato dai Rosacroce da un cerchio con al suo centro un punto nero. Il cerchio rappresenta naturalmente l’infinito non manifesto, e il punto nero rappresenta il punto focale della nuova manifestazione, il “germe interno all’Uovo Cosmico”, per riprendere l’espressione poetica utilizzata dagli antichi occultisti. Il concetto rosacrociano di Anima del Mondo, la prima manifestazione, corrisponde a concetti simili trovati, in una varietà di forme, nella maggior parte degli antichi insegnamenti occultistici delle diverse grandi scuole di filosofia esoterica. Nell’ambito di alcune scuole viene chia- mata Anima Mundi, vita del mondo, o Spirito del Mondo. In altre è conosciuta come Logos, ovvero “parola”. In altre ancora come il Demiurgo. Il senso del concetto è che dall’essenza incondizionata della non manifestazione infinita si originò un’anima elementare e universale, avvolta nelle vesti della forma più sottile ed elementare di materia, che conteneva in sé la potenza e la possibilità latente di tutti gli universi futuri del nuovo cerchio, o giorno, cosmico. Di questa Anima del Mondo si parla nel secondo aforisma come del “germe all’interno dell’Uovo Cosmico”, in quanto viene considerata il germe minuto all’interno dell’uovo che gradualmente cresce di dimensioni e di complessità, prendendo forma e divenendo attivo. Figura 4. Simbolo dell’Anima del Mondo appena nata (”ilgerme all’interno dell’Uovo”) Il simbolo dell’Uovo Cosmico, di cui l’Anima del Mondo è il germe animatore, è molto antico ed estremamente diffuso. Come un importante occultista ha detto: “Da dove viene questo simbolo universale? L’uovo è stato assunto come simbolo sacro nella cosmogonia di ogni popolo del mondo, ed è stato oggetto di venerazione sia per la sua forma sia per il suo intrinseco mistero. Fin nelle prime concettualizzazioni operate dalla mente umana, l’uovo era visto come il simbolo perfetto dell’origine e del segreto dell’essere, nonché un vero e proprio miracolo. Prova ne sono lo sviluppo graduale del germe impercettibile all’interno del guscio chiuso, e il lavorio interno, apparentemente privo del concorso di forze esterne, che da un nulla latente ha prodotto un qualcosa di attivo, senza bisogno di null’altro che di calore. Essendosi poco a poco evoluto in una creatura concreta, ha rotto il guscio presentandosi ai sensi esterni di tutti come un essere generatosi e creatosi da se stesso. “La dottrina segreta spiega la ragione di questo riferimento all’uovo con il simbolismo delle razze preistoriche. La Causa Prima all’inizio non aveva nome. In seguito venne rappresentata nell’immaginazione dei pensatori come un uccello sempre invisibile che depose nel caos un uovo che divenne l’universo. Da qui viene la tradizione che Brahma fosse chiamato ‘Kalahansa’, il cigno dell’Eternità, che deponeva un uovo d’oro all’inizio di ogni Maha- manvantara. Esso rappresenta il grande Cerchio, od ‘O’, a sua volta simbolo dell’universo e dei suoi corpi sferici (...). Che il cosmo si fosse originariamente manifestato in forma di uovo era la credenza più diffusa nell’antichità. L’uovo era un simbolo adottato dai Greci, dai Siriani, dai Persiani e dagli Egiziani. Nel rituale egizio si dice che Seb, dio del tempo e della terra, depose un uovo, ovvero l’universo. Ra è mostrato, come Brahma, nel corso della sua gestazione nell’uovo dell’universo. Presso i Greci l’uovo orfico rientrava nei misteri dionisiaci e in altri misteri durante i quali l’uovo mondano veniva consacrato e il suo significato era spiegato. I cristiani, soprattutto quelli della chiesa greca e latina, hanno pienamente adottato questo simbolo, e vedono in esso un richiamo alla vita eterna, alla salvezza e alla resurrezione. Da ciò deriva l’usanza dell’uovo di Pasqua. Tra l’uovo dei druidi pagani e il rosso uovo pasquale degli slavi è intercorso un intero ciclo. Tuttavia, tra tutte le popolazioni del mondo possiamo trovare tracce dello stesso pensiero arcaico e primitivo, purché ci limitiamo a cercarlo e, con l’arroganza di una nostra presunta superiorità mentale e fisica, non distorciamo il significato originario del simbolo”. Possiamo dire che il concetto di Anima del Mondo, pur in una varietà di interpretazioni e di nomi diversi, sia praticamente universale. In molte antiche scuole filosofiche veniva insegnato che vi era un’Anima Mundi di cui le anime individuali non erano altro che componenti solo apparentemente (ma non realmente) separate. La convinzione che la vita sia una si trova espressa in quasi tutte le maggiori filosofie dell’antichità, ed è legittimo affermare che, sebbene elegantemente camuffata, stia alla base delle migliori filosofie moderne. Nel concetto filosofico di Logos troviamo un’altra e più evoluta forma di questo stesso concetto fondamentale. Il termine Logos apparve per la prima volta in tutta la sua importanza nella filosofia di Eraclito di Efeso, ove esso stava a significare la legge di natura, che è presente nel mondo con il suo carattere di salda oggettività per conferire ordine e regolarità al movimento delle cose. Il Logos aveva un ruolo centrale nel sistema filosofico stoico. Gli stoici chiamavano Logos il principio attivo presente nel mondo, e lo stesso termine veniva anche da loro utilizzato in riferimento alla Causa Produttiva Universale. Un esperto di storia della filosofia ha detto a proposito del concetto di Logos: “Il Logos, ente intermedio tra Dio e il mondo, è diffuso attraverso il mondo dei sensi. Il Logos non esiste al pari di Dio dall’eternità, e tuttavia la sua origine è diversa dalla nostra e da quella di tutti gli altri esseri creati. È il primogenito di Dio, e per noi esseri imperfetti è quasi un dio; per mezzo del Logos, Dio ha creato il mondo”. Nella teoria del Demiurgo troviamo un’altra forma dello stesso concetto fondamentale. “Demiurgo” era il nome dato dai filosofi platonici a un principio attivo eccelso e misterioso per mezzo di cui si pensava Dio avesse creato l’universo. Tale principio era affine al Dio-Natura dei panteisti e alla “natura vivente” di altre scuole filosofiche. Il Demiurgo era la vita del mondo, ovvero la vita universale, rispetto a cui le innumerevoli vite delle creature finite sono come scintille di un’unica fiamma o gocce d’acqua dell’oceano. Tuttavia, nel suo significato preciso, l’idea del Demiurgo non si identificava con quella di Dio, ma esprimeva piuttosto la prima grande manifestazione di Dio, per mezzo della quale Egli crea e conserva il mondo. L’idea di una Volontà Universale, primigenia manifestazione di Dio, presente nel cuore della natura e operante nella costruzione e nella conservazione dell’universo, è riscontrabile in molte filosofie moderne. Cudsworth, il filo- sofo inglese, ha cercato di riprendere questo concetto nella sua idea di “natura plastica”, in riferimento a cui dice: “Non sembra poi un principio così corretto che la natura, in quanto ente distinto dalla deità, venga sostituita e resa superflua da Dio stesso che produce tutte le cose immediatamente e miracolosamente. Ne conseguirebbe anche che esse siano tutte prodotte o con la forza e la violenza, oppure del tutto artificialmente e non in accordo a un loro principio intrinseco. Una simile idea è ulteriormente confutata dal processo lento e graduale di generazione delle cose, che sembrerebbe essere soltanto una vana e inutile pompa o una formalità inessenziale se la potenza motrice fosse onnipotente, così come dagli errori che vengono commessi laddove la materia si rivela inetta e indocile. Tutto ciò dimostra che la potenza motrice non è irresistibile, e che la natura (al pari dell’arte umana) si vede a volte frustrata e delusa dall’indisponibilità della materia. Laddove invece una potenza motrice onnipotente, oltre a essere in grado di compiere la propria opera in un istante, opererebbe infallibilmente e irresistibilmente, non potendo mai l’inettitudine e l’ostinazione della materia ostacolarla. “Di conseguenza, dal momento che né tutte le cose sono prodotte fortuitamente, o dal meccanismo privo di guida della materia, né si può ragionevolmente pensare che Dio stesso produca tutte le cose immediatamente e miracolosamente, è legittimo concludere che sotto di Lui vi sia una natura plastica che, in qualità di strumento inferiore e subordinato, esegua servizievolmente quella parte della Sua provvidenza che consiste nel moto regolare e ordinato della materia. Tuttavia, dietro a questa va anche riconosciuta la presenza di una più alta provvidenza che, vigilandola, spesso rimedia ai suoi errori e a volte la sostituisce, non potendo la natura plastica agire con libero arbitrio e discernimento”. Altri indirizzi filosofici, in particolare quelli che si rifanno a Schopenhauer, hanno postulato l’esistenza di uno Spirito universale (il cui principale attributo è il desiderio- volontà) da cui deriva l’universo delle creature. Inoltre affermano che questo Spirito Universale sarebbe posseduto da un desiderio struggente, ostinato e compulsivo di esprimersi nell’esistenza fenomenica. Schopenhauer lo chiama “la volontà di vita”. Essa viene descritta come istintiva piuttosto che intellettiva, essendo l’intelletto uno strumento che essa stessa crea per servire meglio i suoi scopi di autoespressione. Altri filosofi hanno elaborato teorie secondo questo concetto schopenhaueriano, operandovi varie modifiche. La medesima idea viene espressa da alcuni antichi filosofi buddhisti, che utilizzano lo stesso termine “volontà di vita” per indicare l’essenziale natura dello Spirito Universale. Va tuttavia notato che in tali filosofie lo Spirito Universale è visto più come il Genitore Eterno che come la sua prima manifestazione. Allo stesso modo una determinata scuola di pensatori postula l’esistenza di una “natura vivente”, che si esprime in innumerevoli creature e cose viventi; essa ritiene infatti che tutte le cose dell’universo siano dotate di una qualche forma di vita, concordando in questo con la visione rosacrociana. Si deve però sempre ricordare che, nella dottrina segreta dei Rosacroce, l’Anima del Mondo non è considerata la realtà infinita, ma soltanto la sua prima manifestazione, da cui tutte le manifestazioni successive proce- dono e in cui tutte alla fine si risolvono. L’Anima del Mondo non è eterna, ma al contrario appare e scompare secondo il ritmo delle notti e dei giorni cosmici. Il secondo aforisma afferma: “La fiamma viene riaccesa”. Dalla luce oscura si sprigiona nuovamente la fiamma attraverso la forma dell’Anima del Mondo, e il nuovo universo comincia. Esso afferma anche: “Il tempo ha inizio “. Ciò è evidentemente vero poiché è cominciato il mutamento, e il mutamento è l’essenza del tempo, e il tempo è la misura del mutamento. Ancora: “Una cosa viene all’esistenza”. Questo perché l’Anima del Mondo è veramente una cosa, con tutte le caratteristiche della sua condizione. Essa può essere definita e descritta in termini positivi; può essere pensata logicamente e intellettualmente, anche se forse non può essere rappresentata nell’immaginazione. Ancora: “L’azione comincia”. Questo perché, sin dalla deposizione del germe nell’Uovo Cosmico, si manifestano attività, movimento e mutamento. L’Anima del Mondo è in costante e ininterrotta attività dal momento del suo primo albeggiare a quello del suo tremito finale. Ancora: “Si formano le coppie di opposti”. Poiché la condizione di cosa è caratterizzata dalla presenza delle coppie di opposti, le serie di qualità in contrasto; ne segue che sin dal primo tenue alitare dello Spirito del Mondo comincia la differenziazione e si manifesta la polarità delle qualità. Ancora: “L’Anima del Mondo nasce e si desta nella manifestazione”. L’Anima del Mondo si desta in un’attiva manifestazione sin dal preciso momento della sua nasci- ta. Sentendo dentro di sé la spinta compulsiva della volontà di vita e di espressione, essa subito procede lungo le linee dell’istinto elementare a prepararsi per la manifestazione di più alte e più complesse forme di vita e di azione. Ancora: “Iprimi raggi del nuovo giorno cosmico illuminano l’orizzonte”. Con l’avvento dell’Anima del Mondo il nuovo giorno cosmico è davvero iniziato e procede senza interruzione fino a quando le tenebre della notte cosmica gli si sostituiranno di nuovo nella sequenza ciclica. Secondo la dottrina rosacrociana l’Anima del Mondo non è un’anima priva di corpo; essa invece indossa le vesti della più sottile ed eterea delle sostanze, una sostanza, cioè, tanto più fine ed eterea dell’etere spaziale degli scienziati materialisti, quanto quest’ultimo è più fine ed etereo del più duro acciaio o granito. Con questa sostanza eterea l’Anima del Mondo tesse corpi per le sue manifestazioni, comprese le forme più dense di materia e la tenue forma corporea delle forme superiori di vita, ben lontane dal nostro relativamente grezzo piano terrestre. I Rosacroce ritengono inoltre che non sia corretto pensare che l’Anima del Mondo sia stata creata “dal nulla” dal Genitore Eterno, e ancor meno pensare che sia stata creata dall’essenza sostanziale del Genitore Eterno per divisione, separazione o partizione (simili idee essendo considerate logicamente impossibili ed erronee). Al contrario essi sono dell’opinione che l’Anima del Mondo esista come idea del Genitore Eterno, così come noi in sogno o nella nostra fantasia riusciamo a immaginarci una cosa come esistente. In altri termini, anche l’Anima del Mondo esiste unicamente come immagine nell’infinita immaginazione del Genitore Eterno, la cui sostanza è soltanto un’ombra della realtà e non la realtà stessa. Si può dire che l’Anima del Mondo, all’alba del giorno cosmico, è come un sognatore appena svegliatosi da un sonno profondo, che si sforza di riacquistare coscienza di sé. Non sa cosa è, né sa di essere una mera Idea del Genitore Eterno. Se potesse esprimere i propri pensieri in parole direbbe che è sempre esistita, ma che fino ad allora era addormentata. Essa sente in sé, a livello inconscio e istintivo, la spinta all’espressione e alla manifestazione, essendo questa spinta parte della sua natura e carattere, in cui è stata impiantata dal contenuto dell’idea del Genitore Eterno che l’ha portata all’esistenza. Come il bambino appena nato, si affanna a respirare e comincia a muovere le membra. E mentre si affanna e si muove riceve una risposta dalla sua intera natura, e la sua vita attiva comincia. Lasciamo qui per il momento l’Anima del Mondo mentre inizia a respirare, giacché il suo futuro è rivelato dagli aforismi che seguono nei prossimi capitoli. Parte IV L’androgino universale Il terzo aforisma L’uno divenne due. Il neutro divenne bisessuato. Il maschio e la femmina, i due in uno, si svilupparono dal neutro e cominciò l’opera della creazione. In questo terzo aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a concentrare la sua attenzione sull’idea dell’Anima del Mondo, prima manifestazione del Genitore Eterno, come essere universale bisessuato che combina in sé gli elementi e i principi della mascolinità e della femminilità ed è chiamato negli insegnamenti rosacrociani l’ermafrodita o l’androgino universale. Per ermafrodita si intende l’individuo che possiede entrambi gli attributi maschili e femminili. Il termine è stato ricavato unendo i nomi di Ermete e Afrodite. Nell’antichità entrò nell’uso grazie alla leggenda di Ermafrodito, figlio di Ermete e di Afrodite, che bagnandosi divenne fisicamente tutt’uno con la ninfa Salmacis. Il termine “androgino” ha lo stesso significato ed è stato ricavato dalla combinazione di due parole greche, andrós, che significa “uomo”, e gyné che significa “donna”. L’idea della bisessualità della manifestazione universale o dell’essere universale era riscontrabile nelle antiche filosofìe esoteriche e occultistiche di tutto il mondo. Nell’antica Grecia, così come in India, Atlantide, Persia e Caldea, tale idea rappresentava un elemento fondamentale della dottrina segreta. Nelle sue forme più alte questo insegnamento stava alla base degli antichi misteri, ed esprimeva la più alta e nobile concezione possibile della dignità e del valore del sesso. Tuttavia, prostituito dalla mente volgare e popolare su incitamento di una casta sacerdotale degradata, lo stesso principio fu capovolto e venne utilizzato quale base dell’evoluzione del culto fallico, le cui tracce si trovano in ogni pagina della storia delle filosofie e religioni antiche. Figura 5. Simbolo dell’androgino universale I Rosacroce non hanno mai incoraggiato il minimo cedimento verso un culto fallico, ma, al contrario, hanno tenuto viva la fiamma del vero principio, e hanno utilizzato il suo simbolo particolare come nome simbolico distintivo, nonché emblema dell’Ordine. Per meglio comprendere la simbologia dell’androgino universale è necessario anzitutto familiarizzarsi con i due più antichi simboli del sesso. In tutte le antiche filosofìe e religioni vediamo che la “croce” (+) è il simbolo del maschio e il “cerchio” (O) quello della femmina. Per rappresentare il bisessuato, i due simboli, vale a dire quello della croce e quello del cerchio, sono stati combinati in vari modi. Figura 6. Simbolo della croce fallica Il modo originario era quello di porre la croce all’interno della circonferenza del cerchio, ma l’uso più tardo ha preferito le varie forme della cosiddetta “croce fallica”, che consiste nel cerchio o nell’ovale da cui pende la croce (vedere illustrazioni). A volte la croce viene rappresentata nella forma della lettera “T” e il cerchio in quella della lettera “O”. Il ben noto simbolo esoterico della svastica (vedere illustrazione) consiste in una croce modificata, concepita come una ruota vorticante (qualcosa di simile al fuoco d’artifìcio chiamato “girandola”). La croce vorticante della svastica, se osservata mentre ruota velocemente, ha l’aspetto di un cerchio che circoscrive una croce. Figura 7. Simbolo della svastica Tale simbolo è particolarmente sacro ai Rosacroce poiché per loro rappresenta l’attività universale e la creazione universale, e indica il grande mistero della generazione occulta su tutti i piani della vita. Nella fantasiosa simbologia delle antiche confraternite rosacrociane il cerchio fu trasformato in una rosa, e la croce divenne talvolta una spada con un’impugnatura a croce. Il segno, dunque, della croce (o spada) combinata con il cerchio (o la rosa) simboleggiava l’unione mistica della rosa e della croce, da cui derivò il nome dell’Ordine, quello dei Rosacroce appunto, che rimanda alla “rosacroce”. Il terzo aforisma afferma: “L’uno divenne due. Il neutro divenne bisessuato. Il maschio e la femmina, i due in uno, si svilupparono dal neutro e cominciò l’opera della creazione”. In questo aforisma c’è un rimando a un fondamentale insegnamento dei Rosacroce riguardo ai principi sessuali universali presenti in natura: la presenza e l’attività della coppia di opposti sessuali, maschio e femmina, che costituiscono il segreto della creazione. Secondo la dottrina segreta dei Rosacroce in tutta la creazione agiscono un principio maschile e uno femminile, entrambi universali nella loro natura, nel loro carattere e nella loro estensione, entrambi aspetti opposti dell’Anima del Mondo, che agiscono e reagiscono l’uno sull’altro. In questo modo producono tutta l’attività creatrice e il “divenire cosmico”, ovvero l’attività universale e il mutamento. L’insegnamento rosacrociano implica anche che questi due principi sessuali operano e si manifestano su ogni piano della vita, da quella sub-minerale a quella minerale, vegetale, animale, umana o superumana, fino ancora a quella angelica e divina. Allo stesso modo in ogni aspetto della creazione è presente e manifesta l’azione del sesso. Questa affermazione sull’universalità del sesso potrebbe sembrare sorprendente a chi non sia particolarmente addentro all’antica sapienza delle scuole esoteriche, o non abbia familiarità con le ardite concezioni della scienza moderna più avanzata. Tuttavia, chi padroneggia gli antichi insegnamenti sapienziali oppure i principi essenziali del più progredito pensiero scientifico moderno non troverà nulla di strano nelle suddette affermazioni. La sapienza antica insegnava esplicitamente che il sesso era presente e attivo in tutta la creazione manifesta e la scienza moderna sta cominciando a insegnare che le prove della presenza del sesso in ogni cosa sono decisive. L’antica sapienza, in seguito incorporata negli originari insegnamenti rosacrociani, asseriva che affinché ci potesse essere divenire, mutamento o creazione, doveva instaurarsi una reazione che seguisse l’azione, il gioco di una forza sull’altra. Le migliori fra le antiche dottrine insistevano sul fatto che queste due forze opposte presenti in natura erano rispettivamente il maschile e il femminile, i due aspetti dell’essere universale. La scienza moderna sta arrivando rapidamente a riconoscere e a insegnare la stessa grande verità. La lezione fondamentale della scienza moderna è che in natura è presente un’attività stimolante e fertilizzante che agisce su una forza generativa, quest’ultima reagendo sulla prima. All’altra estremità della scala materiale troviamo la scoperta che l’atomo (un tempo ritenuto la parte minima di materia) è a sua volta composto da una moltitudine di elettroni, corpuscoli o ioni che girano intorno gli uni agli altri a una velocità impressionante. In un primo momento si era pensato che gli elettroni girassero semplicemente gli uni intorno agli altri, e che tutti fossero simili per carattere e natura; le più recenti scoperte, tuttavia, hanno dimostrato che la formazione dell’atomo è dovuta invece alla rotazione di numerosi elettroni positivi (o “maschili”) intorno a un elettrone centrale negativo (o “femminile”); gli elettroni positivi (o “maschili”) apparentemente esercitano un effetto speciale sull’elettrone negativo (”femminile”), costringendolo a liberare determinate energie che provocano la “generazione” della struttura atomica. Tutto ciò concorda pienamente con l’antico insegnamento rosacrociano che il polo positivo del magnetismo e dell’elettricità (poiché entrambi i fenomeni erano ben noti agli alchimisti) era maschile, mentre il polo negativo degli stessi fenomeni era femminile. Sfortunatamente, però, i termini “positivo” e “negativo” sono spesso usati in maniera sbagliata, e da ciò risulta molta confusione. Ad esempio, il termine “positivo” viene usato per indicare forza e realtà in contrasto alla debolezza e all’irrealtà del “negativo”. I dati oggettivi della scienza naturale, tuttavia, dimostrano la falsità di una simile interpretazione dei due termini. Il cosiddetto polo negativo della batteria è in realtà il polo della generazione e della produzione di nuove forme ed energie e gli esperti preferiscono oggi usare il termine “polo catodico” invece che “negativo”; la parola “catodo” deriva infatti dalla parola greca che significa discesa o “sentiero della generazione”. Dal polo catodico della batteria si sprigionano i grandi sciami di elettroni, ioni o corpuscoli e anche i raggi meravigliosi che hanno giocato un ruolo così importante nella fisica moderna. Il polo catodico della batteria è la madre di tutta quella strana progenie di nuove forme di materia, apparse per confutare le antiche teorie materialistiche e per distruggere le precedenti concezioni della scienza. Il polo catodico si dovrebbe chiamare, in realtà e in verità, il polo femminile, e quello positivo il maschile, poiché questi termini esprimono meglio la funzione dei due poli. La scienza moderna insegna anche che gli elettroni, che sono composti di elettricità negativa (femminile), spesso si distaccano dal loro corpuscolare compagno maschile e cominciano una carriera indipendente. Essi cercano l’unione con un corpuscolo maschile e, ottenutala, comincia un nuovo processo di attività creatrice. Quando il corpuscolo femminile si unisce con il nuovo maschio si verifica uno strano fenomeno: i corpuscoli cominciano a vibrare e a ruotare l’uno intorno all’altro e il risultato è la nascita di un nuovo atomo in cui l’energia maschile e quella femminile si combinano in una proporzione particolare. L’atomo così formato non presenta le proprietà dell’elettricità libera, ma semmai una serie interamente nuova di proprietà. Il processo di distacco degli elettroni femminili viene chiamato “ionizzazione”, e da tale distacco e dal formarsi di nuove unioni si originano i vari fenomeni del calore, della luce, dell’elettricità, del magnetismo, e così via. Allo stesso modo i vari fenomeni dell’attrazione o dell’affinità chimica derivano dal manifestarsi del sesso sul piano atomico, sebbene la scienza non si sia ancora accorta di questa verità. La scienza insegna che ci sono “matrimoni, divorzi e nuovi matrimoni” tra gli atomi, ma esita a spingersi oltre e ad affermare che ciò rientra nell’universale manifestazione del sesso; tale ammissione, tuttavia, verrà con il tempo poiché le prove a riguardo sono innegabilmente convincenti. Le proprietà esplosive di determinate sostanze sono il risultato di un vero e proprio “divorzio” delle loro componenti atomiche e molecolari, del distacco delle particelle maschio e femmina sotto l’influsso di un’attrazione più forte. La formazione delle differenti sostanze, invece, è il risultato di un processo di attrazione tra determinati elementi materiali maschili e femminili. L’alchimia ha sempre conosciuto questa verità; ora spetta alla scienza moderna corroborare e riaffermare le stranezze degli antichi alchimisti riguardo a questo importante fatto naturale. La scienza ha sempre ammesso che il sesso era presente nella vita vegetale oltre che in quella animale, ma alla vita minerale non veniva riconosciuto il privilegio di partecipare all’azione di questo principio universale. Recenti scoperte, tuttavia, hanno costretto gli scienziati ad ammettere che nella cristallizzazione di minerali esiste una prova incontrovertibile della presenza e dell’attività del sesso, e in un prossimo futuro si scoprirà certamente che tutti gli altri mutamenti nei minerali sono il risultato dell’attrazione e della repulsione sessuale. L’azione del sesso, come vedremo in un capitolo seguente, è rinvenibile anche sul piano della vita mentale. In breve, su ogni piano della vita, fisico, mentale o spirituale, si vede presente e attivo il principio universale del sesso in una delle sue fasi e forme. Il sesso non può essere eluso in natura: l’universo è bisessuato e la creazione intera, su ogni piano, è prodotta sempre e soltanto dal sesso. La piena comprensione di questa importante verità rivoluzionerebbe le concezioni della scienza moderna, e renderebbe realizzabili tante importanti idee che adesso esistono solo come sogni nella mente dei migliori scienziati. A quanti non riescono a vedere questo principio con sufficiente chiarezza vorremmo dire: si ammette generalmente che tutti i fenomeni fisici e mentali dipendono per il loro svolgimento dalla legge di Attrazione. Una volta scoperto che questa legge agisce lungo le linee guida del sesso, allora è facilmente riscontrabile che ogni attività è attività sessuale. Se l’Anima del Mondo fosse rimasta neutra non ci sarebbe stata alcuna manifestazione universale o creazione. Era necessario che apparisse il principio del sesso perché la creazione potesse cominciare. È solo grazie alla costante e continua azione e reazione dei due principi sessuali presenti in natura che la creazione, lo sviluppo, il divenire e il mutamento sono possibili, e dal momento che tutte le cose non sono altro che il prodotto di tali fasi, ne consegue che senza il sesso non ci sarebbe stato nulla nell’universo, nel qual caso l’Anima del Mondo sarebbe rimasta solitaria fino alla fine dei suoi giorni. Con l’avvento del sesso sono iniziate la generazione e la creazione, grazie alle quali l’uno è diventato i molti, e l’identità è diventata la varietà e la diversità. Gli antichi insegnamenti forniscono la sola spiegazione logica della creazione. L’uno diviene il due, e dal due procedono i molti. Parte V L’uno e i molti Il quarto aforisma L uno diviene molti. L unità diviene diversità. L’identico diviene vario. Tuttavia i molti rimangono uno, la diversità rimane unità e il vario rimane identico. Figura 8. Simbolo dei molti nell’uno In questo quarto aforisma della creazione, il Rosacroce è invitato a concentrare la sua attenzione sull’idea di Anima del Mondo, prima manifestazione del Genitore Eterno, in quanto uno che si manifesta come molti, unità che si manifesta come diversità, identico che si manifesta come vario, pur rimanendo sempre uno, unità e identico. Questa idea dell’Anima del Mondo che si manifesta così nella molteplicità, nella diversità e nella varietà, rimanendo però sempre uno, viene rappresentata dai Rosacroce con il simbolo di un piccolo cerchio compreso in un cerchio più ampio, il cerchio minore contenendo a sua volta svariati puntini o centri di manifestazione. Il cerchio esterno è, ovviamente, l’infinito non manifesto; il cerchio minore è l’Anima del Mondo e i puntini sono i centri individualizzati di vita, essere e attività manifestati dall’Anima del Mondo. Che tutti gli esseri siano, in realtà, soltanto espressioni dell’Essere Uno, centri di coscienza, forma e attività all’interno di esso, è un principio fondamentale di tutte le dottrine occultistiche ed esoteriche. Che tutto l’essere sia uno, tutta la vita una, tutta la forma una, tutta la coscienza una, è conosciuto da tutti i veri discepoli delle scuole occulte ed esoteriche del passato e del presente, occidentali e orientali, filosofiche e teologiche. Nascosta dietro e sotto gli insegnamenti esoterici ortodossi è sempre possibile trovare questa insistenza da parte degli insegnamenti segreti di tutte le scuole sull’unicità essenziale. Inoltre, non si deve credere che la vita una si divida e si scinda in pezzi, parti e particelle al fine di compiere il processo della creazione e la manifestazione del mondo. È necessario invece pensare che essa si limita a riflettersi nei molti specchi individuali di espressione, proprio come il sole si riflette nei milioni di gocce di pioggia che cadono, o in un milione di piccole brocche piene d’acqua. In altri termini, l’uno può essere pensato come un infinito oceano di essere in cui sono presenti milioni di bollicine, ciascuna delle quali apparentemente distinta e separata, ma tutte in realtà centri di attività ed espressione dell’unico e grande oceano. La separazione è, per citare uno scrittore, “soltanto l’invenzione strumentale della creazione”. Tutte le cose apparentemente separate sono contenute all’interno del cerchio dell’Anima del Mondo, e quest’ultima è racchiusa all’interno del cerchio dell’infinito non manifesto. L’idea esoterica dei molti nell’uno e dell’uno nei molti è riscontrabile, sotto altra forma, nel concetto di sostanza universale proposto dalla scienza moderna. La scienza postula l’esistenza di una sostanza universale, chiamata in vari modi, da cui tutte le cose procedono. Non importa se questa sostanza universale viene definita “sostanza primordiale”, “energia infinita ed eterna”, o “etere universale”; rimane il fatto che la scienza postula la sua esistenza nei termini di un qualcosa fondamentale e sostanziale, di cui tutte le forme e le fasi dell’esistenza fenomenica sono solo manifestazioni. Allo stesso modo, quelle scuole di filosofia trascendentale che postulano l’esistenza della mente universale insegnano che tutte le forme e le fasi dell’esistenza fenomenica non sono altro che forme di pensiero della mente universale. Le antiche dottrine bra- miniche insegnano similmente che i molti esistono come incidenti del sogno o della meditazione del supremo signore Brahma. In tutte le forme, le fasi e le scuole di filosofia troviamo quest’insistenza sulla presenza e sull’esistenza di un uno, qualcosa di cui tutto il resto è semplicemente manifestazione. In verità, lo scopo stesso della filosofia è scoprire il sostrato unico e incondizionato di tutto ciò che esiste condizionatamente. Tutta la filosofia degna di questo nome è monistica nella sua essenza. Uno dei principali esperti di storia della filosofia ci dice che “il termine monismo è propriamente applicabile a qualsiasi sistema di pensiero che veda nell’universo la manifestazione o l’attività di un singolo principio. Tale unità può essere al tempo stesso il presupposto tacito e il fine di ogni sforzo filosofico; nella misura in cui una filosofia non riesce ad armonizzare i fatti dell’esperienza apparentemente indipendenti, e persino in conflitto tra loro, in un tutto più ampio, si deve giudicarla sprovvista dei requisiti indispensabili del pensiero. Il dualismo, come riferimento metafisico ultimo, è la confessione del fallimento della filosofia ad assolvere il suo compito, e questa è la giustificazione di coloro che coerentemente usano la parola come termine dispregiativo”. Passiamo ora ad analizzare gli insegnamenti rosacrociani riguardo al modo in cui l’uno è divenuto i molti, l’unità diversità, l’identico vario, mentre tuttavia l’uno, l’unità e l’identità dell’Anima del Mondo siano rimasti immutati e non siano stati minimamente toccati dal suo tuffarsi nella manifestazione. Nel perseguire le sue scoperte sull’evoluzione, la scienza moderna ha quasi interamente ignorato l’attività gemella della manifestazione, nota come “involuzione”. Non così gli antichi occultisti, che conoscevano bene la verità così efficacemente condensata nel detto che recita: “ciò che si è evoluto deve prima essersi involuto”. Allo studioso antico delle dottrine esoteriche qualsiasi idea di evoluzione che non cominciasse con gli insegnamenti concernenti l’involuzione era come la tragedia di Amleto senza Amleto. Il termine “involgere” significa avviluppare, coprire e nascondere. Il termine “evolvere” significa svolgere, sviluppare e srotolare. Con questi significati in mente, il lettore vedrà subito che prima che una cosa possa essere “svolta, sviluppata o srotolata” deve prima essere stata “avvolta, avviluppata e arrotolata”. Non dobbiamo perdere di vista il significato legato ai termini semplici, non importa quanti termini più complessi vengano utilizzati al posto di questi. Gli insegnamenti esoterici, come è stato detto, affermano chiaramente e positivamente che prima che cominciasse lo straordinario processo di evoluzione da semplice a complesso deve prima esserci stata un’involuzione, o ripiegamento, dell’Anima del Mondo in forme materiali semplici, grossolane ed elementari. Le vibrazioni hanno dovuto essere ridotte prima di poter essere aumentate. Tuffandosi all’improvviso con forza e velocità straordinarie nell’abisso della manifestazione, l’Anima del Mondo si è fabbricata abiti materiali composti di materia elementare densa e grossolana. Questa forma estrema di materia elementare è a noi sconosciuta, essendo stata scartata nel corso dell’evoluzione su questo specifico pianeta, ma continua a esistere su altri pianeti del nostro sistema solare. Questa forma di materia elementare sta sotto il livello della vita minerale, tanto più in basso del minerale più gros- solano conosciuto dalla scienza, quanto quel minerale sta più in basso del vegetale più complesso. Per trama, struttura e densità, tale forma risulta infinitamente più grossolana della forma più bassa di vita minerale da noi conosciuta. È inutile cercare di descrivere questa forma di materia, poiché la mente ordinaria non riesce a rappresentarsela in assenza di illustrazioni concrete. Una volta raggiunto il gradino più basso nella scala dell’involuzione, si mise in atto la legge del Ritmo, iniziò la salita e cominciò a manifestarsi il primo movimento dell’evoluzione. Precisamente a questo punto iniziò la manifestazione di ciò che si può definire “individualizzazione”, ovvero il formarsi di centri di attività e coscienza. L’Anima del Mondo discese interamente nell’abisso dell’involuzione, e poi cominciò a emergere da tale abisso tramite un processo di apparente scissione, in cui i neonati centri di attività iniziarono ad affermarsi e ad ascendere verso l’espressione di sé. I centri più semplici, che gli occultisti sanno essere i centri dell’attività negli elettroni della materia, cominciarono a formare molecole. All’interno di questa materia grossolana si manifestò naturalmente anche la presenza della mente, ma solo un tenue bagliore di essa, poiché la grossolanità degli strati di materia che l’avvolgevano impedivano quasi del tutto l’attività mentale. Il processo di evoluzione, una volta avviato, procede rapidamente. Le forme ascesero sempre più nella scala della manifestazione, in uno sviluppo a spirali, con ogni spirale che saliva sopra quella al di sotto, pur avanzando tutte apparentemente in cerchio, come fa tutto ciò che procede. A un dato momento cominciarono a mostrarsi i primi segni del regno minerale, prendendo come base le forme di materia sub-minerale. Nel regno minerale iniziarono a manifestarsi forme superiori di vita e di mente, poi comparvero i primi segnali di vita vegetale, forme appena lievemente superiori a taluni cristalli. Quando la temperatura della terra era tale da rendere impossibile le attuali forme di vita, ne erano comunque presenti altre che potrebbero essere descritte come a metà strada tra il mondo minerale e quello vegetale. Queste strane creature sono scomparse come tutte le altre forme intermedie che hanno svolto una funzione di ponte nel processo evolutivo. Esse hanno tuttavia lasciato le loro tracce nella struttura materiale di piante e animali. Va infatti ricordato che anche la struttura materiale delle più alte forme di vita vegetale o animale è composta da determinati elementi chimici che furono ricavati dal regno minerale, come, ad esempio, l’ossigeno, l’idrogeno, il carbonio, l’azoto, lo zolfo o il fosforo. Le prime forme di vita vegetale autentica vengono descritte dagli antichi maestri come un’ormai estinta forma inferiore di vita vegetale, a malapena distinguibile nell’aspetto da un cristallo, e che tuttavia mostrava le caratteristiche della vita vegetale. Poi apparvero gli antenati di quella che ora è conosciuta come clomacea, uno strano gruppo di creature inferiori, che combinavano le caratteristiche della vita vegetale e di quella minerale, e che ancora oggi sono rinvenibili depositate su rocce umide, sulla corteccia degli alberi e così via. Da queste e da creature ancora più semplici si svilupparono gli antenati di quelle che ora sono conosciute come angiosperme, o forme infime di vita vegetale, e, più tardi, gli antenati delle gimno- sperme, che sono probabilmente le forme più basse di vita animale conosciute oggi dalla scienza. Il processo di evoluzione è provocato dallo sforzo continuo della vita e della mente all’interno degli strati di materia, lo sforzo di esprimersi sempre maggiormente, e di modellare e usare gli strati di materia in quest’attività di espressione di sé. Il protoplasma, la base fisica della vita vegetale e animale, si è evoluto in questo modo. Poi venne la creatura monocellulare che dimorava nella melma del letto degli antichi oceani. Successivamente comparvero forme di vita composte di colonie di cellule e ancora forme più complesse di combinazione cellulare e così via, fino a che si svilupparono le più alte forme di vita da noi oggi conosciute. Infine comparve l’uomo primitivo. Poi l’uomo cominciò ad affinare la propria mente e la propria sensibilità, e ancora sta facendo progressi lungo queste linee. L’uomo attuale è però solo uno stadio avanzato del processo evolutivo e sarà a sua volta seguito dai superuomini del futuro, e questi a loro volta dalle creature divine e angeliche, simili a quelle che già adesso esistono su altre sfere più elevate. Non va mai dimenticato che in tutti i milioni di tipi di forme viventi, e nei milioni e milioni di individui che animano queste forme, non esiste alcuna reale separazione. Tutta la vita è una, e tutta la vita non è altro che la vita dell’Anima del Mondo. Di conseguenza nel simbolo dei Rosacroce, ossia gli innumerevoli punti contenuti nel cerchio minore a sua volta compreso in un cerchio più ampio, abbiamo l’immagine del Genitore Eterno e della sua prima manifestazione, l’Anima del Mondo, quest’ul- tima manifestatasi nelle innumerevoli forme di vita del mondo della manifestazione. E l’opera dell’evoluzione prosegue ancora, e forme di espressione sempre più alte saranno generate dall’essere involuto dell’Anima del Mondo, che da sempre tende spasmodicamente a manifestare l’espressione di sé. Parte VI La fiamma universale della vita Il quinto aforisma L’uno è la fiamma della vita. I molti sono le scintille della fiamma. La fiamma, una volta accesa, incendia tutto ciò che è nella sua sfera. Il fuoco è in ogni cosa e per ogni dove; non vi è nulla di oscuro o gelido nell’ambito della sua sfera. In questo quinto aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a concentrare la sua attenzione sul concetto di vita universale, la vita dell’Anima del Mondo, che permea ogni cosa per ogni dove nell’ambito della sua sfera di esistenza. Quest’idea dell’Anima del Mondo come un fuoco fiammeggiante di vita diffuso nell’intero universo in tutte le sue parti è rappresentata dai Rosacroce a mezzo del simbolo di un cerchio pieno di fuoco fiammeggiante. Il simbolo della vita è sempre stato il fuoco fiammeggiante. Il fuoco universale eterno, o la fiamma, che incendia sempre tutto ciò che si espone al suo influsso, e tuttavia rimane sempre immutato e integro nella sua essenza, rimane il simbolo preferito dagli occultisti per rappresentare la vita universale nella manifestazione. Quando viene usato il termine “spirito” per indicare la vi- ta, allora il fuoco o la fiamma si identificano con il simbolo dello spirito. La fiamma rappresenta davvero il simbolo della vita più appropriato perché nella sua essenza rimane sempre la stessa e immutata. La sua manifestazione si combina invece con l’apparizione e la sparizione di innumerevoli minuscole particelle di sostanza materiale che essa tramuta in scintille mentre bruciano e poi distrugge attraverso il processo di combustione, sostituendole con altre di natura simile. Figura 9. Simbolo della fiamma universale della vita La stessa cosa accade con la vita universale. Essa si conserva sempre immutata e inalterata nella sua essenza, pur manifestandosi costantemente attraverso innumerevoli forme materiali che vengono e vanno, e che sono a loro volta sostituite da altre forme. La forma appare, viene consumata e perisce; la fiamma però si conserva e sopravvive a qualsiasi mutamento. Coloro che hanno studiato in profondità gli insegnamenti esoterici sanno che esistono molti altri validissimi motivi per cui la fiamma o il fuoco vadano considerati il miglior simbolo possibile della vita, ma non riteniamo opportuno addentrarci ora in queste ulteriori ragioni. Un tempo la scienza insegnava che l’universo era composto di due grandi classi di cose: quelle viventi e quelle senza vita. Nella prima classe veniva inserita tutta la vita umana e quella animale, almeno nel corso del loro periodo di esistenza vitale e più avanti anche la vita vegetale, sebbene con molti dubbi. Nella seconda classe furono incluse tutte le cose al di sotto del piano della vita animale o vegetale, insegnando che i minerali, gli elementi chimici, e così via, erano del tutto privi di vita. Chiunque si azzardasse a mettere in discussione questa classificazione era considerato insano di mente e indegno di seria considerazione. Le scuole di pensiero esoterico invece insistevano sempre sul principio che non esiste nulla di privo di vita nell’universo, e che tutto è imbevuto di vita in qualche forma, grado o fase. Ora scienza e occultismo concordano pienamente e la vecchia idea di un universo per metà privo di vita sta tramontando rapidamente, mentre gli scienziati più progrediti stanno cominciando a sussurrarsi l’un l’altro che “l’universo è vivo, nella sua interezza e in tutte le sue parti”. Sicuramente ciò rappresenta un mutamento notevole nell’opinione scientifica. Luther Burbank, il “mago della vita vegetale” esprime in modo pittoresco questa mutata concezione della scienza: “Tutte le mie ricerche mi hanno allontanato dall’idea di un universo materiale morto ma agitato da varie forze, spingendomi verso l’idea di un universo che è tutto forza, vita, anima e pensiero. Ogni atomo, molecola, pianta, animale o pianeta è soltanto un’aggregazione di forze organizzate, tenute a freno da forze maggiori che le mantengono latenti, sebbene dotate di una potenza inconcepibile. Tutta la vita sul nostro pianeta è, per così dire, soltanto un margine esterno di questo infinito oceano di forza. L’universo non è mezzo morto, ma tutto vivo”. Il professor Dolbear torna persino all’etere dello spazio nella sua concezione di una vita onnipresente, quando dice: “l’etere ha, oltre alla funzione di energia e di movimento, altre qualità inerenti, dalle quali potrebbero emergere, in circostanze propizie, altri fenomeni, quali la vita mentale o qualsiasi altra cosa possa trovarsi in quel sostrato”. Il professor Cope ha affermato che “la base della vita sta dietro gli atomi e potrebbe essere trovata nell’etere universale”. Saleeby, nella sua famosa opera sull’evoluzione, in cui porta alle sue logiche conseguenze le tesi di Herbert Spencer, aggiunge: “La vita è in potenza nella materia; l’energia di vita non è una cosa unica creata in un particolare momento del passato. Se il principio di evoluzione è valido, la materia vivente si è evoluta per una serie di processi naturali da una materia solo apparentemente inerte. Tuttavia, se la vita è davvero in potenza nella materia, è mille volte più evidente che la mente è in potenza nella vita. L’evoluzionista è dunque costretto a credere a questa tesi. La cellula microscopica, il minuto granello di materia destinato a diventare un uomo, ha in sé la promessa e il germe della mente. Non potremmo forse inferirne che le componenti della mente sono presenti in quegli elementi chimici, il carbone, l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo, il sodio, il potassio, il cloro, che si trovano nella cellula? Ciò equivale ad affermare la sublime verità intuita per la prima volta da Spinoza, che la mente e la materia sono l’ordito e la trama di quello che Goethe chiamò ‘l’indumento vivente di Dio’. Entrambe sono espressioni complementari della realtà inconoscibile che sta dietro di esse”. Flammarion ha detto: “L’universo è dinamismo. La vita stessa, dalla cellula più rudimentale fino all’organismo più complesso, è uno speciale tipo di movimento, un movimento determinato e organizzato da una forza direttrice. La materia visibile, che esiste per noi nell’attuale momento dell’universo, e che determinate dottrine classiche considerano l’origine di tutte le cose, nonché del movimento, della vita, del pensiero, è solo una parola vuota di significato. L’universo è un grande organismo, controllato dal dinamismo dell’ordine psichico. L’energia mentale traspare da ogni suo atomo. C’è mente in ogni cosa, non solo nella vita umana e animale, ma nei vegetali, nei minerali e nello spazio”3. Haeckel nel suo Enigma dell’universo, a volte definito “la Bibbia del materialismo”, fa la seguente notevole affermazione: “Non posso immaginare il più semplice processo chimico e fisico senza attribuire i movimenti delle particelle materiali alla sensazione inconscia”. Ancora, egli dice: “L’idea di affinità chimica si basa sul fatto che i vari elementi chimici percepiscono le differenze qualitative in altri elementi, sperimentano il “piacere” o la “repulsione” a contatto con loro, ed eseguono movimenti specifici su tali basi”. In un altro punto egli aggiunge: “Le sensazioni e le reazioni nella vita vegetale e animale sono connesse da una lunga serie di stadi evolutivi con le più semplici forme di sensazione che troviamo negli elementi inorganici e che si rivelano nell’affinità chimica”. La scienza ha praticamente creato i corrispondenti delle diatomee o “cristalli viventi”, creati artificialmente nei laboratori, creature simili a quegli anelli di congiunzione tra la forma minerale e quella animale. Le diatomee sono minuscole forme geometriche, composte da un piccolo guscio di materiale siliceo che racchiude una gocciolina di plasma, simile a colla. Queste creature sono visibili con il microscopio, e sono così piccole che migliaia di loro potrebbero essere raccolte su una capocchia di spillo. Esse ricordano così da vicino i cristalli che è necessario un esame accurato per distinguerle dai cristalli veri; tuttavia esse sono vive e svolgono tutte le funzioni della vita. I cristalli, come sapete, nascono, crescono, vivono e possono venire uccisi da agenti chimici o dall’elettricità. Alcuni ricercatori hanno scoperto indizi di funzioni sessuali elementari in determinati cristalli. Uno scrittore scientifico ha detto: “La cristallizzazione, come stiamo scoprendo, non è un semplice raggruppamento meccanico di atomi inanimati, bensì è una nascita”. Il cristallo si forma nel liquido madre, e il suo corpo viene costruito sistematicamente, regolarmente e secondo uno schema ben definito, proprio come la struttura fisica dei vegetali e degli animali. La sua attività vitale creatrice è indiscutibile. Non solo il cristallo cresce come una pianta o un animale, ma si riproduce anche per separazione e divisione, come fanno i rappresentanti delle forme elementari di vita vegetale e animale. Accurati test scientifici hanno stabilito che nei metalli è presente il cosiddetto “affaticamento elastico”, alleviato da una fase di riposo o di “vacanza”. Si è scoperto che ciò era vero anche per i rasoi, il cui filo recupera le sue caratteristiche originarie se viene lasciato riposare un poco, avvalorando così l’antica superstizione legata all’uso dei rasoi. Anche i diapason perdono la loro capacità di vibrazione se usati troppo intensamente, ma la recuperano dopo un breve periodo di riposo, così come le macchine di mulini e fattorie traggono beneficio da occasionali giorni di pausa. Si è inoltre scoperto che i metalli sono soggetti a malattie infettive, e che in alcuni casi sono stati letteralmente avvelenati e poi guariti tramite antidoti. Il vetro delle finestre, soprattutto il bel vetro opaco delle finestre delle cattedrali, è soggetto a una malattia infettiva, che si trasmette di vetrata in vetrata, e il cui risultato è la disintegrazione della sostanza del vetro. Persino gli attrezzi degli operai sperimentano la fatica; una pausa occasionale o una più lunga vacanza è per essi di grande giovamento. Qualsiasi attento macchinista avrà osservato delle idiosin- crasie in determinate macchine che hanno bisogno di essere assecondate. La relazione scientifica più conclusiva su questo interessante argomento, tra quelle fin adesso a nostra conoscenza, è quella che riporta la famosa serie di esperimenti condotti svariati anni fa sulla cosiddetta materia inanimata, documentati nel libro intitolato Reazioni nel vivente e nel non vivente, scritto dallo scienziato che condusse gli esperimenti, il professor J. Chunder Bose dell’università di Calcutta. Gli esperimenti del professor Bose hanno suscitato un vasto interesse in eminenti circoli scientifici, e si sono rivelati estremamente utili a corroborare le conclusioni di altri scienziati che ritengono “non esista alcuna forma di materia morta”. Partendo dal postulato che la prova fondamentale della presenza di vita sia la reazione della materia allo stimolo esterno, il professor Bose ha dimostrato che in molti casi la cosiddetta materia inorganica, cioè metalli o minerali, reagisce agli stimoli in modo simile, se non proprio identico, alla materia che compone la struttura fisica degli animali, dei vegetali e degli uomini “viventi”. Egli mise a punto alcuni strumenti assai sofisticati per registrare e misurare tali reazioni, che tracciano delle curve su un cilindro ruotante. In questi esperimenti impiegò uno strumento scientifico sofisticato, detto galvanometro. Il galvanometro è in grado di registrare la minima irritazione della materia nervosa o del muscolo vivo, e gli esperimenti dimostrarono che esso registrava anche le reazioni di minerali o metalli soggetti allo stimolo di forze esterne, le cui curve o tracciati risultavano praticamente identici in entrambi i casi. Il professor Bose riferisce che, quando collegò il galvanometro a sbarre di vari tipi di metalli, diedero una risposta analoga a quello che sarebbe successo se fossero state colpite o attorcigliate; maggiore il grado di irritazione provocata nel metallo, maggiore il grado di reazione. Va notato che il nervo o il muscolo vivo reagiscono precisamente nello stesso modo, e che, secondo le indicazioni dello strumento, la risposta di muscoli, nervi, metalli e minerali era identica. Proprio come il nervo o il muscolo davano segni di affaticamento a seguito di stimoli ripetuti frequentemente, lo stesso facevano il metallo e il minerale. Da tutti i punti di vista la materia vivente e quella non vivente reagivano allo stesso modo dando la medesima dimostrazione di vita. Inoltre, lo strumento registrava nei metalli qualcosa di simile al tetano provocato da shock ripetuti, seguito dalla guarigione dopo una fase di riposo. Inoltre, vari metalli davano segni di affaticamento, altri dimostravano gli effetti di un avvelenamento nonché la guarigione per somministrazione di antidoti, altri ancora segni di eccitamento o intossicazione per altre forme di stimolo. Gli esperimenti dimostrarono anche che i metalli manifestano una condizione simile al sonno, che possono essere uccisi o dar segni di torpore e di pigrizia, che essi si svegliano e possono essere spinti all’azione, che possono essere stimolati, rafforzati, indeboliti, drogati o intossicati. Soffrono il freddo e il caldo estremi e reagiscono all’azione di determinate droghe proprio come le piante e gli animali. Il galvanometro rilevò persino che un pezzo di acciaio sottoposto agli effetti del veleno si agitava e si indeboliva gradualmente, arrivando infine a morire, proprio come succede all’organo del corpo di un animale, o a una foglia di una pianta. Se rivitalizzati prima che fosse troppo tardi, la risposta di muscoli e metalli era graduale. Un fatto ancora più interessante è l’affermazione dello sperimentatore che anche i veleni che servivano a “uccidere” i metalli dimostravano una suscettibilità similare all’azione di altri veleni, e risultavano essi stessi passibili di essere uccisi da veleni. Nel caso dell’uccisione di metalli, tuttavia, la struttura molecolare rimaneva apparentemente integra, proprio come nella corrispondente struttura nel tessuto animale; in entrambi i casi smetteva di funzionare un “qualcosa interno” alla sostanza, che potrebbe anche essere chiamato “anima”, così come con qualsiasi altro termine. Altri esperimenti scientifici di laboratorio hanno rivelato fatti estremamente interessanti riguardo alla produzione di cose viventi da “materia non vivente”. Il dottor Charles Bastian di Londra ha preparato ed esposto più di cinquemila microfotogrammi che dimostrano l’evoluzione di forme viventi organiche dal (cosiddetto) “non vivente” inorganico. Egli afferma di aver prodotto alcune microscopiche macchie nere in un liquido precedentemente perfettamente chiaro, macchie che gradualmente si allargano e si trasformano in determinate forme di batteri elementari. Il professor Burke di Cambridge sostiene di aver prodotto da un brodo di manzo sterilizzato, grazie all’azione del cloruro di radio sterilizzato, alcuni minuscoli corpi viventi che in seguito sono cresciuti e si sono riprodotti per suddivisione. Lo studente di chimica e di fisica conosce bene la cosiddetta vegetazione metallica, in particolare nel caso dell’albero del piombo, in cui compaiono forme di pianta all’interno della soluzione acidulata di determinate sostanze metalliche. Nel caso dell’”albero del piombo” una soluzione acidulata di acetato di piombo viene versata in una bottiglia dal collo largo; dal tappo di sughero di questa bottiglia pende un pezzo di filo di rame, alla cui estremità è collegato un pezzo di zinco che rimane sospeso al centro della soluzione di piombo. Quando la bottiglia viene tappata il filo di rame viene subito circondato da uno sviluppo di piombo metallico che ricorda da vicino un muschio molto fine che gradualmente sviluppa rami e braccia, e infine foglie, dando luogo a un cespuglio o a un albero in miniatura. Altre soluzioni metalliche producono fenomeni simili. Il salnitro, sottoposto all’azione della luce polarizzata, assume forme che ricordano da vicino l’orchidea. I cristalli di ghiaccio formano sui vetri delle finestre figure di foglie, rami, fogliame, infiorescenze e fiori. Molti metalli tendono a cristallizzarsi nella forma di una crescita vegetale, e ciò risulta particolarmente significativo se si ricorda che i cristalli sono ora considerati come “quasi vivi” dalla scienza moderna. Pochi anni fa le riviste scientifiche contenevano riferimenti a un interessante esperimento condotto da uno scienziato tedesco utilizzando determinati sali metallici. Lo scienziato sottopose i sali all’azione di una corrente galvanica, e rimase sorpreso dalla scoperta che intorno al polo negativo o catodico (femminile) della batteria, le particelle di sale metallico cominciavano a raggrupparsi nella forma di un piccolo fungo, con un gambo e una sommità a forma di ombrello. Questi funghi metallici all’inizio apparivano trasparenti, ma gradualmente si colorarono, e infine assunsero un color paglia sul gambo, un color rosso acceso sulla parte superiore dell’ombrello e una tinta rosa pallido su quella inferiore. Tuttavia, l’aspetto più sorprendente del fenomeno era che il fungo metallico aveva vene sottili o piccoli tubi che correvano nella parte interna del gambo, attraverso cui veniva trasportato il nutrimento o il materiale addizionale necessario alla crescita; il fungo veniva alimentato dall’interno, come nel caso dei funghi veri. Pareva che a tutti gli effetti questi funghi metallici rappresentassero in pratica l’anello di collegamento tra la vita minerale e quella vegetale. Come abbiamo affermato altrove in questo capitolo, la scienza moderna si trova ora sul limitare della scoperta (tramite prove di laboratorio) che non esiste materia priva di vita, e che tutto è vivo. L’occultista può oggi attendere con sicurezza il giorno in cui la scienza moderna “dimostrerà per lui la verità degli antichi insegnamenti delle scuole esoteriche”. Inoltre, la scienza si sta avvicinando a grandi passi al momento in cui percepirà la verità dell’antico assioma secondo il quale “tutta la forza è forza di volontà”, per cui i movimenti degli elettroni, degli atomi, delle molecole e delle masse di materia sono la risposta a un “sentimento” interiore che risulta dall’attrazione e dalla repulsione rispetto ad altre forme di materia, con l’ausilio della “volontà”. L’idea dei materialisti che la vita e la mente siano solo qualità della materia e vadano ricercate in tutte le forme di oggetti materiali ha solo bisogno di essere invertita per dimostrare la verità affermata tanto tempo fa, e cioè che la materia è solo il rivestimento esterno dell’anima, e che tutte le forme materiali sono animate dalla vita e dalla mente. L’idea dei materialisti è soltanto la piramide rove- sciata dell’errore, mentre la concezione degli occultisti è l’autentica piramide della verità stabile e sicura sulle sue fondamenta, quella roccia dei millenni che non può mai essere rovesciata poiché riposa sicura e stabile sull’eterno fondamento dell’essere. Ricorda, o lettore, l’aforisma rosacrociano secondo cui “il fuoco è in ogni cosa e per ogni dove; non vi è nulla di oscuro o gelido nell’ambito della sua sfera”. Parte VII I piani di coscienza II sesto aforisma Come la vita è l’essenza dello spirito, così la coscienza è l’essenza della vita. Lo spirito è uno, eppure si manifesta in molte forme di vita. La vita è una, eppure si manifesta in molte forme di coscienza. Anche se le forme della coscienza manifesta sono innumerevoli, il sapiente sa che la coscienza si manifesta su sette piani diversi, conosciuti dal sapiente come: (1) il piano degli elementi, (2) il piano dei minerali, (3) il piano dei vegetali, (4) il piano degli animali, (5) il piano degli umani, (6) il piano dei semidei, (7) il piano degli dèi. In questo sesto aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a concentrare la sua attenzione sull’idea di vita-coscienza manifestantesi su sette piani diversi. Quest’idea è rappresentata dai Rosacroce tramite il simbolo di una catena di sette anelli circolari, con ogni anello che fa da collegamento tra altri due. Il sesto aforisma saggiamente afferma che “la vita è l’essenza dello spirito”. Non importa cos’altro possa o non possa essere lo spirito, non si può però negare che lo spirito debba possedere l’attributo della vita, se tale deve essere. L’aforisma afferma altresì: “La coscienza è l’essenza della vita, il che è anche immediatamente evidente, poiché non importa cos’altro possa o non possa essere la vita, non si può negare che la coscienza debba possedere l’attributo della vita. Figura 10. Simbolo dei sette piani di coscienza Uno scrittore moderno ha molto opportunamente affermato che “la mente è l’elemento vivente della vita” e naturalmente la mente non è null’altro che un termine impiegato per indicare “gli stati di coscienza”. Anche l’individuo medio riconosce implicitamente la necessità della presenza della coscienza nella vita quando distingue tra varie forme di cose viventi. Più alta la manifestazione della coscienza in una cosa vivente, più alto il grado di vita che egli le attribuisce; quando poi non vi è alcun segno di coscienza, egli definisce la cosa priva di vita. L’indicazione di un’attività cosciente tra le forme minerali conduce subito a pensare che allora i minerali devono essere vivi. La coscienza si manifesta essenzialmente come “la capacità di ricevere impressioni da stimoli esterni e di reagire adeguatamente”. Proprio come i Rosacroce assumono come loro dottrina fondamentale il principio che “tutto è vivo” (si veda il capitolo precedente), così essi ritengono altrettanto fondamentale il principio che “tutto è conscio”, dove il termine “coscienza” (come nella più avanzata psicologia moderna) non è ristretto a quegli stadi della coscienza a noi più familiari, ma si riferisce piuttosto a tutte le forme di consapevolezza superiore o inferiore alla nostra coscienza ordinaria. Il termine “coscienza” è tra i più difficili da definire adeguatamente, e questo è assolutamente naturale, poiché la coscienza può essere definita e descritta solo nei termini delle sue stesse esperienze; non è dato alcun altro termine analogo che possa indicare cosa è la coscienza stessa a chi di essa non abbia la minima esperienza. La parola che probabilmente meglio ne esprime il significato generale è “consapevolezza”. La dottrina rosacrociana insegna che la coscienza si manifesta su sette piani differenti, e che ciascun piano è collegato e si fonde con gli altri due confinanti (si veda la figura che illustra il simbolo). Ciascun piano, tuttavia, si compone di sette sottopiani, e ogni sottopiano di sette piani minori, e così via per sette volte. Nella nostra seguente sommaria esposizione degli insegnamenti in questione viene nominato ciascuno dei sette piani di coscienza e ne vengono spiegate le principali caratteristiche. I. Il piano degli elementi Su questo piano di coscienza si manifestano le azioni e le reazioni tra gli elementi sottili di cui sono composte tutte le forme materiali. Qui si svolge il gioco tra gli atomi, gli elettroni, gli ioni, i corpuscoli e le ancora più piccole particelle di sostanza che la scienza ancora non conosce. Tornando ancora più indietro si potrebbe dire che su questo piano si svolge il gioco degli stadi di una sostanza altrettanto più piccola e sottile degli elettroni di quanto questi ultimi sono più piccoli degli atomi. Si può dire poco riguardo a queste forme e a questi stadi di materia praticamente sconosciuti, anche se le dottrine occultistiche vi fanno riferimento di frequente. Nelle precedenti citazioni dalle opere di Haeckel e di altri scienziati moderni abbiamo visto che la scienza riconosce la presenza di qualcosa di simile alla coscienza negli atomi di materia, e ascrive i loro movimenti a “simpatie e antipatie”, “amore e odio”, che traggono origine dalla percezione di determinate rispettive qualità e dalla reazione a esse. Ciò significa, naturalmente, che gli atomi possiedono e manifestano sentimenti e volontà in forme e gradi elementari. Esistono tuttavia effetti di queste manifestazioni di coscienza da parte degli atomi di cui gli scrittori sull’argomento, siano questi occultisti o scienziati, non tengono sufficientemente conto. Consideriamoli brevemente. La scienza afferma che tutte le forme di energia o di forza fisica, che si manifestano come luce, calore, elettricità, magnetismo, traggono origine dalle vibrazioni delle particelle di cui è composta la materia. Queste vibrazioni sono naturalmente provocate dal movimento delle particelle, che a sua volta è generato da un fenomeno di attrazione e di repulsione tra le particelle. Questi fenomeni sono a loro volta null’altro che manifestazioni di una coscienza elementare. Qui dunque vediamo che persino la manifestazione dell’energia e della forza fisica è il complemento, e il risultato, della presenza e dell’attività della coscienza elementare. Su questo piano di coscienza vengono operate molte forme di “magia”. L’occultista muove la materia non esercitando su di essa una forza fisica con la mente e con la volontà, ma agendo invece sulla coscienza degli atomi materiali con il potere della sua propria coscienza! Non è questo il luogo, naturalmente, per entrare in dettagli riguardo a questo aspetto dell’occultismo, ma si è ritenuto opportuno indicare qui la fonte e la natura del potere che sta dietro fenomeni occulti di questo tipo, e il “perché” e il “da dove” della sua manifestazione. II. Il piano dei minerali Su questo piano di coscienza si manifestano le azioni e le reazioni delle molecole di cui sono composti i minerali, come pure delle masse di materia minerale. Proprio come gli atomi di materia manifestano attrazione e repulsione originate da “simpatia e antipatia” a livello di coscienza, così le molecole di materia manifestano un’analoga simpatia e antipatia, che risulta nell’attrazione e nella repulsione tra molecole e masse di materia. Le molecole o particelle di cui, ad esempio, è composto un pezzo di acciaio, sono tenute insieme dal potere di attrazione della coesione e non da mezzi meccanici impiegati dalla natura. La gravitazione manifesta la sua forza d’attrazione in modo analogo. Inoltre, in alcuni piani minori superiori di questo piano dei minerali si manifesta la cristallizzazione delle particelle minerali secondo un ben definito principio di disegno incorporato nella coscienza delle particelle in gioco. Il cristallo viene costruito sulla base di un disegno definito, esattamente come succede alla ghianda e alla quercia, e in tutti questi casi lo schema è solo un’”idea” nella coscienza delle particelle combinate. Il Costruttore Universale opera tramite la coscienza delle particelle minerali in un modo altrettanto vero e meraviglioso di come opera tramite le particelle di umanità che chiamiamo individui. Lo studio dei cristalli e della loro formazione aprirà all’individuo un nuovo mondo di pensiero, e gli consentirà di sbirciare nel laboratorio del Costruttore Universale, dove vedrà cose che mai prima d’allora aveva sospettato e sognato. L’opinione comune è che i cristalli si formino per cause meccaniche, quali ad esempio la pressione esterna, ma l’attento studioso di scienza, come pure l’occultista, sa che la formazione di un cristallo è una crescita, ed è il risultato di idee fisiche immagazzinate nelle particelle, così come succede con la crescita della sostanza vegetale o dei corpi animali. Lo studioso di cristallografia si convince presto della presenza della vita e della coscienza nel mondo dei cristalli. Considerando il piano della coscienza minerale, il lettore deve ricordare che esistono forme di minerali di gran lunga più grezze di quelle a noi visibili sulla terra; deve altresì ricordare che esistono forme e stadi di vita minerale di gran lunga più fini e superiori a quelli che conosciamo. Sarà opportuno menzionare anche il fatto che gli antichi alchimisti (e alcuni autentici alchimisti moderni) hanno trovato nella coscienza minerale l’anello mancante della loro scienza. Avendo l’occultista una comprensione esaustiva della coscienza di un metallo o di un minerale, egli sarà in grado di operare trasformazioni su e tramite essi che risulterebbero impossibili con i semplici mezzi della chimica o con i metodi meccanici di lavorazione dei metalli. Una volta di più abbiamo dunque accennato di sfuggita a un tema di enorme importanza. III. Il piano dei vegetali Su questo piano di coscienza si manifestano le azioni e le reazioni delle cellule protoplasmatiche di cui sono composte le piante. Su questo piano inoltre, come per tutti gli altri piani di coscienza, si trovano sottopiani e suddivisioni superiori e inferiori. Al polo inferiore di questo piano troviamo una vita vegetale a malapena distinguibile dalle forme superiori di vita minerale; in verità, come abbiamo già visto, è quasi impossibile tracciare una netta linea divisoria tra i due grandi piani, poiché si fondono e sono collegati tra loro in corrispondenza del polo inferiore e superiore della loro attività. Abbiamo menzionato le diatomee, o cristalli viventi, che gli esperti considerano l’anello mancante tra i due grandi regni della vita e della coscienza, ma che in effetti sono piante più che minerali. Le diatomee appartengono a un ordine di piante senza fiore, una specie di alghe. Esse presentano una copertura silicea che conferisce loro un aspetto di cristalli. Nel 1886 il professor Van Schrom di Napoli stava compiendo esperimenti con il bacillo del colera asiatico, e lo stava esaminando con il suo potente microscopio. Era incuriosito dal formarsi di piramidi doppie di bacilli dalla forma e dall’aspetto generale di veri e propri cristalli. Tali cristalli viventi manifestavano crescita e movimento, e parevano vivi e coscienti. Da questi esperimenti egli arrivò alla conclusione che tutti i batteri producevano cristalli viventi, e i suoi continui esperimenti parvero dimostrare la fondatezza della sua supposizione. Questi cristalli viventi sembrano essere spinti da una forza intrinseca simile a un impulso vitale che li spinge ad assumere una figura geometrica. Pur lasciando intravedere tali chiari indizi di un’elementare vita vegetale, essi presentano anche le caratteristiche qualità dei cristalli, vale a dire la rifrazione, l’inclusione, l’assorbimento e la polarizzazione. Successive indagini hanno rivelato la presenza di tali cristalli viventi nelle secrezioni degli organismi viventi. Che la vita sia presente nel mondo vegetale quasi nessuno si sente di metterlo in discussione, sebbene sembri esservi un desiderio da parte degli scienziati ortodossi di negargli coscienza e attività intelligente. Tuttavia, i più avanzati operatori nel campo della scienza moderna non esitano ad affermare la presenza di una consapevole attività intelligente nel mondo vegetale, e sostanziano efficacemente la loro supposizione con argomentazioni logiche sostenute da risultati ottenuti in laboratorio. Questi scienziati sostengono che il verificarsi di fenomeni di nutrizione, riproduzione e mutamento fisico e chimico dovuto all’adattamento rappresenti una prova positiva della presenza dell’intelligenza vitale all’interno dell’organismo in cui detti fenomeni si manifestano. Dice il professor Bieser: “L’adattamento è, dopo tutto, la migliore prova della presenza dell’intelligenza o della vita in forme o unità di materia. L’adattamento fisiologico, o meglio considerato di tipo psicologico, è l’arma con cui gli organismi viventi combattono contro le forze distruttive delle condizioni di natura. In tutte le sue forme l’adattamento rappresenta una collaborazione più o meno riuscita degli organismi viventi con le leggi di natura, e non un’infrazione di tali leggi naturali. Assumendo l’adattamento come criterio per stabilire la presenza dell’intelligenza, non abbiamo difficoltà alcuna a risolvere il problema della presenza della vita. Il più perfetto macchinario automatico non ha vita poiché non sa minimamente adattarsi alle mutate condizioni ambientali e così salvarsi dalla distruzione, ove ciò divenga necessario, compiendo una serie di semplici azioni intelligenti”. Considerando il problema della presenza della coscienza nel regno vegetale, gli scrittori dividono le manifestazioni dell’intelligenza in tre classi, e cioè, quella delle trofosi, o atti pertinenti alla nutrizione, quella delle neurosi, o atti pertinenti al sistema nervoso, e quella delle psicosi, o atti pertinenti ai processi di pensiero. La manifestazione delle trofosi, o atti pertinenti alla nutrizione, è evidente persino nel caso delle forme più basse di vita vegetale. Anche la più elementare cellula vegetale assorbe nutrimento e sostituisce gli scarti del suo sistema assumendo nuovi materiali. Tali attività richiedono un sistema nervoso talmente semplice da essere qualsi nullo. Tuttavia, in ogni atto di nutrizione si manifesta non soltanto la presenza della vita, ma anche un certo grado di attività conscia. Anche le più basse forme di piante sono capaci di distinguere perfettamente tra particelle di materia nutritive e quelle non nutritive. La maggior parte delle piante non possiede alcun sistema nervoso, o almeno la scienza non lo ha ancora scoperto, tuttavia esse manifestano caratteristiche trofosi di grado corrispondente alle loro necessità, ma raramente eccedente tali necessità. Altre piante hanno invece un sistema nervoso relativamente sviluppato, o qualcosa di analogo a esso, e manifestano neurosi, o atti pertinenti al sistema nervoso, di grado relativamente avanzato. Questo è vero nelle “piante sensibili” e in determinate altre piante altamente sviluppate. Ad esempio, alcune orchidee e qualche altra pianta manifestano neurosi che indicano chiaramente la presenza della consapevolezza e un certo grado di attività intelligente. Ancora più in alto nella scala vegetale troviamo determinate specie di piante che manifestano autentiche psicosi, ovvero atti pertinenti ai processi di pensiero, sebbene di ordine relativamente basso in confronto a quelle manifestate da forme superiori di vita animale. Il professor Bieser, eminente esperto in materia, ha dichiarato: “Anche se crediamo che l’intelligenza dell’uomo, degli animali e delle piante sia essenzialmente dello stesso tipo, sappiamo però che essa differisce enormemente per grado e forma. Anche tra gli uomini questo grado di intelligenza varia, ma ciò accade perché per natura alcuni individui vedono un po’ più chiaramente di altri quali sono le loro necessità e vivono in circostanze più favorevoli; e questo è tutto!”. Il dottor J. E. Taylor, un’autorità in materia di psicologia delle piante, dice: “Probabilmente una delle ragioni per cui alle piante vengono di solito negate la coscienza e l’intelligenza è perché anche nella struttura delle specie più altamente sviluppate non troviamo alcun specifico binario nervoso attraverso cui le sensazioni possano viaggiare, e in cui esse possano venire registrate come avviene nel caso dei gangli e del cervello degli animali superiori. Si dovrebbe tuttavia ricordare che nessuna creatura appartenente alla sottoclasse dei protozoi (la più bassa delle grandi suddivisioni del regno animale) possiede strutture nervose, e che in molti appartenenti alla classe animale immediatamente più sviluppata, quella dei celenterati, non è presente alcuna traccia di tali strutture, mentre in altri soltanto una traccia molto esile. Tuttavia non neghiamo a queste basse forme animali una coscienza opaca e diffusa, né la possibilità che le loro strutture si modifichino in modo da mettere a profitto l’esperienza, sviluppando quel deposito di vissuto che definiamo ‘istinto’”. Darwin, parlando della straordinaria sensibilità delle estremità delle radici delle piante, dice: “È tutt’altro che un’esagerazione affermare che l’estremità della radice, grazie alle sue proprietà e alla capacità di dirigere i movimenti delle parti contigue, agisce come il cervello di uno degli animali inferiori; cervello che è situato nella parte anteriore del corpo, dove riceve le impressioni dagli organi di senso e dirige la generalità dei movimenti”. Il professor Cope afferma: “Ci è facile comprendere come grazie al parassitismo o ad altri modi di sopravvivere senza faticare, l’adozione di nuovi e complessi movimenti diverrebbe superflua, e la coscienza stessa raramente verrebbe sollecitata. Un riposo continuato darebbe origine a una forma di sottocoscienza, e, in seguito, alla pura mancanza di coscienza. Precisamente questa sembra essere la storia dell’intero regno vegetale”. Il dottor J. C. Arthur, nella sua interessante opera intitolata La sagacia e la moralità delle piante, afferma: “Mi sono sforzato di dimostrare che tutti gli organismi, fino ai più semplici in assoluto, siano questi vegetali o animali, a causa della stessa natura dell’esistenza e della lotta per la sopravvivenza, devono essere dotati di coscienza e sensibilità, di cui il piacere e il dolore sono l’espressione più elementare (...). A Java mi hanno detto che quando uno cammina attraverso un groviglio di piante sensibili, esse, per svariati metri su ciascuno dei due lati del sentiero, si curvano in segno di fastidio, come se fossero improvvisamente destate alla vita, soltanto per trasformarsi di nuovo da una forza invisibile in arbusti privi di vita (...). Il fondamento fisico della vita, il protoplasma, è lo stesso per le piante e per gli animali. La prima forma differenziata o modificata di esso che incontriamo è il curioso microbo chiamato ameba. Osservando i suoi movimenti non si può fare a meno di attribuirgli una qualche opaca coscienza della vita che conduce. La struttura ameboide, però, è comune anche tra le forme inferiori di vegetali, e movimenti ameboidi sono rintracciabili nei loro tessuti. Come testimoniano anche le abitudini e i movimenti intelligenti delle zoospore delle alghe marine e di molti altri tipi di alga, e la locomozione dell’anterozoa del muschio, della felce, e così via. Non molti anni fa tali organismi erano classificati come animali, e nessuno dubitava che questi cosiddetti animali agissero coscientemente e intelligentemente (...). Non v’è nulla di più marcato delle simpatie e delle antipatie delle piante. Difficilmente gli esseri umani riescono a esprimere gli stessi sentimenti più efficacemente. Esiste probabilmente persino una forma di ‘cameratismo’ tra le piante che fa sì che determinate specie preferiscano crescere in compagnia. Un gran numero di piante comuni compie azioni che se fatte da esseri umani verrebbero subito classificate secondo il criterio del bene e del male. Quasi non esiste virtù o vizio che non abbia un corrispettivo nei comportamenti del regno vegetale”. Una delle più elementari manifestazioni di coscienza e di attività consapevole nella sfera della vita vegetale è stato chiamato “il senso di gravità”, ovvero il senso grazie a cui la pianta riconosce la direzione di crescita “in su e in giù”. Il seme che germina manda sempre le radici in basso, non importa come esso sia posizionato nel terreno. Non è possibile credere che ciò sia semplicemente l’effetto della forza di gravità, poiché i germogli si sviluppano verso l’alto allontanandosi dal centro di gravità proprio come le radici si sviluppano invece verso il basso, avvicinandosi a tale centro. Gli esperimenti hanno dimostrato che questo “senso della direzione” può essere considerato un senso vero e proprio al pari di qualsiasi altro senso speciale delle forme più basse di vita animale. Si è tentato l’esperimento di capovolgere un seme germogliante: il risultato è stato che nello spazio di un giorno o giù di lì le radici hanno ripreso il loro sviluppo verso il basso e i germogli verso l’alto. Un botanico francese di nome Duhamel una volta sistemò dei fagioli in un cilindro pieno di terra umida. Dopo che essi ebbero cominciato a germogliare, egli inclinò lievemente il cilindro da un lato. Il giorno dopo lo inclinò un altro poco nella stessa direzione. Ogni giorno lo inclinava un po’ di più, e alla fine il cilindro aveva compiuto vari giri completi. A quel punto il botanico tirò fuori la pianta, e liberandola dalla terra rimastale attaccata verificò che le radici e i germogli dei fagioli avevano formato dei cerchi: si vedevano infatti due spirali perfette, formate rispettivamente dalle minuscole radici e dai minuscoli germogli. Le radici nel loro sforzo costante di svilupparsi verso il basso avevano formato una spirale perfetta, mentre i germogli nel loro sforzo costante di svilupparsi verso l’alto ne avevano formato un’altra. Risulterà sempre vano qualsiasi sforzo per costringere le radici di una pianta a svilupparsi verso l’alto, o i suoi germogli a crescere verso il basso. Ciascuno dei due, radice e germoglio, ha un suo proprio “senso della direzione” a cui risponde puntualmente e invariabilmente. Allo stesso modo e per cause simili, i viticci delle piante rampicanti si svilupperanno puntualmente in direzione del vicino supporto e, se sciolti da esso, nel corso della notte successiva torneranno all’antico supporto, se possibile. Un filmato mostra che i movimenti di questi viticci sono simili ai movimenti delle membra di un animale, a quelli dei tentacoli di un polipo, ad esempio. Non solo le radici delle piante hanno un generale “senso della direzione” che fa sì che esse si sviluppino verso il basso nonostante qualsiasi tentativo di impedirglielo, ma hanno anche il “senso dell’umidità”, che fa sì che esse cerchino l’acqua. Molte piante girano anche le loro foglie e i loro fiori verso la luce, non importa quante volte le si ruoti nella direzione opposta. Le patate tenute in sotterranei oscuri spesso fanno crescere i loro germogli per una lunghezza di venti o trenta piedi, in direzione della luce che filtra attraverso una piccola crepa nel muro. Allo stesso modo, le piante possiedono il “senso del gusto”, in certi casi molto sviluppato. Grazie a questo senso sono capaci di rilevare le differenze tra le sostanze, e di scegliere quelle che sono utili alla loro nutrizione. Esse riescono a distinguere tra un suolo povero e uno ricco, e anche tra differenti sostanze chimiche di diverso valore nutritivo. Non solo le radici delle piante si muovono in direzione dell’acqua, ma anche le foglie si curvano durante la notte per immergersi in un recipiente d’acqua distante svariati centimetri. Le piante che si nutrono di insetti riconoscono la differenza tra la sostanza animale viva e pezzi di materia inorganica o di sostanza vegetale, scartando quasi disgustate questi ultimi. Si è provato a lasciare un pezzo di formaggio alla portata di queste piante, e si è visto che, sebbene il formaggio fosse naturalmente loro sconosciuto, esse parevano riconoscerne la natura azotata e lo divoravano altrettanto prontamente di quanto facevano con un pezzo di carne o con il corpo di un insetto. Molti lettori saranno certo familiari con il fenomeno delle “piante sensibili” che dimostrano un grado marcato di sensibilità al tatto. Molte piante che si nutrono di insetti dimostrano un altrettanto elevato grado di sensibilità, anche se naturalmente in una diversa direzione. Le foglie della “trappola di Venere” si chiudono e così catturano lo sfortunato insetto che è caduto in trappola tentato dal dolce succo che compare sulla foglia come esca squisita. Pezzetti di terra o gocce di pioggia vengono riconosciuti come “non commestibili” da queste antenne, e se si posano sulle foglie, queste non si chiudono. Altre piante sono estremamente sensibili a differenti intensità di luce e si chiudono a determinate ore, diverse a seconda del tipo di pianta. Un tempo si pensava che questa sensibilità fosse semplicemente una reazione chimica alla presenza della luce, ma recenti esperimenti hanno dimostrato che tali piante, se sistemate in una stanza scura, continueranno a chiudersi per svariati giorni in grado man mano decrescente, dimostrando così la presenza di un’abitudine all’interno della loro coscienza, che a sua volta dimostra la presenza della mente anche più efficacemente di quanto non faccia lo stesso fenomeno del chiudersi. Determinate felci avvizziscono se le loro fronde vengono toccate troppo spesso. Nel caso dei semi la presenza della coscienza e di attività mentali è immediatamente evidente. Non solo nella germinazione, ma anche in altri processi il seme dà segni di vita e di attività mentale. Determinati semi vengono portati alla loro futura dimora da corsi d’acqua in cui essi si muovono in direzione di un terreno favorevole per mezzo di sottili filamenti sporgenti che essi muovono come gambe, spingendosi così a riva. Un botanico ha detto riguardo a una determinata specie di questi semi nuotatori: “I loro movimenti sono così curiosamente vitali che risulta quasi impossibile credere che questi oggetti minuti possano muoversi nell’acqua ed essere semi e non insetti”. Certe piante sono parassite e si attorcigliano intorno a un’altra pianta o albero, facendosi strada attraverso la corteccia esterna e succhiando il nutrimento dalla pianta più grande, che con il tempo soccombe e viene letteralmente uccisa per nutrire quella parassita. Altre piante sono parassite di animali, e sono dotate di facoltà mentali sufficienti a catturare efficacemente la loro preda. Dunstan, il naturalista, riferì di aver trovato sulle rive del lago Nicaragua una pianta, che i nativi chiamano “cappio del diavolo” a forma di cespuglio e dotata di lunghi viticci, o antenne a forma di frusta, flessibili, robuste, nere, lucide e prive di foglie, che secernono un fluido viscido. Questi viticci vengono usati dalla pianta per catturare piccoli animali che passano sotto il cespuglio, e per poi prosciugare il loro sangue e assorbire la loro carne. Il naturalista, camminando un giorno lungo le rive di quel lago, venne attirato dai guaiti e dai lamenti del suo cagnolino. Aprendosi una via attraverso la vegetazione trovò l’animaletto stretto da un gran numero di questi viticci neri, viscidi e tentacolari che gli stavano tagliando la carne tramite un’azione di sfregamento, con il sangue che già usciva in svariati punti. Vide che questi tentacoli erano i viticci o i rami di questa pianta carnivora che descrisse come una sorta di “polipo vegetale”. A quel che dicono i più grossi esperti, il regno vegetale ha i suoi Thug e i suoi strangolatori, oltre ai suoi vampiri. Il professor Bieser afferma: “Un’altra pianta che mostra irritazione se toccata e che è in possesso della capacità di trovare e assorbire acqua per mezzo di un lungo, sottile e piatto stelo o tubo è una varietà dell’orchidea scoperta da E. A. Suverkrop di Filadelfia. Questa pianta cresce sui tronchi degli alberi che stanno sospesi sopra le zone paludose lungo le rive del Rio de la Plata e dei fiumi vicini. Quando quest’orchidea ha bisogno d’acqua, il sottile stelo si srotola gradualmente fino a immergersi nell’acqua. Poi lo stelo si avvolge e si attorciglia per scaricare, sulla parte della pianta da cui partono le radici, l’acqua che ha succhiato nella sua cavità interna o tubo. A volte, se non c’è acqua nelle vicinanze, lo stelo si muove prima in una direzione poi in un’altra, alla ricerca dell’acqua, e quando la trova si comporta come abbiamo descritto. Se questa pianta viene toccata mentre lo stelo è in estensione, si comporta in tutto e per tutto come una pianta sensibile, e lo stelo si riavvolge a spirale più rapidamente di quando prende acqua”. Gli esperimenti condotti da quel mago delle piante che è Luther Burbank ci forniscono numerosi esempi della maniera in cui la “mente” della pianta reagisce a un mutato ambiente, per trarre vantaggio da condizioni migliori adattandovisi nel modo più efficace. Alcuni scienziati ritengono possibile che, mutando in grado sufficiente l’ambiente della pianta al fine di sollecitare sue possibilità latenti di attività mentale, questa si dimostri capace di uno sviluppo dal punto di vista dell’attività mentale che l’avvicini alle forme inferiori di vita animale, o addirittura gliele faccia sopravanzare. IV. Il piano degli animali Qui, una volta di più, scopriamo che non c’è una linea divisoria definita tra piani di coscienza contigui. Proprio come la coscienza minerale si fonde con la coscienza vegetale, così come abbiamo visto, allo stesso modo la coscienza vegetale si fonde con la coscienza animale. In effetti, nel caso delle forme più elementari di vita animale risulta a volte quasi impossibile stabilire se la forma particolare considerata sia un vegetale o un animale. Forme di vita che in passato la scienza considerava “animale” oggi vengono inserite nella categoria della vita vegetale, e vice versa. La coscienza nell’ambito della vita animale presenta una varietà di forme che va dai primi pallidi barlumi nelle creature unicellulari che vivono nel limo del letto dell’oceano, fino alla piena alba della coscienza nelle forme superiori di vita animale come il cavallo, il cane, l’elefante, e così via. In ciascun caso, tuttavia, si potrà verificare che ogni creatura è dotata di un grado di intelligenza sufficiente a provvedere ai suoi bisogni e alle sue necessità, e ad adattarsi al proprio ambiente. Man mano che cresce la complessità dell’ambiente, la forma di vita animale o adatta la propria coscienza alle accresciute difficoltà, o perisce nel corso dell’evoluzione. La forma più conosciuta di vita animale unicellulare è il moneron (plurale monera), che è composto di un’unica cellula ed è simile a una gocciolina di colla. Esso appartiene alla classe più infima di vita animale, quella dei protozoi. Il moneron vive nell’acqua ed è una goccia estremamente minuta, informe, priva di colore, vischiosa, appiccicosa, di sostanza protoplasmatica. Non ha alcun tipo di organo e tutte le sue parti sono simili; le mancano parti o organi specifici con cui espletare le funzioni della creatura vivente nel modo proprio delle forme superiori di vita. Tuttavia, questa creatura priva di organi è in grado di espletare quelle funzioni vitali che chiamiamo rispettivamente nutrizione, riproduzione, sensazione e azione volontaria. Questa creatura semplice riceve impressioni dall’esterno e reagisce a esse. Cerca il cibo e fugge i nemici. Ha quel tanto di intelligenza di cui ha bisogno. Al gradino successivo della vita animale troviamo l’ameba. Anche questa creatura è un animale unicellulare. Si sposta tramite il continuo allungamento di un finto piede e il successivo ritiro dello stesso, il che le dà l’aspetto di un organismo dalle molte dita o piedi. Questa creatura ha un primo abbozzo di “parti” e “organi” rudimentali. Fermiamoci qui per un istante, prima di passare a considerare forme superiori di vita animale. Motivo del nostro indugio è richiamare l’attenzione del lettore sulla somiglianza dei monera e delle amebe con le cellule di cui è composto il corpo umano. Le ordinarie cellule dell’animale superiore e dell’uomo ricordano da vicino e in vari modi i monera, mentre i globuli bianchi del sangue degli animali e dell’uomo presentano una sorprendente somiglianza con le amebe per ciò che riguarda le dimensioni, la struttura generale e il modo di muoversi; non a caso la scienza li definisce “ameboidi”. I globuli bianchi del nostro sangue, questi “ameboidi”, modificano la loro forma, assumono cibo in modo intelligente, e conducono un’esistenza apparentemente autonoma, con movimenti che dimostrano l’indubitabile presenza di “pensiero” e “volontà”. Le cellule di cui sono composti i corpi degli animali e dell’uomo sono a tutti gli effetti creature viventi autonome, e ciascuna di loro è in possesso di un’intelligenza sufficiente a svolgere i compiti e le funzioni vitali. Per mezzo di un’operazione che gli occultisti chiamano “mente collettiva”, consistente nel fatto che più cellule indipendenti coordinano la loro attività, tali cellule svolgono le funzioni coordinate di un organismo. Ognuna di queste menti cellulari si dimostra perfettamente adatta alla funzione che è chiamata a svolgere. Il lavoro che queste cellule fanno, estraendo dal sangue l’esatta quantità di nutrimento di cui hanno bisogno, è soltanto un’ulteriore prova della presenza in esse di questo tipo di mente. A tutti gli effetti le cellule del corpo sono come le singole api nell’alveare, vale a dire creature viventi intelligenti e indipendenti che cooperano al bene comune. Ogni creatura vivente, da quella più alta a quella più bassa, è dotata di quel grado di coscienza e di intelligenza che è adeguato alle necessità della sua sopravvivenza e delle sue attività. Darwin disse una volta che “il cervello di una formica, sebbene non molto più grande di una punta di spillo, è uno dei più meravigliosi atomi di materia nel mondo, forse ancora più meraviglioso del cervello dell’uomo”. Nella scala ascendente della vita animale il lettore scoprirà innumerevoli varietà e specie, sottospecie e variazioni nell’ambito delle specie. In ciascuna di esse troverà una lieve differenza nel grado e nella qualità dell’intelligenza manifestata dalla creatura. Anche tra gli individui delle stesse specie si troverà una grande varietà di simili manifestazioni. Nel quadro di insieme, tuttavia, egli potrà riconoscere un determinato piano generale di coscienza che si può definire il “piano animale” in quanto distinto da un lato dal “piano minerale”, e dall’altro dal “piano umano”. Parte VIII I tre piani superiori di coscienza Siamo adesso arrivati a quello stadio della nostra presentazione del tema della dottrina segreta dei Rosacroce, e in particolare di quella parte conosciuta come i sette piani di coscienza, nella quale chiediamo al lettore di considerare gli stadi della coscienza al di sopra del piano della coscienza animale. Di conseguenza ci occuperemo adesso di quei tre grandi piani coscienza che cominciano con il piano della coscienza umana, includono i piani di coscienza dei semidei e trovano la loro più alta manifestazione sul piano della coscienza degli dèi. Se da un lato questi tre piani superiori di coscienza sono inclusi nel simbolo rosacrociano dei sette piani di coscienza, quello, cioè, dei sette cerchi collegati, i Rosacroce hanno anche un simbolo speciale con il quale essi rappresentano questi tre meravigliosi piani superiori di coscienza, vale a dire il simbolo dei tre cerchi collegati (si veda l’illustrazione). Qui si noterà anche che ciascun cerchio è collegato con gli altri due, con la circonferenza di ciascun cerchio che si interseca con quella degli altri; ciò allude al fatto che ciascun piano di coscienza è fuso con gli altri, una verità che diverrà più evidente man mano che procederemo, senza che ci sia bisogno di commentarla ulteriormente in questo capitolo. V. Il piano della coscienza umana Il piano della coscienza umana, come il nome indica, è quel piano dell’attività cosciente che si manifesta negli esseri umani, superiori e inferiori, in una varietà di gradi. Questo piano di coscienza, al pari di tutti gli altri sette, si divide in sette sottopiani, e ciascuno di questi in altri sette, e così via, come spiegato in precedenza. Inoltre, a un estremo questo piano è collegato con i sottopiani superiori del piano della coscienza animale, mentre all’altro estremo si fonde con i sottopiani inferiori del piano immediatamente superiore della coscienza dei semidei. Di nuovo, considerando il simbolo dei tre cerchi collegati, lo stesso individuo che manifesta la propria appartenenza al piano della coscienza umana è (in una certa misura) in contatto con i due piani superiori, conosciuti, rispettivamente, come il piano della coscienza dei semidei e il piano di coscienza degli dèi. La ragione per cui i Rosacroce pongono questi tre piani superiori di coscienza in una trinità di cerchi, apparentemente separati dai quattro piani inferiori, è che su questi tre piani superiori di coscienza l’anima individuale manifesta l’autocoscienza, ovvero la coscienza dell’”io sono”, mentre sui quattro piani inferiori la coscienza dell’”io” è totalmente assente, e l’attività mentale è più o meno automatica e istintiva. Nelle forme inferiori di coscienza umana l’attività mentale ed emozionale è poco più elevata di quella degli animali superiori; anzi, in certi casi gli animali sembrano in effetti dimostrare un grado maggiore di potenza intellettuale, sebbene a livello istintivo. Tuttavia, anche nelle forme inferiori di vita umana appare almeno un fioco barlume di autocoscienza, ovvero la convinzione che “io sono io”, quella forma di coscienza per mezzo della quale l’individuo umano diviene consapevole di se stesso come entità individuale. Questo, più che il grado di sviluppo intellettuale, è il caratteristico marchio distintivo dell’essere umano. Figura 11. Simbolo dei tre piani superiori di coscienza Risulta piuttosto diffìcile descrivere chiaramente con le parole la reale differenza tra le forme superiori di coscienza animale e le forme inferiori di autocoscienza dell’essere umano, anche se la differenza tra l’animale superiore e l’uomo superiore è sotto questo riguardo abbastanza marcata. Premessa la difficoltà della spiegazione, si potrebbe dire che mentre anche nel caso dell’animale superiore la coscienza è sempre orientata verso l’esterno, anche nel tipo più basso di uomo è presente almeno una minima traccia di un orientamento della coscienza verso l’interno. L’animale pensa sempre alle cose esterne, mentre l’uomo, anche primitivo, pensa occasionalmente a se stesso, fa di se stesso l’oggetto dei propri pensieri, almeno nel senso del riflettere sui propri sentimenti o idee, confrontandoli con quelli passati. Ovvero, una volta di più, non c’è un “mondo interiore”, o “qualcosa di interno” all’animale, mentre l’uomo è sempre consapevole (almeno in qualche misura) del “qualcosa di interno” in quanto distinto dal “qualcosa d’esterno”. Uno degli esempi preferiti dagli psicologi, da essi impiegato per sottolineare la distinzione tra la coscienza semplice dell’animale superiore e l’autocoscienza dell’essere umano, è descritto di seguito. Un cavallo lasciato al freddo nel nevischio e sotto la pioggia indubitabilmente avverte il disagio della situazione e sente dolore; non è però in grado di analizzare i propri stati mentali e di chiedersi quando il suo padrone verrà fuori a prenderlo, né tanto meno di riflettere sulla crudeltà di essere stato lasciato fuori dalla tiepida stalla. L’animale è consapevole del disagio, proprio come l’uomo, e correrebbe a casa se potesse, proprio come farebbe l’uomo. Non è però capace di compatirsi, né di chiedersi se dopo tutto una simile vita valga la pena di essere vissuta. Esso “sa”, ma “non sa di sapere”, a differenza dell’uomo. L’animale non è capace di conoscersi. Non dobbiamo tuttavia cadere nell’errore di supporre che anche gli uomini meno sviluppati posseggano in grado elevato questa capacità di autocoscienza. Al contrario, in entrambi i casi si può dire che tale forma di coscienza sia presente in uno stadio appena iniziale e “aurorale”, anche se questa aurora rappresenta comunque un netto progresso rispetto alle tenebre della notte mentale. Uno psicologo moderno dice delle forme relativamente superiori di autocoscienza: “Tante persone non hanno mai nulla più che un’idea nebulosa di tale condizione mentale. Esse si fermano ai dati immediati del proprio essere, e non volgono mai lo sguardo alla loro in-teriorità”. Lo sviluppo delle forme superiori di autocoscienza può notarsi nel graduale dispiegamento della mente del bambino, poiché sul piano mentale, non meno che su quello fisico, il cucciolo dell’uomo ripercorre rapidamente tutti gli stadi dell’evoluzione dei suoi remoti antenati. A un determinato stadio dello sviluppo o dell’evoluzione mentale si presenta un momento particolare in cui il bambino pare risvegliarsi all’aurorale coscienza del fatto di essere un individuo, e non un semplice agglomerato di sentimenti e desideri. Fino a un determinato momento il bambino parla di se stesso in terza persona e dice, ad esempio, “Gianni”, “Maria”, ecc. Poi, tutto all’improvviso, parlando di se stesso comincia a utilizzare il termine “io” o “me”; anche se può succedere che commetta errori grammaticali utilizzando tali pronomi non vi è tuttavia mai alcun dubbio che il bambino sappia a cosa essi si riferiscano: egli conosce l’”io sono io”. Alcuni psicologi richiamano l’attenzione sul fatto che molti bambini sperimentano un sentimento affine al terrore quando arrivano per la prima volta a questa coscienza dell’”io”, ovvero dell’individualità. Degli scrittori hanno testimoniato di aver provato uno strano senso di solitudine e di distacco da tutte le altre cose quando questo senso dell’individualità si è imposto per la prima volta nell’infanzia. In alcuni casi la più piena alba dell’autocoscienza si accompagna all’insorgere di una nuova timidezza, riservatezza o a quello stato più o meno patologico comunemente definito “imbarazzo”. All’acquisizione di una capacità d’introspezione spesso si aggiunge la tendenza a impiegare troppo liberamente quest’ultima e divenire così da un lato morbosi, dall’altro scioccamente egocentrici e vani. Uno scrittore afferma giustamente: “Anche se questo senso di separazione e isolamento diviene meno acuto man mano che l’uomo invecchia, tuttavia è sempre presente in un grado maggiore o minore finché non viene raggiunto uno stadio ancora più alto, quando esso svanisce. Questo stadio di imbarazzo è penoso per molti. Tanti si ritrovano invischiati in una matassa di stati mentali che identificano con il proprio io, e la lotta tra l’ego che si sta risvegliando e l’involucro che lo avvolge è in certi casi estremamente dolorosa. Questa lotta diviene sempre più dolorosa man mano che l’individuo procede attraverso questo stadio di imbarazzo e si avvicina al punto in cui ne uscirà. L’uomo mangia il frutto dell’albero della conoscenza e comincia a soffrire, e viene cacciato dal giardino dell’Eden della coscienza infantile in cui l’individuo è vissuto come gli uccelli, senza preoccuparsi degli affari della sua natura superiore. L’uomo paga un caro prezzo per il dono dell’autocoscienza, ma vale la pena di pagarlo, poiché alla fine egli raggiunge vette di coscienza superiore e viene sgravato del suo fardello”. Con la nascente consapevolezza dei propri stati mentali l’individuo giunge a comprendere che anche gli altri esseri umani sono caratterizzati da stati mentali simili, ed egli comincia a interrogarsi e a ragionare circa il funzionamento di tali stati in loro. Poi sopraggiunge il desiderio di comunicare le proprie idee alla mente degli altri, e di appellarsi ai loro sentimenti o alla loro ragione. Tutto ciò favorisce lo sviluppo dell’intelletto e del pensiero logico, che è una caratteristica marcata della coscienza umana in evoluzione. L’uomo comincia a cercare una risposta ai tanti “perché” che gli si presentano, e si sforza di passare con il ragionamento dal conosciuto allo sconosciuto. Poi si dedica a inventare strumenti idonei a produrre le cose che desidera. Attacca il proprio intelletto al carro dei suoi desideri, e lo guida dirigendolo con la volontà, l’auriga. Certo, come abbiamo detto, l’uomo deve pagare un prezzo sempre crescente man mano che avanza nel nuovo territorio dell’esistenza e dell’esperienza cosciente. Più cose conosce, più ne desidera; e più ne desidera, più soffre per non possederle. La capacità di soffrire è il prezzo che l’uomo paga per il suo progresso nella scala dell’autocoscienza, ma ad accompagnarla egli ha una corrispondente capacità di provare piacere. Egli non soffre soltanto il dolore dei desideri insoddisfatti di possesso di cose materiali e quello dei bisogni fisici, ma soffre anche il dolore che nasce dalla mancanza di risposte intelligenti al volume sempre crescente di problemi che si presentano al suo intelletto in evoluzione perché questo li risolva. Soffre an- che il dolore di aspirazioni inappagate, delusioni e ambizioni frustrate. L’animale vive la sua vita ed è soddisfatto, poiché non conosce di meglio. Se ha abbastanza da mangiare, un luogo dove dormire, un compagno, è soddisfatto e non chiede di più: ha pochi bisogni e, anche se il suo grado di felicità è limitato, gli manca la capacità di avvertire il dolore mentale ed emozionale posseduto da chi sta più in alto nella scala. Anche molti uomini sono poco sopra questo stadio: essi si accontentano facilmente, ignorano i desideri insoddisfatti che rendono altri infelici. Non conoscono domande senza risposta: non si immaginano nemmeno che tali domande esistano. Quando l’uomo progredisce, però, i suoi bisogni si moltiplicano, e il suo dolore aumenta. Nuovi bisogni trovano una soddisfazione solo parziale, e la parte non soddisfatta gli causa dolore. La civiltà diventa sempre più complessa, e si manifestano nuovi bisogni e mancanze. L’uomo si attacca alle “cose” e si crea bisogni artificiali che deve sforzarsi di soddisfare. Il suo intelletto spesso non riesce a condurlo in alto, e troppo spesso lo rende meramente capace di inventare nuovi e sottili mezzi e modi per gratificare i propri sensi, in una misura impossibile agli animali o all’uomo primitivo. Alcuni uomini fanno una religione del soddisfacimento della loro sensualità e dei loro appetiti, e sotto questo aspetto sprofondano a un livello inferiore a quello delle bestie. Altri divengono vani, presuntuosi e saturi di un senso gonfiato dell’importanza della loro personalità, oppure morbosamente introspettivi, e passano il tempo analizzando e sezionando i loro stati d’animo, le loro motivazioni e i loro sentimenti. Alcuni esauriscono la loro capacità di provare piacere e felicità cercando quest’ultima fuori di loro anziché in se stessi. Queste, tuttavia, sono le ombre scure proiettate dalla luce luminosa della coscienza umana, le ombre sempre considerate l’opposto di qualsiasi vero progresso o evoluzione. Man mano che l’uomo progredisce nella scala dell’autocoscienza, egli si trova a distaccare gradualmente il proprio senso del sé dai suoi involucri e strumenti di lavoro. Egli comincia a rendersi conto che esiste un “io sono” interno al suo essere, per il quale tutti i sentimenti, le emozioni, i desideri, e anche i pensieri e le idee sono solo accidenti. In questo stadio elevato egli si percepisce come un “io sono” circondato dai propri strumenti e beni mentali ed emozionali: un sole circondato dai suoi mondi e dalle sue attività vorticanti. Egli si rende conto che l’ego non solo è superiore al corpo, ma anche alla “mente” e ai sentimenti, e impara a padroneggiare e a utilizzare intelligentemente il suo corpo, il suo intelletto e le sue emozioni. Uno scrittore famoso ha detto a proposito dell’uomo in questo stadio progredito: “Se siamo disposti a credere in questa padronanza sul corpo, dobbiamo essere pronti a credere anche in quella sui nostri pensieri e sentimenti. Che un uomo debba essere preda di ogni pensiero che occupi casualmente la sua mente viene da noi comunemente considerato inevitabile. Può causare disappunto che egli debba venir tenuto sveglio tutta la notte dalla preoccupazione per l’esito di una causa giudiziaria dibattuta in tribunale l’indomani, ma che egli possa avere la capacità di determinare se lasciarsi privare del sonno o no sembra una pretesa stravagante. L’immagine di una calamità im- minente è senza dubbio odiosa, ma la sua stessa odiosità (diciamo noi) fa sì che essa perseguiti la mente con tanta più insistenza e che sia impossibile espellerla. “Tuttavia è assurdo che l’uomo, il prodotto di una lunga evoluzione, venga tormentato dalle creature incorporee del suo stesso cervello. Se una pietruzza nella scarpa ci tormenta, ci togliamo la scarpa e la buttiamo fuori. Una volta compreso questo concetto, diventa altrettanto facile espellere dalla mente un pensiero intrusivo e spiacevole, e su questo fatto non ci dovrebbero essere disparità d’opinione. La cosa è ovvia, chiara e inequivocabile. Fino a che un uomo non sarà capace di espellere i pensieri negativi dalla sua mente non ha senso parlare del suo potere sulla natura, e di tutto il resto. Egli è un semplice schiavo, una preda per i fantasmi dalle ali di pipistrello che svolazzano lungo i corridoi del suo cervello. Tuttavia i volti stanchi e tirati che incontriamo a migliaia, anche nell’ambito delle classi sociali più benestanti della nostra società, dimostrano fin troppo chiaramente quanto raramente venga ottenuta tale padronanza. Quanto raramente, infatti, ci si imbatte in un uomo. Come è comune invece scoprire una creatura tormentata dalla tirannia dei suoi pensieri (o delle preoccupazioni e dei desideri), che si fa piccola e si contorce a ogni frustata, o che magari si vanta di correre felice al comando di un guidatore che fa schioccare le redini e lo persuade di essere libero, e con il quale non possiamo mai parlare serenamente a quattr’occhi perché quella presenza aliena è sempre lì, di guardia. “Uno degli insegnamenti più carichi di conseguenze di certe scuole di filosofia occultistica è che si deve raggiungere la capacità di espellere i pensieri o, se necessario, ucciderli sul nascere. Naturalmente questa è un’arte che richiede esercizio ma, al pari di altre arti, una volta acquisita, è scevra di misteri o difficoltà. Vale la pena di esercitarsi poiché la vera vita ha inizio soltanto quando si diventa padroni dei propri pensieri. Invece di essere governati dalla loro immensa moltitudine, varietà e potenza, questa capacità di controllo si mette a nostra disposizione e la vita diviene una cosa così vasta e grandiosa in confronto a ciò che era prima, che la sua precedente condizione può ben sembrare quasi prenatale. Chi è in grado di uccidere un pensiero, è in grado di farci ciò che vuole. Questo potere non solo libera l’individuo dal tormento mentale (che rappresenta almeno i nove decimi delle sofferenze della vita), ma gli conferisce una capacità di concentrazione e di realizzazione dei propri scopi, assolutamente sconosciuta a lui prima di allora. Uno dei fattori determinanti è il riuscire a passare dalla massima concentrazione al riposo assoluto, senza alcuna agitazione, in cui l’uomo deve ritirarsi in quella regione della sua coscienza ove dimora il suo vero io.” Se il lettore riuscirà a padroneggiare questi concetti, diverrà davvero padrone della sua mente. Se poi riuscirà a estenderli al campo delle sue emozioni, riuscirà a dominare anch’esse, un risultato, questo, di inestimabile valore. Tuttavia, prima di procedere scoprirà che è necessario giungere alla piena realizzazione del fatto che il suo sé, il suo “io” reale, è un qualcosa di superiore al suo pensiero e alle sue emozioni, e di trascendente rispetto a essi. Egli deve pervenire a una vivida realizzazione dell’”io sono”, prima di poter sperare di essere legittimato a dire “io opero” in riferimento a queste importanti acquisizioni. Gli antichi maestri rosacrociani usavano dire: “Solo quando l’io sa di essere il sé e il maestro, allora è in grado di sedersi sul suo trono e di imporre la sua volontà sui sudditi nel mondo dei pensieri, dei desideri, dei sentimenti e delle emozioni”. Non solo può l’”io” illuminato manifestare il proprio potere, ma può far valere la sua volontà in quella regione che la psicologia popolare moderna ha deciso di chiamare il “subconscio”. Non si tratta di altro che di quella grande regione della mente che si trova oltre i limiti del campo dell’attenzione cosciente. È in quella grande regione che si svolge gran parte dell’attività di pensiero dell’uomo medio, e i suoi risultati si riflettono in modo più o meno casuale nel campo della sua attenzione. Senza entrare troppo profondamente nel tema diremo qui che l’uomo che ha afferrato la realtà e il potere dell’”io” è in grado di impartire dei veri e propri ordini a questa parte della sua mente. Diventa cioè in grado di fargli compiere il lavoro di classificazione del pensiero, induzione e deduzione, ma anche di fargli presentare alla sua attenzione cosciente, in qualsivoglia momento e luogo, la relazione sul lavoro svolto. I padroni della mente si risparmiano così gran parte della fatica degli ordinari processi intellettivi, e ottengono risultati logicamente perfetti e pronti all’uso, secondo la quantità di addestramento e la direzione che hanno saputo imporre alle suddette regioni della mente. In conclusione, vorremmo richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che l’individuo ordinario diventa cosciente soltanto su alcuni sottopiani e sottodivisioni inferiori del piano della coscienza umana; e che esistono meravigliose regioni all’interno del grande piano che attendono di essere esplorate da uomini saggi e dalle lontane generazioni future. I saggi non attendono l’evoluzione del grosso dell’umanità, che richiederà secoli, ma prendono la scorciatoia che conduce ai sottopiani superiori per mezzo di un attento addestramento indicato da maestri capaci che hanno dimostrato la virtù e il valore dei metodi conosciuti e insegnati dagli occultisti più progrediti per migliaia di anni; gli insegnamenti rosacrociani rappresentano uno splendido esempio dei risultati raggiunti. Anche senza arrivare ai due piani di coscienza ancora superiori, gli illuminati possono raggiungere vertici di conquiste mentali, ben al di sopra di quelle che l’individuo ordinario può a malapena sognare. VI. Il piano della coscienza dei semidei Esiste un piano di coscienza talmente più elevato del piano più alto della coscienza umana, che i Rosacroce hanno applicato a esso il nome un po’ fantasioso di “piano della coscienza dei semidei”. Questo perché l’individuo che raggiunge questi vertici è talmente superiore al semplice uomo che sembra essere “quasi pari agli dèi”. I Rosacroce insegnano che su questo piano dell’essere dimorano certe anime assai progredite, un tempo uomini, ma ora quasi dèi se comparati agli uomini, che collaborano alla grande opera del progresso della razza umana nel corso generale dell’evoluzione spirituale. L’insegnamento rosacrociano prevede che la razza umana nella sua interezza si stia lentamente evolvendo in direzione di questo elevato piano di coscienza e che sia destinata in un lontano futuro a raggiungerla. Nel frattempo, tuttavia, determinate anime progredite hanno trasceso il piano umano e sono passate a un piano superiore, dal quale aiutano e assistono il resto dell’umanità. Inoltre all’individuo il cui sviluppo è rapido, per una o più di tante cause ben conosciute, vengono a tratti “lampi di coscienza” dal summenzionato piano superiore, aprendo un contatto cosciente momentaneo con esso. Le pagine dei documenti mistici sono piene di attestazioni di esperienze di questo tipo. In determinate forme di fervore poetico, esaltazione religiosa ed esperienza mistica sopraggiungono tali lampi, la cui azione viene puntualmente attestata dagli individui che la sperimentano. Il modo in cui essi la ricordano di solito riflette la filosofia, la religione o le convinzioni generali della persona che sperimenta il contatto o l’”illuminazione”, poiché la persona stessa non si rende conto pienamente di quale sia la sorgente da cui è venuto il lampo di verità. In anni recenti, molte di queste esperienze sono state classificate e incluse da vari autori nelle loro opere sotto il titolo generale di “coscienza cosmica”. Nella maggior parte dei casi le persone che hanno avuto il beneficio di tali esperienze e coloro che le hanno documentate sono dell’opinione che tale lampo di coscienza sia il massimo concesso all’uomo. Tuttavia, per quanto meravigliose queste esperienze appaiano, esse sono nella maggior parte dei casi soltanto lampi d’intuizione della luce di alcuni dei sottopiani inferiori del grande piano dei semidei: esisto- no, infatti, innumerevoli piani superiori che attendono lo sviluppo dell’essere perché questo possa sperimentare la loro luce e la loro gloria, e al di là di tutti questi sta il piano più elevato di tutti, il piano degli dèi, per il quale tutto il resto è soltanto una pallida ombra della realtà. Il tratto caratteristico del piano di coscienza dei semidei è quello dell’unione con la vita universale, la coscienza della vita del manifesto nella sua interezza. Pur naturalmente variando per grado e forma, è questo il tratto caratteristico di tutte le esperienze legate a tale grande piano di attività cosciente. Su questo piano l’individuo si sente in stretto contatto con tutto il resto della creazione, una parte del Tutto (non separata da esso). Il contatto anche fugace con questo piano dell’essere rappresenta la comune “esperienza mistica”, celebrata da saggi, veggenti, poeti e anime illuminate di tutte le epoche, riguardo alla quale essi hanno cercato di informarci con parole inadeguate al compito. Lo studio di questi resoconti mistici getta una grande luce sul tema, ed è ben meritevole del tempo e dell’attenzione di tutti gli studiosi seri della dottrina dei Rosacroce. Il lettore deve sempre ricordare, tuttavia, che tali esperienze non esauriscono quanto vi è da scoprire su questo tema, né rappresentano una parola di verità definitiva. Per quanto pregevole sia questa parte della dottrina, non deve mai essere scambiata per la vetta più alta della montagna della verità. Per coloro che hanno sperimentato i lampi dell’illuminazione, o il barlume del fuoco della coscienza cosmica (due classi di fenomeni le quali entrambe appartengono al piano della coscienza dei semidei), è sopraggiunta la consapevolezza dell’effettiva unità della vita dell’universo, nonché del fatto che l’universo sia animato da una vita che è diffusa in ogni porzione della sua estensione e manifestazione, permeandola. Essi hanno ormai raggiunto la certezza che nell’universo non vi sia nulla di “morto”, e che ogni parte e porzione di esso, individuale o collettiva, sia imbevuta di vita. Non solo questo, ma almeno nel momento dell’esperienza fatta essi hanno potuto avvertire con la massima sicurezza che l’individuo è in contatto con questa vita una, e rappresenta un centro di attività nel suo ambito. Va altresì notato che in simili esperienze non è presente soltanto una convinzione intellettuale circa la verità dei fatti appena ricordati, ma al contrario si manifesta anche una vera e propria “conoscenza” diretta e immediata di tali fatti. L’individuo che ha quest’esperienza conosce queste cose così come sa di essere vivo e presente nell’universo. Risulta impossibile comunicare l’esatta natura di tale coscienza a chi non abbia intravisto almeno un fugace lampo di essa. La si può descrivere soltanto nei suoi termini propri. Nella maggior parte di questi casi, mentre la coscienza vera e propria svanisce dopo pochi attimi, rimane però un ricordo che non abbandona più l’individuo, e che gli fornisce una tale certezza della verità di cui è stato testimone, che nulla potrà mai scuotere le sue convinzioni al riguardo. Va ricordato che questi lampi di coscienza sono premonizioni di quello stadio di coscienza che in un imprecisato futuro diverrà lo stato normale dell’umanità. Non va neanche dimenticato che esiste al mondo un gruppo di anime progredite per le quali questo stadio è quello normale e abituale, e in cui è sempre presente una piena e attuale coscienza dell’unità della vita universale. Tali individui sono davvero semidei in confronto all’essere umano medio. Alcune delle grandi guide dell’umanità, fondatori di grandi religioni e altre figure di questo tipo, erano sature di questa consapevolezza e si sforzarono di renderla manifesta in forma velata ai loro seguaci che non erano abbastanza forti per sopportare il peso della verità nella sua interezza. Molte di queste grandi anime sono ancora presenti in carne e ossa sulla terra, essendosi incarnate in nuove forme, e continuano la loro opera cercando di elevare l’umanità. Un poeta moderno, nell’esprimere la propria convinzione circa l’universale unità della vita, utilizza termini che risulteranno familiari a tutti coloro che hanno avuto lampi di coscienza cosmica, scrivendo: “Poiché il Tutto è Uno, e ognuno è parte di ogni parte, Mai da esse diviso, ad esso sempre unito, E il sangue della Vita ha un solo cuore che batte, In Dio, nella zolla di terra e in Me!”. Walt Whitman, che aveva sperimentato personalmente la coscienza cosmica, dice di tale esperienza: “Come in un deliquio, in un attimo Un altro sole, ineffabile, mi abbaglia completamente E tutti i pianeti che conoscevo, e pianeti sconosciuti, più luminosi, Un attimo della terra futura, la terra del Cielo. “Non posso essere sveglio, poiché nulla mi appare come mi appariva prima, O invece sono sveglio per la prima volta, e tutto prima è stato un sonno pesante. “Quando cerco di raccontare il meglio che trovo, non mi riesce; La mia lingua è inefficace sui suoi cardini, Il mio respiro non obbedirà ai suoi organi, Divengo un uomo muto”. Tennyson, secondo i suoi amici, godeva di barlumi e lampi di coscienza cosmica, e in molte sue poesie ha dato espressione ai pensieri e ai sentimenti legati a quegli istanti. I versi che seguono ne sono un ottimo esempio: “Poiché la conoscenza è la rondine sul lago Che vede e ne smuove l’ombra di superficie, Ma non si è ancora mai tuffata nell’abiisso, L’Abisso di tutti gli Abissi, al di sotto, compreso Nell’azzurro del cielo e del mare, nel verde della terra, E nel milionesimo del granello Che continua a scindersi all’infinito E sempre svanendo, non svanisce mai... E più, figliolo, più di una volta quando io Sedevo da solo, rivoltando in me stesso Quella parola che è il simbolo di me stesso, Il simbolo mortale del Sé si sciolse, E passò nel Senza Nome, così come una nube Si scioglie nel cielo. Toccai le mie membra, le membra Mi erano estranee, non mie; eppure non un’ombra di dubbio, Ma totale chiarezza, e attraverso la perdita del Sé Il guadagno di una vita così ampia che confrontata alla nostra Era il Sole accanto alla scintilla, non adombrabile in parole, Esse stesse soltanto ombre di un mondo d’ombra”. Il dottor Maurice Bucke, di Toronto, alcuni anni fa pubblicò un libro intitolato La coscienza cosmica, in cui raggruppava svariate interessanti esperienze su questa stessa linea, raccontate da chi ne era stato protagonista. Lo stesso dottor Bucke, insieme all’amico Walt Whitman e altri, aveva sperimentato lampi di questo medesimo stadio di coscienza. Egli trasse dalla considerazione di tali esperienze la seguente idea generale: “Sovrapposta all’autocoscienza, così come questa lo è alla coscienza semplice, una terza e più alta forma di coscienza si sta manifestando in questo momento nell’umanità. Tale forma appare all’epoca della piena maturità dell’individuo, intorno all’età di trentacinque anni, e comunque quasi sempre tra i trenta e i quaranta. Negli ultimi due secoli se ne sono avuti casi sporadici, ma ora essa sta divenendo sempre più comune. In verità, sotto tutti gli aspetti fin qui osservati, essa obbedisce alle leggi a cui è soggetta ogni nuova facoltà. Si hanno oggi nel mondo molti esempi più o meno perfetti di questa nuova facoltà, ed è stato mio privilegio conoscere personalmente e avere la possibilità di studiare diversi uomini e donne che la possedevano. Nel corso di qualche altro millennio dovrebbe nascere dall’attuale razza umana un tipo superiore di uomo, in possesso di questo tipo superiore di consapevolezza. Tale nuova razza, come è legittimo defi- nirla, verrebbe ad occupare rispetto a noi una posizione simile a quella da noi occupata rispetto all’”alulus homo” dotato di coscienza semplice. L’avvento di questa razza superiore, migliore e più felice semplicemente giustificherebbe le interminabili doglie della sua nascita attraverso epoche innumerevoli del nostro passato. È il primo articolo del mio credo, parte dei cui fondamenti ho cercato di illustrarvi, che una nuova razza è in corso di evoluzione”. In un’altra parte del suo libro, il dottor Bucke indica le seguenti caratteristiche generali del particolare tipo di esperienze da lui documentate: “Negli ultimi tre anni ho raccolto ventitrè testimonianze di casi della cosiddetta coscienza cosmica. In ciascun caso il presentarsi o l’insorgere della nuova facoltà è sempre improvviso, istantaneo. Tra i sentimenti inusuali che la mente sperimenta vi è un improvviso senso di immersione in una fiamma o in una luce brillante. Ciò accade senza alcun motivo esterno di preoccupazione, e può succedere a mezzogiorno o nel mezzo della notte, facendo ritenere alla persona interessata di stare impazzendo. A queste sensazioni si accompagna un senso di immortalità: non un semplice sentimento di certezza circa una vita futura, il che sarebbe poca cosa, ma una precisa coscienza che la vita che si sta vivendo è eterna, e che la morte è soltanto un trascurabile incidente che non ne mina la continuità. Un elemento ulteriore è dato dall’annichilimento del senso del peccato e da una straordinaria lucidità intellettuale, impossibile sul piano ordinario e che rimanda a un piano superiore e interamente nuovo (...). L’umanità cosmicamente conscia non sarà quella che esiste oggi, così come quella attuale non coincide con l’umanità precedente allo sviluppo dell’autocoscienza. Una nuova razza sta nascendo dalla nostra, ed essa in un prossimo futuro possiederà la terra”. Emerson, nel suo straordinario saggio La superanima, lascia chiaramente trasparire una conoscenza personale dell’esperienza che abbiamo collegato alla cosiddetta “coscienza cosmica”. Le seguenti citazioni serviranno a chiarire il suo pensiero su tale argomento: “Sempre, credo, per necessità della nostra costituzione, un certo entusiasmo accompagna la consapevolezza che l’individuo ha della presenza divina. Il carattere e la durata di questo entusiasmo varia con lo stato dell’individuo, passando dall’estasi, la trance e l’ispirazione profetica, che ne rappresenta una manifestazione più rara, al più tenue bagliore di emozione virtuosa, nella cui forma esso riscalda come i nostri focolari domestici tutte le famiglie e le associazioni degli uomini, rendendo possibile la società. Una certa tendenza alla follia ha sempre accompagnato negli uomini lo sbocciare del sentimento religioso, come se questi ‘avvampassero dopo un’esposizione a una luce troppo violenta’. La trance di Socrate, l’unione di Plotino, la visione di Porfirio, la conversione di Paolo, l’aurora di Böhme, le convulsioni di John Fox e dei suoi quaccheri, l’illuminazione di Swedenborg appartengono a questo tipo di follia. Ciò che nel caso di questi importanti personaggi era un rapimento, in innumerevoli esempi della vita comune si è manifestato in forme meno appariscenti. Dappertutto la storia della religione tradisce una tendenza all’entusia- smo. L’estasi dei Moravi e dei Quietisti, lo schiudersi del significato interiore della Parola nel linguaggio della chiesa della Nuova Gerusalemme, la rinascita delle chiese calviniste, le esperienze dei metodisti sono tutte variazioni di quel brivido di timore reverenziale e di gioia con cui l’anima individuale si unisce all’anima universale. La natura di queste rivelazioni è sempre la stessa: esse sono percezioni della legge assoluta, risposte alle domande che l’anima stessa si pone. L’anima non risponde mai con le parole, ma presentando la cosa stessa che viene cercata (...). Noi viviamo nella successione, nella divisione, nelle parti, nelle particelle. Allo stesso tempo all’interno dell’uomo è presente l’anima del tutto, il saggio silenzio; la bellezza universale, a cui ogni parte e particella è equamente correlata; l’Uno eterno. Questa potenza profonda in cui esistiamo e la cui beatitudine è tutta accessibile a noi, non soltanto è autosufficiente e perfetta in ogni momento, ma l’atto di vedere e la cosa vista, l’osservatore e lo spettacolo osservato, il soggetto e l’oggetto sono uno. Noi vediamo il mondo pezzo a pezzo, come il sole e la luna, l’animale, l’albero; ma l’intero, di cui queste sono le parti luminose, è l’anima. È solo tramite la visione di quella saggezza che l’oroscopo delle età può essere letto, ed è solo appoggiandoci ai nostri pensieri migliori, cedendo allo spirito di profezia che è innato in ogni uomo, che possiamo intendere ciò che dice. Le parole di ogni uomo che parla da quella vita devono necessariamente suonare vane a quelli che dal canto loro non dimorano nello stesso pensiero. Io non oso parlare per essa. Le mie parole non trasmettono il suo senso augusto; esse suonano inadegua- te e fredde. Solo essa stessa può ispirare chi vorrà, e, meraviglia, il loro eloquio sarà lirico e dolce, e universale come l’alzarsi del vento. Tuttavia desidero, sia pur con parole profane, se non posso usare quelle sacre, indicare il cielo di questa divinità, e rivelare quali indizi ho raccolto della semplicità ed energia trascendente della Legge Suprema”. Così, questi sono i riferimenti generali alla natura e al carattere di questi barlumi della coscienza universale, che gli uomini qui e lì hanno sperimentato in tutti i tempi. Consideriamo adesso i poteri suscitati in coloro a cui si sono manifestati barlumi (o più) di questa coscienza. Poiché un incremento di “conoscenza” porta sempre con sé un incremento di potere, secondo la legge di causa ed effetto. In primo luogo, il possesso da parte di un individuo anche soltanto di una tenue traccia iniziale di questa coscienza universale, con qualsivoglia nome la si voglia chiamare, lo dota di una certa “comunanza” con tutto il resto della vita. Con un’intuizione sottile egli può, in circostanze favorevoli, parlare, scrivere, dipingere, recitare o produrre musica rappresentando fasi di attività vitale, mentale ed emozionale a prescindere da qualsiasi effettiva esperienza personale. Un simile individuo si mette in rapporto o in sintonia con la molteplice varietà delle forme viventi ed è capace di produrne una rappresentazione tramite espressioni proprie. È questo il segreto del genio dei grandi artisti, scrittori, musicisti, poeti e altri che esprimono attraverso i propri rispettivi mezzi o veicoli i messaggi che ricevono da altre forme di vita con cui sono connessi da sottili filamenti di unione. Un simile individuo può “pe- netrare” (con l’immaginazione) le esperienze vitali di qualsiasi forma di vita, nessuna esclusa, e poi rappresentarle in forma visibile o udibile in un grado che dipende dal loro stesso sviluppo. Inoltre, simili individui sono “universali” nelle loro simpatie, e sanno rendersi partecipi delle emozioni di qualsivoglia forma di vita con cui entrano in contatto. Come conseguenza di ciò, essi tendono a ispirare in altre persone e creature viventi sentimenti di simpatia, comunanza e comprensione. Molte delle grandi anime illuminate della razza umana, possedendo almeno in qualche grado tale coscienza, si sentono a casa propria dappresso a tutti modi e le condizioni dell’umanità, e in molti casi anche con le forme di vita inferiore. La simpatia è stata definita “un sentimento di comunanza”, e si può vedere subito che quando un individuo prova tale sentimento con tutta la vita, allora si crea una serie di legami di simpatia e unità che servono a unirlo più o meno saldamente a tutte le cose viventi. Nel caso dei grandi maestri della razza umana, come i fondatori delle grandi religioni e anime simili, vediamo agire quella simpatia universale e quella comprensione per la vita tutta che ne fanno degli uomini speciali, e conferiscono loro quella universalità che li rende cittadini di tutte le nazioni e abitanti di ogni tempo. Ancora, riscontriamo che molti individui di questo tipo esercitano su altre forme di vita e sulle cose un certo potere di attrazione che consente loro di attrarre a sé quelle condizioni, quegli ambienti e quelle persone più adatte al loro benessere e alla loro felicità, e che inoltre conferisce loro certi poteri sulla natura definiti da qualcuno “mira- colosi”. Colui che è consapevolmente identico alla natura è capace di operare “miracoli” con essa. Non possiamo approfondire troppo questo tema qui e adesso per svariate ottime ragioni, ma quanto detto rappresenta una valida indicazione per coloro che sono preparati ad ascoltare e comprendere la verità riguardo a determinate fasi della vita e della natura. Ciò che abbiamo illustrato fin qui riguardo agli individui che dimostrano lampi o barlumi di questa fase di coscienza, si applica in grado di gran lunga maggiore a quanti abbiano pienamente penetrato i sottopiani superiori di questo grande piano di coscienza. Su questo pianeta e su altri dimorano esseri così pienamente svegli ed evoluti da sembrare soprannaturali per l’ordinario essere umano. Molti esseri simili svolgono importanti funzioni per il progresso della razza umana e il miglioramento dell’umanità e sono stati considerati angeli o semidei dalla gente ordinaria con cui in passato sono venuti in contatto. Molti di loro sono gli aiutanti invisibili la cui presenza si è manifestata a innumerevoli individui durante momenti particolarmente difficili della loro vita. I maghi bianchi dell’umanità appartengono ai livelli superiori di questo grande piano di coscienza. Purtroppo, anche coloro che sono noti come maghi neri sono riusciti a “penetrare nel Regno dei Cieli” su questi piani, e hanno prostituito il proprio potere. A questo punto è importante sapere che su di essi si abbatterà inevitabilmente la punizione della natura stessa, costringendoli a unirsi alle legioni della luce, oppure disintegrandoli per mezzo di quelle stesse forze della natura che hanno messo in azione per i loro scopi egoisti e ignobili. VII. Il piano della coscienza degli dèi Se, come abbiamo visto, è molto difficile parlare in termini comprensibili degli stadi di vita e di attività sul piano di coscienza degli semidei, quale potrà essere la difficoltà nell’anche semplicemente alludere alla vita e alle attività del piano più alto di tutti, il piano della coscienza degli dèi? Su questo dimorano esseri così in alto nella scala della conoscenza, della potenza, della vita e della beatitudine, che persino l’immaginazione del maestro più esperto riesce a malapena ad afferrare l’idea. Questo, in verità, è il piano di esseri così progrediti da risultare affini nelle loro caratteristiche alle divinità create dall’uomo per spiegare l’universo e per servire da oggetto di venerazione. Nessuno fra tale moltitudine di essere ascesi può però essere identificato con Dio, nel senso del Genitore Eterno, ovvero della Realtà Infinita. Anche il più eccelso tra essi ha limiti e restrizioni, e tutti sono soltanto manifestazioni dell’infinito non manifesto. Ciascuno di questi esseri elevati ha avuto il suo principio e la sua nascita nella manifestazione, e ciascuno alla fine perirà scomparendo nell’infinito non manifesto, ove qualsiasi senso di distinzione e di personalità verrà annullato. I maggiori esperti ci informano che l’elemento caratteristico di questa forma somma di coscienza è la consapevolezza dell’individuo di essere identico all’infinito, e di esserne solo apparentemente separato dal più tenue sottile velo dell’illusione. Per quanto possa sembrare strano a chi abbia poca familiarità con l’argomento, barlumi e lampi di tale coscienza filtrano in rari casi nella coscienza di individui di questo mondo. Molte anime coraggiose e menti acute degli illuminati hanno effettivamente perforato il velo di questo piano, e sono stati quasi accecati dalla luce che li ha investiti. La considerazione di questo piano di coscienza deve essere interrotta qui, per ragioni che l’occultista esperto intuirà immediatamente, e che al meno avveduto lettore dobbiamo assicurare essere assai valide. Molti, non preparati per la piena luce, devono essere protetti dalla cecità spirituale e mentale causata da un’eventuale esposizione ai suoi raggi prima di essersi abituati a una luce di verità meno intensa. Sta sicuro, tuttavia, o lettore, che quando i tuoi occhi saranno pronti a guardare direttamente la sacra fiamma, essa non ti verrà più nascosta. La verità nei simboli Vi sono determinate verità che non possono essere bene formulate con le parole, ma che possono essere almeno parzialmente espresse in simboli. Per coloro che avvertono un desiderio di penetrare più in profondità nel mistero dei tre piani superiori di coscienza, richiamiamo la loro attenzione sul simbolo che accompagna questo capitolo del libro. Un mondo di conoscenze e di importanti informazioni nascoste si cela in questo simbolo, inaccessibile ai più, ma almeno parzialmente accessibile ai pochi. A essi offriamo i seguenti suggerimenti riguardo a questo simbolo. Richiamiamo la vostra attenzione sul fatto che ciascun cerchio del simbolo si interseca con gli altri due. Di conseguenza nell’estensione circolare di ciascun cerchio si tro- veranno quattro differenti spazi o settori, nel modo seguente: (1) uno spazio o settore individuale e non comune agli altri; (2) lo spazio o settore di intersezione con uno dei cerchi vicini, spazio a forma di scudo; (3) lo spazio o settore di intersezione con l’altro cerchio vicino, spazio a forma di scudo; (4) lo spazio o settore al centro stesso del simbolo, determinato dall’intersezione di ciascun cerchio con entrambi gli altri, e che è quindi uno spazio uno e trino. Ancora, questa disposizione ci lascia vedere sette spazi distinti, nel modo seguente (dando a ciascun cerchio il nome di una lettera, rispettivamente A, B o C): I. cerchio A; II. cerchio B; III. cerchio C; IV. spazio A-B; V. spazio A-C; VI. spazio B-C, e finalmente settore A-B-C, al centro. Vi sono così tre aree non comuni, tre aree di intersezione tra due elementi e infine, un’area di intersezione fra tre elementi. Quest’ultima utilizza al suo interno tutti e tre gli elementi in proporzioni uguali. Chi aspira alla luce risolva l’enigma del simbolo! Parte IX L’anima settupla dell’uomo Il settimo aforisma L’anima dell’uomo è settupla, eppure una in essenza; lo sviluppo spirituale dell’uomo ha come fine la scoperta di se stesso dietro il settuplo velo. In questo settimo aforisma della creazione, il Rosacroce è invitato a concentrare la sua attenzione sul concetto dell’anima settupla dell’uomo, che nel linguaggio figurativo dei mistici rappresenta i sette veli che nascondono all’uomo (ma al contempo gli rivelano) il suo vero io. Questo concetto viene rappresentato dai Rosacroce tramite il simbolo della figura di un uomo circondato da sette contorni. L’uomo stesso, nella sua essenza, è rappresentato dallo spazio vuoto circoscritto dal contorno più interno, e ciascuno dei “veli che nascondono ma al contempo rivelano” è rappresentato da un contorno, facente parte di una serie di sette. La serie di contorni, va notato, è inclusa nel cerchio che rappresenta l’infinito non manifesto. Il simbolo va interpretato nella maniera seguente: (1) l’infinito non manifesto si manifesta nell’anima elementare; (2) l’anima elementare assume la forma esteriore della sostanza minerale; (3) dall’anima minerale si sviluppa l’anima vegetale; (4) dall’anima vegetale si sviluppa l’anima animale; (5) dall’anima animale si sviluppa l’anima umana; (6) l’anima umana evolve nell’anima dei semidei; (7) l’anima dei semidei si sviluppa nell’anima degli dèi; e, finalmente, l’anima degli dèi si risolve un’altra volta in puro spirito, rappresentato dallo spazio vuoto al centro del simbolo. Questi concetti verranno meglio compresi da quanti abbiano studiato attentamente i capitoli precedenti sui sette piani di coscienza. Figura 12. Simbola dell’anima settupla Si noterà che mentre questi sette veli servono a nascondere il vero io, nel senso che gli impongono limiti e forma, la presenza dello spirito è rivelata dai contorni. Gli antichi maestri erano soliti illustrare questo occultamentorivelazione tramite un pezzo di tenda sottile e trasparente appesa a coprire lo spazio vuoto di una porta o di una finestra aperta, attraverso cui soffia il vento. La tenda copre (e così nasconde) il vento che soffia, pur lasciando intravedere una forma che rappresenta il soffio e la presenza del vento, in questo modo rivelandolo. Un altro esempio usato era quello di una mano invisibile e non percepibile, su cui venivano infilati sette guanti, l’uno sopra l’altro. I guanti erano pieni, la presenza della mano svelata, ma ciascun guanto era destinato a essere scambiato per la mano stessa. La mano riesce a provare soltanto sensazioni attutite ed è impedita nei movimenti quando i guanti la coprono. Tuttavia, man mano che i guanti vengono sfilati, la sensibilità della mano aumenta e diviene capace di svolgere operazioni più complesse; senza nemmeno un guanto essa è, però, invisibile persino al suo possessore. Consideriamo adesso brevemente ciascuno dei veli con cui lo spirito viene nascosto e al contempo rivelato. I. L’anima elementare Esiste solo una VERA anima, naturalmente. Quando i Rosacroce parlano dell’”anima elementare” intendono semplicemente l’anima rivestita degli indumenti della sostanza elementare, che se da un lato nasconde la sua vera natura, dall’altro serve a rivelarla nella manifestazione. Rifacendoci agli elementi del simbolo potremmo dire che l’infinito non manifesto si riveste prima dell’indumento della sostanza universale, o si avvolge nel suo velo. La sostanza elementare, nel senso in cui il termine è qui impiegato dai Rosacroce, è una forma di sostanza estremamente sottile e tenue, che può essere considerata l’antenata della più sottile forma di materia oggi nota alla scienza. Essa sta molto dietro il piano degli elettroni, degli ioni o dei corpuscoli di cui la materia è composta. L’anima elementare rappresenta il modello su cui viene costruito l’ordinario corpo fisico. È il “fantasma” del corpo fisico e sopravvive dopo la disintegrazione di quest’ultimo. L’intelligenza o coscienza che si manifesta in questo ambito di sostanza è abbastanza semplice ed elementare, e svolge semplicemente la funzione di fornire e alimentare un modello o una forma su cui il corpo fisico ordinario viene costruito. Tale anima incorporatasi, come detto, nella sostanza elementare, è quel qualcosa che gli uomini hanno sempre chiamato fantasma, corpo eterico, corpo fluidifico, doppio, spettro, o apparizione. A volte è stato chiamato corpo astrale, ma erroneamente, poiché come gli occultisti sanno bene, il vero corpo astrale è qualcosa di molto diverso. Quest’anima elementare sopravvive alla dissoluzione del corpo fisico dell’individuo a cui apparteneva, e in determinate condizioni e circostanze può diventare visibile ai viventi, apparendo come il fantasma della persona defunta. Quando dopo la morte fisica l’anima elementare si è ridotta a un involucro di cui i più elevati veicoli dell’anima si sono sbarazzati (ed è stata inoltre liberata dalla parziale o completa dissoluzione del corpo fisico) diventa soltanto un guscio che mantiene la forma e l’aspetto del corpo stesso, ed è quasi privo di vita, sebbene rimanga tenuto insieme dalla forza di coesione delle sempre più deboli vibrazioni. Così ridotta, l’anima elementare non possiede né intelligenza, né coscienza al di là di quelle necessarie a tenere insieme la sua sostanza. Può essere considerata in tutto e per tutto come nulla più che una massa di vapore denso che assume la forma di un essere umano, ed è destinata a essere presto disintegrata al livello del suo piano di appartenenza. II. L’anima minerale Con il termine “anima minerale”, i Rosacroce intendono indicare l’anima incorporata nella sostanza minerale o chimica di cui è composto il corpo fisico. Per minerale intendiamo parlare di sostanze inorganiche aventi una precisa composizione chimica e non di sostanze animale o vegetali. Non è necessario richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che la sostanza di cui è composto il corpo fisico è a sua volta composta di determinate sostanze chimiche o minerali, quali l’ossigeno, il carbonio, l’idrogeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo, il ferro e altri elementi chimici. Cremate un corpo e la maggior parte della sua materia svanirà sotto forma di vapore acqueo (composto di ossigeno e di idrogeno) e di altri gas, il rimanente essendo composto di altri elementi chimici o minerali. Il corpo fisico è costruito con elementi minerali e chimici trasformati dall’azione della chimica vegetale in protoplasma, e quindi assorbiti dall’uomo come cibo sotto forma di vegetali o di carne animale. La base di tutta la materia organica è la sostanza chimica o minerale. I protoplasma, la base della sostanza organica, vegetale o animale, si è sviluppato dal carbonio, quello stesso elemento che si presenta come carbone, diamante o grafite. La base fisica dei corpi degli animali e delle piante è unicamente minerale o chimica, e tutti questi corpi sono costruiti con il materiale chimico originariamente fornito dalla terra, dall’aria e dall’acqua. L’intelligenza e la coscienza proprie dell’anima minerale sono semplicemente quelle richieste dai processi puramente chimici del corpo, e dalla coordinazione e regolazione delle particelle chimiche e minerali di cui il corpo è composto. La vita del corpo fisico presuppone importanti processi chimici, molti dei quali estremamente complicati; così complicati, in verità, che essi non possono essere riprodotti e duplicati in laboratorio. Tali importanti processi sono sotto il controllo e la direzione dell’anima minerale, dell’anima presente nella sostanza chimica e minerale di cui è composto il corpo. Questi processi non sono meramente meccanici: essi sono il prodotto dell’intelligenza e della coscienza, e risultano impossibili senza l’apporto di tali forze mentali. Quando il corpo fisico viene gettato via dall’anima al momento della morte, inizia a decomporsi a partire dalle sostanze organiche di cui è composto, vale a dire il materiale organico vegetale e animale che si riduce ai suoi elementi minerali e chimici. Successivamente, anche questi si risolvono nelle loro forme e condizioni più semplici, e vengono utilizzati come materiali di costruzione dei corpi di altri tipi di creature viventi. III. L’anima vegetale Con il termine “anima vegetale” i Rosacroce intendono indicare l’anima presente nella sostanza cellulare vegetale di cui una porzione assai estesa del corpo umano fisico è composta. A parte gli scienziati e gli occultisti, pochi si rendono conto di quanta parte dei processi del corpo umano e animale sia in realtà di natura vegetale. La crescita del tessuto corporeo, di parti e di organi, ha un carattere marcatamente vegetale. Recenti scoperte fatte nei laboratori biologici e nel settore della chirurgia ci hanno dimostrato che non solo porzioni di pelle e di ossa possono essere trapiantate da un corpo all’altro e fatti crescere nel nuovo corpo altrettanto bene che nel vecchio, ma che anche parti del corpo umano e i suoi organi possono essere asportati dal corpo originario, fatti crescere e messi in condizione di svolgere le loro funzioni indipendentemente dall’organismo fisico a cui appartenevano. Questi processi non sono meramente chimici; essi presentano tutte le caratteristiche di processi puramente vegetali. La principale differenza tra l’intelligenza e la coscienza delle piante e degli animali è che le prime si manifestano pressoché interamente secondo un lavoro mentale istintivo o inconscio, mentre le seconde si manifestano in un’attività conscia intenzionale e finalizzata. Buona parte dei processi del corpo umano vengono chiaramente svolti lungo le linee inconsce e istintive del regno e dell’anima vegetale. Essi vengono svolti sul piano della coscienza vegetale proprio come i processi dei tipi ordinari di vita vegetale. Alcuni di questi processi sono estremamente complessi, ma quelli afferenti alla vita di un’ordinaria pianta non lo sono di meno. La differenza tra il piano dell’anima vegetale e quello dell’anima animale diverrà più evidente e più chiara se solo analizziamo i fenomeni legati a quest’ultima. IV. L’anima animale Con il termine “anima animale”, i Rosacroce intendono indicare l’anima incorporata nella sostanza animale organica, sia negli animali inferiori sia nell’uomo. L’anima animale è lo spirito animatore o vitale che si manifesta nelle tante attività della vita animale, superiore e inferiore. La sua intelligenza e la sua coscienza sono estremamente sviluppate in confronto a quelle dell’anima vegetale, ma sono limitate alle necessità e ai bisogni della vita puramente animale. Nelle sue manifestazioni inferiori essa è di poco superiore alle manifestazioni più elevate della vita vegetale, e nelle sue manifestazioni più alte è di poco inferiore alle più basse manifestazioni dell’anima umana. In verità, come abbiamo ripetutamente ricordato in questo libro, i vari piani di coscienza (e dunque i poteri e i limiti delle svariate anime) si fondono nelle zone di confine tra un piano e l’altro. L’anima animale è la sede di desideri puramente animali e, nell’opera di sviluppo e di soddisfazione di tali desideri, essa ha prodotto, con la sostanza di cui è composta e che ha assorbito dalle sostanze del piano vegetale e minerale al di sotto di sé, una serie di complessi organi e gruppi di organi. La sua intelligenza e la sua coscienza sono funzionali semplicemente al benessere fisico del soggetto animale a cui appartiene. I noltre, determinati processi puramente vegetali quali la nutrizione o la riproduzione, sono in parte rilevati dall’anima animale che li rende più efficaci e complessi. I desideri dell’uomo che di solito definiamo “puramente fisici” appartengono all’anima animale. I principali desideri dell’anima animale si riferiscono alle funzioni della nutrizione e della riproduzione, e si manifestano rispettivamente come autoconservazione, desiderio sessuale (sul piano fisico, naturalmente) e amore della prole. Nei suoi stadi più elevati l’anima animale sviluppa e manifesta determinate qualità superiori, come il desiderio di amicizia, comunanza, mutua simpatia, o affetto, che ricorda da vicino sentimenti ed emozioni simili negli animali inferiori; ciò avviene perché i due piani di coscienza sono strettamente collegati e si fondono tra loro. L’anima animale, tuttavia, non ha mai la coscienza dell’”io sono”: al massimo può essere consapevole del “sono”, ma la coscienza dell’”io” non è mai presente nella sua forma autentica. V. L’anima umana L’anima umana si distingue dall’anima animale non solo per la sua speciale attitudine al ragionamento intellettuale e alla scelta e all’azione volontaria, ma anche per la sua autocoscienza. Tale distinzione è stata ampiamente analizzata nei precedenti capitoli di questo libro, e non ha bisogno di essere qui ripresa dettagliatamente. Il paragrafo seguente, tuttavia, preso a prestito da un altro autore, può risultare di qualche interesse in relazione al punto a cui siamo arrivati nella nostra esposizione. L’autore in questione scrive: “Tra gli animali inferiori è presente ben poco di ciò che si suole chiamare ‘autocoscienza’. In verità, la coscienza delle forme più basse di vita animale sta poco al di sopra della semplice sensazione. Nei primi stadi della vita animale la vita è quasi automatica. Il lavoro mentale vi si svolge quasi interamente su un livello inconscio, e le sole operazioni mentali sono quelle collegate alla vita fisica dell’animale, alla soddisfazione dei suoi bisogni elementari. Dopo un certo tempo questa coscienza primitiva conobbe un’evoluzione il cui risultato fu ciò che gli psicologi chiamano ‘coscienza semplice’, che è la consapevolezza delle cose esterne e la percezione di esse in quanto tali. Tuttavia, in questo stadio non si manifesta alcuna autocoscienza. L’animale non pensa alle sue speranze e alle sue paure, alle sue aspirazioni, ai suoi progetti, alle sue riflessioni, né compara questi suoi pensieri a quelli analoghi di altri esponenti della sua specie. Non è capace di indugiare nel pensiero astratto, o di usare simboli del pensiero. Si limita ad accettare le cose per come gli si presentano e non pone domanda alcuna. Non si sforza di trovare risposte a inquietanti interrogativi di carattere universale, poiché ignora l’esistenza di simili interrogativi. Con l’avvento dell’autocoscienza l’uomo comincia a formarsi un concetto dell’’io’. Egli inizia a compararsi agli altri e a ragionare sui risultati di tale confronto. Fa un inventario mentale di se stesso e trae delle conclusioni. Comincia a pensare autonomamente, ad analizzare, a classificare, a separare, a dedurre, a formare giudizi. Inizia a creare spontaneamente e non è più un semplice automa mentale”. Uno scrittore che si è occupato del tema dell’evoluzione dell’anima ci ha fatto dono delle seguenti parole di ammonimento: “Il risveglio dell’intelletto nell’uomo non ne fa necessariamente un essere migliore. Se è vero che lo sviluppo di una facoltà superiore conferisce all’uomo una tendenza all’elevazione, è anche vero che alcuni individui sono così strettamente avviluppati nel loro rivestimento animale, così sprofondati nel lato materiale delle cose, che il risveglio dell’intelletto tende soltanto a dar loro una maggiore capacità di gratificare i loro desideri e le loro inclinazioni di basso livello. L’uomo, se decide di farlo, è capace di superare qualsiasi animale in bestialità ed è in grado di sprofondare in abissi di avvilimento di cui l’animale nemmeno si sogna. La bestia è governata unicamente dall’istinto e le sue azioni sono perfettamente naturali e adeguate; di certo non può essere biasimata per il fatto di seguire gli impulsi della sua natura. L’uomo nel quale l’intelletto si è sviluppato, sa invece che è contrario alla sua più eccelsa natura abbassarsi al livello delle bestie. Ciononostante aggiunge agli istinti bruti l’astuzia e l’intelligenza che ha sviluppato, e deliberatamente prostituisce la sua natura superiore al compito di dare pieno sfogo alle sue ingigantite propensioni animalesche. Pochissimi animali abusano dei loro appetiti, mentre l’uomo lo fa spesso. Più è sviluppato il suo intelletto, maggiore sarà l’indegnità delle passioni, degli appetiti e dei desideri a cui gli è possibile abbandonarsi. Egli saprà inventarsi nuovi desideri ignobili o costruire i propri edifici sulle fondamenta del più bruto istinto. Non c’è bisogno di dire che tutti gli occultisti sanno che una simile condotta ha uno strascico di conseguenze, legate al fatto che l’anima dovrà impiegare molti faticosi anni a ripercorrere all’indietro i suoi passi lungo il cammino regressivo che aveva intrapreso. I suo sviluppo è stato ritardato, ed essa sarà costretta a ripercorrere dall’inizio la strada verso la libertà, a fianco di creature primitive dalla natura bestiale, che giustamente devono intraprendere il viaggio da quel punto, ma avendo essa in più l’ulteriore sofferenza di essere cosciente dell’orrore che la circonda, laddove i suoi bestiali compagni non hanno tale consapevolezza e non ne soffrono. Se riuscite a immaginare come si sentirebbe un uomo colto e civilizzato che venisse costretto a dimorare per svariati anni in mezzo ai suoi progenitori selvaggi, conservando un vivido ricordo della sua precedente vita in un contesto civile, potete formarvi una vaga idea del destino riservato a chi deliberatamente mette le sue superiori potenzialità al servizio di scopi e desideri dei più bassi. Tuttavia, anche per un’anima come questa esiste una possibilità di salvezza, ma essa è legata al lento scorrere del tempo”. L’anima umana occupa un luogo che è il campo di battaglia tra due forze opposte. Da un lato c’è la forza della natura animale inferiore, che cerca di trascinare giù l’anima umana, portandola al piano dell’anima animale, e che la spinge a impiegare su questo piano più basso le sue capacità intellettuali recentemente acquisite. Dall’altro vi sono le forze appena destatesi della natura spirituale superiore, che cercano di elevare l’anima fino alla coscienza delle sue relazioni con il Tutto, e che la stimolano ad aprire il suo intelletto all’influsso delle vibrazioni positive della coscienza spirituale e a volgere le proprie capacità al fine del compimento dei dettati che le vengono dalla sua parte più nobile. VI. L’anima dei semidei Come abbiamo detto nei precedenti capitoli di questo libro, l’anima dei semidei ha come dato distintivo la piena consapevolezza della propria relazione con la vita universale. Il suo orizzonte mentale e spirituale si è espanso, nei suoi stadi più progrediti, fino ad accogliere in sé tutta la vita e a identificarvisi. Tutto ciò che l’uomo ha acquisito in termini di umanità, giustizia, gentilezza, simpatia, nobiltà e fratellanza umana gli è venuto attraverso la mediazione di questa sua parte superiore. L’uomo è capace di sentimenti simpatetici nei confronti degli altri grazie al suo nascente senso di relazione o unità con tutto il resto. Con il manifestarsi di lampi della coscienza cosmica, tutti gli angusti sentimenti di distinzione e di casta svaniscono, e l’uomo avverte la spinta verso l’unità. Non solo egli gioisce dell’esaltante fremito della vita universale, ma è anche capace di soffrire tutto il dolore del mondo, almeno finché non perviene alla piena comprensione di esso. Un autore ha scritto giustamente a proposito di questo stadio della coscienza: “Man mano che l’uomo si sviluppa spiritualmente, egli avverte la propria relazione con l’umanità intera, e comincia ad amare sempre più i suoi simili. Gli causa dolore vedere altri soffrire, e quando tale dolore diviene troppo forte egli cerca di fare qualcosa per porre rimedio alle sofferenze altrui. Con il passare del tempo e l’ulteriore progresso dell’umanità, le terribili sofferenze che tanti esseri umani oggi devono patire diverranno impossibili, per la ragione che lo sviluppo della coscienza spirituale della razza umana farà sì che il dolore venga avvertito da tutti tanto acutamente che nessuno vorrà più sopportarlo, e tutti si ribelleranno e insisteranno perché vi si trovi rimedio. Dai recessi interiori dell’anima scaturisce una protesta contro il residuo impero della natura animale inferiore, e, anche se per un certo tempo riusciamo a ignorarla, essa diverrà sempre più persistente e alla fine saremo costretti ad ascoltarla. La lotta tra la natura superiore e quella inferiore è stata riconosciuta da tutti gli attenti osservatori dell’anima umana, e molte teorie sono state proposte per spiegarla. In passato veniva insegnato che da un lato l’uomo veniva tentato dal diavolo, e dall’altro veniva aiutato da un angelo custode. Tuttavia, come tutti gli occultisti sanno, la lotta è tra due elementi della natura umana, non esattamente in guerra, ma ciascuno impegnato nella realizzazione della propria linea di sviluppo, e l’ego, nel suo tentativo di trovare un equilibrio, si procura continuamente strappi e contusioni. L’ego è in uno stadio di coscienza transitorio e la lotta diviene a tratti dolorosa, ma con il tempo l’anima in evoluzione si eleva al di sopra dell’attrazione della natura inferiore, e la sua nascente coscienza spirituale le permette di comprendere la sua vera natura e il posto che le spetta nell’universo”. Lo stesso autore ha scritto: “I piani superiori dell’anima sono anche la fonte dell’ispirazione che certi poeti, pittori, scultori, scrittori, predicatori e oratori hanno ricevuto in tutti i tempi e tutti i luoghi. È questa la fonte da cui il veggente ottiene la sua visione, e il profeta la propria preveggenza. Molti si sono concentrati nella loro opera su alti ideali e hanno ricevuto da tale fonte conoscenze preziose, che hanno attribuito a rivelazioni ottenute da esseri di un altro mondo; l’ispirazione, invece, veniva dal loro interno: era la voce dell’io superiore che si rivolgeva all’ego”. Il succitato autore ci fornisce le seguenti indicazioni a proposito delle esperienze di ispirazione e illuminazione legate all’influsso che sull’ego esercitano le regioni dell’io superiore: “Naturalmente, queste esperienze variano materialmente a seconda del grado di sviluppo dell’individuo, della sua preparazione o del suo temperamento, ma vi sono caratteristiche comuni a tutte. I tratti comuni sono i seguenti: (1) un convinto sentimento di realtà del proprio essere, ovvero di immortalità; esso prescinde completamente dalla fede o dalle convinzioni religiose, e apparentemente proviene da una fonte più profonda di queste: essa è stata definita ‘la fede che sa’. (2) Un completo dissolversi di tutte le paure e l’acquisizione di un sentimento di fede, sicurezza e fiducia che va al di là delle capacità di comprensione di quanti non lo hanno mai sperimentato. (3) Un sentimento di amore universale che si impossessa dell’individuo, un amore che abbraccia la totalità dei viventi, da quelli più vicini e tangibili, a quelli che dimorano all’estremità opposta dell’universo; da quelli che consideriamo puri e santi a quelli che prima ritenevamo spregevoli, malvagi e assolutamente indegni. Pare svanire qualsiasi senso della propria superiorità morale e qualsiasi propensione a giudicare severamente gli altri, e il proprio amore, al pari della luce del sole, si irradia su tutti indistintamente, indipendentemente dal loro grado di sviluppo e di “bontà”. (4) Una sensazione di assoluta beatitudine e gioia, il cui ricordo sopravvive all’esperienza stessa anche per molto tempo. (5) Un sentimento di superiore conoscenza e saggezza, in cui tutti i dubbi svaniscono ed emerge un senso di comprensione dei significati più profondi del tutto, almeno finché dura l’esperienza stessa. Per taluni queste esperienze si sono accompagnate a uno stato d’animo o a un sentimento di profonda riverenza, che li ha posseduti per un certo tempo, mentre ad altri è sembrato di stare sognando, e sono divenuti consci di un’elevazione spirituale unita alla sensazione di essere immersi in una luce o in un bagliore splendenti e onnipervasivi. Per alcuni determinate verità si sono manifestate sotto forma di simboli, e in certi casi il loro vero e completo significato non è divenuto evidente se non molto dopo aver vissuto queste esperienze. “Tali episodi lasciano chi li ha vissuti in una condizione mentale nuova, che non gli consente di essere più lo stesso. Anche se il ricordo diviene meno vivido, comunque non svanisce completamente, e nel tempo si dimostra essere una sorgente di conforto e di energia, soprattutto nei momenti in cui la fede perde forza e vacilla, come una canna agitata dai venti delle contrastanti opinioni e riflessioni. Il ricordo di un simile avvenimento è una sorgente inesauribile di energia, un porto sicuro in cui l’anima si rifugia fuggendo da un mondo esterno che non la comprende. Negli scritti degli antichi filosofi di tutte le nazioni, nei canti dei grandi poeti di tutti popoli, nella predicazione dei profeti di tutte le religioni e di tutti i tempi possiamo trovare traccia di questa illuminazione che li ha ispirati, questo dispiegarsi della coscienza spirituale. Uno racconta la storia in un modo, un altro in un modo diverso, ma tutti narrano praticamente la stessa storia. Tutti coloro che hanno avvertito questa illuminazione, sia pur in grado limitato, sono in grado di riconoscere un’esperienza simile alla loro nel racconto, nel canto o nella predicazione di un’altra persona, anche se a dividerli è una distanza temporale di secoli. È il canto dell’anima, che una volta sentito non si dimentica mai. Il canto proviene indifferentemente dall’antico Egitto, dall’India, dalla Grecia e da Roma, dai primi santi cristiani, dall’amico quacchero, dai monasteri cattolici, dalle moschee musulmane, dal filosofo cinese, dalle leggende dell’eroeprofeta pellerossa. Ed è sempre la stessa melodia, che si fa più intensa man mano che altri si uniscono con le loro voci o il suono dei loro strumenti al gran coro”. Il lettore deve ricordare che in queste esperienze egli accede al massimo a qualche lampo di coscienza superiore e non deve pensare di essere pienamente penetrato nelle sue manifestazioni, né tanto meno di essersi evoluto fino a raggiungere lo stato in cui ci si muove normalmente su questo piano superiore. Esistono esseri, un tempo uomini, che si sono effettivamente evoluti fino a raggiungere tale stato, ma questi individui sono più che semplici uomini, e si sono guadagnati il diritto di essere considerati “semidei”. Tuttavia, dal momento che anche loro un tempo furono uomini, tutti possono tendere a raggiungere questa eccelsa condizione grazie allo sviluppo della parte superiore dell’io. Questi lampi di coscienza da un piano superiore sono segni e messaggi profetici che annunciano il risveglio delle facoltà superiori e testimoniano la certezza di ulteriori evoluzioni e sviluppi. In conclusione della nostra analisi di questo piano superiore, vorremmo riprendere le parole di Sir Oliver Lodge, il grande scienziato inglese, che ha fornito al mondo sorprendenti conferme di importanti e antiche verità note agli occultisti e ai maestri di dottrine esoteriche: “Immaginiamo, come ipotesi di lavoro, che il nostro io subliminale, l’altra e maggiore parte di noi stessi, sia in contatto con un differente ordine di esistenza, e che sia occasionalmente in grado di comunicare, o di trasmettere in qualche modo, magari inconsciamente, all’altra parte del corpo parte delle informazioni a cui ha accesso. In questo caso saremmo come iceberg che galleggiano nell’oceano, solo parzialmente esposti al sole, all’aria e all’osservazione; il resto, la parte di gran lunga maggiore, gli undici dodicesimi, immersi in un elemento di collegamento, sommersi e occasionalmente in contatto subliminale o subacqueo con altri, mentre le vette, le parti visibili delle montagne di ghiaccio, sono ancora ben lontane. Un simile iceberg, gloriandosi della sua ghiaccia solidità e delle sue vette risplendenti, potrebbe risentirsi dell’attenzione prestata alla sua sezione di sostegno, sommersa e subliminale, o al liquido salino da cui si è formato e a cui un giorno farà ritorno.” Ovvero, ribaltando la metafora, potremmo paragonare il nostro stato presente a quello dello scafo di una nave, sommerso in un oceano cupo, in mezzo a strane creature, lanciato ciecamente attraverso lo spazio; orgoglioso, forse, di tutte le conchiglie che gli si sono attaccate, quasi fossero decorazioni; in grado di riconoscere la sua destinazione solo nel momento in cui urta contro la banchina; del tutto ignaro del ponte, delle cabine, degli alberi, delle vele; privo di pensieri sul sestante, il compasso e il capitano; incapace di percepire la visuale dall’albero maestro, l’orizzonte distante; impossibilitato a vedere oggetti davanti a sé, pericoli da evitare, destinazioni da raggiungere, altre navi con cui comunicare con mezzi diversi dal contatto fisico. Alle parti sommerse viene negato l’accesso a tutta una regione di sole e nuvole, di spazio, di percezione e d’intelligenza. VII. L’anima degli dèi Risulterà evidente a ogni lettore attento come sia praticamente impossibile discorrere in termini ordinari dell’espressione e della manifestazione dell’io che i Rosacroce definiscono “anima degli dèi”. È sufficiente al nostro scopo limitarci a indicarla come una fase dell’ego, presente solo a livello latente nei più, ma manifestantesi a pochi con lampi occasionali, e destinata a divenire nel corso dell’evoluzione spirituale della razza umana il normale piano di coscienza dell’uomo. Inoltre, su certi piani della vita e dell’essere, già oggi esistono esseri per i quali questa fase di coscienza è abituale e normale, proprio come il piano della coscienza umana è normale e abituale per la maggioranza degli uomini del nostro tempo. A simili esseri, separati dall’infinito non manifesto soltanto dalla più tenue e sottile sostanza che fa da velo, lo sviluppo dell’universo intero deve sembrare semplicemente una grande proiezione di forme d’ombre, una straordinaria fantasmagoria dotata di un’apparenza di sostanza e di forma, ma priva di una effettiva realtà se considerata dal punto di vista dell’eterno. Tali esseri sono, in verità, dèi se confrontati con il resto dell’umanità. Vicini al cuore stesso dell’eterno, questi esseri elevati sono nella condizione di percepire il ritmo del battito cardiaco del Genitore Eterno. Per quanto possa sembrare incredibile, tuttavia, tra di noi oggi sulla terra ci sono alcune anime progredite in cui tale coscienza ha già cominciato a manifestarsi, e il loro numero sta crescendo. Queste anime sono arrivate a una piena ed effettiva consapevolezza della verità che l’Uno è il Tutto e che al di fuori dell’Uno non c’è nulla, l’intero corteo delle fantasmagorie cosmiche venendo da esse percepito come illusione, miraggio, velo di Maya, incantesimo, irrealtà. In queste anime sta cominciando a manifestarsi l’anima degli dèi. Qui non possiamo aggiungere altro su questo tema. Sommario Il lettore non deve cadere nell’errore di pensare che l’uomo abbia veramente sette anime separate e distinte, legate insieme come un fascio di rami, o indossate l’una sopra l’altra come si farebbe con sette soprabiti. Il simbolo è solo figurativo e non deve essere interpretato letteralmente. Non ci sono sette io nell’uomo, ma un unico io nascosto da sette veli, ciascuno dei quali serve sia a nascondere la vera natura dell’io, sia a svelarne in un certo grado la presenza e il potere. È come se sette lastre di vetro di vari colori, che vanno dai toni molto scuri alla quasi perfetta trasparenza e assenza di colore, venissero poste davanti a una fonte di luce molto viva. Il vetro più scuro nasconderebbe quasi interamente la luce, pur rivelandone la presenza, permettendo a qualcuno dei suoi raggi di manifestarsi; quello un po’ più chiaro lascerebbe vedere di più e nasconderebbe di meno, e così via fino all’ultimo in cui l’oscuramento sarebbe minimo e lo svelamento quasi totale. Tutte queste illustrazioni riguardo all’ineffabile realtà dell’eterno sono, per la stessa natura delle cose, imperfette, difettose e fuorvianti se prese troppo letteralmente. La lezione che il lettore deve ricavare è che in ogni uomo è nascosta una potenzialità divina, accanto a stadi di coscienza intermedi tra il divino e l’umano; e che in ogni uomo sono presenti anche gli stadi inferiori dell’esistenza manifesta, compreso il più basso di tutti. Il saggio usa ciò che è inferiore, senza che ciò che è inferiore usi lui; egli mantiene un atteggiamento mentale positivo e di dominio nei confronti dei piani più bassi dell’essere, aprendosi al contempo all’influsso dei piani superiori del proprio io. In conclusione, chiediamo al lettore di considerare di nuovo il settimo aforisma: “L’anima dell’uomo è settupla, eppure una in essenza; lo sviluppo spirituale dell’uomo ha come fine la scoperta di se stesso dietro il settuplo velo”. Parte X Metempsicosi I Rosacroce considerano parte fondamentale del loro insegnamento la dottrina esoterica della metempsicosi, reincarnazione o trasmigrazione delle anime, che afferma essenzialmente la sopravvivenza dell’anima individuale dopo la morte e la sua rinascita e reincarnazione in un nuovo corpo fisico, dopo un soggiorno nel luogo di riposo delle anime. La dottrina della metempsicosi è tra le più antiche del mondo. Se ne trovano tracce in praticamente tutte le civiltà antiche di ogni parte del globo. In una forma o nell’altra è stata presente all’interno dei circoli esoterici che si trovavano al cuore delle grandi religioni del mondo, compreso il cristianesimo. Ha sempre rappresentato un principio cardine delle religioni d’Oriente, e nel corso degli ultimi venticinque anni ha goduto di uno straordinario ritorno di popolarità tra i pensatori dell’Occidente. La dottrina rosacrociana afferma che l’evoluzione umana si è compiuta non soltanto grazie alla generale tendenza della razza all’evoluzione, ma anche grazie al progresso e all’ascesa connessi al miglioramento dell’anima individuale nel corso delle sue reincarnazioni, ogni nuova rinascita coincidendo con un passo in avanti e con il raggiungimento di uno stadio superiore. Come ha detto uno scrittore: “La dottrina ci insegna che è l’anima a produrre l’evoluzione per mezzo degli sforzi che compie, della lotta che ingaggia e della spinta verso una propria realizzazione sempre più piena e completa, utilizzando la materia come materiale di costruzione e, tuttavia, sempre cercando di liberarsi dal suo influsso limitante e ritardante. L’anima si libera di una guaina materiale dopo l’altra e lo spirito modella la materia per servirsene ai suoi alti scopi. L’evoluzione non è altro che il processo di nascita dello spirito prigioniero, che si districa e si libera dalla ragnatela di materia in cui era rimasto impigliato, e il dolore e la lotta non sono altro che gli accidenti del parto spirituale”. I Rosacroce non hanno teorie particolari riguardo alla metempsicosi, ma accettano i principi generali sulla reincarnazione dell’anima che sono comuni a tutti gli antichi occultisti. Essi considerano la rinascita altrettanto naturale della nascita, e ritengono che la razza umana abbia a sua disposizione un ampio volume di esperienze individuali dirette che dimostrano la veridicità di questa dottrina. In realtà, i maestri rosacrociani non compiono alcun tentativo di discutere la questione con il discepolo, ma si limitano a presentare questo insegnamento così come a loro arriva, sostenuto dall’autorità delle antiche scuole e supportato dalle innumerevoli testimonianze personali. In molti casi il discepolo stesso intuisce anzitutto la veridicità della dottrina, e spesso ha un ricordo più o meno vivido delle sue precedenti vite sulla terra. Quello della metempsicosi è sempre stato un principio accettato dai più intelligenti esponenti dell’umanità. Esso faceva parte delle dottrine segrete degli antichi Egizi, ed era tenuto nella massima considerazione dai grandi pensa- tori dell’Occidente antico, quali Pitagora, Empedocle, Platone, Virgilio e Ovidio. Continui riferimenti a tale principio si trovano nell’insegnamento di Platone. Le filosofie induiste si basano su di esso. I Magi persiani vi si richiamavano implicitamente. Gli antichi druidi e i sacerdoti galli lo insegnavano. Tracce sono rinvenibili tra gli Aztechi, gli abitanti del Perù e altri antichi popoli del Nuovo Mondo. I misteri eleusini dell’antica Grecia, i misteri romani del tempio, le dottrine cabalistiche segrete degli Ebrei si basavano tutti sulla dottrina della metempsicosi. I primi padri cristiani, gli gnostici, i manichei e altre antiche sette cristiane credevano in essa. I grandi filosofi antichi e moderni l’hanno sempre trattata con rispetto e in molti casi l’hanno pienamente accettata. Le seguenti citazioni da autori moderni danno un’idea dell’importanza che collegano a questa dottrina. Hedge dice: “Di tutte le teorie riguardo all’origine dell’anima, la metempsicosi mi pare la più plausibile e dunque la più atta a far luce sul problema della vita a venire”. James Freeman Clarke afferma: “Sarebbe curioso se vedessimo la scienza e la filosofia riprendere l’antica teoria della metempsicosi, rimodellarla sulla base dei nostri attuali modelli di pensiero religioso e scientifico, e lanciarla di nuovo sul grande oceano delle credenze umane. Tuttavia, sono successe anche cose più strane nella storia delle idee umane”. Il professor Knight aggiunge: “Se potessimo legittimamente decidere qualsivoglia questione di fede sulla base del numero dei credenti in un determinato principio, la metempsicosi vincerebbe tutti i confronti. Quella del pe- riodico rinascere e rivivere mi sembra una teoria altrettanto probabile di qualsiasi altra”. Il professor Bowen dice: “A mio parere, una fede ferma e ben fondata nella dottrina della metempsicosi cristiana potrebbe contribuire a rigenerare il mondo. Si tratta infatti di una dottrina che non presenta le difficoltà e non va incontro alle obiezioni che affliggono gli altri principi dottrinari, e che stimola a cercare di condurre una vita più cristiana, e ad amare e ad aiutare i nostri fratelli. La dottrina della metempsicosi potrebbe addirittura pretendere di essere considerata un’idea naturale e innata nella mente umana, almeno a giudicare dalla sua ampia diffusione tra le nazioni della terra e dalla sua presenza in tutte le epoche”. E. D. Walzer dice: “Quando il cristianesimo si diffuse per la prima volta in Europa, il pensiero segreto delle sue figure di spicco era imbevuto di questa verità. La chiesa cercò vanamente di sradicarla, ma essa continuò a riaffiorare in svariate sette, anche dopo i tempi di Eriugena e di Bonaventura, i suoi difensori medievali. Tutte le grandi anime capaci di intuizione, come ad esempio Paracelso, Böhme e Swedenborg, vi aderirono. I grandi sapienti italiani, Giordano Bruno e Campanella, l’abbracciarono. La parte migliore della filosofia tedesca vi si richiama; in Schopenhauer, Lessing e Fichte figlio, essa trova degli accaniti sostenitori. I sistemi antropologici di Kant e Schelling presentano con essa punti di contatto. Helmont figlio elenca in duecento problemi tutti gli argomenti che possono essere addotti in favore del ritorno dell’anima a un corpo umano secondo le idee ebraiche. Tra i pensatori inglesi, i platonici di Cambridge la difesero con grande erudizione e intelligenza, particolarmente Henry More; Cudsworth e Hume la presentarono come la più razionale teoria sull’immortalità. Glanvil le dedicò un singolare trattato. Essa affascinò la mente di Fourier e Leroux. Il libro di André Pezzani sulle molte vite dell’anima riconduce la metempsicosi all’idea cattolica di espiazione”. Tuttavia, ancora più importante delle opinioni e della varietà di sfumature con cui questo importante principio viene accolto nel pensiero di grandi autori e maestri è la fondamentale convinzione interiore di tutte le anime che hanno raggiunto un determinato stadio di sviluppo spirituale, che fa loro dire: “ho già vissuto precedentemente”. Tale convinzione e credenza intuitiva, basata sul ridestarsi di vaghi ricordi, vale per l’individuo più di tonnellate di pagine sul tema. Un autore ha scritto a questo riguardo: “Chi non ha sperimentato la sensazione di aver già avvertito quella stesa cosa prima, di averci pensato in un determinato momento di un imprecisato passato? Chi non è stato testimone di scene nuove che gli sono apparse antiche, molto antiche? Chi non ha incontrato per la prima volta persone, la cui presenza ha risvegliato in lui ricordi di un passato perso nella nebbiosa dimensione del tanto tempo fa? Chi non è stato assalito qualche volta dalla consapevolezza di una poderosa ‘antichità’ dell’anima? Chi non ha ascoltato musica, spesso composizioni del tutto inedite, che in qualche modo risvegliava ricordi di note, scene, luoghi, volti, paesi, associazioni ed eventi simili, che suonavano debolmente sulle corde della memoria mentre le brezze dell’armonia soffiavano tutt’intorno? Chi non ha osservato un quadro antico o una statua con la sensazione di averli già visti prima? Chi non ha vissuto eventi che portavano con sé la certezza di essere una mera ripetizione di ombrosi accadimenti di vite lontane? Chi non ha avvertito l’influsso della montagna, del mare, del deserto, che gli si presentava quando era lontano da quei paesaggi, ma così vividamente da far sembrare quasi irreale ciò che in realtà aveva intorno in quel momento? Chi non ha avuto di queste esperienze?”. Sir Walter Scott annotò quanto segue sul suo diario: “Non posso dire con sicurezza se valga la pena di scrivere che ieri, all’ora di cena, sono stato improvvisamente assalito da quello che definirei il senso della preesistenza, vale a dire, una confusa idea che nulla di quanto stava succedendo accadesse per la prima volta; che gli stessi argomenti erano già stati discussi e che le stesse persone avevano espresso le stesse opinioni al riguardo. La sensazione era così forte da ricordare ciò che definirei un miraggio nel deserto e un colpo di calore a bordo di una nave (...). Come può essere che certe scene risveglino pensieri che appartengono per così dire a sogni di lontani e ombrosi ricordi, quali gli antichi bramini avrebbero ascritto a un’esistenza precedente? Quante volte ci ritroviamo in compagnie che non abbiamo mai incontrato prima, e tuttavia ci sentiamo preda di una consapevolezza misteriosa e mal definita che né la scena, né i parlanti, né le cose dette siano interamente nuove; anzi, ci pare quasi di poter anticipare quella parte della conversazione che non ha ancora avuto luogo”. Bulwer dice: “Esiste uno strano tipo di memoria interiore e spirituale che così spesso ci rimanda a luoghi e persone che non abbiamo mai visto prima, e che i platonici spiegherebbero nei termini di una forma di coscienza residua di una precedente esistenza. Com’è strano che a volte si impossessi di noi, quando osserviamo determinati luoghi, una sensazione che associa la scena o con qualche immagine onirica di un passato vagamente ricordato, o con uno spaventoso presagio del futuro. Tutti abbiamo sperimentato in certi momenti e luoghi una simile sensazione strana e indistinta”. Poe dice: “Vaghiamo in mezzo ai destini della nostra esistenza terrena, accompagnati da indistinti ma sempre presenti ricordi di un destino più vasto, assai distante per il tempo trascorso e infinitamente spaventoso. Trascorriamo una giovinezza perseguitata da simili sogni, non scambiandoli però mai per sogni. Li riconosciamo come ricordi. Durante la nostra giovinezza la percezione che ne abbiamo è troppo chiara per ingannarci anche per un solo istante, ma il dubbio della maturità li fa svanire come illusioni”. Charles Dickens scrisse una volta: “In primo piano si stagliava un gruppo di silenziose ragazze di campagna che si sporgevano dal parapetto del ponticello, guardando ora il cielo, ora l’acqua sottostante; all’orizzonte una profonda vallata; su tutto, l’ombra di una notte incombente. Se in una vita precedente fossi stato assassinato in quel luogo, non avrei potuto ricordarlo con maggior precisione, né con una sensazione più violenta di gelo nel sangue; e il ricordo stesso sopravvenuto in quell’istante è stato talmente rafforzato da queste immaginazioni che penso non riuscirò mai più a liberarmene”. Se si avvertisse la necessità di prove della verità della metempsicosi differenti dall’intuizione personale e dai lampeggianti ricordi di esistenze precedenti, troveremmo tali prove nei fenomeni dei bambini prodigio, di cui non è difficile trovare esempi. Spesso accade che bambini molto piccoli dimostrino una profonda conoscenza della matematica, della musica o dell’arte, anche in casi non spiegabili con il principio dell’ereditarietà. Il caso di Mozart ci offre un esempio tipico in tal senso. All’età di quattro anni Mozart non solo era capace di eseguire al pianoforte difficili brani musicali, ma anche di comporre opere notevoli. Egli dimostrava non soltanto una spiccata sensibilità per le note e per i suoni, ma anche un’abilità istintiva nel comporre e nell’arrangiare la musica di gran lunga superiore a quella di molti adulti che avevano dedicato anni della loro vita allo studio e all’esercizio. Le leggi dell’armonia, la scienza dell’accostamento delle note per questo straordinario fanciullo non erano il frutto di anni di fatiche, ma di un’abilità innata. Un altro esempio notevole è quello di Zerah Colburn, il matematico prodigio le cui imprese attrassero l’attenzione del mondo scientifico nel corso del secolo scorso. In questo caso, un bambino di meno di otto anni, senza alcuna precedente conoscenza delle regole fondamentali dell’aritmetica, e nemmeno dell’uso e delle proprietà dei numeri arabi, risolveva una gran varietà di problemi aritmetici con una semplice operazione della mente, e senza usare simboli o artifici visibili. Era in grado di rispondere prontamente a una domanda che implicasse il calcolo esatto dei minuti e dei secondi in un dato periodo di tempo. Era anche in grado di stabi- lire con altrettanta facilità il prodotto esatto della moltiplicazione di qualsiasi numero contenente due, tre, o quattro cifre per un altro numero analogo. Sapeva determinare quasi istantaneamente tutti i fattori che componevano un numero di sei o sette cifre. Allo stesso modo sapeva rispondere a domande sull’estrazione di radici quadre e cubiche di qualsiasi numero gli venisse proposto, e sapeva altresì determinare se un numero era primo, se non era cioè passibile di divisione per qualsiasi altro numero, per la qual cosa non esistono regole generali tra i matematici. Quando gli venivano poste queste domande mentre era impegnato nei suoi normali giochi di bambino, rispondeva loro quasi immediatamente per poi continuare a giocare. Questo bambino una volta si impegnò e riuscì pienamente a elevare progressivamente il numero 8 fino alla sedicesima potenza. Il bambino, se interrogato circa la sua capacità di fornire tali risposte e di risolvere problemi così difficili, non era capace di rispondere. Affermava di non sapere come la risposta gli venisse in mente, ma osservandolo risultava evidente che un qualche procedimento era in corso nella sua mente, e che nelle sue imprese non vi era alcun trucco semplicemente mnemonico. Inoltre, è importante ricordare che egli ignorava totalmente anche le regole più fondamentali dell’aritmetica, e che non era in grado di rappresentare sulla lavagna o sulla carta nemmeno la più semplice operazione di addizione o moltiplicazione. Anche gli sviluppi di tale caso furono interessanti. Quando alcuni anni dopo il bambino venne mandato alle scuole normali, dove fu istruito nell’arte dell’aritmetica scritta, il suo potere cominciò a svanire e alla fine lo abbandonò del tutto, ed egli divenne uguale a qualsiasi suo coetaneo. Fu come se una porta della sua anima fosse stata chiusa, mentre prima era aperta. I Rosacroce insegnano che l’anima umana è sul sentiero del progresso, e che impara le lezioni della vita e dell’esperienza, esistenza dopo esistenza, immagazzinando l’essenza di queste impressioni che vanno a formare la base del carattere dell’individuo quando rinasce. Secondo la dottrina rosacrociana, la rinascita e le sue condizioni non sono imposte, ma, al contrario, l’anima individuale è attratta verso la rinascita a causa di determinati desideri nel suo carattere o, piuttosto, a causa dell’essenza di tali desideri. L’anima rinasce in determinati ambienti soltanto perché ha in sé dei desideri insoddisfatti che possono essere realizzati soltanto in quegli ambienti. Qui agisce la legge di attrazione proprio come negli atomi di materia. Ogni anima ha in sé la forza attraente di alcuni gruppi di desideri che richiamano da e verso l’anima determinate condizioni ed esperienze. Non vi è alcun elemento di punizione o ingiustizia in questa legge, poiché essa dà a ciascuna anima esattamente ciò che l’anima richiede per soddisfare i propri desideri insoddisfatti o, viceversa, le condizioni e le esperienze necessarie a purificare l’anima da determinati desideri che ostacolano il suo progresso, e la cui distruzione renderà possibile un futuro avanzamento. I Rosacroce insegnano che gli individui di ogni sottorazza che hanno superato i loro simili dal punto di vista dello sviluppo spirituale restano ancora legati da vincoli razziali ai loro fratelli che si sono lasciati dietro. In molti casi tali individui sono vincolati fino a che la loro intera sottorazza non raggiunge le loro posizioni. Essi non sono però costretti a sottoporsi a un’inutile sequenza di nascite e rinascite nel corso di questo periodo di attesa ma, al contrario, trascorrono questo periodo su un piano elevato, ove vengono in contatto con anime progredite ed esseri superiori che fanno loro da maestri. In alcuni casi, questi individui progrediti accettano di tornare alla vita terrena come grandi maestri per contribuire al progresso complessivo della sottorazza. Secondo la dottrina rosacro- ciana, oggi in mezzo a noi dimorano molte di queste anime progredite e generose, che danno il loro contributo al progresso generale. Gli insegnamenti rosacrociani circa il valore delle esperienze fatte in ogni esperienza terrena sono ben illustrate da un importante autore, il quale afferma: “Molti obiettano riguardo alla dottrina della rinascita che le esperienze di ciascuna vita sono inutili e prive di valore poiché nessuno le ricorda. Questo è un punto di vista erroneo se si considera che esse non vanno completamente perse per noi, ma formano una parte del materiale di cui la nostra mente è composta. Esse sopravvivono in essenza in forma di sentimenti, caratteristiche, inclinazioni, simpatie e antipatie, affinità, attrazioni o repulsioni, e in questa forma sono altrettanto presenti nella nostra vita di quanto lo sono le esperienze di ieri che ricordiamo bene. Prendete in considerazione gli anni della vostra vita attuale, e cercate di ricordare le esperienze di un anno fa, di cinque, dieci, venti, trenta anni fa, o di tanto tempo addietro quanto vi aggradi di andare. Scoprirete che riuscite a ricordare soltanto pochi fatti della vostra vita. Le espe- rienze della maggior parte dei giorni che avete vissuto sono state completamente dimenticate. Sebbene esse siano state al momento assai vivide e reali, ora sono svanite nel nulla, e a tutti gli effetti sono andate perdute per voi. In realtà, ciò non è assolutamente vero. Ricordate, voi siete ciò che oggi siete in virtù di queste stesse esperienze che adesso non riuscite a ricordare; esse esistono nel vostro carattere e hanno contribuito a formarlo e modellarlo. I dolori, i piaceri, le tristezze e la felicità apparentemente dimenticati sono fattori attivi della formazione e della conservazione del vostro carattere di oggi. Queste prove vi hanno rafforzato per certi versi, mentre per altri hanno mutato il vostro punto di vista, facendovi vedere le cose in una prospettiva più ampia. Un certo cruccio vi ha permesso di avvertire il dolore degli altri; un’altra delusione vi ha spronato a nuovi sforzi. Ognuna di queste esperienze ha lasciato un marchio permanente sulla vostra personalità, sul vostro carattere. Tutti gli uomini e le donne sono quello che sono in virtù di quanto hanno attraversato o compiuto e di ciò a cui sono sopravvissuti. Sebbene tali avvenimenti, scene, circostanze, fatti, esperienze siano svaniti dalla loro memoria, i loro effetti sono indelebilmente impressi nel tessuto del carattere, modificando le persone da come avrebbero potuto essere se quegli avvenimenti e quelle esperienze non fossero entrati nella loro vita. “Questa stessa regola si applica alle caratteristiche che sono un’eredità di precedenti incarnazioni. Non avete il ricordo delle esperienze fatte, ma ne avete il frutto in forma di tratti caratteriali, gusti o inclinazioni. Avete un’in- clinazione per determinate cose e un disgusto per altre. Alcune cose vi attraggono, mentre altre vi repellono. Tutto ciò è il risultato delle esperienze fatte in precedenti incarnazioni. Il vostro stesso gusto e l’inclinazione per lo studio dell’occulto che vi fa adesso leggere queste righe rappresentano l’eredità di una vita precedente in cui alcuni pensieri seminali di insegnamenti esoterici sono stati impiantati nel vostro pensiero da un maestro o da un amico, e poi hanno destato il vostro interesse e attirato la vostra attenzione. Allora avete imparato qualcosa sull’argomento, o forse molto, e avete sviluppato un desiderio di ulteriori conoscenze in quest’ambito, il quale desiderio, manifestandosi nella vostra vita presente, vi ha nuovamente messo in contatto con insegnamenti simili. Quella stessa inclinazione condurrà in questa vita a ulteriori progressi su questa linea, e a opportunità ancora maggiori in incarnazioni future. Quasi tutti coloro che stanno leggendo queste righe avvertiranno che gran parte degli insegnamenti occulti che stanno ricevendo non rappresentano altro che un “ripasso” di qualcosa di già conosciuto, anche se molte delle cose ora insegnate non le hanno mai udite prima in questa vita. Prendete un libro e leggete qualcosa, e capite subito che è così, perché in modo vago avete la consapevolezza di aver studiato e risolto il problema in un’esistenza precedente. Tutto ciò è in accordo con la legge di attrazione, che ha fatto sì che attraeste a voi stessi ciò con cui avvertite un’affinità, e che fa anche sì che altri siano attratti da voi. Allo stesso modo e per la stessa ragione si verificano in questa vita molte riunioni di persone che erano state in relazione tra loro in vite precedenti. Gli an- tichi amori e gli antichi odi si riproducono nella nuova vita. Siamo legati a coloro che abbiamo amato, e anche a coloro che abbiamo ferito. La storia va portata avanti fino all’ultimo capitolo, anche se un’accresciuta conoscenza del perché e per come di tali cose può liberare l’individuo da tanti intricati legami e relazioni di questo tipo”. La vita oltre la morte Il corpo degli insegnamenti rosacrociani comprende notizie molto minuziose e dettagliate riguardo alla vita dell’anima tra un’incarnazione e l’altra, i fenomeni del mondo astrale, e argomenti simili, che potrebbero riempire svariati ponderosi volumi. In questo capitolo cercheremo di presentare al lettore un’idea generale di come la dottrina dei Rosacroce tratta questi temi, senza entrare in dettagli che non possono essere presentati ora, nello spazio che abbiamo a disposizione4. Quando arriva per l’individuo il momento della morte, l’anima si disfa del corpo fisico e, vestita degli indumenti dell’anima elementare, lo abbandona. All’inizio la separazione non è completa, poiché l’anima elementare è ancora attaccata al corpo fisico da un filo o da una cordicella sottile, che alla fine si spezza e consente all’anima di procedere sul suo cammino. Gli indumenti dell’anima elementare sono naturalmente, in un certo senso, altrettanto “fisici” di quelli del corpo visibile che sono stati appena gettati via dall’anima. In questi nuovi indumenti, tuttavia, la persona risulta invisibile alla vista ordinaria degli uomini tranne nel caso di veggenti e la sua presenza non può essere rilevata. L’anima disincarnata passa poi a quello che gli occultisti chiamano il piano astrale, che tuttavia non è un luogo nel senso proprio della parola, ma è piuttosto “uno stato o una condizione dell’essere” che non ha nulla a che fare con le limitazioni spaziali. Il piano astrale manifesta i suoi fenomeni per mezzo di una frequenza di vibrazioni superiore a quella che caratterizza i fenomeni del piano terrestre. Differenti piani dell’essere possono occupare lo stesso spazio nello stesso tempo senza interferire tra loro. Raggiungendo la frequenza di vibrazioni del piano astrale, l’anima appena disincarnata cade in un sonno profondo, o stato di coma, che ricorda la condizione del bambino non ancora nato per vari mesi prima della sua nascita. Questa condizione è necessaria a preparare l’anima alla sua vita sul nuovo piano. L’anima che ha lasciato la scena terrena in uno stato di quiete e con un atteggiamento mentale sereno subito precipita in un sonno senza sogni; coloro la cui mente era invece satura di desideri violenti riferiti alla vita terrena spesso sperimentano i cosiddetti “sogni astrali” in cui tornano a visitare scene di vita terrena e, se è loro possibile, indulgono in comunicazioni più o meno distorte e sognanti per il tramite di “medium” e simili. I violenti desideri e il cordoglio di coloro che l’anima si è lasciata dietro sulla scena terrena contribuiscono a volte anch’essi a instaurare una condizione di “rapporto”, che disturba l’anima addormentata e interferisce con il suo indispensabile riposo preparatorio. In questo stato di sonno, l’anima di- sincarnata è pienamente protetta dall’influsso o dalla presenza di altri esseri, ed è sicura come il bambino nel ventre della madre. Alcune anime hanno bisogno di un lungo periodo di sonno sul piano astrale prima di destarsi per intraprendere nuove attività, mentre altre hanno bisogno soltanto di un tempo relativamente breve. La regola generale è che maggiore è lo sviluppo spirituale dell’anima, più lungo è il suo periodo di sonno. Il periodo di sonno dell’anima è strettamente connesso alla durata del soggiorno dell’anima sul piano astrale: le anime meno evolute spiritualmente si precipitano verso una nuova rinascita, mentre quelle più evolute trascorrono un periodo molto più lungo sul piano astrale tra una rinascita e l’altra. Nel sonno dell’anima si compie un singolare processo, vale a dire la preparazione alla svestizione degli involucri inferiori dell’anima, in modo che essa risulti libera di entrare nella vita del piano astrale, con addosso soltanto gli indumenti relativi allo stadio più alto di sviluppo spirituale raggiunto. Ogni anima si sveglia sul piano astrale preparata a dimorare sul piano della sua parte più alta e migliore, lasciandosi dietro il resto. Essa si risveglia su un piano in cui alla sua parte superiore e migliore viene data una possibilità di svilupparsi e di espandersi e di fare progressi, poiché l’anima può compiere, e di fatto compie, grandi progressi nel corso di questi soggiorni sul piano astrale tra due nascite. Sul piano astrale vi sono innumerevoli sottopiani e suddivisioni, tutti più o meno indipendenti tra loro. Le distinzioni tra i piani sono complessivamente il risultato di differenze di frequenza di vibrazioni e non rappresentano distanze spaziali. Ogni sottopiano, o suddivisione, è abitato da anime perfettamente adatte a dimorarvi, sulla base del loro rispettivo grado di sviluppo spirituale. A operare per il conseguimento di tale risultato è la grande legge di Attrazione, e ogni anima “si sente perfettamente a proprio agio” sul piano in cui si trova. La legge opera con infallibile precisione e non compie mai errori. Una serie di rigide leggi naturali confina l’anima nell’ambito del proprio sottopiano o suddivisione del piano astrale, consentendole, se lo desidera, di visitare i piani inferiori al suo, ma non quelli superiori. La legge delle vibrazioni opera qui come un poliziotto astrale. Le anime disincarnate possono dunque comunicare e conversare tra loro e incontrarsi, ma solo se l’anima superiore viene a far visita a quella inferiore, mai il contrario. Lo scenario e l’ambiente dei vari sottopiani del piano astrale corrispondono alle idee e alle convinzioni delle anime che li occupano. Il pellerossa può trovarvi la propria “riserva di caccia” più facilmente di quanto certa gente potrebbe pensare. I pensieri e gli ideali dell’anima si riflettono sulla sostanza recettiva del piano astrale, e ogni anima, in un certo senso, è la creatrice del proprio ambiente e del proprio mondo: con le sue forme di pensiero si costruisce un mondo a sé congeniale. L’anima compie progressi nel corso del suo soggiorno sul piano astrale e si prepara per un ambiente migliore e più felice dopo la rinascita. Durante tale soggiorno essa assimila e digerisce le esperienze della sua ultima vita terrena e impara la lezione di queste esperienze, che plasmerà il nuovo carattere che si sta formando nell’anima. Questa ha modo di rivedere errori passati e di comprendere il significato autentico di tante esperienze sconcertanti. Così l’anima “fa l’inventario” di se stessa ed è meglio preparata ad affrontare la situazione della sua prossima esistenza terrena. Sul piano astrale l’anima riceve anche l’ausilio e l’assistenza di alcuni grandi maestri spirituali dell’umanità, la cui missione è quella di provvedere alle necessità delle anime addolorate e sofferenti che si sforzano di trovare una strada di uscita dai guai e dagli errori. Non solo questi maestri provvedono ai bisogni strettamente spirituali delle anime che cercano il loro aiuto, ma in molti casi l’anima ha il vantaggio di poter contare su una valida assistenza nella scelta delle occupazioni a cui dedicarsi, fornita loro da amabili anime progredite pronte e disponibili ad aiutare chi si incammina faticosamente sul sentiero. Tanti artisti, musicisti, scrittori e inventori, rinascendo, hanno tratto grande beneficio e profitto dal contatto con questi assistenti del piano astrale. Infine, al termine del più o meno lungo periodo di soggiorno dell’anima sul piano astrale, la cui durata dipende dal grado di sviluppo spirituale dell’anima, sopraggiunge il primo albeggiare di un nuovo stato o condizione, conosciuti dagli occultisti con il nome di “secondo sonno dell’anima”, ovvero il sonno durante il quale l’anima viene preparata alla sua nuova imminente nascita sulla terra. Uno scrittore ha ben descritto questo stato nei termini seguenti: “Il secondo sonno dell’anima è preceduto da uno stadio di transizione caratterizzato da un graduale declino di attività e di coscienza, e dall’insorgere nell’anima di un corrispondente desiderio di riposo. Avvicinandosi alla loro conclusione i processi naturali del piano astrale, l’anima comincia ad avvertire una sensazione di sfinimento e di stanchezza, e istintivamente aspira alla quiete e al riposo. Essa si rende conto di aver realizzato la maggior parte dei suoi desideri, delle sue ambizioni e dei suoi ideali, e in molti casi di esserseli anche lasciati alle spalle. Sopravviene in lei il nostalgico sentimento che accompagna la consapevolezza di aver compiuto pienamente il proprio destino, a cui si aggiunge una premonizione dell’inizio di una nuova fase di esistenza. L’anima non avverte alcun dolore all’avvicinarsi del suo secondo sonno, anzi, al contrario, prova soddisfazione e felicità per l’arrivo di un qualcosa che promette riposo e recupero delle energie. Come lo stanco viaggiatore che si è arrampicato per sentieri di montagna e ha apprezzato le esperienze fatte nel corso del viaggio, l’anima è cosciente di essersi meritata un sereno riposo, e, come quel viaggiatore, lo desidera e anela a esso”. Lo stesso scrittore dice: “Può darsi che l’anima abbia trascorso sul piano astrale pochi anni, o magari un secolo o un millennio di tempo terrestre, a seconda del suo grado di sviluppo e di evoluzione. Tuttavia, breve o lunga che sia stata tale permanenza, la sensazione di stanchezza alla fine si impossessa dell’anima e, come succede nell’ambito dell’esistenza terrena a tante persone anziane, essa sembra dire ‘ho terminato il mio compito, lasciatemi andare’. Così, prima o poi, l’anima avverte il desiderio di acquisire ulteriore esperienza, e di manifestare in una nuova vita i progressi compiuti nel corso del suo sviluppo sul piano astrale. Per queste ragioni, e anche sotto la spinta di desideri che hanno continuato a covare sotto le ceneri, non soddisfatti né superati, o ancora, forse influenzata dal fatto che un’anima amata, appartenente a un piano inferiore, è pronta a reincarnarsi, e desiderando essere a fianco di quell’anima (il che rappresenta un’altra forma di desiderio), l’anima viene trascinata verso la rinascita e la scelta di genitori adeguati e di un ambiente vantaggioso. In conseguenza di ciò, essa cade di nuovo in uno stato di sonno, con gradualità e così, quando viene il suo tempo, essa muore sul piano astrale, come aveva fatto prima sul piano materiale, e si proietta verso una nuova rinascita sulla terra”. Vi è tuttavia un altro fatto che riguarda il risveglio dell’anima alla rinascita, che viene menzionato raramente negli scritti dedicati a questo argomento, e che di conseguenza è ignorato da molte persone che conoscono invece gli altri fatti che riguardano la rinascita. Rigorosamente parlando, l’anima si mantiene in uno stato di sonno parziale persino dopo che è rinata a un’esistenza terrena. Essa non si risveglia subito nel corpo del neonato in cui si è reincarnata, ma soltanto poco a poco nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. Uno scrittore esperto della materia aggiunge: “Il graduale risveglio dell’anima viene evidenziato dalla crescente intelligenza del bambino. In alcuni casi, tuttavia, il risveglio è prematuro, e abbiamo il caso di bambini prodigio, ma tali casi sono più o meno anormali e patologici. Occasionalmente, l’anima sognante del bambino si sveglia a metà, e sorprende i genitori con qualche osservazione molto profonda, oppure con un commento o comportamento maturo. D’altra parte, si conoscono casi in cui l’anima non si risveglia quando sarebbe normale e il risultato è che la persona non mostra segni di attività intellettuale completa fino a quasi la mezza età. Alcuni individui paiono svegliarsi a quarant’anni, o anche dopo, e da quel momento danno mostra di un’attività e di una energia del tutto nuove, sorprendendo quanti li conoscevano da prima”. Qui chiediamo al lettore di considerare attentamente un altro punto riguardo alla necessità e alle conseguenze del secondo sonno dell’anima. Come nel primo sonno l’anima era passata attraverso un periodo di digestione e assimilazione spirituale delle esperienze fatte nel corso della vita terrena, così nel secondo sonno essa attraversa un periodo di digestione e assimilazione delle esperienze avute sul piano astrale. In entrambi questi periodi, l’anima trasforma la sostanza dell’esperienza nella solida carne, nelle ossa e nel sangue del suo “carattere”. Essa ha superato molte cose nel corso del suo soggiorno sul piano astrale e si è lasciata alle spalle tanti aspetti indesiderabili. Nel suo procedere verso la rinascita durante il secondo sonno ogni anima si dirige al luogo a cui appartiene, a causa di ciò che è. Non si verificano favoritismi né ingiustizie nei suoi confronti. L’anima non è costretta a reincarnarsi contro i propri desideri, anzi, essa si reincarna proprio a causa dei propri desideri insoddisfatti. Viene trascinata nella corrente della rinascita perché le sue inclinazioni e i suoi desideri hanno creato vincoli di attrazione tra l’anima stessa e le cose terrene. Tali desideri possono essere soddisfatti solo attraverso un’altra esperienza di vita terrena, in mezzo a un ambiente e a condizioni più adatte alla loro estrinsecazione. L’anima sente la spinta a soddisfare i propri desideri e le proprie aspirazioni, e si muove nella direzione in cui tale soddisfazione diviene possibile. Il desiderio è sempre il grande movente dell’anima nel determinare le condizioni della rinascita, e il fatto della rinascita stessa. Un autore ha scritto giustamente a questo proposito: “L’anima, che ha mantenuto viva una voglia non superata di cose terrene, cadrà naturalmente nella corrente della rinascita che la condurrà verso le condizioni in cui queste aspirazioni fioriranno e si manifesteranno. Solo quando l’anima, attraverso molte vite terrene, comincia a rendersi conto dell’illusorietà e della vacuità dei desideri materiali, comincia a essere attratta dalle cose della sua natura più alta, e sfuggendo il flusso della corrente della rinascita, riesce a sollevarsi sopra di essi ascendendo alle sfere superiori. Dopo molti anni di esperienza terrena l’individuo medio può arrivare ad affermare di non avere più desiderio di vita sulla terra e di essere pronto a lasciarla per sempre. Queste persone sono perfettamente sincere nelle loro affermazioni e sentimenti, ma uno sguardo alla loro anima interiore rivelerebbe uno stato di cose ben diverso. Esse non sono realmente stanche della vita terrena ma di quel particolare genere di vita che hanno conosciuto durante l’attuale incarnazione. Hanno scoperto la natura illusoria di alcune esperienze terrene e ne sono rimasti disgustati. Sentono però sempre viva la presenza di tutt’un altro tipo di desideri e percepiscono l’ansia di poterli vivere sulla terra. Non hanno trovato felicità o soddisfazione nelle loro esperienze, ma analizzando la loro vita con onestà dovrebbero ammettere che se le cose fossero andate in un altro modo, l’avrebbero potuta trovare. Quel “se” avrebbe potuto soddisfare amore, ricchezza, fama, ambizione, e costituisce il seme dei desideri che restano: l’ansia per quel “se” è il vero motivo della rinascita. Pochissime persone sarebbero disposte a rivivere la loro vita terrena e sono oneste nelle loro dichiarazioni. In realtà, sarebbero più che disposte a riplasmare il mondo secondo i desideri del loro cuore e vivere nuovamente la vita terrena. Comprendete? Non è la vita terrena in sé che non amano più ma solo alcune esperienze particolari che hanno vissuto. Date all’individuo medio giovinezza, salute, ricchezza, talento e amore, ed egli sarà subito pronto a ricominciare il carosello della vita terrena. È solo la mancanza o un’insufficienza di queste cose che gli fa percepire la vita come un fallimento, qualcosa che può volentieri lasciarsi dietro. Durante il suo soggiorno sull’astrale, l’anima si è riposata, ristorata e rinvigorita. Si è dimenticata della stanchezza della vita conosciuta durante la precedente incarnazione; è di nuovo giovane, vigorosa, ambiziosa e piena di speranze. Sente in sé il richiamo all’azione, la spinta dei desideri inappagati e cade prontamente nella corrente che la porta sulla scena nella quale si potranno manifestare tali desideri”. Lo stesso scrittore dice anche: “Un altro punto da chiarire riguarda il tipo di desideri che costituiscono il motore determinante della rinascita. Questi non sono necessariamente bassi o malsani; al contrario possono essere della natura più elevata e possono rappresentare le aspira- zioni e ambizioni più belle e gli ideali più alti. Comunque sia, in essi vi è sempre il principio del desiderio. Elevati o bassi, i desideri sono il seme dell’azione, e l’impulso verso l’azione è la caratteristica stessa del desiderio. Il desiderio vuole sempre avere, fare o essere. L’amore, anche il più altruistico, è sempre una forma di desiderio, così anche l’aspirazione più nobile; la voglia di far del bene al prossimo è desiderio quanto il suo opposto. In realtà, molte anime altruistiche sono ricondotte alla rinascita semplicemente dall’insistente aspirazione a compiere qualche grande opera per l’umanità, per servire gli altri, o per adempiere qualche dovere ispirato dall’amore. Di qualsiasi tipo siano, se questi desideri sono collegati in qualche modo alle cose terrene, sono motivi e gradini della rinascita. In conclusione, non rinascerà mai alcun’ani- ma che nel suo intimo davvero non desideri la rinascita sulla terra. Una simile anima è attirata verso altre sfere, dove l’attrazione della terra non esiste. In questo caso, la legge d’attrazione porta l’anima lontano dalla terra, non verso di essa. Ci sono molte anime che sono adesso sul piano astrale, e che stanno passando attraverso gli stadi finali della liberazione dai vincoli terreni, come ci sono altresì molte anime che ora conducono un’esistenza terrena, le quali non torneranno mai sulla terra, ma che dopo il loro prossimo soggiorno sul piano astrale si solleveranno ai piani superiori dell’esistenza, lasciandosi definitivamente alle spalle la terra e le cose terrene. Oggi ci stiamo avvicinando alla fine di un ciclo in cui moltissime anime si stanno preparando per il loro volo verso l’alto. Molti di coloro che stanno leggendo queste righe potrebbero essere assai avanti in quel movimento ciclico”. Parte XI Il viaggio dell’anima Un punto di fondamentale importanza della dottrina rosacrociana è quello che stabilisce che l’evoluzione dell’uomo non è confinata a questo pianeta, la Terra, ma è invece estesa a una catena di sette pianeti. I Rosacroce insegnano che la vita e i processi evolutivi di questo pianeta sono collegati e mischiati ai processi evolutivi di altri sei pianeti. Questi sette pianeti della nostra catena planetaria sono strettamente collegati e connessi da sottili forze eteriche ed è presente una costante corrente eterica che passa dall’uno agli altri, e che fluisce attraverso l’intero circuito. I pianeti collegati rappresentano la catena dei mondi che è la serie delle dimore dell’anima individuale, il cui circuito è percorso da tutte le anime individuali. Non solo ogni anima attualmente sulla Terra si reincarna svariate volte su questo pianeta, ma nel corso del tempo passa al pianeta immediatamente superiore, proprio come in passato era arrivata qui provenendo dal pianeta immediatamente inferiore. Tale giro della catena dei pianeti è stato compiuto svariate volte dalla razza umana in una sua qualche forma di esistenza e verrà compiuto ancora. I pianeti di questa catena di mondi non sono identici alla Terra per composizione e natura; al contrario vi è una grossa differenza sotto questo aspetto. La Terra non è il pianeta più evoluto, ma occupa invece una posizione infima nella scala dell’evoluzione planetaria, anche se ci sono pianeti ancora più in basso. Il viaggio delle anime attraverso questa catena di mondi, tuttavia, non è un semplice cerchio in cui l’anima si muove da un punto inferiore a quello più alto, ma segue piuttosto lo schema della spirale, per cui il viaggio approda sempre al punto di partenza, ma su un piano più alto di attività. Il viaggio delle forme di vita di pianeta in pianeta avviene dal principio dell’attuale epoca del mondo, ed è stato compiuto dalle forme di vita che salivano la scala a chiocciola dell’evoluzione. Un autore che si è occupato di questo tema ha detto al riguardo: “Questa è la struttura a spirale del movimento evolutivo degli impulsi vitali che danno origine ai vari regni della natura e che spiega le discontinuità osservate nelle forme animate che popolano la Terra. L’impanatura di una vite, che in realtà è un piano inclinato uniforme, appare come una successione di gradini se esaminata solo lungo una linea parallela al suo asse. Le monadi spirituali, che compaiono nel sistema al livello animale, passano ad altri mondi quando hanno esaurito la loro fase di incarnazione animale qui sulla terra. Quando ritornano sono pronte per l’incarnazione umana, e ora non vi è alcuna necessità di uno sviluppo di forme animali in forme umane, poiché queste stanno già attendendo i loro affittuari spirituali. Tuttavia, se torniamo abbastanza indietro nel tempo, arriviamo a un periodo in cui non vi erano forme umane già sviluppate sulla Terra. Quando le monadi spirituali, muovendosi sul livello umano iniziale o più basso, stavano così cominciando ad apparire, la loro spinta in avanti in un mondo che allora ospitava solo forme animali causò l’evolvere delle più alte di esse verso la forma richiesta, il tanto dibattuto anello mancante (...). L’impulso alla nuova evoluzione di forme superiori è dato in verità da afflussi di monadi spirituali che compaiono nel ciclo in uno stato consono all’abitazione di nuove forme. Questi impulsi di vita superiore infrangono la crisalide della forma più vecchia sul pianeta che invadono ed emettono l’efflorescenza di qualcosa di superiore. Le forme che hanno continuato semplicemente a ripetersi per millenni improvvisamente riprendono il loro sviluppo e con relativa rapidità si evolvono in forme superiori, passando per quelle intermedie. Poi, quando queste forme superiori a loro volta si sono moltiplicate con il vigore e la rapidità di tutte le crescite recenti, esse forniscono abitazioni di carne per le entità spirituali che compaiono in quello stadio o su quel piano di esistenza. Per le forme intermedie non ci sono più possibili affittuari e inevitabilmente esse si estinguono”. Lo scrittore sottolinea anche un punto molto importante del viaggio delle forme di vita da un pianeta all’altro dicendo: “L’onda della vita, l’ondata dell’esistenza, l’impulso spirituale, chiamatelo come volete, passa di pianeta in pianeta in getti o fiotti, non con un flusso continuo. Per illustrare questa idea, potremmo paragonare il processo al riempimento di una serie di buche o di vasche scavate nel terreno, quali se ne possono a volte vedere alla foce di piccole sorgenti, collegate tra loro da minuscoli canali in superficie. L’acqua della sorgente, man mano che fluisce, all’inizio è raccolta interamente dalla prima buca o vasca A, ed è soltanto quando questa è completamente piena che il continuo afflusso d’acqua dalla sorgente fa sì che il liquido trasbordi dalla vasca A alla vasca B. Questa a sua volta si riempie e trabocca lungo il canale che porta alla vasca C, e così via (...). Risulta evidente da quanto abbiamo già detto, e al fine di spiegare lo sviluppo degli organismi sul pianeta A, che il regno minerale del pianeta A non si evolverà in regno vegetale fino a quando non riceverà un impulso dall’esterno, così come sulla terra l’uomo si è sviluppato dalla scimmia soltanto quando ha ricevuto tale impulso dall’esterno (...). Il pieno sviluppo dell’epoca minerale sul pianeta A prepara la strada per lo sviluppo vegetale e, non appena questo comincia, l’impulso della vita minerale passa al pianeta B. Poi, quando lo sviluppo vegetale sul pianeta A si è completato, e comincia lo sviluppo animale, l’impulso della vita vegetale passa al pianeta B, e l’impulso della vita minerale passa al pianeta C. Poi finalmente si manifesta sul pianeta A l’impulso umano. È necessario a questo punto sgomberare il campo da un equivoco che potrebbe sorgere. Va sottolineato un fatto il cui influsso sul corso degli eventi è tale che, quando sarà compreso, consentirà altresì di vedere come l’impulso vitale abbia percorso svariate volte l’intera catena dei pianeti prima che l’impulso umano sul pianeta A abbia cominciato a manifestarsi. Il fatto è il seguente: ciascun regno dell’evoluzione, vegetale, animale, e così via, è diviso in vari strati a spirale. Le monadi spirituali, gli atomi individuali di quell’immenso impulso vitale di cui così tanto è stato detto, non completano interamente la loro esistenza minerale sul pianeta A, esse lo completano sul pianeta B, e così via. Esse percorrono varie volte l’intero cerchio come minerali, e poi di nuovo svariate volte come vegetali, e varie volte come animali”. Consideriamo ora i dettagli del progresso della razza umana. Si è visto che la grande corrente delle forme di vita umana fluisce attraverso la catena planetaria in grandi ondate di progresso, chiamate dagli occultisti “giri”. Secondo la regola “come nel grande, così nel piccolo”, nello sviluppo della razza umana troviamo delle serie di spirali corrispondenti a ciascuno dei soggiorni sulla Terra. Vale a dire, un’anima individuale che arriva sulla Terra in uno dei suoi giri non si limita a vivere qui una vita per poi passare al prossimo pianeta. Al contrario, essa vive diverse vite su questo pianeta, e in mezzo a svariate razze. Esiste infatti una spirale di razze attraverso cui l’anima individuale deve vivere e aprirsi la sua strada. Il numero di tali razze è naturalmente sette, poiché sette è il numero che si manifesta in tutti i grandi processi occulti del cosmo. Ci sono sette grandi giri di progresso umano lungo la catena dei pianeti, e in ciascun giro ci sono sette razze in cui l’anima individuale deve manifestarsi. L’attuale giro della razza umana è il quarto. Ciascuna delle sette razze dell’attuale (quarto) giro occupa la Terra per un lungo periodo di tempo. La maggior parte della razza umana oggi presente sulla Terra appartiene alla quinta razza, anche se alcuni ritardatari della quarta razza ancora dimorano nel nostro mondo. Ognuna di queste sette grandi razze dell’umanità è suddivisa in sette sottorazze, e ogni sottorazza si divide in sette rami diversi. Il periodo durante il quale ogni grande razza fondamentale dell’umanità fiorisce sulla Terra è nettamente distinto da quello successivo da grandi convulsioni della natura, che praticamente distruggono ogni traccia della precedente civiltà, lasciandone soltanto pochi sopravvissuti. Uno scrittore ha detto riguardo a questo: “I periodi delle grandi razze fondamentali sono divisi l’uno dall’altro da grandi cataclismi e da grandi mutamenti geologici. L’Europa non esisteva come continente al tempo in cui fiorì la quarta razza. Il continente su cui visse la quarta razza non esisteva al tempo in cui fiorì la terza razza, e nessuno dei continenti che ospitavano i grandi centri d’irradiazione della civiltà di quelle due razze esistono oggi. Sette grandi cataclismi continentali si verificano durante l’occupazione della Terra da parte dell’ondata vitale umana corrispondente al periodo di un giro. Ogni razza viene in questo modo spazzata via al momento stabilito e alcuni sopravvissuti si disperdono in varie parti del mondo, che non coincidono con la patria originaria della loro razza; essi, tuttavia, dimostrano invariabilmente una tendenza a degenerare e a ricadere nella barbarie più o meno rapidamente”. Gli appartenenti alla prima razza dell’attuale (quarto) giro dell’umanità sulla Terra variavano da tipi primitivi a malapena al di sopra dei bruti a individui estremamente barbari. I tipi superiori si reincarnarono più tardi negli individui superiori della seconda razza, i tipi inferiori della prima razza costituendo la suddivisione inferiore della seconda razza; la regola è che le anime meno progredite di ogni razza si reincarnano nei tipi più bassi della razza successiva e superiore. Gli insegnamenti rosacrociani hanno relativamente poco da dire riguardo alla storia dei popoli della prima e della seconda razza, ma da ciò che viene insegnato si può comprendere che appartenevano a un ordine di umanità estremamente basso: i cavernicoli o gli uomini dell’età della pietra ci danno un’idea approssimativa della prima e seconda razza. Presso questi individui esisteva apparentemente poco o nulla di ciò che noi chiamiamo “civiltà”, e il loro livello era simile a quello dei tipi umani più bassi che conosciamo oggi. I Rosacroce, tuttavia, affermano che nell’ultimo periodo della seconda razza comparve qualche anima relativamente evoluta, che agì da lievito per il grande progresso che arrivò con la terza razza. L’era della seconda razza terminò puntualmente con un cataclisma che distrusse la maggior parte dell’umanità e che disperse i sopravvissuti in terre lontane. Poi cominciò l’epoca della terza razza, il centro della cui civiltà si trovava nel continente di Lemuria, che era situato su quella porzione del pianeta che adesso giace sul fondo dell’Oceano Pacifico e di parte dell’Oceano Indiano. Il continente di Lemuria includeva anche l’Australia, le isole Australi e altre isole del Pacifico. Queste terre sopravvissute coincidevano con la parte più elevata del continente di Lemuria, le cui parti più basse sprofondarono sotto le onde tanto tempo fa. Uno scrittore narra a proposito del carattere della civiltà di Lemuria: “La vita a Lemuria era incentrata principalmente sui sensi fisici e i godimenti materiali; soltanto poche anime evolute avevano spezzato le catene della materialità e raggiunto i confini dei piani mentali e spirituali della vita. Invero, alcuni rari individui fecero grandi progressi e furono salvati dal disastro generale per diventare il lievito che avrebbe sollevato la massa dell’umanità nel corso del grande ciclo successivo. Queste anime evolute divennero i maestri delle nuove razze e vennero considerate da queste dèi ed esseri soprannaturali; leggende e tradizioni incentrate sulle loro figure sono ancora rinvenibili fra i più antichi dei popoli del nostro mondo. Tanti miti dei popoli antichi nacquero in questo modo. Le tradizioni vogliono che, prima del grande cataclisma che distrusse gli uomini della terza razza, un gruppo di eletti emigrasse da Lemuria a certe isole che fanno ora parte del subcontinente indiano. Questi individui formarono il nucleo dei maestri occultisti di Lemuria, e mantennero accesa la fiamma della verità con cui vennero accese le torce della quarta razza, la razza degli Atlantidi”. Con la scomparsa di Lemuria, patria della terza razza, sorse dalle profondità dell’Oceano Atlantico la futura patria della quarta razza, il continente di Atlantide. Atlantide era situata nello spazio ora occupato da una porzione dell’Oceano Atlantico, cominciando dal Mar dei Caraibi, e arrivando all’Africa. Ciò che oggi conosciamo come Cuba e le Indie Occidentali rappresentava la vetta del continente di Atlantide, le parti più basse essendo oggi sepolte sotto le onde dell’Oceano Atlantico. Lo scrittore prima citato dice a proposito della civiltà di Atlantide: “La civiltà di Atlantide era ammirevole, e la sua gente raggiunse vertici che paiono quasi incredibili anche a coloro che sono familiari con le più alte conquiste dell’uomo dei nostri tempi. Gli eletti salvatisi dal cataclisma che distrusse Lemuria, e che vissero fino a un’età ragguardevole, avevano immagazzinato nelle loro menti la saggezza e il sapere della civiltà che era stata distrutta, e così all’inizio essi diedero agli Atlantidi un enorme vantaggio. Questi mossero dei passi decisivi in direzione del progresso umano. Perfezionarono invenzioni e strumenti meccanici, spingendosi ben oltre le nostre attuali conquiste. Soprattutto nel campo dell’elettricità raggiunsero uno stadio che l’umanità presente non raggiungerà che tra due o tre secoli. Quanto alle loro conoscenze nel campo dell’occulto, i loro progressi furono tali da superare di molto i sogni più audaci dell’uomo medio del nostro tempo. In verità fu proprio questa una delle cause della loro rovina, poiché essi prostituirono il loro potere asservendolo a scopi bassi ed egoistici e praticarono la magia nera. Così cominciò il declino di Atlantide. La fine, tuttavia, non arrivò all’improvviso e inaspettatamente, bensì fu graduale. Il continente e le isole prospicienti furono gradualmente sommersi dalle onde dell’Oceano Atlantico e Atlantide scomparve nell’arco di 10.000 anni. I Greci e i Romani, che appartengono al nostro stesso ciclo, avevano una serie di tradizioni riguardo allo sprofondamento del continente, ma le loro conoscenze si riferivano unicamente alla scomparsa di piccoli resti, di determinate isole, mentre il continente stesso era scomparso migliaia di anni prima della loro epoca. Pare che i sacerdoti egizi custodissero una tradizione secondo cui il continente stesso fosse scomparso novemila anni prima del loro tempo”. Come nel caso degli eletti di Lemuria, anche Atlantide ebbe i suoi eletti che lasciarono le terre condannate qualche tempo prima della loro distruzione. Questi individui progrediti lasciarono le dimore atlantidee e, “guidati dallo spirito”, migrarono verso parti di quelle terre oggi note come Sud America e America centrale, allora soltanto isole. Essi vi lasciarono tracce della loro civiltà, che stupiscono ancora per il livello di conoscenza e di cultura. Quando apparve la quinta razza, questi individui coraggiosi e progrediti divennero i suoi maestri, e vennero in seguito ricordati come dèi ed eroi della mitologia. La quinta razza si sviluppò rapidamente, grazie alla spinta delle anime degli Atlantidi che premevano per reincarnarsi, e vennero generate molte forme umane per soddisfare la richiesta, essendo la nuova razza molto fertile. Lo scrittore prima citato dice, a proposito della sopravvivenza di membri di una razza in estinzione e del loro influsso sulla vita della nuova razza: “Per mezzo dei cataclismi le razze di ciascun ciclo vennero cancellate a tempo debito, ma i pochi eletti o scelti, vale a dire coloro che avevano acquisito il diritto di diventare portatori di fiaccola, furono portati via in un ambiente favorevole, ove divennero come lievito per la massa, come dèi per le nuove razze che presto apparvero. Va notato, tuttavia, che gli eletti non furono i soli a salvarsi dalla distruzione che sopraffece la maggioranza dell’umanità in occasione di tali cataclismi. Al contrario, pochi sopravvissuti si salvarono, anche se furono allontanati dalle loro precedenti case, e ridotti a una sopravvivenza grama affinché potessero diventare i genitori della nuova razza. Le nuove razze nate dai più adatti a sopravvivere diedero presto vita a sottorazze, formate dalle più adatte tra le anime che desideravano reincarnarsi, mentre i meno adatti precipitarono nella barbarie e diedero segni di degenerazione. Un residuo di questi esseri umani degradati, tuttavia, continua a incarnarsi per migliaia di anni, essendo formato da quelle anime non sufficientemente progredite per prendere parte alla vita delle nuove razze. Al fine di comprendere i progressi di ciascuna razza bisogna ricordare che le anime più progredite, dopo aver abbandonato il corpo, vanno incontro a un periodo di riposo molto più lungo sui piani superiori, e conseguentemente non si presentano per una successiva reincarnazione se non dopo un tempo molto più lungo, specie se paragonato alla frettolosa reincarnazione delle anime meno evolute che si precipitano verso la rinascita trascinate dai loro forti legami e violenti desideri terreni. Così succede che le prime razze di ciascun ciclo siano più primitive di quelle che le seguono più avanti nel tempo. L’anima di una persona legata alla Terra si reincarna dopo pochi anni, e a volte dopo pochi giorni, mentre l’anima di un uomo spiritualmente progredito può riposare e fermarsi nei piani superiori per secoli, anzi, anche per millenni, fino a che, cioè, il mondo non abbia raggiunto uno stadio in grado di offrirle un ambiente più adeguato”. Al principio dell’epoca della quinta razza (quella attuale) non solo si sono delineate le nuove sottorazze, che compaiono sempre all’inizio di un nuovo ciclo, ma sono nati anche i discendenti degli eletti, salvatisi dalla distruzione di Atlantide per essere stati portati via dalla scena del disastro. Le nuove razze discendono dai sopravvissuti dispersi degli Atlantidi o, meglio, dal volgo comune di quel popolo. I pochi eletti invece erano i suoi esponenti superiori e trasmisero ai discendenti le loro conoscenze e saggezza. Tenendo presente questa distinzione possiamo spiegarci perché nella stessa epoca coesistettero nel mondo in certi luoghi popoli più o meno rozzi e primitivi, insieme ad altre civiltà avanzate come quelle degli antichi Egizi, Persiani, Caldei e Indù. In mezzo a questi popoli progrediti figuravano le anime evolute, le anime antiche dei più progrediti rappresentanti delle civiltà Lemuriana e Atlantidea. I discendenti di alcuni di questi individui superiori furono in seguito conosciuti come Assiri e Babilonesi. In seguito comparvero le grandi civiltà dei Romani, dei Greci e dei Cartaginesi. Poi ci fu la caduta dei popoli antichi e la nascita di nuove sottodivisioni razziali. Nella storia dell’umanità si manifesta e agisce la legge dell’ascesa e della caduta delle nazioni. In riferimento a tale fenomeno, il dottor Draper, nella sua Storia dello sviluppo intellettuale in Europa, afferma molto giustamente: “Noi siamo, come spesso si dice, figli delle circostanze. In questa espressione è racchiusa una saggezza molto più profonda di quanto a prima vista potrebbe apparire. Dovremmo dunque considerare il corso degli eventi da questo più attento punto di vista, riconoscendo il principio secondo cui le vicende umane si svolgono in un modo rigidamente determinato, sviluppandosi e dispiegandosi da premesse ben precise. Di conseguenza vediamo che le cose di cui abbiamo parlato come se fossero il prodotto di scelte, sono state in realtà imposte ai loro presunti autori dalle necessità dei tempi. In verità le si dovrebbe considerare il presentarsi di una determinata fase di vita a cui le nazioni devono prima o poi necessariamente giungere nel corso del loro sviluppo. Per quanto riguarda l’individuo sappiamo fin troppo bene che la sobrietà e la moderazione nei comportamenti e un’adeguata serietà nel contegno, presentandosi nella maturità della vita, subentrano alla sfrenatezza e all’ostinazione della gioventù, a volte propiziate e accompagnate nel loro primo manifestarsi da svariati incidenti: lutti familiari, perdite economiche, malattie. Facciamo bene ad attribuire a prove di questo tipo i mutamenti caratteriali, e non ci inganneremmo se pensassimo che essi non sarebbero intervenuti se non si fossero verificati quegli incidenti. Dietro simili vicissitudini agisce un destino inesorabile. Ci sono analogie tra la vita delle nazioni e quella degli individui, i quali, sebbene possano per certi versi essere gli artefici delle proprie fortune o disgrazie e agiscano a seconda delle loro inclinazioni, sono tuttavia stretti nelle spire di un fato inesorabile. Quello stesso fato che li ha portati al mondo senza che essi lo chiedessero, che li precipita in un corso di vita definito, i cui stadi sono immutabili (infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia, con tutte le loro caratteristiche tendenze e passioni), e che li fa uscire di scena a tempo debito, nella maggior parte dei casi contro la loro volontà. È così anche con le nazioni: l’elemento volontario è solo apparenza, che copre ma a malapena nasconde l’elemento necessario e predeterminato. Possiamo esercitare una forma di controllo sugli eventi della vita, ma non sul suo complessivo procedere, regolato da una legge ferrea. È all’opera una geometria che applica alle nazioni un’equazione della curva del loro progresso. Nessun mortale ha il potere di interferire al riguardo”. In questo modo sono ascese e sono cadute le grandi nazioni del passato e in questo modo ascenderanno e cadranno le grandi nazioni del futuro; tale legge vale anche per le grandi nazioni del presente. Nel momento stesso in cui stiamo scrivendo, grandi eventi si preparano a modificare la storia delle nazioni attuali. Forze cosmiche sono all’opera dietro il velo sottile delle ambizioni e dei proponimenti meschini di governanti e uomini di stato. Riconsiderando un qualsiasi periodo della storia passata, lo storico attento è capace di vedere chiaramente il sorgere e il progredire di potenti tendenze che hanno condizionato nel loro procedere i destini di grandi nazioni. Gli storici del futuro, poi, sapranno discernere esattamente simili grandi forze nella nostra storia presente, nell’epoca che stiamo vivendo. In ogni caso diverrà chiaro che la maggioranza dei popoli coinvolti nelle lotte non hanno avuto alcuna chiara percezione delle grandi energie che erano all’opera, né del vero fine a cui i grandi sommovimenti tendevano. Così sono sorti e sono caduti i grandi imperi del passato, gli Egizi, i Persiani, i Caldei, i Greci, i Romani, e tutti gli altri. Cesare, Alessandro, Carlo Magno e Napoleone sono stati soltanto i burattini del fato per mezzo dei quali sono stati posti in atto i dettami del destino. Le razze e i popoli oggi ritenuti a malapena sulla strada della civilizzazione succederanno alle orgogliose nazioni di oggi, proprio come i semibarbari Galli, Angli e Germani succedettero alle orgogliose civiltà dell’antica Grecia e di Roma. Quando una nazione comincia a declinare ciò avviene perché le sue anime più evolute l’hanno abbandonata, lasciandole soltanto le anime meno progredite per portare avanti l’opera della sottorazza. Le anime evolute passano a nuovi scenari d’azione, e anche a quelle più arretrate non viene permesso di restare troppo indietro poiché il continuo mutamento e la creazione di nuovi contesti ambientali tendono a risvegliare energie assopite e a stimolare i ritardatari a nuovi sforzi e iniziative. I seguenti scritti di un celebre occultista potranno interessare il lettore proprio in riferimento agli argomenti trattati in questo capitolo: “A metà strada del quarto giro il punto polare dell’intero periodo di sette mondi è stato superato. Da questo punto in poi l’ego spirituale comincia la sua vera lotta con il corpo e con la mente per manifestare i propri poteri trascendenti. Nel quinto giro la lotta continua, ma le facoltà trascendentali si sono ampiamente sviluppate, sebbene la lotta tra queste da un lato, e l’intelletto fisico e le inclinazioni materiali dall’altro è più violenta che mai, poiché l’intelletto del quinto giro è, al pari della spiritualità, più potente di quello del quarto. Nel sesto giro l’umanità ottiene un grado di perfezione nel corpo e nell’anima, nell’intelletto e nella spiritualità, tale che i semplici individui mortali del nostro tempo non saprebbero neanche immaginarsi. La più grande combinazione di saggezza, bontà e illuminazione trascendentale che il mondo abbia mai visto o immaginato rappresenterà il tipo ordinario di umanità. Quelle stesse facoltà che ora, nella rara efflorescenza di una generazione, permettono ad alcuni individui straordinariamente dotati di esplorare i misteri della natura e di attingere pienamente a quella conoscenza di cui adesso vengono offerte al resto del mondo soltanto le briciole, sarà allora appannaggio di tutti indistintamente. Quanto al come si presenterà il settimo giro, anche i più comunicativi tra i maestri dell’occulto serbano un silenzio assoluto. L’umanità nel settimo giro sarà qualcosa di troppo divino perché gli uomini del quarto giro possano immaginarsi i suoi attributi. “La Terra, attualmente abitata dall’umanità del quarto giro, cioè dall’ondata di vita umana al suo quarto viaggio attraverso il cerchio dei mondi, ospita tuttavia alcuni rari individui, pochi in relazione al numero totale, che propriamente parlando appartengono al quinto giro. Ora, nel senso del termine qui impiegato, non si deve credere che per un qualsiasi processo miracoloso un’unità individuale abbia veramente percorso la catena dei mondi nella sua interezza più volte di quanto hanno fatto le sue parti. Sotto l’impero della legge che regola le ondate grazie a cui l’umanità progredisce, come si può ben vedere, ciò sarebbe impossibile. L’umanità non ha ancora fatto visita per la quinta volta neppure al pianeta immediatamente superiore al nostro. Le monadi individuali, però, possono superare le loro compagne per ciò che riguarda lo sviluppo individuale, e divenire così esattamente quali l’umanità sarà quando il quinto giro sarà stato compiuto. Un individuo nato come semplice uomo del quarto giro può, attraverso procedure di addestramento occultistico, trasformarsi in un uomo in possesso di tutti gli attributi di un individuo del quinto giro, e divenire così quello che potremmo definire un abitante del quinto giro”. Parte XII L’aura e i colori aurici Uno dei punti fondamentali dell’insegnamento rosacrociano, importantissimo per il lettore, riguarda l’aura, o l’atmosfera psichica dell’individuo umano, nonché i colori astrali che si manifestano al suo interno. Per aura s’intende “la tenue e invisibile emanazione, o effluvio, che crea un’atmosfera attorno alla persona o alla cosa che la irradia”, o almeno questa è la definizione in base al senso comune del termine. Tuttavia, negli scritti e negli insegnamenti occulti, il termine ha un significato più specifico ed esso viene impiegato per designare l’atmosfera psichica che circonda ogni individuo umano e che, impercettibile alla comune facoltà visiva, può essere colta a livello di chiaroveggenza. L’aura umana è un’emanazione dell’anima della persona che da essa è circondata, affine ai raggi del sole o al profumo dei fiori. Si tratta, più che di materia, di una forma d’energia, sebbene sia caratterizzata da una certa concretezza, il che giustificherebbe il fatto che alcuni scrittori l’abbiano trattata come una forma estremamente tenue di materia. L’aura umana ha la forma di un uovo ed essa, partendo dal corpo della persona che la emana, si dilata fino a raggiungere una distanza media di circa un metro. L’aura umana si compone di numerosi elementi, alcuni di livello superiore, altri di livello inferiore, che corrispondono a ciò che si manifesta nell’anima della persona. Proprio come le manifestazioni delle anime appartenenti a persone diverse variano in fortissima misura le une dalle altre, allo stesso modo accade che le relative aure varino nella stessa proporzione. Un occultista di livello superiore, addestrato alla chiaroveggenza, è in grado di leggere come in un libro aperto il carattere mentale ed emotivo di una persona, grazie all’aspetto e alla colorazione della sua aura. L’elemento di livello inferiore presente nell’aura umana è quello che gli occultisti chiamano “emanazione fisica”, la quale, oltre a essere quasi completamente incolore, è contrassegnata da minuscole e sottili strisce o linee simili a setole che stanno ritte sul corpo proprio come su di una spazzola. Se la persona è in buona salute, le setole si trovano in posizione eretta; se invece le condizioni di salute sono cagionevoli o se la persona deperisce, si abbassano come i soffici peli degli animali. Quando la persona è in movimento, le setole si disgiungono in minuscole particelle dall’aura stessa, rendendo plausibile l’ipotesi che siano proprio queste particelle a rendere i cani e altri animali in grado di seguire le tracce delle persone, e che sia questa l’essenza del loro fiuto. Altro elemento di livello inferiore, presente tra i vari che compongono l’aura umana, è quello che può essere chiamato l’elemento aurico dell’energia vitale. Quest’elemento viene percepito a livello di chiaroveggenza in quanto dotato di una luminescenza rosea di intensità molto debole che contiene minuscole scintille di magnetismo vitale se la persona è particolarmente magnetica. Può capitare che venga percepito anche da persone sprovviste del dono della chiaroveggenza: a queste si manifesta nella forma di una brezza carica di vibrazioni, simile all’aria tiepida che si leva dai campi in una giornata molto calda, oppure al calore irradiato da una stufa. Sorvolando sugli elementi aurici di livello inferiore, andremo ad analizzare l’interessante fenomeno dei “colori aurici”, i quali sono rappresentativi degli elementi mentali ed emotivi nell’anima di uomini e donne. Questi elementi formano i tratti caratteristici dell’aura allorché essa viene percepita a livello di chiaroveggenza. Se percepita in questo modo, l’aura ha l’aspetto di una nube luminosa dai colori vari e cangianti, di forma ovoidale che si dilata fino ad arrivare a circa un metro dal corpo, divenendo sempre più fievole man mano che raggiunge il limite più esterno, fino a scomparire. Ognuno dei colori dell’aura è rappresentativo di un particolare pensiero, mentale, emozione o sentimento presente nell’anima di un individuo. Ne consegue che la varietà e la gradazione dei colori aurici siano pressoché infinite a causa della complessità degli stati emotivi delle persone. La seguente tavola dei colori aurici fornirà la chiave per comprendere mescolanza e sfumature della nube luminosa che compone l’aura umana. Tavola dei colori aurici Il NERO denota astio, malanimo, desiderio di vendetta, e simili sentimenti bassi. Il GRIGIO (chiaro) segnala egoismo; (pallido) paura e terrore; (scuro) malinconia. Il VERDE (brillante) indica diplomazia, accortezza e saggezza, amabilità, tatto, garbo e affettazione in genere; (marcio) bassezza, astuta doppiezza, raggiro di basso rango; (cupo) gelosia, invidia, cupidigia. Il ROSSO è il colore della passione in generale, ma esiste un’ampia varietà di modi in cui esso si manifesta. Ad esempio, un rosso cupo e fumoso denota sensualità e passionalità triviale e animalesca; se il rosso è fiammeggiante e talora simile al bagliore dei fulmini, esso denota rabbia. In questo caso il rosso appare su di uno sfondo nero, se la rabbia nasce dall’astio o dal malanimo, e su di uno sfondo verdastro, se la rabbia è prodotta dalla gelosia o dall’invidia. Esso appare senza alcuno sfondo quando la rabbia nasce da una “giusta indignazione”, o dalla difesa di ciò che si ritiene essere una giusta causa. Un rosso cremisi denota amore e varia di sfumature in base al carattere della passione in questione. Ad esempio, un tono cremisi cupo e pesante è indice di un amore passionale e lussurioso; una tonalità più tenue e meno ammaliante denota amore mescolato a sentimenti più nobili, accompagnato da ideali più alti; infine, la più sublime forma di amore umano tra i due sessi si manifesta in un delicato color rosa. Il MARRONE (rossastro) denota avarizia e ingordigia. L’ARANCIO (brillante) indica orgoglio e ambizione. Il GIALLO, in tutte le sue gradazioni, indica forza d’intelletto nelle sue diverse forme. Un bel giallo dorato è segno di grande cultura, logicità nel ragionamento, lucidità di giudizio e acume, mentre un giallo cupo di una capacità intellettiva che si accontenta di considerazioni e argomenti di livello basso ed egoistico. I tono di colore intermedio tra i due summenzionati denota la presenza di capacità di raziocinio di minore (scuro) o maggiore (chiaro) elevatezza. Il BLU (scuro) rappresenta il fervore, il sentimento e, in generale, le tendenze che afferiscono alla sfera religiosa. Tuttavia, i toni cupi denotano il fervore religioso di livello basso, mentre le tonalità più chiare indicano una spiritualità più profonda. Queste tonalità variano da un cupo indaco a un bel viola luminoso. Il CELESTE (di una peculiare tinta e sfumatura) denota spiritualità. Questo blu spirituale ha un aspetto particolarmente brillante, trasparente e luminoso, difficile da descrivere a parole. Nelle aure delle persone che posseggono un alto livello di spiritualità appaiono minuscoli puntini luminosi simili a scintille, i quali spesso sfavillano come le stelle del firmamento in una notte limpida. Oltre ai normali colori citati esistono molte altre tonalità alle quali non è possibile dare un nome, poiché esse corrispondono a quei colori che si collocano al di là della facoltà visiva umana, come ad esempio l’infrarosso e l’ultravioletto. Senza doversi necessariamente addentrare in quest’aspetto dell’argomento, si può dire che i colori aurici ultravioletti indicano una grande profondità spirituale, che diviene percepibile se impiegata per raggiungere i fini più alti e degni. I colori aurici infrarossi denotano invece facoltà psichiche impiegate in modo indegno per il raggiungimento di bassi fini, come ad esempio la magia nera. Esistono altri due colori aurici per i quali è difficile dare una descrizione a parole, dal momento che non esistono termini adeguati per definirli. Essi sono: (1) il giallo primario, indice della somma luce spirituale dell’intelletto; (2) il bianco immacolato, ovvero quella speciale brillantezza e trasparenza, indice della presenza dello spirito ridestato. Uno studioso ha scritto sull’argomento: “Persino quando la mente è in stato di quiete si librano nell’aura quelle tinte che indicano le tendenze predominanti nell’uomo, al punto tale che è possibile discernere prontamente il suo livello di progresso e di sviluppo, così come i suoi gusti e altri tratti della sua personalità. Se la mente è turbata da una forte passione, sentimento o emozione, tutta l’aura appare nelle sfumature del colore che quella passione rappresenta. Ad esempio, un violento attacco d’ira fa sì che tutta l’aura mostri lampi splendenti di rosso su di uno sfondo nero, lampi che arrivano quasi a offuscare gli altri colori. Questo stato può durare per un tempo più o meno lungo, a seconda dell’intensità della passione. Se le persone comuni potessero rivolgere anche solo un rapido sguardo all’aura in questa veste, la terribile visione le farebbe inorridire al punto tale che non si abbandonerebbero mai più alla collera, tanto l’immagine somiglia alle fiamme e al fumo di quell’abisso a cui i credo ortodossi fanno riferimento. La mente umana che versa in tali condizioni diviene per un attimo un vero e proprio inferno. La mente travolta da un amore impetuoso fa sì che l’aura si tinga di cremisi, la cui sfumatura dipende dall’intensità della passione. Analogamente, un’esplosione di fervore religioso conferirà a tutta l’aura una coloritura blu. In breve, una forte emozione, un sentimento o una passione fanno sì che l’aura assuma e mantenga il colore corrispondente per tutta la durata del sentimento. Da quanto finora detto si comprenderà che sono due gli aspetti che determinano la fisionomia cromatica dell’aura, il primo dei quali dipende dai pensieri abitualmente predominanti nella mente della persona, mentre il secondo dipende da un’emozione o da una passione manifestate in un particolare momento. Il colore transitorio svanisce al dileguarsi del sentimento, sebbene con l’andare del tempo può accadere che un’emozione che si manifesta di frequente lasci un’impronta sul colore aurico. Il colore abituale assunto dall’aura varia gradualmente, com’è ovvio, a seconda che il carattere della persona migliori o comunque muti. I colori abituali sono indicativi del carattere generale della persona; quelli transitori denotano se nella persona ci siano o meno un sentimento o una passione dominanti in un momento particolare.” Un altro scrittore ha così descritto l’aspetto dell’aura di una persona: “Le tonalità e i colori dell’aura offrono uno spettacolo caleidoscopico sempre mutevole. L’occultista esperto è in grado di leggere il carattere di ogni persona, così come la natura dei suoi pensieri e dei sentimenti transitori, semplicemente grazie allo studio dei colori cangianti della sua aura: la mente e il carattere delle persone diventano un libro aperto, da studiarsi con attenzione e intelligenza. Persino il lettore di testi sull’occultismo che non ha una capacità di chiaroveggenza di livello così elevato, è tuttavia in grado di sviluppare in breve tempo quel senso di percezione psichica per mezzo del quale potrà alla fine sentire le vibrazioni dell’aura, sebbene non possa vederne i colori, ed essere così in grado di interpretare gli stati mentali che le hanno prodotte. Il principio è ovviamente lo stesso, poiché i colori non sono che l’aspetto esteriore delle vibrazioni stesse, proprio come i colori ordinari sul piano fisico altro non sono che le manifestazioni esterne delle vibrazioni della materia. Tuttavia, non si deve supporre che l’aura umana venga sempre percepita nella veste di una nube luminosa di colore mutevole. Quando diciamo che tale è il suo aspetto caratteristico, diamo all’espressione lo stesso senso che le daremmo in riferimento a una descrizione dell’oceano come una calma e profonda massa di acque verdastre. Noi sappiamo che non sempre l’oceano ha un simile aspetto, ma che in realtà a volte lo si vede montare in onde grandi come montagne, dalla cima bianca, e minacciare con la sua violenza le minuscole barchette degli uomini. Oppure, per fare un altro esempio, potremmo definire la parola ‘fiamma’ nel senso di un flusso brillante e fisso di gas ardente, ma purtroppo sappiamo benissimo che la parola designa quelle enormi e terribili lingue di fuoco che erompono dalle finestre di un edificio in fiamme e riducono in cenere tutto ciò con cui vengono in contatto. Così è per l’aura umana: a tratti essa è visibile come una dolce atmosfera, calma e luminosa, dall’aspetto di un grande opale sotto i raggi del sole; altre volte, invece, arde come le fiamme di un’immensa fornace, proiettando mostruose lingue di fuoco in tutte le direzioni, ergendosi e ricadendo in ampie onde di eccitazione emotiva, o passione, e talvolta turbinando come un enorme gorgo in direzione del proprio centro, oppure dipanandosi in un movimento esterno e allontanandosi dal centro. Altrimenti la si può vedere scagliare, traendoli dalle sue profondità, piccoli corpi o centri di vibrazione mentale, che al pari di scintille si disgiungono dalla fiamma madre e si allontanano viaggiando in altre direzioni. Queste sono le proiezioni delle forme mentali di cui ama discutere ogni occultista e che chiariscono le stranezze di molte manifestazioni psichiche.” I tre colori aurici primari Al pari delle loro controparti fisiche, i colori aurici derivano dai tre colori primari, a partire dai quali si formano tutte le altre combinazioni. I tre colori primari, insieme al bianco e al nero, ci consentono di accedere all’intero spettro aurico. I tre colori primari sono: (1) rosso, (2) blu e (3) giallo. Da questi tre colori si ottengono tutti gli altri mediante combinazioni e mescolanze, oppure mediante l’aggiunta del bianco o del nero. I colori secondari si formano nel seguente modo: (1) il verde deriva da una combinazione di giallo e di blu; (2) l’arancio deriva da una combinazione di giallo e di rosso; (3) il viola deriva da una combinazione di rosso e blu. Ulteriori combinazioni producono altri colori: ad esempio, il verde e il viola danno luogo al verde oliva; l’arancio e il viola formano il ruggine; il verde e l’arancio formano il giallo limone. Il nero è in realtà l’assenza di colore, mentre il bianco è l’armoniosa miscela di tutti i colori. La mescolanza in varia misura dei colori primari produce le cosiddette “tonalità” dei colori; aggiungendo del bianco otteniamo dei “chiari”, mentre mescolando del nero si producono gli “scuri”. Le chiavi dei colori aurici Una comprensione del carattere fondamentale dei tre colori aurici primari, come pure del nero e del bianco aurici, offrirà al lettore la chiave di accesso all’intera gamma della coloritura aurica. GRUPPO DEL ROSSO. Il rosso rappresenta la natura fisica. La sua presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo aspetto della natura umana. GRUPPO DEL BLU. Il blu rappresenta la natura religiosa o spirituale. La sua presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo aspetto della natura umana. GRUPPO DEL GIALLO. Il giallo rappresenta la natura intellettuale. La sua presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo aspetto della natura umana. BIANCO. Il bianco rappresenta il puro spirito. La sua presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questa realtà nella natura umana. NERO. Il nero rappresenta la negazione del puro spirito, cui si oppone in ogni modo. La sua presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo principio negativo nella natura umana. Le varie combinazioni dei tre colori aurici primari si formano con l’aggiunta del bianco e del nero, così come pure per mezzo della miscela dei tre colori primari stessi. È chiaro che queste combinazioni sono la risultanza delle sfumature dell’attività mentale ed emotiva manifestata dall’individuo. Tuttavia, non solo la miscela è ottenuta mediante la combinazione degli stessi colori, alla quale partecipano il bianco e il nero, ma in taluni casi si scopre che l’essenza di un colore può risultare screziata, punteggiata, oppure offuscata dalla presenza di altri. A volte si può notare come due flussi di colore antagonisti combattano tra loro prima di fondersi, oppure l’effetto che provoca un colore che ne annulla un altro. In alcuni casi ampie nubi nere offuscano i colori chiari sottostanti, scurendone così la vivida brillantezza, proprio come nei casi di conflagrazione fisica. Può inoltre accadere di scorgere forti lampi di giallo luminoso o di rosso scintillare nello spazio dell’aura, i quali lampi manifestano agitazione oppure conflitto tra intelletto e passione. È importante notare come il gruppo del verde possa sembrare di primo acchito un’eccezione alla regola generale concernente la miscela dei colori aurici primari e come manifesti contraddittorietà di carattere. Ad esempio, è difficile per il lettore di livello medio comprendere il motivo per cui, da una miscela tra il blu spirituale e il giallo intellettuale, debba originarsi un verde che indica inganno. Tuttavia, una sottile analisi del concetto di inganno può rivelare il segreto di questa combinazione, specialmente se si nota come in alcune delle più indesiderabili combinazioni di verde sia presente una lieve mescolanza di nero e di rosso. Esiste d’altra parte una certa tonalità di verde, ovvero quella prevalente nel colore delle foglie delle piante, la quale, quando è presente nella coloritura aurica, indica amore per la natura e così via. La spiegazione ci viene offerta da un celebre occultista che afferma che: “La chiave di volta sta nel fatto che il verde è al centro dello spettro, operando da bilancia tra i due estremi, e venendone da essi influenzato in modo sorprendente”. Suggerimenti importanti I maestri rosacrociani non si accontentano semplicemente di fornire insegnamenti al lettore circa i colori particolari dell’aura, che indicano la presenza e l’attività di taluni stati mentali o emotivi della persona. Essi istruiscono il discepolo anche sulla base del celebre principio dell’azione e della reazione, il quale rappresenta un carattere fondamentale di talune branche della dottrina rosacrociana. Vale a dire, insegnano al discepolo che, se egli terrà bene impressa nella mente l’immagine di un dato colore, da ciò scaturirà una reazione, la quale condurrà alla produzione nella sua psiche, o natura emotiva, del sentimento o dell’emozione che gli corrispondono. Ad esempio, se il discepolo concentrerà la sua mente e la sua attenzione sul gruppo del rosso, in lui si risveglierà un forte sentimento di passione, cui seguirà una manifestazione di animalesca vitalità e vigore, virilità e coraggio. Se poi, allo stesso modo, il lettore si concentrerà sul gruppo del blu, egli sperimenterà l’insorgere di sentimenti religiosi o spirituali, e la sua natura si rinvigorirà lungo quelle coordinate. Se invece egli vorrà stimolare le sue facoltà intellettuali, o vivificare una mente affaticata, egli non dovrà far altro che concentrarsi sul gruppo del giallo per ottenere il risultato sperato. In tal modo è possibile notare che non solo gli stati mentali ed emotivi si manifestano con colori specifici, ma che anche i colori stessi possono produrre i corrispondenti stati mentali ed emotivi. L’effetto del rosso sul toro e su altri animali si spiega in questo modo; allo stesso modo ci viene suggerita la risposta al perché un uomo “vede rosso” in momenti di grande eccitazione, tali da spingerlo all’azione fisica del castigo. Fa inoltre parte dell’insegnamento rosacrociano il fatto che i tre colori primari abbiano un evidente effetto terapeutico e che si possa applicare questo principio all’esercizio della taumaturgia. In questo tipo di impiego dei colori il guaritore può alternativamente utilizzare i colori fisici che si trovano nei pressi della persona da curare, oppure quelli che ha in mente. Qui di seguito è elencata la scala terapeutica dei colori. Scala terapeutica dei colori I toni del blu, viola, lavanda hanno un effetto calmante e lenitivo sul sistema nervoso, nonché sulla circolazione sanguigna e sull’organismo in genere. I toni del verde erba hanno un effetto riposante e rinvigorente su tutto il corpo. I toni del giallo e dell’arancio conferiscono ispirazione e illuminazione alle facoltà mentali. I toni del rosso hanno un effetto eccitante e stimolante su mente e corpo (ciò è particolarmente vero per i toni dello scarlatto e del rosso brillante). L’aura protettiva I maestri rosacrociani forniscono ai propri discepoli istruzioni anche riguardo la creazione e il mantenimento dell’aura protettiva, la quale è il riparo dell’anima, della mente e del corpo dagli influssi negativi da cui sono minacciati consciamente o inconsciamente. Quest’aura protettiva è una vera e propria armatura contro ogni forma di attacco e di invasione psichica, non importa da dove sferrati. Essa offre un mezzo di protezione semplice ma molto efficace contro influenze psichiche avverse, “magnetismo mentale negativo” o magia nera; protegge inoltre dal vampirismo psichico, ovvero dal prosciugamento della energia magnetica. I metodi di formazione dell’aura protettiva sono molto semplici e consistono unicamente nella creazione (facendo leva sulla forza di volontà) di un’immagine mentale di se stessi quali esseri avvolti da un’aura di luce pura, limpida e candida, che è il simbolo e il segno dello spirito. Un breve periodo di esercizio dovrebbe rendere il lettore capace di avvertire effettivamente la presenza e la forza dell’aura protettiva. La luce bianca è l’irradiazione dello spirito, e lo spirito è il signore di tutte le cose. Così si è espresso al riguardo uno dei maestri: “Il più alto e profondo degli insegnamenti occulti è che la luce bianca non deve mai essere impiegata a scopi di attacco o vantaggio personale. Essa può essere opportunamente impiegata, da ognuno e in ogni momento, per proteggersi contro le influenze psichiche avverse provenienti dall’esterno, non importa da chi esercitate.” Analizzando ulteriormente l’aura, si potrà rintracciare una chiave d’accesso alla comprensione di fenomeni molto interessanti quali il magnetismo personale, l’influenza magnetica e l’atmosfera personale. Parte XIII I sette principi cosmici I Rosacroce insegnano che ci sono sette principi cosmici, presenti e operanti nel cosmo, che abbracciano persino le sue attività più minute. I.Il principio della Corrispondenza. II.Il principio di Causa ed effetto. III.Il principio della Vibrazione. IV.Il principio del Ritmo. V.Il principio dei Cicli. VI.Il principio della Polarità. VII.Il principio del Genere. I. Il principio della Corrispondenza II principio della Corrispondenza si manifesta nell’analogia, o accordo, tra le manifestazioni dei vari piani di attività del cosmo. A tale principi allude l’antico aforisma ermetico: “Come è in alto, così è in basso; come è sotto, così è sopra” e si richiama l’assioma arcano: “Ex uno disce omnes”, ovvero “da uno conosci tutti”. I Rosacroce partono dal concetto che le leggi che governano un’ameba governano gli esseri a essa superiori; inoltre, quanto è vero della materia è altrettanto vero dell’energia e della mente. Così, come il sistema solare può essere studiato tramite l’osservazione di atomi e molecole, allo stesso modo i piani superiori dell’essere possono essere studiati tramite un esame dei piani inferiori che si manifestano davanti ai nostri occhi. Ragionando per analogia, possiamo determinare la natura dell’incognita X non conosciuta su un piano superiore, studiando l’ignoto per mezzo del noto. Su ogni piano dell’essere si manifesta ognuno dei sette principi cosmici. Più la ricerca umana si addentra nell’ignoto, più evidente diviene l’esistenza di questi principi enucleati sulla base del principio della Corrispondenza. Studiando la monade, l’occultista comprende l’arcangelo”5. In ogni cosa si può trovare (1) sostanza o corpo; (2) movimento o energia attiva; (3) coscienza o consapevolezza. Sostanza. L’antico insegnamento occultistico secondo cui “ogni cosa ha corpo” sembra essere stato pienamente confermato da tutte le successive ricerche. Va notato, tuttavia, che per sostanza non si intende necessariamente ciò che la scienza moderna definisce “materia”, poiché quest’ultima è semplicemente una forma o fase del corpo. La materia, per come la conosciamo, ha un’ampia gamma di manifestazioni, dal granito, ai gas più fini. La scoperta scientifica della cosiddetta materia radiante apre alla scienza un campo prima riservato al lavoro degli occultisti e dei metafisici. Una simile materia in realtà non è affatto materia, ma supermateria, una forma superiore di sostanza o corpo. Tuttavia, esistono forme di sostanza tanto più fini e rare della materia radiante quanto questa lo è del granito, dell’acciaio e del diamante, note agli occultisti. Le loro dottrine ci informano del fatto che su altri piani vi sono esseri viventi i cui corpi sono composti di sostanza talmente fine e sottile che il termine “eterea” usato per definirla è quello che più si avvicina a rendere il concetto. Ricordate, l’insegnamento è che “Ogni cosa ha sostanza o corpo”, e ogni cosa significa “tutto ciò che è manifesto”. Movimento o energia attiva. Là dove c’è sostanza, c’è movimento. Come è vero che ogni cosa ha un corpo, è vero anche che “ogni cosa si muove”. Il movimento è il risultato della presenza e della potenza dell’energia attiva. Tale energia attiva è ovunque presente e manifesta. Sia le dottrine occultistiche sia la scienza moderna insegnano che tutto è sottoposto a un costante mutamento, e qualsiasi mutamento è impossibile senza l’energia attiva e il movimento. Nulla è in quiete assoluta. Dal più piccolo elettrone o atomo, fino al più grande sole, tutto è in costante movimento. Ricordate l’insegnamento che “ogni cosa si muove”, dove per ogni cosa si intende “tutto ciò che è manifesto”. Coscienza. Là dove c’è sostanza c’è anche movimento e coscienza e l’uno non può esistere senza l’altro: “ogni cosa è cosciente”. Come abbiamo visto nello studio dei capitoli sui piani di coscienza, si ha qualche forma, fase o grado di coscienza manifesta in tutti i piani della vita e dell’essere. II. Il principio di Causa ed effetto Il principio di Causa ed effetto si manifesta nella presenza e nella manifestazione di una sequenza regolare, di un’ordinata progressione di fenomeni nell’universo delle cose. A ciò si richiama il famoso assioma (formulato da uno scienziato di spicco) secondo cui “l’universo è governato da leggi”. Lo spirito di questo principio di verità è pienamente espresso dal termine “cosmo”, derivato dalla parola greca kósmos, che significa “il mondo o l’universo in quanto dominato dall’ordine e dall’armonia, in contrasto al caos”. Nulla accade per caso, ma conformemente alla legge, all’ordine e alla causalità. Negli insegnamenti dei Rosacroce si insiste sul fatto che “il caso non esiste”, almeno se per caso si intende un “avvenimento privo di cause”. La parola “caso” viene meglio impiegata nel senso di “causa sconosciuta o imprevista di un evento”. Nel cosmo le stesse cause, se si manifestano nelle stesse circostanze, producono sempre gli stessi effetti. Tutta la nostra scienza e il nostro pensiero si basano su questo fatto universale, e qualsiasi ragionamento intelligente sarebbe impossibile senza il tacito presupposto della verità di questo principio. L’universo non ha spazio per il caso o per gli avvenimenti casuali e arbitrari. Ogni cosa, ogni avvenimento e ogni evento deve avere le sue “cause” e i suoi “perché”. Ogni cosa succede “a causa” di questo e questo. Date certe cause, devono necessariamente seguire determinati risultati ed effetti. “Non succede mai nulla”, dice il vecchio proverbio, e niente mai “succede” se non per cause ben definite e nell’osservanza di leggi universali. Un autore ha scritto a questo proposito: “Quel che noi chiamiamo caso non è altro che un modo per designare delle cause e delle regole così complesse da non poter essere afferrate dalla nostra mente. In senso etimologico la parola ‘caso’ deriva dal termine ‘caduta’ e si riferisce, quindi, a un accadimento che non dipende da alcuna causa specifica. Si parla di caso nel gioco dei dadi, per indicare l’apparente accidentalità del loro cadere in un certo modo. Ma la caduta dei dadi non è dovuta al caso, bensì obbedisce a una regola ben precisa, la stessa che determina la rivoluzione dei pianeti intorno al sole: il dado, in determinate circostanze, non può che mostrare una certa faccia”. Non si può parlare, tuttavia, di fato nel senso ordinario del termine. Il fatalismo nega che eventi precedenti abbiano una relazione causale con eventi successivi, e sostiene che l’evento fatale si sarebbe verificato comunque, a prescindere da qualsiasi evento precedente. Il fatalismo sottrae l’evento fatale all’azione del principio di Causa ed effetto, e sottintende che l’evento è stato determinato da qualche arbitrario decreto o volere. La seguente citazione da una fonte autorevole servirà a sottolineare la distinzione fondamentale tra fatalismo e determinismo della legge cosmica: “In effetti, il determinismo e il fatalismo sono dottrine antagoniste. Il fatalismo è una dottrina secondo cui il corso degli eventi è determinato in modo tale che la volontà dell’individuo è priva di effetti su di esso. Il determinismo invece restituisce alla volontà la sua dignità di causa efficiente, inserita in una catena causale. Il determinismo asserisce che gli eventi sono determinati da alcuni degli eventi che immediatamente li precedono; che se questi fossero stati diversi, anche quelli lo sarebbero stati, il che implica che il fine è predeterminato ma non così il mezzo. La concezione del determinista prevede che gli eventi che si verificano nel presente conducano, secondo la legge di causalità, ad altri eventi predeterminati perché le loro cause sono già esistenti. Per il fatalista ciò che determina l’evento non è un altro evento immediatamente precedente, ma un misterioso decreto emesso, nella notte dei tempi, da un misterioso agente”. III. Il principio della Vibrazione Il principio della Vibrazione si manifesta in una condizione di vibrazione diffusa permanentemente in tutto il cosmo manifesto: “Tutto vibra”. La scienza moderna ci dice che non solo ogni particella od ogni massa di materia sono in uno stato di continua vibrazione, ma anche la luce, il calore, il magnetismo, l’elettricità e ogni altra forma di forza naturale è il risultato di tale stato di vibrazione. Gli occultisti si spingono oltre e affermano che anche sui piani mentali e spirituali si manifesta una perenne condizione di vibrazione. La distinzione tra i diversi piani dell’essere e le condizioni delle sostanze materiali sono quasi interamente dovute alla differenza di frequenza e di carattere delle vibrazioni. Tutte le manifestazioni di pensiero, emozione, volontà, desiderio o sentimento, o di qualsiasi altro stato mentale sono accompagnate e provocate da vibrazioni di una determinata elevata frequenza, e tali vibrazioni tendono a influenzare altri nel loro campo di “induzione” e a provocare in essi vibrazioni simili. Su questo fatto riposa il segreto dell’influsso mentale, del contagio emozionale o del magnetismo personale. La conoscenza e la padronanza della scienza delle vibrazioni mentali consente di mutarne a proprio piacimento la frequenza, e di conservare così uno stato di calma e di potenza mentale, immune a influssi esterni. Il moderno assioma scientifico: “La differenza tra le cose consiste esclusivamente in una differenza di vibrazioni” è affine all’antico aforisma secondo cui “le cose manifestano diversità in accordo alla loro frequenza di vibrazioni”. IV. Il principio del Ritmo Il principio del Ritmo si manifesta in quell’universale e regolare oscillazione, o battito temporale, osservabile in tutto il mondo manifesto, dalle sue manifestazioni più basse a quelle più alte. L’antico assioma “ogni cosa segue un ritmo” esprime questo fondamentale carattere del cosmo. Ritmo significa: “movimento, mutamento o impulso riproponentesi regolarmente, e sviluppantesi in una sequenza alternante e temporalmente misurabile”6. Il ritmo si manifesta in un ricorrere regolare, in una successione di fasi in un periodico riproporsi a intervalli stabiliti. Dare il ritmo significa battere il tempo con regolarità. In ogni ritmo vi sono movimento, mutamento e attività ricorrenti, azione o movimento in direzioni opposte; alternanza tra i poli opposti dell’azione e un regolare intervallo di tempo tra le azioni o i movimenti alternanti. Ogni mutamento fenomenico oscilla sempre tra due estremi opposti tra cui avviene il movimento ritmico. Il periodo di “tempo” tra i due impulsi alternanti costituisce la frequenza, il grado o il battito ritmici, ovvero la misura di periodicità ritmica. Il termine “periodicità”, impiegato così spesso in riferimento al ritmo, indica il verificarsi e riproporsi di un fenomeno a intervalli fissi di tempo. Ogni elemento del mondo fenomenico manifesta periodicità e un proprio battito ritmico. Gli atomi nelle loro vibrazioni, così come il moto dei pianeti e la rotazione della terra, oppure l’alzarsi e l’abbassarsi delle onde manifestano un ritmo. L’oscillazione del pendolo è ritmo interrotto. Il ritmo completo è rappresentato soltanto da una rivoluzione o da un movimento circolare completi lungo un’orbita. Tuttavia, dal momento che il punto mediano tra due estremi si muove, esso stesso, in risposta a un ordine superiore di ritmo, vediamo che in definitiva qualsiasi ritmo completo si manifesta in un movimento a spirale, ovvero in un movimento circolare che al tempo stesso è un movimento in avanti. Persino le nostre emozioni conoscono un movimento simile a quello delle maree. Uno scrittore ha detto a proposito di un importante fatto che riguarda il ritmo nei nostri stati emozionali: “Nulla oscilla spingendosi al di là dei suoi estremi, nulla può superare i propri limiti ritmici. Di conseguenza, se una cosa oscilla in una direzione, poi ripercorre la stessa distanza nella direzione opposta. La sua reazione ha la stessa misura della sua azione, anche se va in senso opposto. (...) Coloro che soffrono molto, gioiscono anche molto, mentre coloro la cui natura è meno sensibile alla sofferenza, hanno anche una limitata capacità di gioire. Il pendolo percorre la stessa distanza in una direzione e nell’altra”. Nei livelli superiori dell’insegnamento rosacrociano, il discepolo viene addestrato ad applicare il principio del Ritmo al controllo dei propri sentimenti e stati emotivi. L’essenza di tale insegnamento segreto è che il saggio, consapevole dell’inevitabile reazione che segue all’azione, della bassa marea che segue all’alta marea, si solleva fino ai regni o ai piani superiori di coscienza, subito prima dell’oscillazione di ritorno del pendolo emozionale, facendo così in modo che il movimento di reazione si manifesti soltanto sui piani inferiori della coscienza, mentre l’ego dimora nelle serene regioni dei piani superiori. Questa è “la legge di neutralizzazione, che consiste nell’innalzare l’ego sopra il piano conscio ordinario, fino ai piani superiori. Il che è analogo a quando ci si alza in piedi per lasciar passare una cosa sotto di noi. I maestri occultisti e i loro discepoli di livello più avanzato si assestavano sul polo positivo di un particolare stato emozionale e, tramite un procedimento simile a una negazione, riuscivano a sottrarsi agli effetti dell’oscillazione del pendolo in direzione del polo negativo dell’emozione. Impedendo ai loro stati mentali ed emozionali negativi di manifestarsi in loro, essi li neutralizzavano facendoli passare sotto di sé su un piano inferiore di coscienza. Chi opera consapevolmente e deliberatamente a questo fine acquisisce un grado di equilibrio, serenità mentale e potere quasi incredibile”. V. Il principio dei Cicli Il principio dei Cicli si manifesta in quell’universale direzione circolare del movimento e dello sviluppo che è evidente in tutto il mondo manifesto, dalla sua manifestazione più alta a quella più bassa. Lo spirito di questo principio è stato espresso nell’antico assioma secondo cui “tutto si muove circolarmente”. Risulta evidente a tutti i pensatori e i ricercatori attenti che qualsiasi sviluppo o movimento delle cose fisiche, mentali e spirituali e degli eventi è caratterizzato dal ciclo, ovvero dalla tendenza alla circolarità. Il principio diviene più chiaro se comprendiamo che una manifestazione completa e ininterrotta del ritmo si risolve nel compimento di un movimento circolare; di conseguenza, la tendenza circolare o ciclica delle cose è davvero strettamente collegata al principio del Ritmo, e sia il ritmo sia la ciclicità sono strettamente collegati al principio della Vibrazione. Un autore che si è occupato di questo argomento ha messo in luce alcuni dei punti principali da considerare in relazione a questo principio: “La ciclicità è affine al ritmo e sorge a causa di esso. La primigenia manifestazione del ritmo è il movimento in avanti e indietro lungo una linea retta o un tragitto rettilineo, un movimento di andata e ritorno tra due estremi o poli di azione. Quando però il pendolo oscillante (libero di muoversi in ogni direzione) è soggetto alle attrazioni e repulsioni antagoniste di altre manifestazioni di forza e di energia, lì si manifesta la tendenza universale alla traiettoria circolare, la tendenza, cioè, a convertire il tragitto rettilineo dell’oscillazione in un tragitto circolare o ciclo. L’azione e la reazione, l’attrazione e la repulsione, nascendo dal conflitto tra, da un lato, la forza dell’oscillazione ritmica lungo una linea retta, e, dall’altro, le forze di attrazione e repulsione provenienti dall’esterno, tendono a far oscillare la cosa in movimento in un cerchio perfetto attorno a un punto centrale, a un asse o a un fulcro. Queste forze antagoniste agiscono in tutto il cosmo, e la manifestazione della ciclicità può essere notata su tutti i piani. Dagli elettroni fino ai pianeti, vi è sempre un movimento circolare intorno a un dato punto e, al contempo, il movimento di punto, o centro del movimento, intorno a qualche altro centro, e così via, all’infinito”. Dato questo movimento circolare intorno a un punto, asse o centro di attrazione, e dato anche una progressione di quel centro, punto o asse, ne segue che il movimento circolare primario sarà secondariamente anche un movimento a spirale. Se il punto centrale avanza, allora il movimento circolare si converte in un movimento a spirale. L’andare in circolo si compie su un piano lievemente superiore e su una posizione più avanzata di quella del giro precedente. È questo che avviene nel cosmo, un movimento cosmico a spirale, in avanti e verso l’alto, in circoli avanzanti e ascendenti. Un aforisma di antica scuola afferma: “La sola fuga possibile dalla ciclicità è il movimento a spirale, vale a dire lo spostamento in avanti del punto centrale del moto. La trasformazione del cerchio in spirale è una delle più alte forme di alchimia”. In questo aforisma sta uno dei segreti dei Rosacroce. La regola agisce su ogni piano dell’essere, fisico, mentale e spirituale. Un autore ha scritto a questo proposito: “L’ego può trasformare il circolo del proprio movimento vitale in una spirale avanzante e ascendente, che, pur continuando a farlo girare in circolo, lo porterà nel contempo a uno stadio superiore. La “montagna della realizzazione”, intorno a cui si avvolge il sentiero a spirale, si sale solo in questo modo. I pellegrini si muovono sempre in circolo, apparentemente ripercorrendo i propri passi, ma in realtà continuando a salire. Portando in avanti il punto centrale per mezzo della volontà, il saggio e il forte convertono i cerchi in spirali, e in tal modo avanzano e si realizzano. Questa, in verità, è una delle forme più alte di alchimia mentale”. VI. Il principio della Polarità Il principio della Polarità si manifesta in quella realtà universale che sono le “coppie di opposti” o “antinomie”, evidenti in tutto il mondo manifesto, in cui “ogni cosa ha il suo opposto, che rappresenta l’altro polo della sua manifestazione”. Il principio della Polarità può essere formulato nel modo seguente: “Tutti i fenomeni manifestano polarità, ovvero una serie di qualità, proprietà o poteri opposti e antagonisti, che operano in direzioni opposte e contrastanti”. Gli antichi filosofi ritenevano che gli opposti polarizzati costituivano una coppia, che, se riunita, veniva a rappresentare una sintesi superiore, e così via all’infinito, fino a che gli opposti non trovavano una riconciliazione e un’armonizzazione finale in una realtà infinita. Un esempio che illustra perfettamente il principio generale è dato dal magnete e dai suoi poli positivo e negativo. Il magnete è esattamente un’unità in cui agiscono l’equilibrio e la riconciliazione dei due poli opposti, delle rispettive attività e poteri. Ogniqualvolta vediamo una qualità, una proprietà o una caratteristica fenomenica, siamo pienamente legittimati a supporre l’esistenza di un suo opposto, che agisce in direzione opposta e contrastante. La regola è la seguente: “Qualsiasi caratteristica si attribuisca a uno degli opposti di una coppia deve essere negata all’altro; e qualsiasi cosa sia negata all’uno, deve essere attribuita all’altro”. Una delle caratteristiche più sorprendenti di questa scoperta è che ci possiamo finalmente rendere conto di come le due opposte serie di qualità non siano in realtà altro che due aspetti o fasi, non disgiunte tra di loro, che insieme formano un’unità correlata e un intero equilibrato: parlando di “caldo” o di “freddo” ci si riferisce quindi ai due poli di un unico concetto, la “temperatura”. Il caldo diviene freddo quando le vibrazioni mutano. Il sopra diventa sotto, man mano che la terra gira. La scoperta che “gli opposti sono identici”, nel senso che non sono altro che i due poli opposti della stessa cosa, apre un meraviglioso campo d’azione nel senso della trasmutazione e del bilanciamento. La comprensione del principio della Polarità mette in grado l’occultista di trasmutare uno stato mentale nell’altro. Cose che appartengono a classi differenti non possono essere trasmutate l’una nell’altra; l’odio non potrà mai diventare l’est o l’ovest, o il rosso o il viola, ma può diventare amore spostando il centro della forza polare verso l’altro estremo della scala. Uno scrittore esperto dell’argomento afferma su questo punto: “Oltre a modificare i propri stati mentali, l’applicazione del principio della Polarità può servire a esercitare la propria influenza mentale su un’altra mente, argomento sul quale molto si è scritto e discusso negli ultimi tempi. Appena ci si rende conto che è possibile operare induzioni mentali, cioè modificare gli stati mentali di altri individui, si comprende anche che uno stato mentale può essere trasmesso a un altro soggetto, modificando la polarità del suo stato mentale originale. Con l’applicazione di questo principio, è possibile ottenere ottimi risultati durante i “trattamenti mentali”. Prendiamo il caso di una persona malinconica e timorosa: un terapeuta mentale è in grado di modificarne lo stato mentale con opportune vibrazioni di volontà, fino a portare la sua mente al grado di polarizzazione voluto. Egli riuscirà ad aumentare le sue vibrazioni, finché la persona trattata si polarizzerà sull’estremità positiva della scala, anziché su quella negativa, trasformando le proprie paure in coraggio e positività. Riflettendo su queste considerazioni, vi renderete conto che quasi tutti i mutamenti avvengono lungo le linee della Polarizzazione, poiché il cambiamento è di grado e non di sostanza. La conoscenza di questo grande principio occulto permetterà allo studioso di comprendere a fondo i propri stati mentali e quelli degli altri. Egli realizzerà che questi dipendono dal grado e che, di conseguenza, potrà modificarli alzando o abbassando le vibrazioni, diventandone così padrone e non più schiavo. Grazie a questa facoltà sarà in grado di aiutare le altre persone cambiando la polarità quando necessario”. Concludendo la nostra analisi del principio di Polarità, chiediamo al lettore di leggere attentamente il passo che segue, scritto da un profondo conoscitore dell’importante argomento dell’equilibrio, la cui arte consiste nel trovare il punto mediano tra due estremi, mantenendo così una stabilità che nessuna tempesta mentale o emozionale possa disturbare. “La stabilità è potere che deriva dall’equilibrio. L’equilibrio si ottiene spostandosi e rimanendo nel punto mediano tra i due poli opposti. Con la stabilità e l’equilibrio, il maestro neutralizza la polarità e il ritmo, risolvendoli in unità. Nel cuore della tempesta c’è pace; al centro della vita c’è stabilità e potere. Cercali sempre, o neofita, poiché in essi troverai te stesso. “Queste frasi sono l’essenza di un antico aforisma arcano che contiene il pensiero seminale prodotto nei secoli dal pensiero e l’esperienza dei maestri. Non lo sottovalutate a causa della sua semplicità. L’equilibrio stabile è il fine e lo scopo degli iniziati alla sapienza arcana. È il segreto del potere. Vi è sempre un centro di tutto, ma questo centro esiste soltanto perché esiste la circonferenza. Vi è sempre un punto di equilibrio tra i poli di ogni coppia di opposti. Quel punto, però, esiste soltanto perché esistono gli estremi, e racchiude la potenza dell’intero evento o dell’intera cosa. Nel centro di gravità della terra si potrebbe rimanere in una posizione di perfetto equilibrio, senza altro sostegno che la gravità concentrata della Terra intera. Si sarebbe talmente stabili che un semplice atto di volontà basterebbe a sprigionare energia sufficiente a proiettarci in qualsiasi direzione desiderata. La potenza degli opposti si concentra nel punto centrale: lì e soltanto lì si trova tutto il potere. L’assioma “azione e reazione sono uguali” indica un punto centrale dove si trova la leva che muoverà il tutto. Al centro è possibile usare azione e reazione senza essere soggetto a nessuna delle due. L’iniziato si sforza di raggiungere uno stato di equilibrio e di perfetta stabilità; egli aspira a padroneggiare l’arte di camminare sulla lama di rasoio della vita, rimanendo perfettamente in equilibrio, da allenato atleta mentale quale è, grazie all’asta da funambolo rappresentata dagli opposti che egli ha saldamente afferrato. Opponendo gli opposti l’uno all’altro, bilanciando legge con legge, il maestro cammina sul sottile filo che separa il mondo del desiderio da quello della volontà. Al centro della vita il neofita troverà stabilità e potere, nel cuore della tempesta troverà pace, al centro del cosmo troverà SE STESSO. Colui che trova il centro di se stesso, trova il centro del cosmo; poiché, in definitiva, essi sono TUTT’UNO!”. Quando il lettore si trova dinanzi a interrogativi e problemi in cui la scelta è difficile a causa del forte influsso di entrambi gli estremi della polarizzazione, di entrambi gli opposti della coppia, sarà bene che cerchi il punto mediano tra i due poli opposti, e che vi rimanga saldo, sentendosi sicuro che lì, e lì soltanto si trova pace, stabilità e potere. Nella semplice parola “EQUILIBRIO” si può trovare il segreto di molti o della maggior parte degli enigmatici interrogativi della vita. Cercate sempre stabilità ed equilibrio, e avrete potenza e pace! VII. Il principio del genere Il principio del Genere è stato espresso nell’assioma secondo cui “il sesso è onnipresente e onnipervasivo nell’universo. Ogni creazione è generazione, e ogni generazione pro-cede dal sesso”. Il principio maschile e quello femminile sono sempre all’opera nell’universo, non solo sul piano fisico dell’essere, ma anche su quello mentale e spirituale. Sul piano fisico, il sesso si manifesta nella generazione fisica, sul piano mentale nella generazione mentale, mentre sul piano spirituale in quella spirituale. Abbiamo già richiamato la vostra attenzione sul fatto che l’attività degli elettroni, degli atomi e dei corpuscoli di cui la materia si compone è un’attività puramente sessuale; che qualsiasi forma di attrazione è attrazione sessuale, e che, dal momento che tutta l’attività cosmica è un risultato dell’attrazione, il sesso è il movente di tutta l’attività del cosmo. Passando al piano della mente, vediamo che molte scoperte della psicologia moderna tendono anch’esse a provare la validità della teoria rosacrociana. Gli psicologi moderni stanno dedicando molto tempo alla presentazione delle varie teorie e discussioni sull’aspetto che essi variamente definiscono “mente soggettiva”, “mente subconscia”, o”mente subliminale”. In tutte le loro teorie, tuttavia, emerge prepotentemente un punto, e cioè che questa altra mente è soggetta agli influssi stimolanti della mente conscia o oggettiva, e che grazie a tali influssi essa diviene fertile e produce una gran quantità di idee, pensieri e azioni. Fin adesso, però, nessun psicologo ha mai cercato di spiegare la natura dell’influsso o stimolo di una mente sull’altra. Il Rosacroce riconosce e comprende immediatamente il fatto che l’altra mente è femminile, mentre la mente stimolante è maschile, e che il processo che avviene è quello di fertilizzazione, seguita da concepimento e generazione mentale. L’analogia è così chiara che basta rivolgerle per un attimo la nostra attenzione per apprezzarne la verità, e riconoscere l’opportunità di applicarla al caso che abbiamo davanti. Thompson J. Hudson, nel suo libro La legge dei fenomeni psichici, nel quale, nel 1893, enunciava la sua famosa teoria della “mente duale”, fu a un passo dall’indovinare il segreto nascosto negli insegnamenti degli antichi occultisti, ma i suoi pregiudizi fecero sì che egli tralasciasse di soffermarcisi. All’inizio del secondo capitolo del suo libro egli afferma: “Il gergo mistico dei filosofi ermetici lascia trasparire la stessa idea generale”, vale a dire, l’idea generale del dualismo della mente; tuttavia, egli non riuscì a dare un seguito alla promettente premessa, e perse così l’opportunità di completare la sua scoperta. L’altra mente dell’individuo umano potrebbe essere considerata un grembo mentale (così, del resto, la definirono gli antichi) in cui viene generata un’abbondanza di progenie mentale. I suoi poteri di energia generativa mentale sono enormi, tuttavia essa non genera se non è stimolata dalla mente conscia del suo possessore o di qualche altra persona. I fenomeni della suggestione e dell’ipnotismo sono spiegabili alla luce della teoria rosacrociana del sesso mentale. Un autore ha scritto su questo argomento: “Lo stesso meccanismo viene usato per l’ipnotismo e la suggestione: chi suggestiona indirizza, tramite un flusso di un’energia vibratoria, il potere volitivo maschile della propria volontà verso il principio femminile dell’altra persona che lo fa suo. “Normalmente, nella mente di ogni individuo, i due principi del genere agiscono di comune accordo. Spesso, purtroppo, nell’uomo medio si ha uno scarso sviluppo del potere volitivo e, di conseguenza, un dominio quasi totale da parte della mente e della volontà di altre persone che si sostituiscono alla sua, determinandone azioni e anche pensieri. Quanto pochi sono i pensieri e le azioni originali di un uomo medio! Individui di questo tipo non si rendono conto di possedere, oltre al Me, quel qualcosa chiamato Io che, se lasciato inattivo, si atrofizza e perde di forza.” Il principio del Genere si manifesta e opera anche sul piano spirituale dell’essere, secondo i suoi caratteristici principi, e i suoi risultati sono la generazione e la rigenerazione spirituale. Siamo spiacenti che non ci sia qui consentito di addentrarci in questo aspetto dell’argomento, poiché una dettagliata analisi dell’azione del sesso su questo piano superiore provocherebbe un uso illegittimo del potere da parte di persone senza principi. Lo studioso serio, tuttavia, usando il suo potere di ragionamento per analogia, sarà sicuramente in grado di risolvere alcuni dei problemi connessi a questa fase dell’indagine. Un tale studioso scoprirà il segreto che si cela nell’antico assioma: “Come è in alto, così è in basso; come è sotto, così è sopra”. Finito di stampare nel mese di novembre dell’anno 2007 dalla tipografia Città Nuova Via S. Romano in Garfagnana, 23 00148 Roma Notes 1 2 3 4 5 6 Tutti pubblicati da Venexia Editrice. Non si deve tuttavia pensare che la variante della croce fallica dei Rosacroce indichi una qualche relazione dei Rosacroce stessi con le più grossolane forme di culto fallico. Queste ultime rappresentano solamente un’ombra distorta della verità, e non devono essere scambiate con essa (nda). Il lettore deve sempre ricordare che dove c’è “mente” deve esserci “vita”; e dove c’è “vita” deve esserci “mente”. Di qui l’importanza di queste ammissioni della scienza moderna (nda). Vedere “La Vita oltre la morte” di Yogi Ramacharaka, Venexia Editrice 2000. Vedere “Il Kybalion” , I Tre Iniziati, Venexia Editrice 2000. Il termine “alternante” significa “consistente nella ripetizione di due fasi successive e contrapposte”; mentre “ripropo- nentesi” significa “che ritorna ripetutamente, verificandosi a intervalli stabiliti, o secondo una regola fissa” (nda).