Il Padre nostro nel Purgatorio dantesco

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Il Padre nostro nel Purgatorio dantesco
LUIGI PEIRONE
Università di Genova
RESUMEN:
En la paráfrasis de la oratio dominica (Purgatorio XI) Dante especifica que
la expresión «che sei nei cieli» no significa que Dios está circunscrito, sino
que es amado esencialmente en los cielos porque los ángeles lo aman más
que los hombres. En realidad, según la teología católica, dios no está
circunscrito y la palabra «cieli» debe ser entendida sólo en sentido
simbólico. En la segunda cántica el poeta no se ha liberado aún de las
referencias al espacio físico. Solamente en el Paraíso, y particularmente en
el Empíreo, se libera de cualquier referencia a la materialidad del espacio y
se refiere sólo a la dimensión espiritual.
Palabras clave: Padre nuestro, cielos, circunscrito, Empíreo.
ABSTRACT:
In a paraphrase of oratio dominica (Purgatorio XI) Dante specifies that the
expression «who art in heaven» does not mean that God is limited, but that
He is loved more in heaven, because the angels love him than the men do.
In truth, according to catholic theology, God is not limited and the word
«heaven» must be unterstood only in a symbolic sense. In the second
«cantica» the poete has not yet been realised from the reference to the
fisical space. Only in Paradise, namely in empyrean, he is free from all the
references to the materiality of space and refers only to spiritual dimension.
Key words: Our Father, heavens, circunscrite, empirean.
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Il canto XI del Purgatorio ha inizio ex abrupto con la recita di una
sorta di parafrasi del Padre nostro. Nessun elemento e nessun
accenno contenuto nel canto precedente faceva prevedere un esordio
simile. L’altra grande preghiera contenuta nel poema dantesco,
dedicata alla Vergine (ma non parafrasi dell’Ave Maria), del canto
XXXIII, era più che prevedibile come tematica in relazione alla
conclusione del canto precedente.
Ma la differenza fra le due sante orazioni non si ferma a questo
particolare. Mentre nell’invocazione alla Vergine la problematica
teologica che ne scaturisce è inserita naturalmente nel testo dell’
orazione e si identifica con esso, nella preghiera al Padre il secondo
ed il terzo verso hanno chiaramente ed esplicitamente la funzione di
una chiosa chiarificatrice del contenuto del primo verso:
O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ ai primi effetti di là sù tu hai (...)
Dante sente dunque l’esigenza di spiegare che l’espressione «ne’
cieli» non deve intendersi, come sembrerebbe indicare un’
interpretazione strettamente letterale, la collocazione in un certo
spazio.
Tra i commentatori c’è stato chi ha fatto subito riferimento a
Paradiso XIV, 30 (non circunscritto, e tutto circunscrive) e a
Convivio IV, IX, 3 (Dio, che solo con la infinita capacitade infinito
comprende). Ma si tratta in realtà di citazioni ben poco illuminanti.
Dante doveva necessariamente esprimere quel concetto se non
voleva uscir fuori dall’ortodossia cattolica, come era concepita ai
tempi di Dante, prima di lui e dopo di lui fino ai nostri giorni. Si
tratta di un concetto che forse non è stato illustrato dai commentatori
con la dovuta chiarezza, anche se — almeno implicitamente —
traspare nelle chiose di chi ha cercato d’interpretare il passo. Così, ad
esempio, nel commento scartazziniano rifatto dal Vandelli si trovano
riportati un passo di San Tommaso (Summa theol. I, II, 102, 4) ed
uno di Sant’ Agostino (De Civ. Dei XI, 20). Nel primo,
sinteticamente, si dice che «Deus nullo corporali loco clauditur»,
mentre nel secondo l’argomento è trattato in modo più esteso ed
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articolato:
Deus non alicubi est; quod enim alicubi est, continetur loco; quod
loco continetur, corpus est. Non igitur alicubi est, et tamen quia est
in loco non est, in illo sunt potius omnia, quam ipse alicubi.
Si tratta di chiose che hanno indubbiamente una loro utilità, ma
che non inquadrano storicamente l’argomento, come sarebbe stato
forse desiderabile. Nel nuovo Catechismo della chiesa cattolica (II
ed. Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1999, 2794, p.734)
si riafferma fondamentalmente il concetto sopra espresso,
chiarendolo come dovuto:
Questa espressione biblica [«che sei nei cieli»] non significa un
luogo («lo spazio»), bensì un modo di essere, non la lontananza di
Dio, ma la sua maestà. Il nostro Padre non è «altrove»: egli è «al di
là di tutto» ciò che possiamo concepire della sua santità. Proprio
perché è tre volte Santo, egli è vicinissimo al cuore umile e contrito.
È fatto quindi riferimento ad un passo di Sant’ Agostino (De
sermone Domini in monte, 2, 5, 18: CCL 35, 108-109; PL 34, 1277)
che in certo modo completa quanto espresso nel passo citato sopra
del De Civ. Dei, così riportato in traduzione italiana:
Ben a ragione queste parole, Padre nostro che sei nei cieli si
intendono riferite al cuore dei giusti, dove Dio abita come nel suo
tempio. Pertanto colui che prega desidererà che in lui prenda dimora
colui che prega.
Ma più interessante ai nostri fini è un’altra citazione che segue
immediatamente (sempre in traduzione), sopratutto perché l’autore è
San Cirillo di Gerusalemme:
I cieli potrebbero essere anche coloro che portano l’immagine del
cielo tra i quali Dio abita e si muove. (Catecheses mystagogicae, 5,
11: SC 126, 160; PG 33, 1117)
Appare pertanto ben chiaro come l’interpretazione ufficiale data
attualmente al passo dalla Chiesa cattolica fosse già presente in più
di uno fra gli scrittori della patristica. Si potrebbe ricorrere ad altre
citazioni. Qui ci si limita a ricordare quanto detto a proposito da
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Origene (Della preghiera, XXIII, 1; si cita dalla traduzione di
Giuseppe Del Ton, Milano, Arnoldo Mondadori, 1984, p. 102):
Quando si dice che il Padre dei Santi è nei cieli, non bisogna
supporre che egli sia circoscritto da forma corporea e che abiti nei
cieli:n così limitato sarebbe minore dei cieli che lo circoscriverebbero. Invece bisogna credere che tutto è circoscritto dalla
ineffabile potenza della sua divinità e che tutto da lui è contenuto.
Dopo questi parziali ma decisivi riferimenti, ritorniamo all’incipit
di Purgatorio XI. L’interpretazione ivi data, se da un lato ha valore
per quanto si riferisce all’impossibilità di un Dio spazialmente
circoscritto (e in caso contrario Dante sarebbe stato da considerarsi
eretico) mostra una certa ingegnosità, ben lontana dal rigore della
teologia nel fornire una spiegazione convincente dell’espressione
«che sei nei cieli». Rimane ben lontano dall’altezza speculativa dei
pensatori della patristica. Per essi lo spazio in senso fisico non esiste
più, mentre per Dante in qualche modo ha una sua rilevanza: noi
diciamo «che sei nei cieli» perché in quello spazio occupato dai cieli
risiedono gli angeli, puri spiriti, che ti amano più di noi.
È possibile che Dante avesse presente il seguente passo della
Summa Theologiae (1. q. 112 a. 3 arg. 1):
Dicit [...] Gregorius in Homilia: [...] etsi circumscriptus est angelicus
spiritus, summus tamen spiritus ipse, qui Deus est, circumscriptus
non est.
Comunque doveva avere in qualche modo l’idea di una
limitazione in certo modo spaziale delle creature tutte spirituali.
Naturalmente il concetto di «cielo» che noi abbiamo è ben
diverso da quello che aveva l’autore della Divina Commedia, e non
solo per quel che concerne la fisica e l’astronomia, ma anche per
quel che concerne in modo specifico la teologia, che conferisce a tale
vocabolo soltanto un senso traslato:
Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la
Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è
chiamata ‘il cielo’ (Catechismo.cit., 1024, p. 298)).
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Vivere in cielo è ‘essere con Cristo’ (Catechismo cit., 1025, p. 298).
La materialità dell’interpretazione nel suo insieme può in qualche
modo essere compresa, se non giustificata, dal riferimento ad una
situazione che caratterizza un certo momento del suo viaggio ultraterreno, che in quel momento si svolge con le modalità di un viaggio
nel mondo dei viventi. Dante non si è ancora trasumanato, non ha
ancora provato esperienze radicalmente diverse da quelle che aveva
incontrato sulla terra. Ha camminato con i propri piedi (anche se
rimane inspiegabile dal punto di vista puramente umano la quan-tità
di cammino in così poco tempo senza l’assunzione di cibo e di
bevande) in un ambiente che presenta caratteristiche fisiche del tutto
simili a quelle dell’ambiente dei viventi, e sembra quasi incapace di
comprendere veramente l’essenza della vita spirituale che così nettamente si distingue dal mondo della fisica. Tutta diversa sarà la
situazione della terza cantica, dove del cielo per eccellenza, del cielo
dove veramente si trovano i beati, si dirà che solo amore e luce ha
per confine (Paradiso XXVIII, 54) passando dalla fisica alla metafisica, dal riferimento (sia pure parziale o metaforico) a questo
mondo terreno alla spiritualità pura, osando di avventurarsi col suo
conto nel mondo dell’ineffabile. Ma ora esprime soltanto quello che
può esprimere in questo momento, che non è il momento del distacco
dalla madre terra nella quale da vivente si è mosso e della quale
mantiene ancora in qualche modo una visione.
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