Subido por azukita

Muzzioli Critica Letteraria

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Muzzioli – critica letteraria
2 ottobre 2018
I lezione
Informazioni generali
Programma diviso in due moduli, non c’è distinzione tra frequentanti e non frequentanti. I modulo:
Le ragioni del testo di Starobinski (escluso il terzo capitolo e la postfazione), su questioni generali
della critica letteraria. Un colpo di pistola nel concerto di Muzzioli sul peso del giudizio politico
nell’attività critica. Il titolo è una citazione di Stendhal. Comparare la critica, file PDF di Muzzioli,
raccolta di saggi critici su Baudelaire, parte più importante, da fare bene. Esercitazioni su saggi a
scelta da analizzare a lezione. II modulo: allegoria, figura molto antica ma riscoperta in epoca
moderna da Walter Benjamin (pronuncia tedesca); ironia. I due termini hanno una parentela
(allegoria:dire altro/ironia:dire il contrario). Operette morali di Leopardi. Forse breve cenno alla
distopia in relazione all’operetta Dialogo di un folletto e di uno gnomo. Esonero durante la sessione
invernale sul I modulo, prenotazione tramite mail. Ricevimento mercoledì 11-13.
Momento di crisi per la critica letteraria con la fine della figura del grande critico autorevole. Attorno
agli anni Settanta-Ottanta del Novecento la letteratura finisce in mano ai manager editoriali, che
ragionano in termini economici e non in termini di politica editoriale. Ciò comporta un abbassamento
del livello letterario e la mercificazione della letteratura. Vengono pubblicati soprattutto i best-sellers,
dei prodotti che si smercino subito. In questo contesto la critica è inutile, acquista invece importanza
la pubblicità. La critica militante sui giornali si indebolisce perché spesso i proprietari dei giornali e
i proprietari delle case editrici coincidono. All’editoria importa che il libro sia acquistato, non che
susciti interesse. Il libro è a tutti gli effetti il prodotto dell’industria editoriale. Oltretutto adesso c’è
anche la possibilità di autopubblicarsi tramite case editrici a pagamento, quindi non c’è più nemmeno
una selezione da parte della macchina editoriale.
Saggio di Muzzioli Il piacere della critica. Quando Freud si occupa di letteratura, scrive la conferenza
Il poeta e la fantasia (1907) in cui per poeta si intende in generale il letterato, e per fantasia la
fantasticheria. Lo scrittore - scrive Freud - è colui che ha licenza di fantasticare, filtrata dalla finzione
letteraria, anche in età adulta, cosicché anche i lettori possano tornare alla fantasticheria traendone
godimento senza mettersi a rischio, che Freud chiama premio di seduzione o piacere preliminare. Nei
suoi testi più maturi Freud parla della tragedia greca e della catarsi. In una lettera a Oskar Pollak del
1904, più o meno coeva alla conferenza freudiana, Kafka scrive del rapporto con la lettura:
“Ma è bene se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile a ogni
morso. Bisognerebbe leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se il libro che
leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo? Affinché ci renda
felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo anche se non avessimo libri, e i libri che ci
rendono felici potremmo eventualmente scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di libri che
agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che era più
caro di noi stessi, come se fossimo respinti dai boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio,
un libro deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi. Questo credo”.
Nello Zibaldone, Leopardi si pone un problema analogo: per arrivare a un pubblico più vasto, al
cosiddetto popolo, la letteratura deve abbassare il proprio livello. Scrive ancora:
“Io stesso, che pur non ho maggior piacere che il leggere, anzi non ne ho altri, ed in cui il
piacer della lettura è tanto più grande, quanto che dalla primissima fanciullezza sono sempre
vissuto in questa abitudine (e l'abitudine è quella che fa i piaceri) quando talvolta per ozio, mi
son posto a leggere qualche libro per semplice passatempo, ed a fine solo ed espresso di trovar
piacere e dilettarmi; non senza maraviglia e rammarico, ho trovato sempre che non solo io
non provava diletto alcuno, ma sentiva noia e disgusto fin dalle prime pagine. E però io andava
cangiando subito libri, senza però niun frutto; finché disperato, lasciava la lettura, con timore
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Muzzioli – critica letteraria
che ella mi fosse divenuta insipida e dispiacevole per sempre, e di non aver più a trovarci
diletto: il quale mi tornava però subito che io la ripigliava per occupazione, e per modo di
studio, e con fin d'imparare qualche cosa, o di avanzarmi generalmente nelle cognizioni, senza
alcuna mira particolare al diletto. Onde i libri che mi hanno dilettato meno, e che perciò da
qualche tempo io non soglio più leggere, sono stati sempre quelli che si chiamano come per
proprio nome, dilettevoli e di passatempo”.
La lettura dunque non deve essere un piacere, inteso come intrattenimento o come passatempo.
Bertold Brecht, il cui teatro utilizza la tecnica dello straniamento a fini didascalico-didattici, scrive:
“È completamente sbagliato considerare la critica come qualcosa di morto, di improduttivo,
per così dire di barboso. È il signor Hitler che desidera diffondere una tale concezione della
critica. In realtà l’atteggiamento critico è l’unico produttivo e degno di essere umano. Esso
significa collaborazione, progresso, vita. Senza un atteggiamento critico il vero godimento
estetico è impossibile”.
Per tornare a Leopardi, egli scrive dell’autorità del pubblico, cioè di una sorta di dittatura della
maggioranza in cui il successo è decretato dal pubblico, indifferenziato e non necessariamente in
grado di apprezzare appieno la qualità di un’opera letteraria, cosa che comporta inevitabilmente un
livellamento. Ritorna l’idea che ciò che è fatto soltanto per piacere, alla lunga non soddisfa.
5 ottobre 2018
II lezione
Nella pratica critica, lo studioso (ma anche un lettore) agisce sulla base di un pregiudizio
ineliminabile.
Gadamer è il filosofo fondamentale dell’ermeneutica. Nell’ermeneutica c’è il massimo rispetto del
testo. La critica nell’ermeneutica gadameriana viene messa da parte. Gadamer sostiene che, per
quanto possiamo avere una buona disposizione verso il testo, qualsiasi lettura parte da un pregiudizio,
perché lettore e testo provengono da orizzonti diversi. C’è tutta una tradizione che separa il lettore e
il testo. 1960 Verità e Metodo, in realtà la congiunzione nel titolo è una disgiunzione. Il metodo viene
notevolmente alleggerito, perché per cogliere il testo bisogna mettersi in ascolto. In realtà il metodo
non può mai essere eliminato. I metodi possono provenire anche dall’esterno (ad esempio critica
marxista e critica psicanalitica). Tra le obiezioni principali rivolte al metodo c’è la meccanicità, che
impedisce di cogliere l’essenziale del testo perché si applica ad esso sempre allo stesso modo. Il testo
è lo stesso ma ciascuno vi trova quel che vuole trovarci. Il metodo sarebbe una sorta di profezia che
si autoavvera. L’ermeneutica si propone di lasciar parlare il testo. Il garante è la tradizione: il valore
del testo è già dimostrato dal fatto che è giunto fino a noi. La critica filologica restaura i guasti del
tempo, cioè fornisce dei commenti che ci consentono di ricostruire l’ambiente di ricezione originario
del testo. Il testo difende la sua inviolabilità e fa resistenza all’arbitrarietà del critico. Relazione duale
col testo. Questa relazione a due può anche essere non positiva. Il compito della critica è anche quello
di dare una valutazione negativa. L’ermeneutica la esclude perché valuta ciò che la tradizione ha
trasmesso. Rispetto alla relazione duale, vi sono poi degli approcci esterni (critica marxista e
psicanalitica) che prendono le distanze dal testo e giungono alla sua essenza attraverso lo
straniamento. Gramsci si distanzia da una visione crociana di giudizio estetico puro, rilevando il
valore culturale dell’opera letteraria. Walter Benjamin distingue tra tendenza e qualità.
Oggettivo-Soggettivo. L’oggettività è un polo a cui la critica tende ma che non può mai raggiungere.
Nella critica si sta pian piano riscoprendo questo atteggiamento. Nel secondo Novecento in voga la
moda decostruzionista. Derrida è il fondatore di questa corrente, prima filosofica e poi critica. Barbara
Johnson rappresentante del versante decostruzionistico americano. Nel testo c’è sempre un elemento
e il suo contrario. Nella critica c’è stato un periodo di infatuazione scientifica (con lo strutturalismo):
l’aspirazione di passare dalla critica letteraria alla scienza della letteratura si è rivelata un’illusione.
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Muzzioli – critica letteraria
Lo strutturalismo ha forgiato un metodo esportabile, cioè applicabile a tutti i testi. Non è possibile
però raggiungere un risultato inoppugnabile e definitivo, ogni giudizio critico è provvisorio e incerto.
L’analisi, si può dire più adeguatamente, conduce a delle ipotesi. Un criterio che si può utilizzare è la
produttività delle ipotesi, ovvero se un’ipotesi è in grado di generare discussioni più ampie. L’opera
letteraria è un oggetto stratificato, che può essere analizzato a diversi livelli. Volponi scrive una poesia
molto particolare, in versi liberi dove però c’è un recupero della rima, ma è una rima ossessiva che si
ripete sempre uguale, dunque perde la sua funzione stabilizzatrice e ordinatrice. Volponi parla di
letteratura e industria: l’alienazione dell’operaia (dovuta alla ripetizione ossessiva degli stessi gesti
inutili) si traduce formalmente con la rima ossessiva.
Nella valutazione dell’opera letteraria è difficile sganciare completamente il prodotto letterario dal
suo produttore, cioè considerare il testo a prescindere dall’autore. Il pragmatismo americano
addirittura sostiene che il testo letterario non esiste finché non è un lettore a vederlo, quindi
potenzialmente tutto può diventare testo letterario (vd. Esempio in classe). Rivedi discorso di Eco sul
lettore modello e gli usi del testo.
La questione del soggettivo ha come punto d’arrivo il pragmatismo di Fish. Per Fish comunità
interpretative, perciò non si parla tanto di relativismo quanto di fideismo. Si va verso la figura del
consumatore. Il consumatore ha sempre ragione.
9 ottobre 2018
III lezione Muzzioli
Lettura de Le ragioni del testo di Starobinski. Il primo saggio è Il testo e l’interprete (1974 ca.).
Starobinski vuole riconoscere al testo le sue ragioni - i suoi diritti, potremmo dire- una sorta di etica
della critica: il critico deve essere rispettoso del testo, non può interpretarlo come vuole. La relazione
critica è asimmetrica, perché il testo non può parlare per sé, attivamente. Il critico deve accettare
l’alterità del testo. Il critico sceglie l’oggetto (La scelta dell’oggetto non è innocente, presuppone già
un’interpretazione preventiva. L’oggetto non è un puro dato, bensì un frammento di universo che si
delimita in base alle nostre intenzioni, p. 7). Il critico non è neutrale ma fa parte di un orientamento
conoscitivo. Sembra quasi che l’atto critico sia una sorta di assimilazione. Starobinski invece vuole
esattamente il contrario: l’importante è preservare la distanza e la differenza del testo. La conoscenza
ha bisogno di un oggetto diverso, che altrimenti sarebbe già noto. La conoscenza non deve essere una
conferma ma una acquisizione. I metodi oggettivi (intesi come storico-filologici), che vengono
chiamati da Starobinski come la “restituzione”, servono a chiarire che quel testo è un oggetto
specifico, a conferire al testo la sua singolarità, cioè ricostruire il testo e il suo ambiente. In realtà c’è
tutta una storia che non si finisce mai di appurare, ci sono dei rapporti al mondo esterno che il mondo
può avere che non si esauriscono mai, espansione all’esterno. Insieme ai rapporti esterni, si possono
indagare anche i rapporti interni. La ricerca storica e la ricerca strutturalista sono interdipendenti,
anche se lo strutturalismo propugnava l’autonomia del testo e della letteratura.
L’interprete sceglie il testo, ma c’è una sorta di molla che precede l’atto critico e che indirizza la
selezione del testo. Un primo incontro risveglia il nostro interesse che fissa il nostro sguardo e a
partire da questo primo contatto siamo persuasi che tutto sia ancora da fare in vista di un incontro
più completo. La parola incontro rimanda a un Altro soggetto, quindi il testo viene in qualche modo
disoggettivato. L’interesse, inteso come conoscitivo-culturale,è un termine importante, in polemica
con l’illusione della critica disinteressata. Inoltre Starobinski dice che la prima impressione non è
sufficiente, è necessario un lavoro per completare l’incontro. Starobinski si propone di mediare tra
due estremi, da una parte tutto il potere all’interprete, il caso del testo come semplice pretesto, e
dall’altra l’interprete che scompare e si limita a presentare il testo. Il primo estremo è un po’ la
posizione del saggio, che non deve per forza esaurire il suo compito conoscitivo al testo ma estenderlo
anche oltre. Il secondo estremo è la debolezza del soggetto interprete, che si limita a una sorta di
descrizione del testo. A volte la critica formal-strutturalista raggiunge esiti soltanto descrittivi, quasi
tautologici. Starobinski cita un film comico dei fratelli Marx in cui una signora va da un commesso e
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Muzzioli – critica letteraria
gli chiede un tessuto che si abbini al suo vestito e lui le taglia un pezzo di stoffa dalla gonna e glielo
porge.
Vd. P 17 il lavoro sul testo. Il testo è sia un essere che un materiale. L’utilità della distanza: l’incontro
non deve essere una comoda assimilazione, una sorta di consumo, perciò è necessaria la distanza, che
può essere anche distanza temporale. Il testo passato però deve avere comunque legame con
l’attualità, perché altrimenti non vi sarebbe neanche alcuna ragione per perpetrarne la lettura e
attuarne la ricostruzione storica.
Per giudicare la qualità delle interpretazioni, si deve chiarire che la critica deve arrivare a un risultato
coerente (che non vuol dire che sia definitivo): i dati non devono essere in contraddizione fra loro.
L’interprete (cioè il critico) è una sorta di mediatore. Starobinski cita le grandi esegesi (quella omerica
e quella biblica), che sono entrambi dei momenti in cui l’interpretazione adatta il testo del passato
alla cultura del presente, quindi ci sarebbe una mediazione tra una cultura e l’altra. C’è una forma di
coabitazione e di reciprocità: l’oggetto e l’interpretazione si legano indiscindibilmente. Noi ci
appropriamo dell’oggetto ma anche l’oggetto ci attira a sé. P. 26. I mezzi con cui interpretiamo sono
oggetti del passato divenuti nostri attraverso la tradizione.
Il secondo saggio è La letteratura e l’irrazionale. Platone usa la metafora del magnetismo, la poesia
come una calamita. Per quanto riguarda la logica, la letteratura sfugge ad essa. La letteratura ha un
suo peso nel modo in cui gli esseri umani interpretano la propria condizione, quindi riacquista una
sua razionalità. Quindi da una parte rientra, da una parte non rientra nella logica. Ad esempio, il gioco
non fa parte delle sue regole ma ha le sue regole. Quindi una razionalità tecnica e una pseudoragione.
Esempio a p. 35 è la satira, che si batte contro qualcosa, ma nel farlo vi si accosta, ci si confronta
sempre. Starobinski parla dell’Aiace di Sofocle, in cui l’irrazionale è introdotto per essere superarlo.
Anche nell’Orlando furioso avviene questo. Tra i moderni Horderline, Artaud, Campana. La follia
più placida è la malinconia. Il tema della malinconia è stato associato da Benjamin all’allegoria.
L’irrazionale viene ripreso dai Romantici (Shelley cita Platone e l’immagine dell’arpa che suona
grazie al soffio del vento, cioè all’ispirazione della musa). La poesia giunge a una verità maggiore di
quella della ragione. Se l’irrazionale arriva fino in fondo, c’è solo silenzio e mancanza di
comunicazione. La critica, per Starobinski, è un modo razionale per trattare l’irrazionalità della
letteratura. Starobinski parla del surrealismo come sorta di coda del romanticismo. Starobinski
recupera la psicanalisi, che si propone quasi di essere una traduzione dell’irrazionale nel linguaggio
della ragione. Viene citata la conferenza Il poeta e la fantasia (1908). Il letterato trasfigura
letterariamente le sue fantasticherie, offrendo al pubblico un’occasione di catarsi e una promessa di
godimento. Ma questo elemento di piacere è irrazionale, è la soddisfazione della fantasticheria. Vedi
finale saggio di Starobinski. Il rapporto tra sogno e veglia si ritrova nelle teorizzazioni di Benjamin,
ma lui sottolinea il punto del risveglio.
No capitolo 3
12 ottobre 2018
IV lezione
Mancante
16 ottobre 2018
V lezione
Residuo della vita interiore. La poesia e altri generi sono esercizi del privato, Starobinski sospetta il
rischio di una regressione nel narcisismo. Nei social ingresso della vita interiore che quasi diventa
vita esteriore, esibizionismo. La perfezione, il cammino, l’origine. Saggio di Starobinski sul sistema
di valori della critica. Starobinski rimane fedele al suo essere umanista tradizionalista.
I la perfezione. “Ogni opera è in cammina verso l’Opera”, l’opera minuscola vale come testo. La
perfezione è un valore classicista ma che ha una continuità con ciò che avviene dopo. Anxiety of
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Muzzioli – critica letteraria
influence di Bloom non vale solo in letteratura ma anche nella critica. La poetica di Aristotele è il
modello di critica normativa e valutativa.
La perfezione ha due accezioni: quella del modello e quello del finito, cioè l’idea che l’opera sia
conclusa e non più perfettibile, e dunque presentabile al pubblico. (Ogni scarto irriducibile segna la
separazione tra ciò che l’artista ha prodotto e ciò che aveva desiderato compiere).
Anche la modernità più radicale, più autodistruttiva (es dadaismo) che mette in crisi i valori artistici,
torna in fondo nei parametri tradizionali. Starobinski interpreta il dadaismo come artisti delusi dalla
perfezione, che sentono di non poterla raggiungere e allora distruggono l’arte.
Tutto il saggio gira attorno alle varianti del gusto. C’è un gusto classico che ha come valore la
perfezione, principio dell’unità e organicità dell’opera, simmetrie, coerenza. La coerenza è un
presupposto della critica letteraria, cioè che l’opera letteraria sia un essere organico. Il concetto
classico della perfezione è legato alla mimesi, cioè alla rappresentazione della realtà. La perfezione è
misurata sul principio della somiglianza. Citata la polemica tra Parrasio e Zeusi, quest’ultimo
raffigura un velo. Nella perfezione c’è il presupposto che l’artista approdi al finito. Per la pittura
questa fase di rappresentazione si arresta con la fotografia, per cui la pittura va verso l’astratto, la
scomposizione, tutte componenti delle avanguardie artistiche. L’autoaffermazione dell’arte che non
ha più un preciso rapporto con la realtà e vuole essere valutata in quanto tale.
II il cammino: l’arte comincia a esibire il proprio cammino, il proprio passaggio. La prima citazione
riguarda un racconto della pittura. Es il ritratto ovale di Poe, il capolavoro sconosciuto di Balzac, in
cui il pittore Frenhofer lavora su un ritratto di una donna e poi ci lavora talmente tanto per cercare la
perfezione, e alla fine il quadro non è altro che un guazzabuglio incomprensibile, risultato di una
frenesia della perfezione che poi arriva al suo contrario. Il non-finito a volte diventa una virtù per
l’opera: es I quaderni del Carcere sono fondamentali pur essendo inconclusi.
Valery sostiene che “ogni poesia non è mai compiuta - a porvi termine, cioè a consegnarla al pubblico,
è sempre un accidente”. Impossibilità di sapere quando l’opera è terminata. La fine di un’opera è
accidentale.
Diviene così più importante il percorso, il cammino, rispetto al risultato. Decade l’idea di stato
definitivo, l’opera è instabile e fragile. La precarietà è propria della modernità. Alcune opere
contemporanee sconfessano il loro status di opera, lavorano al proprio disfacimento (vd la bimba col
palloncino di Bansky).
III l’origine. Movimento creativo senza fine che ritorna a contatto con la fonte di energia, cioè
l’ispirazione. L’origine e la perfezione sono due poli di questo cammino. In ogni passo che compie,
l’artista rinnova l’origine e rinnova la promessa di perfezione.
Riepilogo delle questioni generali della critica. Figure del critico.
La missione del critico di Edoardo Sanguineti, che all’epoca provocò un certo scandalo. Sanguineti
propone una sorta di partizione della funzione critica affatto provocatoria, in tre dimensioni:
filologica, valutativa, interpretativa. Sanguineti voleva unificarla nella funzione attributiva, perché la
critica deve risalire a un autore anche se sa quale sia l’autore. Critico associato a tre personaggi
metaforici:
(1) il critico-giudice: ha bisogno di un’istituzione che gli deleghi un incarico. È un critico accademico,
una sorta di custode della soglia che stabilisce chi entra e chi non può entrare, per esempio nelle storie
letterarie. Funzione istituzionale. È un po’ un conservatore dello spazio letterario. La figura più
significativa di questo tipo è Baretti, un critico conservatore che difende i capisaldi tradizionali.
Anche Harold Bloom, che ha voluto reincarnare in un periodo di crisi il critico-giudice con Il canone
occidentale. Di solito il critico-giudice emette dei verdetti senza dare troppe spiegazioni. Il gusto
personale viene oggettivizzato. Può esserci un giudizio esplicito oppure un giudizio implicito dato
dallo stesso atto di selezionare un testo e occuparsene. Oltre al giudizio estetico, c’è il problema del
giudizio etico e politico. Benedetto Croce cerca di essere puramente giudicante.
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Muzzioli – critica letteraria
19 ottobre 2018
IV lezione
L’intento sovversivo del surrealismo si evince anche dai titoli delle riviste (rivoluzione e
Soltanto alcuni autori (come Aragon) aderiscono alla politica dell’URSS ma uscendo in qualche modo
dal surrealismo. Non si riesce mai a trovare una consonanza tra politica e letteratura. In Italia polemica
sul politecnico (rivista) di Vittorini. Vittorini in questo senso è molto lucido. Cosa si intende per
letteratura impegnata? La letteratura che parla di temi storico-politici, ma chi stabilisce quali siano
quelli importanti?
Vittorini opera dopo l’esperienza di Resistenza, con un PCI che ha un progetto di politica culturale al
quale Vittorini non si allinea, al contrario sostiene che se lo facesse l’apporto della letteratura si
annullerebbe. L’allineamento della letteratura alla politica non serve nemmeno alla politica. Inoltre
sono gli anni in cui cominciano a essere conosciuti gli scritti di Gramsci. P. 107. Lettera di Vittorini
a Togliatti:
La cultura che perda la possibilità di svilupparsi in quel senso di ricerca che è il senso proprio
della cultura, e si mantenga viva attraverso la possibilità di svilupparsi in «senso di influenza», cioè
in un senso politico, lascia inadempiuto un compito per aiutare ad adempierne un altro. Né si deve
credere che alla politica serva (anche se a volte lo sollecita o addirittura lo esige) un aiuto simile.
L'influenza che la cultura può esercitare agendo da mezzo della politica sarà sempre molto esigua. E
accade inoltre che sia inadeguata, che sia imperfetta. Tanto di più serve invece, obiettivamente, alla
storia (e alla politica in quanto storia) che la cultura adempia il proprio compito, e continui a porsi
nuovi problemi, continui a scoprire nuove mete da cui la politica tragga incentivo (malgrado il fastidio
avutone sul momento) per nuovi sviluppi nella propria azione. Nel corso ordinario della storia, è solo
la cultura autonoma (ma, si capisce, non sradicata, non aliena) che arricchisce la politica e, quindi,
giova obiettivamente alla sua azione; mentre la cultura politicizzata, ridotta a strumento di influenza,
o, comunque, privata della problematicità sua propria, non ha nessun apporto qualitativo da dare, e
non giova all'azione che come un impiegato d'ordine può giovare in un'azienda .
Per quanto riguarda il futurismo russo, l’autore più interessante e più impegnato è Vladimir
Majakovskij. La questione delle tre balene: schiavitù politica, schiavitù sociale, schiavitù culturale.
La pretesa degli artisti di fare la rivoluzione culturale chiaramente disturba l’evolversi della
rivoluzione politica. Nel marxismo ortodosso la rivoluzione culturale non era contemplata perché il
meccanicismo deterministico di fondo presupponeva che una volta cambiata la base economica la
sovrastruttura sarebbe cambiata di riflesso senza necessità di qualsiasi interesse. Majakovskij sostiene
che bisogna creare un pubblico, si giustifica spesso del linguaggio futuristico che risulta
incomprensibile agli operai. Il suicidio di Majakovskij segna la fine del tentativo della doppia
rivoluzione.
1921 alleanza tra futuristi di Marinetti e fascismo di Mussolini si incrina (anche se dopo si
risanerà). I futuristi sono anticlericali e antimonarchici, dunque per forza di cose in disaccordo col
fascismo. Gramsci tenta in qualche modo a irretire i futuristi, tenta una captatio benevolentiae:
scrive Marinetti rivoluzionario?
Cosa resta a fare? Nient'altro che distruggere la presente forma di civiltà. In questo campo
«distruggere » non ha lo stesso significato che nel campo economico: distruggere non ci significa
privare l'umanità di prodotti materiali necessari alla sua sussistenza e al suo sviluppo; significa
distruggere gerarchie spirituali, pregiudizi, idoli, tradizioni irrigidite; significa non aver paura delle
novità e delle audacie, non aver paura dei mostri, non credere che il mondo caschi se un operaio fa
errori di grammatica, se una poesia zoppica, se un quadro assomiglia a un cartellone, se la gioventù
fa tanto di naso alla senilità accademica e rimbambita.
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Muzzioli – critica letteraria
Vinicio Paladini, una sorta di post-futurista, opera negli anni venti e, forse sentendo qualcosa di quello
che avviene in Russia, parla di due rivoluzioni: una economico-politica e l’altra spirituale. Paladini è
un personaggio marginale in quel periodo.
Anche durante il Sessantotto non è facile il rapporto tra scrittori e politica. Il gruppo 63 può essere
considerata una sorta di avanguardia, che disturba la politica culturale del PCI perché esce fuori dai
parametri del neorealismo. Il gruppo 63 era visto come una sorta di ribellismo piccolo-borghese,
distante dalla cultura proletaria. Il Sessantotto arriva in modo un po’ imprevisto in questa storia e
sbalza la situazione. Nel 1967 il gruppo 63 fonda la rivista Quindici dove non c’era soltanto la
letteratura, ma anche molti elementi culturali anche politici, quindi si tenta un’apertura politica. Nel
1968 scattano le manifestazioni, mobilitazioni. Gli scrittori di Quindici hanno in proposito posizioni
diverse. Sanguineti si schiera decisamente contrario, anche se faceva parte dell’ala più politicizzata
del gruppo 63. Per motivi differenti, Pasolini è altrettanto contrario. Altri, come Palestrini, si
schierano a favore della mobilitazione studentesca.
Si forma la sinistra extraparlamentare. Modello cinese di rieducazione degli intellettuali che sono
inviati in fabbrica per riavvicinarsi ai principi della rivoluzione. In questi anni emerge tesi del
decentramento letterario, cioè della necessità della letteratura di porsi in una posizione liminare.
In Francia ci sono i situazionisti, che riscontrano anche loro una difficoltà nel raccordare queste due
istanze.
La prima questione da affrontare è il raccordo tra politica ed estetica, necessità di scardinare i vecchi
canoni critici. Muzzioli parte introduttiva Apologo della maglietta. Parini ne Il giorno scrive di
estetica e distingue tra coloro che hanno gusto e coloro che invece sono costretti a concentrarsi sulla
pratica e sulla sopravvivenza e dunque non possono sviluppare il gusto.
Saggio su Walter Benjamin in Un colpo di pistola nel concerto. Benjamin è un marxista, instradato
da Brecht e dalla sua assistente. Inizialmente si muove nell’ambito teologico. Benjamin traduce nel
linguaggio marxista la sua iniziale istanza teologico-religiosa. Saggio sul linguaggio del 1916,
Benjamin poi parla di un linguaggio delle cose, che non si esprime attraverso i suoni ma che è
garantito dalla parola di Dio e va tradotto nella lingua degli uomini. Benjamin si laurea con una tesi
sulla critica romantica, che sarebbe caratterizzata sostanzialmente da un’idea partecipativa e non
normativa (che evidenziava gli errori degli autori). La critica deve aderire all’opera e deve in qualche
modo costituirne il prolungamento. Sembrerebbe non essere contemplato il giudizio negativo, che si
limita a essere uno scarso coinvolgimento. In un saggio su Le affinità elettive, Benjamin dà
un’indicazione di metodo, distingue il contenuto “cosale” e il contenuto di verità. Con l’incontro con
l’assistente di Brecht, Benjamin passa a una critica militante, distruttiva in qualche modo ma che
Benjamin considera positivo (distruggere per fare spazio).
Il carattere distruttivo conosce solo una parola d’ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia. Il
suo bisogno d’aria fresca e d’uno spazio libero è più forte di ogni odio.
Il carattere distruttivo è giovane e allegro. Distruggere infatti ringiovanisce, perché toglie di mezzo le
tracce della nostra età; e rallegra perché ogni rimozione significa per colui che distrugge una schiarita.
Il carattere distruttivo non è affatto interessato a essere capito. Considera superficiali gli sforzi in
questo senso. L’essere frainteso non gli nuoce.
Il carattere distruttivo è il nemico dell’uomo-custodia. L’uomo-custodia cerca la sua comodità, e
l’involucro ne è la quintessenza. L’interno dell’involucro è la traccia foderata di velluto che lui ha
impresso nel mondo.
Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. E proprio per questo scorge ovunque vie d’uscita.
Tuttavia, poiché scorge ovunque una via, deve anche sgomberarsi ovunque la strada. Non sempre con
cruda violenza, talvolta anche con raffinata violenza. E poiché scorge vie ovunque, si trova sempre ad
un bivio: nessun attimo sa cosa porterà il successivo.
Riduce l’esistente in rovina non per amore delle rovine ma della via che le attraversa.
Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, 1931
Il critico è stratega della battaglia letteraria, in un altro scritto. Lo spirito polemico è proprio
soprattutto delle avanguardie.
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Muzzioli – critica letteraria
Con l’avvento del nazismo, Benjamin va in Francia, che tuttavia viene poi invasa da Hitler. Vedi
vicenda biografica. Benjamin scappa e poi si uccide con un veleno, il giorno il.
Conferenza L’autore come produttore, titolo significativo, per un lato marxista per la parola
produttore, anche se si discosta dal pensiero tradizionale perché per Marx l’atto di produzione è
compiuto dall’editore e non dall’autore. Benjamin vuole sostenere che è tutto produzione, mettendo
in discussione la dicotomia tra struttura e sovrastruttura. Poi Benjamin si interroga sulla cosiddetta
“giusta tendenza”, distinguendo tra tendenza e qualità, che per Benjamin rappresenta una valutazione
di tipo estetico. La tendenza letteraria è quella esplicitamente indicata nei manifesti. Nel caso del
futurismo i manifesti sono imprescindibili, i testi sono solo l’attuazione di quegli intenti, di solito li
si cita come riprova del manifesto. Benjamin sostiene che bisogna verificare la giusta tendenza
letteraria nella tecnica delle opere. C’è questo passaggio che va verso il linguaggio, l’analisi testuale,
l’impostazione retorica. La tecnica è centrale per Benjamin (vedi l’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica, possibilmente leggilo, la fotografia e il cinema hanno rivoluzionato l’arte
perché hanno smantellato la sacralità dell’originale). Marx aveva ragionato sulla tecnica ma sembra
un elemento secondario, ma ciò che diventa decisivo nel pensiero marxista è il rapporto tra le forze
produttive e i rapporti di produzione (rapporti di classi): nel momento in cui le forze produttive
sopravanzano i rapporti di produzione, avverrà la rivoluzione. Per Benjamin, la tecnica offre delle
possibilità rivoluzionarie, che la società può incanalare in senso progressista o in senso reazionario:
ad esempio le capacità tecniche sono state incanalate nel senso della guerra.
Dunque, prima di chiedere: che posizione ha una poesia rispetto ai rapporti di produzione
dell’epoca?, vorrei chiedere: qual è la sua posizione in essi? Questa domanda riguarda direttamente
la funzione che ha l’opera all’interno dei rapporti letterari di produzione di un’epoca. In altre parole,
è immediatamente diretta alla tecnica letteraria delle opere.
(L’autore come produttore).
L’antitesi tra forma e contenuto non è mai stata superata. La qualità viene riassorbita nella valutazione
della tendenza. Benjamin sembra risolvere il problema dell’estetica, ma pone delle scelte comunque
complicate.
Duplicità anche in Starobinski: la nozione di lavoro viene portata all’interno della relazione critica.
23 ottobre 2018
V lezione
Secondo capitolo, saggio su Brecht, diviso in due, una è Rinascite Brechtiane. Brecht coinvolto con
la fine dei comunismi, aveva una posizione politica piuttosto particolare. Con l’avvento del nazismo
non si rifugia in Unione Sovietica, invece si sposta sempre più verso occidente, arriva sino ad
Hollywood dove lavora ai margini dell’industria cinematografica (Brecht:“ogni mattina mi metto in
fila attorno ai venditori”) e lì poi viene accusato di essere comunista nel clima della caccia alle streghe
nel periodo McCarthy e – punto che gli viene sempre rimproverato – torna nella Germania est. Lì ha
qualche momento di dissociazione ed anche dinanzi la commissione americana svicola dicendo che
non è mai stato comunista. Non si comporta però da eroe. D’altra parte, se noi conosciamo la sua
opera maggiore, Vita di Galileo, troviamo un personaggio che di certo non è un eroe (“Beato il popolo
che non ha bisogno di eroi”). A un certo punto si nota una convergenza di autori attorno a
quest’autore. Brecht è particolare e resta particolare. Il titolo del saggio “tendenza Bertolt” che stiamo
attraversando viene da una battuta del critico strutturalista Gerard Genette (critico della narratologia
e della retorica) che diceva “mi dichiaro Marxista ma tendenza Bertold”. Anche Eagleton è un critico
inglese di orientamento marxista particolare, diceva che gli irlandesi avevano umorismo “perché non
avevano molto altro” e nel suo discorso sulle tendenze del marxismo in Brecht emerge (saggio “critico
come clown”) una posizione ben precisa. Brecht non ha mai utilizzato come termine “la semiotica
materialistica”. Il prof Muzzioli, nel saggio, ha preso il suo volume “scritti sulla letteratura e sull’arte”
(tutto allo stato di appunti, non c’è un’estetica principale) ed ha provato a riordinare tutto il materiale.
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Muzzioli – critica letteraria
Il processo dunque non appartiene all’autore, è un tentativo di rendere in qualche modo sistematico
la produzione brechtiana. Il prof ha operato in questo modo: vi sono tre livelli e per ciascuno vi è un
capitolo intitolato “produzione” ed un altro titolato “alternativa”. L’inizio di questo percorso è
sicuramente cinico, ci si rende conto che per Brecht c’è mancanza di eroismo, il fatto che l’essere
umano è sicuramente limitato. In che situazione siamo? È la prima cosa, se non ci si rende conto
della situazione si è idealisti (si parte da una nostra idea che però non trova riscontro nella nostra
realtà). Coincide, potremmo dire, col principio di realtà della psicanalisi. La cosa che più interessa
sottolineare è che “con l’esistente bisogna fare i conti, non per adeguarvisi ma per trovare una via
d’uscita”, per trovare i margini di un’alternativa. Quali sono i 3 livelli di produzione?
(1) Il primo è l’aspetto più propriamente materiale, nella fattispecie è una questione anche di soldi;
c’è una casa cinematografica che aveva il acquistato i diritti per trasporre l’opera da tre soldi di
Brecht. C’è un intervento arbitrario da parte dell’industria cinematografica e Brecht intenta causa. Il
messaggio che si lancia è “l’arte è mercificata”. Noi pensiamo di stare tra le nuvole ma in realtà si
tratta di merci. La prima cosa è la verifica della situazione in senso pragmatico, l’entrare nei due piani
dell’ideologia borghese. Nella nostra epoca non si è più nascosti il mercato (ora si nasconde la
borghesia, dov’è? Forse sono le multinazionali). Il modello borghese ha mercificato tutto. Vi è la
schizofrenia del borghese. Si tratta di dimostrare, con la citazione della casa cinematografica, che
sotto vi sono questioni concrete (anche volgari) e dunque il superamento dell’arte come cosa eterea,
esaltazione dell’uomo. In tutta la questione si tocca con mano l’invadenza ormai del mercato. Brecht
parte con il fatto che il capitalismo fu una grande rivoluzione. Le opere d’arte, con questa rivoluzione,
non possono sottrarsi alla produzione. Bisogna stare attenti alle connessioni tra ciò che sembra
totalmente innocente e ciò che invece è integrato (apocalittici e integrati diceva un giorno Umberto
Eco). C’è uno schema a pagina 70. L’alternativa consiste nella presa di coscienza. Con la frase dei
poeti lirici che disimparano il canto dopo aver letto il capitale (ma non tanto al cospetto del libro
quanto al cospetto del capitale stesso. Dunque l’arte non è svincolata dalla realtà ma dipende da essa),
Brecht ragiona in termini di produzione (i sigari sono un mezzo di produzione e questo rimanda a
tecnica. La tecnica viene messa a margine perché di fronte ad essa gli intellettuali sono insicuri. C’è
qualcosa di misterioso nel rapporto tra i letterati e la tecnica). Brecht dice addirittura che “mangiare
è un lavoro”.
(2) Il secondo livello è la produzione di personaggi in quanto modelli di comportamento, si può
chiamare come la prassi dell’immedesimazione. È qui che Brecht elabora la teoria dello straniamento.
Questa parte dalla tecnica dell’attore e passa alla teoria dell’arte sino all’ideologia. Una storia
inventata, la finzione, ci immerge in essa. La suggestione e trasfigurazione spinge lo spettatore ad
imitare l’attore. Brecht ha davanti il metodo Stanislavskij (che voleva che l’attore vivesse come il
personaggio) e da qui arriva la tecnica dello straniamento: l’attore deve recitare tenendosi al di fuori
del personaggio, oggettivandolo, criticandolo se necessario e soprattutto citandolo. La recitazione
deve diventare soprattutto un modo di citazione (dunque distanza critica dal personaggio). A
proposito dell’immedesimazione vi è una citazione interessante. Se si deve raggiungere il pubblico
più vasto possibile il personaggio deve comprendere tanti, non dev’essere troppo singolare. La tesi
dello straniamento non significa solamente “uscire” ma anche assumere “lo strano” come lente di
lettura della norma, che dunque si rivela per differenza. Dunque si parte da qualcosa di paradossale
per individuare quelli che sono i nuclei della realtà. L’estetica marxista di Lukacs parla invece del
tipico (rappresentativo di tutta una serie di elementi singoli). Secondo Brecht l’arte astratta si espone
in una sorta di immedesimazione inavvertita. Ci si può reagire infatti in una maniera ugualmente
immediata. Se dipingiamo il colore rosso ognuno rimarrà rinchiuso nella propria evocatività. Si
cambia quello che funziona, appunto perché bisogna consumare cose sempre più nuove (superando
le cose vecchie, anche se ancora funzionanti). Per Brecht si tratta di capire quello che può servire alla
presa di coscienza. “La propaganda perché la gente ragioni è sempre utile alla causa degli oppressi”
(insegnare a ragionare). L’uso dei procedimenti moderni è proprio di Kafka. Su di lui Brecht dice che
vide lo sclerotizzarsi della cultura piccolo-borghese e l’avvento del nazismo (pur non vedendolo
direttamente). Attribuisce a Kafka lo straniamento, esattamente il suo procedimento principale.
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Muzzioli – critica letteraria
Sanguineti dice che vi è idea di sottrarsi al fascino carismatico va trasportata al di fuori del teatro ma
dell’arte.
(3) Il terzo livello è quello più ampio possibile ed è la produzione di società (il problema politico
complessivo). Qui il discorso sfuma un po’. In quel momento l’alternativa che Brecht proponeva (e
che ha sempre proposto) era quella del comunismo.
Una brevissima parentesi: l’intellettuale francese Gui de Bord indica un “profeta della società”. Lo
spettacolo diventa il nodo principale della merce e della produzione. La citazione di Brecht che può
funzionare, che ci dà in mano un metodo, può essere “che cosa prova? Che cosa dimostra il testo?”
Dunque i testi hanno valore dimostrativo. È un’ipotesi interessante sulla quale si potrebbe mettere
insieme una metodologia. Che cosa si vuole dimostrare? In realtà ogni testo dimostra qualcosa. Nei
dialoghi tra Benjamin e Brecht questi afferma che bisogna allacciarsi “al cattivo nuovo piuttosto che
al buono antico”. All’epoca di Brecht vi è la grande cultura di livello alto mentre la cultura di massa
è di serie B. Quindi è una cultura di livello popolare; con la società dei consumi il rapporto cambia
direttamente: l’alta cultura finisce in serie b, non ha più funzione oppressiva. In Brecht si voleva
contrastare con il “cattivo nuovo”.
Il confronto tra Lukacs e Adorno è un confronto generale. Per il primo la funzione della letteratura
sta nelle formule del “realismo” e del “rispecchiamento”. Rispecchiamento è un’altra citazione
famosa di Stendhal (“il romanzo è uno specchio che passa per la strada e rispecchia quello che c’è”).
Il personaggio dev’essere un individuo che rappresenta le forme storiche, dev’essere vivo (così come
il romanzo dev’essere unitario) e proprio essendo vivo rappresenta una situazione storica. E questo
realismo diventa un Marxismo ortodosso. Il modello di Lukacs è Balzac. Brecht si lamenta, non si
può scrivere come Balzac, l’unico modello è limitativo. Lukacs è un intellettuale della crisi, scrive
per una nuova teoria del romanzo, scrive attraverso il dubbio, l’incertezza. C’è qualche modello finale
che sembra recuperare l’epica (un po’ il sogno di Lukacs). Parla della reificazione dell’operaio, il
lavoro diventa una cosa e quindi l’alienazione. Scrisse “storia e coscienza di classe” che fu poi
additato come eretico. Mettere al primo posto la coscienza significa essere idealista. Dunque il
problema raggiunge la verità dello spirito mentre si tratterebbe di cambiare i rapporti economici.
Lukacs fa autocritica, poi diventa intellettuale di regime, poi torna in Ungheria (paese che iniziò a
dare subito libertà democratiche per frenare la malattia socialista). Lukacs in quel momento è ministro
della cultura. Certamente è stato un po’ opportunista ma in quel momento non lo era. Venne anche
deportato ed ora il suo archivio è stato chiuso. Nell’estetica Lukacs rappresenta l’idea del realismo e
la rappresenta attraverso tutta una vicenda, soprattutto attraverso il fenomeno del feticismo delle
merci. Marx su questo diceva che “la merce nasconde i propri rapporti di produzione”, appare
sostanzialmente come “non nata dal lavoro” (le scarpe da ginnastica non sappiamo che sono fatte in
indonesia, prodotte dai bambini, non sa quanta gente c’è morta. C’è solo l’apparizione dell’oggetto
che parla al nostro immaginario). La merce appare come feticcio che viene adorato ma non si sa da
quali rapporti di produzione provenga. Lukacs vuole sfatare il feticismo e per farlo ci vuole il
realismo. Dunque rappresentiamo i personaggi e le vicende in modo da far capire quali sono i rapporti
di produzione etc (personaggio tipico rappresenterà un certo tipo di produzione etc.). Il romanzo che
più si avvicina alla sua idea di romanzo è quello storico. A quest’idea di feticismo si lega anche il
termine dell’antropomorfico. Su questo tema Lukacs ripercorre tutta la storia della cultura e dunque
l’uscita dell’uomo dalla condizione mitica e antropomorfa. I fenomeni della natura vengono
interpretati attraverso le figure della divinità (tuono = dio minaccioso). La disantropomorfizzazione
è appannaggio della scienza; l’arte però è antropomorfa; Lukacs è critico del romanzo (della poesia
si è occupato poco) e si rende conto che questo è antropomorfizzante in quanto le tendenze della storia
diventano un essere umano. Questi dev’essere vivo, rappresentato come individuo. L’arte è
antropomorfizzante. Lukacs se la riprese poi con Benjamin e l’allegoria: da un lato vede l’allegoria
nella sua forma più tradizionale (al servizio della religione, fondamentale nell’ambito della storia
della chiesa). L’allegoria per un certo senso antroporfizza ma anche disantropomorfizza (quel vecchio
con le ali non è equivalente del reale, non è viva e al massimo rappresenta un’idea astratta, non viva).
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Muzzioli – critica letteraria
Per cui a Lukacs l’allegoria non sta bene. Alcuni qualche anni fa chiamarono Lukacs teorico
dell’avanguardia ma non è assolutamente così. Lukacs suggerisce al proletariato del momento più
alto della borghesia, al massimo apice del mondo borghese (rappresentato dal momento realista di
Balzac e Flaubert). Perché il proletariato deve ereditare qualcosa dalla borghesia? Se è una classe
rivoluzionaria non dovrebbe ereditare nulla dai predecessori.
Adorno è un discepolo di Benjamin. Benjamin era una sorta di freelance e per lui fu molto importante
la collaborazione con la rivista dei francofortesi. Questi poi andarono per tempo negli Stati Uniti
(Benjamin rimase in Francia ma non riescì a venirne fuori). Emersero qui Adorno, Horkheim e
Marcuse. Qui si scontrano con la cultura di massa, con la società dei consumi. Qui scrivono il saggio
“industria culturale” ed è la prima volta che si ragiona in termini di industria culturale (Adorno se la
prende anche con il cartone di Paperino ad un certo punto). Qual è il discorso di Adorno? Paperino
casca, rimbalza, non succede mai nulla di grave nei cartoni animati. Nella vita di tutti i giorni non è
così. Anche la posizione nei confronti nel jazz è critica (in fondo non si improvvisa nulla in quanto si
fanno già schemi previsti). Vi è una posizione estrema anche abbastanza aristocratica. Si potrebbe
dire che incontra il “cattivo nuovo” di Brecht e prende le distanze. La sua posizione è assolutamente
favorevole all’avanguardia del suo periodo e del secondo novecento. In particolare si riferisce a
Beckett. Brecht continua a mettere in scena la realtà (Galileo è la storia di Galileo) mentre in Beckett
non si capisce (Aspettando Godot è su tutto altro pianeta) e siamo in una dimensione fortemente
negativa. L’idea che emerge in Adorno è questa: vi sono stati Auschwitz e Hiroshima: la società ha
perso la faccia, la cultura non è servita a nulla e le barbarie non sono state impedite; non è più possibile
fare arte sublimante, l’arte dev’essere negante. Il teatro di Beckett svuota in effetto tutto quello che
aveva intorno (il palco anche è povero). L’arte dev’essere azzerata secondo Adorno ma nello stesso
tempo la situazione è contraddittoria: l’arte si azzera facendo l’arte, l’arte dell’avanguardia annulla
se stessa facendo arte (Beckett è comunque teatro, il romanzo continua ad essere arte pur essendo
antiromanzo). C’è senso di colpa perché l’arte rimane; dunque è meglio dire che vi è senso di nostalgia
verso un’arte perduta, che non può essere rifatta. Il feticcio per Adorno si nega in questo senso: l’arte
non vuole più parlare della realtà (per Lukacs si risolve parlando del reale autentico). Per Adorno si
esce fuori in questo modo dall’arte come feticcio ma questo porta l’arte come discorso senza fine.
“L’arte dovrebbe rappresentare l’utopia, una società che ancora non esiste. Parliamo per utopia ma
cosa sto facendo? Questo è un difetto perché si parla di qualcosa che non esiste. L’arte è vera nella
misura in cui ciò di cui parla è in contrasto.” Entriamo in una serie di ribaltamenti vertiginosa:
dovrebbe essere non conciliato perché dovrebbe essere n sintesi falsa ma l’inconciliato dovrebbe
essere unificato.
26 ottobre 2018
V lezione
Il realismo è tornato di moda, in corrispondenza della crisi del post-modernismo, non soltanto a livello
letterario ma anche filosofico. La formula del realismo era stata elaborata da Lukacs, critico degli
anni Trenta. Auerbach ha trattato il tema del realismo in Mimesis dal punto di vista stilistico, ovvero
dal punto di vista delle modalità con cui le varie epoche si rapportano e rappresentano la realtà. La
forma del realismo non è così semplice come potrebbe sembrare.
“Poiché il realismo c’è”, Baudelaire, che significa che ogni cosa ha un legame con la realtà e dunque
è realistica, anche il testo onirico proviene da un rapporto col reale. Nell’ambito della critica
geografica si è sviluppato il concetto di realema, che è un elemento che si trova nella finzione ma che
possiamo valutare come reale.
Lukacs aveva tradotto il realismo nella teoria del tipico, cioè la componente di rappresentatività della
realtà. Nello strutturalismo c’è un’idea costruttivista, per così dire: sono le convenzioni che ci danno
la realtà. Per esempio per Lacan nelle società c’è un accordo convenzionale su che cosa sia la realtà.
Abbastanza interessante è un intervento di Barthes in cui parla dell’effetto di reale. Nel racconto c’è
la trama e poi ci sono dei particolari assolutamente superflui, privi di funzione strutturale,
insignificanti in quanto significano soltanto sé stessi, dunque producono l’effetto di reale.
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Muzzioli – critica letteraria
Il realismo nell’arte di Jakobson, in cui si dice che il realismo è la bandiera di ogni nuova scuola
artistica.
Il narratore realista è il più bravo a darci l’illusione della realtà. Secondo alcuni il realismo è lo stile
più trasparente perché la forma è ridotta al minimo grado di artificio, privilegiando il contenuto.
Ecfrasi: brani in cui si descrivono i dipinti. Ipotiposi: rende vivace la scena. Figura retorica consistente
nella rappresentazione vigorosa, immediata, essenziale di un oggetto o di una situazione. Il realismo
è normalmente un genere serio, senza ironie.
Dibattito Brecht-Lukacs: Brecht gli contesta di aver istituito un solo modello di realismo (cioè quello
di Balzac). Qual è il rapporto delle avanguardie col realismo? Il futurismo in qualche modo è
mimetico in modo sperimentale. Per esempio Zam tumb tumb riproduce fedelmente la battaglia.
Nel fantastico di stile ottocentesco, presente ancora in Kafka ne La metamorfosi, c’è un impianto
realistico. L’onirismo è quella scrittura in cui anche il mondo dato può trasformarsi. Il surrealismo,
che ha puntato molto sull’onirismo, è la forma meno realistica che ci sia. Rossi-Landi stabilisce una
divergenza assoluta tra avanguardia e realtà, perché...
Sanguineti è in qualche modo vicino a Rossi-Landi, ma afferma che l’avanguardia è una forma di
realismo. Dice:
Bürger dà una definizione del testo d’avanguardia, ispirata a Brecht, è l’opera non organica e il
principio del montaggio, mentre l’opera tradizionale segue il principio dell’unità. L’impegno e la
questione politica dunque non viene reso l’elemento dominante. Friedrich Jameson si rifa all’effetto
di realtà di Barthes, e fa una ricerca sul modo in cui le opere ottocentesche descrivono sensazioni che
non hanno ancora ricevuto un nome. Si occupa anche del post-modernismo e si chiede se il romanzo
storico può essere ancora possibile. Analizza Cloud Atlas.
Slavoj Žižek è un filosofo sloveno che tratta anche di cinema. Il cinema contemporaneo è un trionfo
del visivo e l’apoteosi di una realtà virtuale immersiva. Ci sono diversi film che hanno trattato del
personaggio che scopre di essere in una realtà virtuale e cerca di uscirne: Matrix, Truman show,
Waking life, Tredicesimo piano, Inception. Žižek dice che la realtà è ciò che resiste alla virtualità.
Permanenza dell’estetica dentro la critica dell’ideologia, cioè una sistematica e coerente visione della
realtà che ne investe tutti i suoi aspetti. Osip Brik: “Un dio è rimasto illeso, è il dio della bellezza”.
Interessante è la posizione di Antonio Gramsci, filosofo e politico innanzitutto. Passaggio intermedio
della cultura che media fra politica e letteratura. Rivedi esempio del passo dantesco sul manuale di
Muzzioli.
Sul politecnico c’è la polemica tra Togliatti e Vittorini. Secondo Vittorini, la politica deve prendere
decisioni immediate nel presente, invece la cultura deve costruire il futuro, e non si possono dissolvere
l’una nell’altra.
Il testo filosofico ricerca un valore univoco, il testo letterario invece è polisemico.
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